da Maria Letizia Panerai | Lug 22, 2016
Malinconia e paesaggi autunnali mozzafiato fanno da cornice ad un film intenso, ambientato nel 1957 nello stato del Connecticut, emblema di quella provincia americana dove albergano pregiudizi che hanno il potere di stritolare la vita delle persone. E’ ciò che accade alla protagonista Cathy Whitaker (una sempre convincente Juliane Moore), che si trova a lottare tra la scoperta dell’omosessualità del marito (Dennis Quaid), manager di successo e padre dei suoi figli, e la insperata serenità che le regala l’amicizia con il suo giardiniere di colore (Dennis Haysbert), che lei non potrà mai amare sia per problemi di classe sociale che per problemi razziali.
Todd Haynes (Io non sono qui, Carol), con lucida e millimetrica precisione, ci rappresenta l’ambiguità della provincia americana degli anni ’50, raccontandoci una storia “scandalosa” che si scontra con un falso perbenismo, non solo di quegli anni. Diversi i temi trattati: la differenza di classe, l’omosessualità, ma anche l’integrazione razziale e la capacità delle donne di evolversi per uscire da un ruolo che le vuole solo mogli irreprensibili, incarnazione di quell’angelo del focolare domestico solo in apparenza cardine della perfetta famiglia americana, ma in realtà esseri relegati al ruolo di casalinghe di lusso, che nel migliore dei casi si dedicano alla beneficienza e all’organizzazione di party per le persone che contano, comunque destinate ad una vita vuota e di solitudine.
Di questo film è anche molto bella la fotografia, soprattutto nelle scene degli incontri tra Cathy ed il suo giardiniere nel verde di giardini e boschi. Il colore delle foglie d’autunno e l’ambientazione nella natura di questi due esseri che amano le piante e che hanno una medesima sensibilità, ci suggerisce una ricetta di frittelle a base di castagne, adatta ad un clima autunnale.
INGREDIENTI: 500 grammi di farina di castagne – 150 gr. di uvetta sultanina – 70 gr. di pinoli – 60 gr. di zucchero – 2 uova – 50 gr. di lievito di birra – 1 bicchiere di latte – 1 limone – zucchero a velo q.b. – olio di arachidi per friggere – sale q.b..
PROCEDIMENTO:
Mettere a bagno l’uvetta in acqua tiepida per circa 15 minuti. Su di una spianatoia versare la farina di castagne a fontana, formare il buco al centro, unire quindi lo zucchero, le uova, il lievito di birra sciolto in un po’ di acqua tiepida, la scorza grattugiata del limone ed il pizzico di sale. Impastare tutti gli ingredienti, aggiungendo il latte tiepido poco alla volta, continuando ad impastare. A questo punto incorporare nell’impasto l’uvetta sgocciolata e strizzata ed i pinoli; coprite il composto con un panno e fatelo riposare per un’ora in modo che lieviti bene. Riprendete dunque l’impasto, confezionate delle piccole frittelle che friggerete nell’olio di arachidi ben caldo, sgocciolatele con un colino, poi acsiugatele con carta assorbente e spolveratele con zucchero a velo prima di servire. Un’autentica delizia!
da Alessandro Rosi | Lug 15, 2016
(Casa del Jazz – Roma, 14 Luglio 2016)
Musicisti in erba suonano al chiaro di luna sul manto verde del parco di Villa Oslo. Tra i fili d’erba del giardino spunta un giglio del Nilo con i suoi inconfondibili petali bianchi: è la giovane Margherita Vicario con indosso una candida gonna larga a crinolina, la cui forma ricorda il fiore di origini africane; il nettare della sua voce è profuso sul pubblico presente mercé alcuni pezzi del suo repertorio, nonché con alcune cover di cantautori italiani, da Daniele Silvestri a Lucio Battisti. Le melodie della cantautrice e compositrice (ma anche attrice in diversi film, tra cui The Pills – Sempre meglio che lavorare) si fondono con il suono caldo e vibrante della chitarra di Gian Marco Ciampa, abbracciato al suo strumento come se fosse la sua compagna, carezzando in alcuni passaggi docilmente le corde, mentre in altri le afferra e scuote con vigore. Il formidabile chitarrista italiano – insignito, tra l’altro, del premio “Chitarra d’oro” come miglior giovane talento – brilla per virtuosismo ed eleganza sia quando accompagna le canzoni della Vicario, sia durante l’esibizione in solitaria con l’arrangiamento di una canzone di Francisco Tarrega; e per la sua straordinaria abilità ricorda il maestro spagnolo Andres Segovia: tant’è che mentre suona la chitarra sembra di sentire un’orchestra su sei corde. Non è tuttavia la sola orchestra presente sul palco, anche quella giovanile di Roma – che annovera tra i suoi 52 componenti una musicista giovanissima (di soli 10 anni!) ed è diretta da un esaltante Vincenzo di Benedetto – esegue diversi componimenti classici, come l’indimenticabile overture di Rossini de L’italiana in Algeri.
Ad arricchire la serata è l’ospite speciale Marco Zitelli (moniker: Wrongonyou), artista italiano eclettico che segue le orme tracciate dalle tonalità folk di Bon Iver. Durante lo spettacolo, attraverso il campionamento in loco della sua voce delicata, riproduce in loop i suoni creati realizzando una performance degna di nota, in special modo nell’esecuzione della cover di Mad World, il celebre brano composto da Gary Jules.
I diversi musicisti e i brani che si susseguono contribuiscono a offrire una serata piacevole, dove l’alternarsi di musica classica e leggera finisce per mescolarsi dando vita ad un’unica melodia. Un concerto allegro, vivace, spensierato, non solo per la giovane età dei partecipanti, ma anche per il modo in cui sono eseguite le canzoni. Un evento che merita di essere ripetuto, se non altro per vedere la crescita musicale di questi talentuosi ragazzi.
data di pubblicazione:15/07/2016
da Antonio Iraci | Lug 13, 2016
(Teatro Vascello – Roma, presentazione della stagione 2016/17)
Con un titolo che in effetti suona meglio se tradotto in Necessità di esistere, Manuela Kustermann, in veste di direttrice artistica del Teatro Vascello, ha presentato la nuova stagione che avrà inizio il 17 settembre e che prevede ben 62 lavori in cartellone. Molto variegati gli spettacoli proposti che prevedono diverse tipologie quali la prosa, la danza, la musica, il teatro-danza, il circo, i concerti e tanto altro ancora, facendo così già pregustare al pubblico presente in sala una stagione di per sé molto interessante.
Da anni infatti il Teatro Vascello ha come missione di cercare di soddisfare le varie esigenze dello spettatore spaziando dai classici ai lavori di scena contemporanea, sia con compagnie teatrali italiane che mediante collaborazione con produzioni straniere. Quest’anno in particolare una fattiva cooperazione con la Romania con due spettacoli in coproduzione: Baccanti con la regia di Daniele Salvo, già in scena con successo nella scorsa stagione, e La Tempesta con la regia di Silviu Purcarete, entrambi i progetti in gemellaggio con i teatri rumeni di Costanta e di Craiova.
Ecco perché, come ribadisce la Kustermann, il teatro sente istintivamente come esigenza la necessità di esistere, di affermarsi in una realtà, quella italiana e romana in particolare, dove la cultura soffre spesso di disattenzione da parte di quelle istituzioni che ne dovrebbero invece assicurare un ruolo primario nella vita di tutti i giorni.
Accanto ai maggiori teatri di prosa capitolini, il Vascello rappresenta senza ombra di dubbio una palcoscenico di grande prestigio per gli artisti che si esibiranno, per molti sarà un ritorno per altri un esordio, ma in tutti, dalle brevi presentazioni che hanno fatto dei propri spettacoli, si è riscontrato in maniera tangibile un grande impegno a fare, una grande voglia di esserci…
data di pubblicazione:13/07/2016
da Alessandro Pesce | Lug 12, 2016
Con vergognoso ritardo di ben oltre tre anni, rispetto alla presentazione al festival di Venezia 2013 e all’uscita internazionale, ecco che, finalmente, nelle sale semivuote e gelide di aria condizionata, viene proposto al pubblico Tom a’ la ferme, uno dei gioielli del giovane regista canadese francofono Xavier Dolan, geniale talento, conosciuto al grande pubblico per Mommy ma autore di una mezza dozzina di pellicole che rivelano un talento altissimo e una ispirazione fresca e originale, e soprattutto di una mano sicura e ormai anche ampiamente matura. Il mese scorso gli è stata dedicata, qui a Roma, un’affollata e applaudita retrospettiva. Chi non ha avuto la fortuna di poterla seguire, è invitato a vedere questo Tom a’ la ferme e soprattutto a non perdere, quando uscirà, dopo l’estate, il mirabile Fino alla fine del mondo, premiato all’ultimo Cannes, entrambi film tratti da pièce, ma per nulla teatrali anzi cinematografiche in sommo grado.
Ma quali sono le doti principali di Dolan? Innanzitutto la maestria con cui con pochi e mai banali elementi, introduce lo spettatore e lo cattura. Alcuni critici hanno paragonato il tipo di effetto da approccio di Dolan a quello che avranno avuto i primi spettatori della nouvelle vague o a quello che avranno colpito i primi spettatori di Petri, Bellocchio e Bertolucci, e questo non per improbabili similitudini o affinità tra questi cineasti, ma per la incredibile felicità di mano e di potenza di racconto.
Come negli altri suoi film è un nucleo familiare al centro di Tom a’ la ferme.
Tom è un giovane pubblicitario che si reca nella fattoria di famiglia del suo compagno morto per, partecipare alle esequie dello stesso, ma molto presto Tom capirà che è chiamato a sostenere un ruolo rassicuratore poiché la madre Agatha non sa nulla della vita del figlio defunto e l’altro fratello è violento e omofobo. Il film si trova ad un certo punto sulla soglia di una virata da thriller psicologico o addirittura di un horror fino a una svolta regalataci dal racconto di un non protagonista. Invece no, è solo l’inferno quotidiano che scaturisce da non detto.
data di pubblicazione: 12/07/2016
Scopri con un click il nostro voto:
da Maria Letizia Panerai | Lug 11, 2016
Will (Hugh Grant in una delle sue indimenticabili interpretazioni) è un quarantenne single, annoiato e disilluso, che non ha mai lavorato perché vive (e bene) con i diritti d’autore di una famosa quanto stupida canzoncina natalizia, scritta dal padre molti anni addietro. Will è un uomo apatico che passa ore a vedere dvd sdraiato sul divano di casa o bighellonando per il quartiere con il precipuo scopo di continuare a non fare nulla. L’unica cosa che sembra interessargli sono le conquiste femminili e, per avere il campo ancora più facile, decide di partecipare ad incontri di genitori single fingendosi un “ragazzo padre”. Durante uno di questi incontri, pur interessandosi ad una giovane ed attraente donna di nome Susie, la sua goffaggine lo porterà, in seguito ad una serie di eventi, ad essere coinvolto nella vita di un’altra donna, Fiona, sola e complessata sempre sull’orlo del suicidio e madre di Marcus, un ragazzo adolescente sovente tiranneggiato dai suoi coetanei. Sarà proprio l’incontro con il ragazzo che gli cambierà la vita: con prepotente determinazione Marcus entra nella vita di Will e la “scompiglia” dandogli un senso, facendolo uscire da quell’isolamento, così gelosamente custodito per proteggersi dalle insidie del mondo. Marcus vede in Will ciò che lui stesso non riesce a vedere: una figura maschile di riferimento per lui e per sua madre, facendogli scoprire inaspettati lati del suo carattere che lo porteranno ad intaccare la monotona superficialità in cui era vissuto sino ad allora.
Il film è una commedia romantica ben riuscita e Hugh Grant ne è l’indiscusso protagonista. La scena in cui Will interviene soccorrendo Marcus mentre, durante una recita scolastica, canta Killing me softly with his song pur di accontentare la madre, naif e depressa, vale tutto il film, e Hugh Grant come padre surrogato è perfetto nell’affrontare il “pubblico ludibrio”, come quando in una delle scene finali di Notting Hill si dichiara in una affollata conferenza stampa “brutto cazzone avariato”, pur di riconquistare la sua amata Anna (Julia Roberts).
A questo film, che avvicina i grandi alle problematiche degli adolescenti, non potevamo che abbinare la ricetta di un dolce che piace a grandi e piccoli: la girella o jelly roll ripiena.
INGREDIENTI: 200gr di zucchero+ un po’ di zucchero a parte – 110gr di farina – 5 cucchiai di acqua – 3 uova intere – ½ cucchiaino raso di lievito per dolci in polvere – scorza grattugiata di un limone – 1 pizzico di sale – marsala o altro liquore o acqua e zucchero; PER IL RIPIENO: marmellata, oppure crema spalmabile al cioccolato (molto nota), oppure fragoline di bosco con panna.
PROCEDIMENTO:
Montare i tuorli d’uovo con lo zucchero sino a farli diventare bianchi e spumosi quando cioè le fruste fanno il “nastro”, quindi unire l’acqua, la farina setacciata ed il lievito continuando a girare con le fruste; infine montare i bianchi montati a neve ferma con il pizzico di sale. Unire i bianchi montati al composto e versare il tutto in maniera uniforme in una tortiera rettangolare (40×27 cm) o nella placca da forno precedentemente foderata con carta da forno, avendo cura di formare uno strato alto un dito.
Cuocere in forno ben caldo a 200° per soli 13 minuti.
Sfornare ancora caldo e rovesciare questa torta bassa ottenuta su di un panno umido ed inzuccherato con zucchero semolato, spennellare la parte superiore con liquore o con acqua e zucchero, quindi arrotolarla su se stessa in modo da modellarla un po’; dopo averla srotolata, spalmare l’interno con della marmellata o con crema di cioccolata oppure con un composto di panna e fragoline di bosco. Quindi arrotolate nuovamente e velocemente (prima che si freddi completamente la pasta perché potrebbe rompersi) aiutandosi con il panno umido e quindi tenere il rotolo ottenuto avvolto nello stesso finché non sia completamente freddo. Togliere lo strofinaccio ed avvolgere il rotolo oramai freddo con pellicola trasparente. Mettere in frigo.
Una volta ben freddo e stabile potete affettare il rotolo o jelly roll in tante girelle e servire.
da Antonietta DelMastro | Lug 10, 2016
Non so dire quali siano i motivi che spingono una persona ad acquistare un libro.
I miei, tolti i classici letti “per dovere” nel corso del liceo, di solito sono il passa parole tra amiche, le copertine e/o (J)il titolo da cui resto affascinata e, chiaramente, gli incipit.
Tre donne vivevano in un paesino.
La prima era cattiva, la seconda bugiarda e la terza egoista.
Il paese aveva un grazioso nome da giardino: Giverny.
Queste tre righe sono quelle dell’incipit di Ninfee nere di Michel Bussi, appena tradotto in italiano per E/O. Come fare a resistere?
Cenere sul capo: ammetto che non conoscevo questo scrittore, ho preso in mano il libro solo perché ne avevo letto in anteprima ed ero rimasta impressionata dalla lista di premi che aveva vinto in carriera, e in particolare con questo volume.
La copertina non mi aveva particolarmente affascinata, ma quando ho preso in mano il libro, quando ho letto le prime tre righe… non sono più riuscita a lasciarlo!
Ora ho messo in lista tutti gli altri titoli di Bussi e, uno alla volta, li farò tutti miei!!!
Dunque, la vicenda si svolge a Giverny, il villaggio dell’Alta Normandia a pochi chilometri da Parigi dove ha vissuto e dipinto Claude Monet fino alla sua morte. Il titolo del romanzo ricorda proprio le sue Ninfee, la serie che ha prodotto in varie forme e colori per gli ultimi trenta anni della sua vita e di cui dovrebbe far parte anche il Ninfee nere del titolo.
Ci troviamo di fronte a un giallo: tre donne di età diversa, Fanette, di 11 anni appassionata e talentuosa pittrice in erba; Stéphanie, l’affascinante maestra del villaggio; la terza è la voce narrante della vicenda, una vecchia acida e bisbetica che spia il villaggio dall’alto della sua torre. Le tre donne sono in qualche modo coinvolte nella serie di omicidi che hanno luogo nel tranquillo villaggio tra turisti che si avvicendano nella villa di Monet per godere della vista del famoso stagno delle ninfee; attraverso i loro occhi saremo testimoni di alcune vicende che potranno fornirci un quadro a tutto tondo di quel che sta accadendo a Giverny, preziosissime saranno le indagini e le deduzioni dell’ispettore Laurenç Sérénac, che ci accompagnerà tra le pagine di questa storia.
Un libro magistrale, ricco di colpi di scena, in cui gli attori sono costruiti con forza e passione e descritti con grande maestria, il tempo non ha quasi significato e il confine tra passato e presente è labile e si confonde in continuazione; è un giallo veramente avvincente, la trama è intricata e di non facile soluzione, il lettore resta avvinghiato alle pagine, ogni nuova sfumatura stravolge tutto quello che si era pensato fosse fino ad allora chiaro e non si può far altro che continuare a leggere sempre più intrigati dalla storia e della splendida scenografia impressionista che si apre ai nostri occhi.
data di pubblicazione:10/07/2016
da Accreditati | Lug 8, 2016
(999 Foundation Museum/ Artist Resistance Residency in collaborazione con Teatro India
Ex Complesso Mira Lanza – Roma 7 luglio 2016 )
L’arte di strada è una forma espressiva che invade e conquista i luoghi pubblici e privati in maniera quasi sempre illegale, un po’ come le affissioni abusive, un’arte non autorizzata che non può trovare spazio in un museo preconfezionato, una creazione artistica che si cerca, come può, la propria più congeniale location, anzi se la prende e basta.
Seth, francese di nazionalità, da due mesi occupa illegalmente gli spazi dell’ex complesso industriale della Mira Lanza (quelli delle saponette per intenderci) superficie enorme che dal 1955 è in stato di quasi totale abbandono, di proprietà oggi del Comune di Roma che in parte la sta recuperando affidando alcune strutture restaurate al Teatro India per la sua stagione teatrale. Qui ci troviamo di fronte ad una serie di edifici, pura archeologia industriale, che l’artista ha scelto per l’installazione delle proprie opere, murales più che graffiti, composizioni dove tra detriti e immondizia di ogni genere la sua arte prende colore e si impone per rivendicare, con un atto di consapevole vandalismo, ciò che è giusto fare per la ripresa di uno spazio degradato. Entrare nel museo improvvisato di Seth significa quindi varcare l’illegalità per godersi in santa pace un’arte pura che non richiede spiegazioni o riflessioni, ma che trasmette un messaggio politico/sociale diretto a noi, pubblico incuriosito e cosciente di quanto sia gratificante e salutare abbandonarsi talvolta ad una sana trasgressione, un poco come rubare le caramelle al supermercato.
Esperienza da non perdere!
data di pubblicazione: 08/07/2016
da Antonio Iraci | Lug 5, 2016
L’avvenente Flora gestisce a Roma il ristorante “Arturo al Portico”, ben frequentato e considerato un luogo di incontro ideale per chiacchiere ed altro, con il pretesto ovviamente di cenare. Qui si incrociano infatti diverse storie, a partire da quella amorosa della proprietaria, che coinvolgono non solo i clienti ma anche il personale della cucina: ognuno ha qualcosa da raccontare o da sistemare di fronte ad un buon piatto della tradizione romana, qui non c’è fretta, tutto si svolge in tempo reale.
Dopo il successo ottenuto con il film La Famiglia, Ettore Scola ci ripropone in un ambiente chiuso, ma mai claustrofobico, un narrazione molto credibile, dove si susseguono i fatti di vari personaggi tutti assolutamente possibili e sui quali ci piace fantasticare con l’occhio attento dello stesso regista, maestro ineguagliabile del raccontare.
Il cast impiegato è di ottimo livello a cominciare da Fanny Ardant, nei panni di Flora, a seguire poi con Vittorio Gassman, Giancarlo Giannini, Stefania Sandrelli, Eros Pagni, Daniela Poggi e tanti altri che hanno dato vita all’intreccio della varie storie.
Nel menù di questo tipico ristorante non può mancare il piatto forte della tradizione culinaria romana: la trippa. Qui ne riproponiamo una versione riveduta e corretta secondo una ricetta più meridionale e sicuramente dal sapore più deciso.
INGREDIENTI: 600 grammi di trippa già pulita e precotta – 500 di pomodori pelati a cubetti – 3 melanzane – 2 cipolle bianche – un bel mazzo di basilico – 150 grammi di parmigiano grattugiato – olio, sale e pepe q.b.
PROCEDIMENTO: lessare la trippa, già tagliata a listarelle, in acqua abbondante e salata per due o tre volte e per circa dieci minuti, cambiando ovviamente l’acqua ogni volta. Preparare un soffritto con le cipolle in abbondante olio d’oliva aggiungendo poi i pelati e una buona manciata di basilico. Nel frattempo friggere le melanzane a cubetti e tenere da parte. Una volta che la salsa di pomodoro risulta pronta, condire con sale e un poco di pepe, o se si vuole anche con un poco di peperoncino, e aggiungere la trippa e le melanzane fritte lasciando cuocere il tutto altri 5 minuti per insaporire bene gli ingredienti. Aggiungere il parmigiano grattugiato e abbondante basilico e lasciare riposare. Il piatto va servito tiepido.
da Antonietta DelMastro | Lug 2, 2016
Centesimo romanzo di Andrea Camilleri, che ha voluto festeggiare questo notevolissimo traguardo pubblicando una inchiesta del suo personaggio più amato: il commissario Salvo Montalbano.
Camilleri non perde l’occasione di renderci partecipi del suo manifesto politico, attraverso i pensieri, le parole, le azioni di Montalbano: il romanzo inizia infatti con gli sbarchi dei migranti che ogni notte arrivano sulle coste di Vigata. In questo compito di accoglienza il commissario è come sempre aiutato dai suoi uomini, tutti con turni doppi sulle spalle, tutti sfiniti, tutti stanchissimi.
Come se la stanchezza di questi turni di lavoro extra non fosse “bastevole”il commissario dovrà affrontare un compito ancora più arduo: farsi fare un vestito su misura da Elena, sarta di Vigata dalla quale lo indirizza la sua eterna fidanzata Livia, in modo che lui possa degnamente accompagnarla alla festa per le nozze d’argento di una coppia di amici.
Quest’opera di sartoria non vedrà mai la luce: in una notte di sbarchi Elena verrà uccisa nel suo atelier con 22 colpi di forbice. Salvo accorrerà sconvolto “ Di colpo le gamme gli erano addivintate di ricotta. Ebbi ‘na speci di virtigini che l’obbligò ad appuiarisi con una mano al muro, po’ addimannò….” e si metterà alla ricerca dell’efferato omicida.
Il mio, con Salvo Montalbano, è stato un vero colpo di fulmine, un amore a prima “letta”; l’ho conosciuto poco meno di 20 anni fa e non l’ho più lasciato, mi sono gettata su ogni sua indagine con ammirazione, con gioia, con la consapevolezza che avrei navigato nelle sue indagini psicologiche, nel suo continuo scavare, che mi sarei trovata davanti a quelle intuizioni misteriose che sempre mi hanno lasciata sgomenta e che, fatte da lui, erano così semplicemente perfette. Non potevo quindi non notare che, questa volta Salvo è stanco, così come sono stanchi tutti gli altri attori. In una nota alla fine del romanzo Camilleri ci spiega che, a causa dell’inesorabile scorrere del tempo, è stato costretto a chiedere aiuto nella stesura del testo… e purtroppo la storia ne ha risentito, è venuta meno la profondità e la forza che gli erano caratteristiche, l’intreccio è, in alcuni tratti, confuso, il procedere è lento, gli scambi di battute scontati: si sente la mancanza della sua genialità narrativa.
Sono combattuta tra il dire che forse sarebbe stata l’occasione adatta di mandare in pensione Salvo e il desiderio di continuare a incontrarlo a frequentarlo perché l’amore non si cancella perché si invecchia…
data di pubblicazione:02/07/2016
da Antonio Iraci | Lug 1, 2016
(Teatro di Roma: presentazione della stagione 2016/17)
Con un titolo ed una locandina quanto mai densi di significato, è stata presentata la nuova stagione del Teatro di Roma, già divenuto Teatro Nazionale, una realtà che si inserisce a pieno titolo nella scena culturale capitolina.
Partendo da una sintetica introduzione da parte del Presidente Marino Sinibaldi, il vasto pubblico in sala, composto di artisti, giornalisti e affezionati spettatori, ha subito compreso il senso del tema principale che caratterizzerà questo nuovo ciclo di spettacoli, in una serie di progetti teatrali e percorsi interdisciplinari che terranno conto di una umanità e di una cultura in movimento, diventando così il cuore pulsante del nostro vivere quotidiano.
Gli argomenti trattati seguiranno quindi un filo conduttore che ci porterà ad esplorare nuove realtà senza però rinnegare la tradizione del teatro classico che sin dai tempi dell’antichità ha strutturato la forma mentis del genere umano.
Il programma, presentato nel dettaglio dal Direttore Antonio Calbi, prevede 21 produzioni – di cui 8 nuove, 4 coproduzioni, 9 riprese – per un totale di 57 titoli sotto la direzione di 62 registi e la presenza di oltre 300 interpreti, il tutto suddiviso tra le due location tradizionali del Teatro Argentina e Teatro India, due spazi diversi e con proprie peculiari prerogative sia per quanto riguarda gli allestimenti scenici proposti sia per quanto concerne l’impatto con il pubblico del quartiere di appartenenza.
Senza entrare troppo nello specifico, dai titoli velocemente illustrati, si comprende come il Teatro di Roma voglia rinnovare anche per la nuova stagione la propria mission di spazio drammaturgico al servizio continuo del pubblico, per consolidare la diffusione della cultura, in un periodo storico denso di turbolenze sociali e di tragiche migrazioni.
Molto apprezzato l’intervento della neo sindaca Virginia Raggi che, in rappresentanza delle istituzioni locali, ha sentito la necessità di rafforzare il proprio personale appoggio per promuovere l’attività teatrale e darle un nuovo senso nella realtà romana. Rinnovata anche la promessa di procedere al più presto all’avvio dei lavori di ristrutturazione del Teatro Valle, inattivo oramai da anni e la cui riapertura sta molto a cuore della cittadinanza.
Parole confortanti anche da parte di Lidia Ravera, Assessore alla Cultura, che ha dato voce all’impegno che da anni la Regione Lazio manifesta a sostegno della cultura romana e non soltanto per quanto riguarda il supporto finanziario ma soprattutto per la promozione di iniziative a servizio dei cittadini.
Il cartellone proposto si presenta quindi molto articolato e ci fa ben sperare in un risveglio delle attività, in una città come Roma, che da qualche tempo soffre di una ingiustificata forma di indolenza intellettuale.
data di pubblicazione: 01/07/2016
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