da Antonella Massaro | Set 2, 2016
(73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2016)
Un’isola tra due oceani, un faro e il suo guardiano, un uomo e una donna chiamati al cospetto delle proprie responsabilità.
Responsabilità, senso di colpa, coraggio e perdono. Sono queste le parole chiave che potrebbero sintetizzare The light between oceans di Derek Cianfrance, in concorso alla 73. Mostra di Venezia.
Tom (Michael Fassbender, di recente candidato all’Oscar per Steve Jobs) diviene il guardiano del faro dell’isola Janus. È reduce dalla prima guerra mondiale e dopo gli orrori della trincea non teme l’assolutezza di una solitudine che ha messo a dura prova i precedenti guardiani. Desira anzi concedersi una pausa dalle proprie responsabilità, nascosto e protetto dalla magnificente sontuosità di una natura che diviene a tutti gli effetti una protagonista della suggestione visiva confezionata da Cianfrance. Izabel (Alicia Vikander, premio Oscar per The Danish girl) riaccende in Tom la scintilla di una vitalità che pareva irrimediabilmente soffocata e sceglie di condividere il magnifico isolamento di Janus, in una dimensione sospesa dallo spazio e dal tempo. Il passato, del resto, va superato e del futuro non si può parlare, trattandosi al più di speranze o desideri: non resta dunque che vivere il presente, cristallizzandolo in un fotogramma sospeso tra il “prima” e il “poi”. Come Giano bifronte e il mese di gennaio che da quella divinità deriva il suo nome, a metà strada tra la fine del vecchio anno e l’inizio di quello nuovo. Come l’isola di Janus e il suo faro, chiamati a fare da spartiacque e, al tempo stesso, da raccordo, tra due oceani. Ma il tempo e la vita sono refrattari a ogni tentativo di fermo immagine e continuano inesorabili la propria corsa verso l’eterno ritorno.
Dal mare arriva una prova: un uomo morto e una bimba viva a bordo di una barca alla deriva. Le coscienze dei due protagonisti si trovano di fronte alla necessità di una scelta, innescando una spirale di sentimenti contrastanti, una tempesta in grado di rendere invisibile quel faro che aveva restituito l’impressione di un rassicurante punto di riferimento. Ogni scelta però comporta delle responsabilità, dalle quali neppure la solitudine dell’isola può rendere esonerati. Non resta dunque che trovare la via per evadere da quella che, per usare le parole scelte da Alicia Vikander, si trasforma in una vera e propria “prigione emotiva”.
Tratto dall’omonimo romanzo di M.L. Steadman, The light between oceans riesce senza dubbio nell’intento di confrontarsi con interrogativi universali, capaci di andare ben oltre la contingenza della singola storia. Michael Fassebender e Alicia Vikander, approdati al Lido come coppia nella vita dopo l’intesa trovata proprio sul set del film, (sor)reggono una sceneggiatura dal peso indubbiamente non trascurabile, a tratti ridondante, con qualche concessione di troppo nel finale. La regia, la fotografia e il talento degli attori (molto convincente anche la prova di Rachel Weisz) riescono però a tenere insieme i pezzi di una storia dalle molteplici chiavi di lettura.
data di pubblicazione: 02/09/2016
da Maria Letizia Panerai | Ago 31, 2016
(73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2016)
Una favola moderna, dal finale non scontato, si consuma sotto i cieli di LA. Un pianista jazz, che coltiva con rabbia la sua passione assieme al sogno di aprire un locale tutto suo dove poter suonare ciò che vuole e quanto vuole, incontra una aspirante attrice che si mantiene servendo caffè in un bar all’interno degli Studios pur di poter continuare a fare provini e coronare un giorno il sogno di recitare da protagonista in una pièce teatrale. Le loro strade si incontrano ed entrambi proveranno a percorrerle insieme.
Nonostante le stagioni si susseguano nella città degli angeli, in California è sempre primavera e un altro splendido giorno di sole arriverà. Damien Chazelle, dopo il pluripremiato Whiplash, ci racconta in chiave musicale la storia romantica di due sognatori, il pianista jazz Sebastian (Ryan Gosling) e l’aspirante attrice Mia (Emma Stone), e ci invita a brindare ai sognatori, ai cuori che soffrono e ai disastri che combinano…e ai folli che sanno sognare. E così, in maniera assolutamente insolita e leggera, la 73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia dà “inizio alle danze” con il primo film in concorso che mostra di avere in sé tradizione, romanticismo e favola raccontati in chiave moderna, puntando su due attori che danno prova di saper ballare e cantare, oltre che recitare come è ben noto a tutti, disinvolti e molto affiatati alla loro terza prova insieme. La La Land è un film che ha tutti gli ingredienti necessari per far parte con onore del genere musical americano, che vanta tuttavia un passato glorioso con cui confrontarsi oltre ad avere un bacino di utenza limitato. Ma questa storia d’altri tempi, calata nel nostro tempo, ci lancia un messaggio di amore e speranza ed il cinema diviene un mezzo per violare le regole del reale ed invitarci a inseguire ciò che ci piace veramente. Portatore sano di una ventata di rinnovamento proprio perché, paradossalmente, attinge a radici così lontane, il film di Chazelle pur risultando troppo lungo e poco convincente nella parte centrale comportando un calo nell’attenzione di chi scrive, potrebbe incontrare il gusto del pubblico come questa mattina ha incontrato quello della stampa, che lo ha applaudito nella scena iniziale e sul finale, tributando anche in conferenza stampa un giudizio decisamente positivo. Ad affiancare il tastierista Gosling troviamo il premio Oscar John Legend.
data di pubblicazione: 01/09/2016
da Maria Letizia Panerai | Ago 30, 2016
(73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia 2016)
Tutti a casa di Luigi Comencini (1960) è stato scelto come film di pre-pertura di questa 73. Mostra, diretta anche quest’anno da Alberto Barbera ed organizzata dalla Biennale presieduta da Paolo Baratta, che apre ufficialmente i battenti domani 31 agosto. La pellicola, che verrà proiettata alle 20,30 in sala Darsena in versione restaurata in occasione del centenario della nascita del regista (1916-2007), ha come protagonista Alberto Sordi oltre ad un cast di attori di pregio tra cui spicca il grande Edoardo De Filippo, assieme a Serge Reggiani e Carla Gravina. Prodotto da Dino De Laurentis e sceneggiato da Age e Scarpelli, Tutti a casa vinse due David di Donatello ed un Nastro d’argento ed è considerato uno tra i più famosi esempi di commedia all’italiana, nel significato più alto, in quanto fonde dramma e comicità, assieme all’amarezza ed alla goffaggine dei suoi protagonisti. Il grande Alberto Sordi, nel ruolo del sottotenente Innocenzi, esprime magnificamente l’italiano confuso e pavido che, in un paese distrutto dalla guerra, è capace solo di obbedire agli ordini dei superiori ma anche di darsi alla fuga non appena cambia il vento, incarnando quel caos e quel senso di abbandono che il popolo italiano visse in seguito all’entrata in vigore l’8 settembre del 1943 dell’armistizio, annunciato con un proclama letto alla radio che generò confusione presso tutte le forze armate italiane, e che il regista dichiarò di aver voluto descrivere.
Insignito del Leone d’oro alla carriera nel 1987, Luigi Comencini è considerato, assieme a Vittorio De Sica, Pietro Germi, Mario Monicelli, Dino Risi, Ettore Scola e pochi altri, uno dei grandi maestri della commedia all’italiana. Ricevette innumerevoli premi durante la sua lunga carriera, grazie a film come Pane, amore e fantasia (1953), seguito da Pane, Amore e gelosia (1954), Mariti in città (1957), Lo scopone scientifico (1972) e Mio Dio, come sono caduta in basso! (1974). Ma Comencini è conosciuto in particolare come “il regista dei bambini” grazie a pellicole come Proibito rubare (1948), ambientato tra gli scugnizzi di Napoli, Incompreso (1966), Voltati Eugenio (1980), Un ragazzo di Calabria (1987), Marcellino pane e vino (1991), il suo ultimo film diretto con la figlia Francesca. Vanno inoltre ricordati gli incontri con due classici della letteratura infantile: Le avventure di Pinocchio (1972) e Cuore (1984).
Sono suoi anche film molto diversi da questi appena citati: La donna della domenica (1975), La ragazza di Bube (1963), il film in costume Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova veneziano (1969), il film-opera La Bohème (1988), ed il singolare Cercasi Gesù (1982), premiato col Nastro d’argento, con un inedito Beppe Grillo.
data di pubblicazione: 30/08/2016
da Felice Antignani | Ago 28, 2016
Reykjavic, Islanda. Un ex agente della CIA viola la sicurezza informatica dell’Agenzia e ruba i dati di numerosi programmi d’intervento (molti dei quali ancora attivi). Nel farlo, scopre importanti notizie sul protocollo che ha trasformato David Webb in Jason Bourne, il quale, nel frattempo si è rifugiato in Grecia. Inizia così una caccia all’uomo spietata, in cui la CIA non manca di giocare sporco, nel tentativo di eliminare l’hacker e Jason Bourne, e di recuperare i dati sottratti.
Paul Greengrass torna alla macchina da presa per dirigere un nuovo capitolo della saga cinematografica e letteraria dedicata a Jason Bourne (dopo The Bourne Ultimatum – Il ritorno dello Sciacallo, del 2007), nel quale il tema della ricerca dell’identità perduta e dimenticata lascia spazio a un dubbio esistenziale (e che crea conflitti interiori): “Jason Bourne è una cattiva persona?”. Nonostante tale cambio di rotta, assolutamente necessario per dare nuova linfa a un personaggio iper-sfruttato negli ultimi anni, e pure a fronte del fatto che Jason Bourne è un film d’azione ricco di adrenalina e violenza, con sequenze emozionanti (una su tutte le manifestazioni e gli scontri di Atene), si percepisce, a parere di scrive, l’assenza di mordente. La narrazione non convince; i personaggi non creano empatia e non sembrano sufficientemente approfonditi, nonostante l’ottimo Tommy Lee-Jones nelle vesti di un crudele direttore CIA. Ultroneo l’agente nome in codice “Asset” (interpretato da Vincent Cassel), personaggio forzato e comunque inopportunamente ricollegato a vicende passate (e personali) di Bourne.
“Se ne sarebbe potuto fare a meno”, è stato il mio pensiero all’uscita dalla sala, a caldo; e confermato, ahimè, nelle ore successive.
data di pubblicazione:28/08/2016
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da Alessandro Rosi | Ago 28, 2016
Un padre, una figlia e un esame di maturità per poter fuggire dalla realtà; una prova in cui devono districarsi entrambi, nel fitto groviglio di problemi che affliggono la Romania.
La telecamera apre il suo occhio sul desolante panorama offerto dall’urbanizzazione industriale rumena. Edifici squadrati, bianchi e asettici affondano le loro radici di cemento nel terreno, una volta verde e incontaminato. Non solo il suolo è corrotto, anche coloro che lo vivono sono ingabbiati in un intricato sistema clientelare – sotto le mentite spoglie di una solidarietà reciproca e benevola (io aiuto te, così tu aiuti me) – che lega ministri, medici, poliziotti. In un Paese dove è difficile emergere senza avere le giuste entrature, Romeo – sanitario onesto e alacre – cerca di costruire un futuro altrove alla giovane figlia Eliza. Dopo aver ottenuto la borsa di studio per la prestigiosa università di Cambridge, alla studentessa rumena manca solo l’esame di maturità per poter emigrare. “Una semplice formalità”, secondo il sentir comune, che invero nasconde innumerevoli insidie, le quali si paleseranno dopo che Eliza, mentre si avvicinava alla scuola per sostenere l’esame, viene aggredita e subisce un tentativo di violenza sessuale. Un evento che scatenerà il pandemonio: Romeo proprio mentre stava per posizionare l’ultima carta sul castello costruito per la figlia, si vede crollare repentinamente tutto ciò che aveva edificato.
Cristian Mungiu, a quasi dieci anni dalla Palma d’oro ricevuta per 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni, plasma un film ricco di tematiche sociali di stringente attualità. Non c’è spazio per la cura della fotografia, per preziosismi o virtuosismi; la pellicola è volutamente scarna sotto il punto di vista estetico, ma altamente introspettiva per quanto attiene alla caratterizzazione dei personaggi. Il ritmo cadenzato e limaccioso, a scapito del coinvolgimento emotivo, permette di osservare la vicenda in modo critico e distaccato.
La Romania dipinta dal regista non è così distante dal nostro Paese: la corruzione e l’emigrazione dilaganti sono fenomeni che imperversano anche in Italia. Ed è in virtù di questo contesto che il protagonista della storia matura la convinzione di approntare un futuro migliore alla figlia; lui che, tempo addietro, fu costretto a tornare in patria. Il disperato tentativo di Romeo, tuttavia, sembra essere più una ricerca egoistica di realizzazione personale attraverso la figlia, la quale – invece – è estremamente legata all’heimat. D’altronde, come ammonisce la madre del protagonista durante il film, se tutti partissero per cercare fortuna in un’altra nazione, chi resterebbe per provare a cambiare la situazione?
Consigliato a: chi ricerca un film che racconta una vicenda profondamente umana, tra corruzione, tradimenti, rapporti familiari farraginosi; ed a cui piace molto l’aspetto psicologico.
Sconsigliato a: chi piacciono i film che indugiano sulla fotografia o sulla colonna sonora; qui prevale il dramma della storia raccontata.
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data di pubblicazione: 28/08/2016
da Antonietta DelMastro | Lug 30, 2016
Un libro breve ma intenso, la mano che scrive è quella di una regista e le scene che si susseguono ai nostri occhi, descritte quasi fossimo su un set cinematografico, ne danno ampio merito.
È un romanzo tagliente questo della Comencini, che scava dentro di noi con storie e personaggi cupi e nevrotici.
La voce narrante è quella di Caterina, alle sue spalle due vite: la prima che si interrompe a sei anni con un tragico incendio in cui perderà tutta la famiglia, una vita fatta di povertà sia materiale che affettiva, di malattia e ignoranza; la seconda con Graziella che la adotta e, con l’ottimismo e la forza che la contraddistingue in ogni battaglia in cui si getta, riesce a costruirle un futuro. Ma l’ottimismo e l’ipercinesi della madre adottiva sono troppo ingombranti, Caterina non può mai dubitare, non può mai tentennare, non può mai tirarsi indietro.
Guidata dall’amore ingombrante di Graziella, Caterina diventerà donna, si sposerà e avrà dei figli, restando comunque nel suo profondo una donna irrequieta e irrisolta che dubiterà sempre del proprio amore verso gli altri.
Quello che per Graziella sembrava essere stato, per anni, un punto di arrivo – la figlia “realizzata” – in realtà la riporterà al suo vuoto interiore lo stesso che l’aveva portata verso Catarina. Ha bisogno di un’altra lotta da intraprendere, di un altro obiettivo che trova in Sebastiano, un pittore bipolare, per cui Graziella lascerà la famiglia e si butterà a capo fitto in una storia totalizzante e che purtroppo si concluderà in una camera d’albergo di Atene in cui i loro corpi verranno ritrovati senza vita.
E Caterina si recherà ad Atene per l’ultimo gesto che la legherà alla madre e, ad Atene, conoscerà Daniele, il figlio di Sebastiano, per qualche giorno saranno uniti dal dolore, dai loro problemi irrisolti, dai loro passati analoghi.
Caterina è schiva e riservata, Daniele iperattivo e non conosce filtri, una strana coppia che affronterà insieme un percorso che li porterà a capire, e accettare, le proprie radici e i comportamenti dei loro genitori questo percorso li aiuterà a comprendere cosa li ha portati a essere gli adulti che sono diventati.
Questi giorni passati insieme, queste confidenze, queste scoperte li ricondurranno ai loro affetti come fossero nati una seconda volta, come una farfalla da una crisalide avranno una nuova forza e una nuova consapevolezza che li porterà a: Essere vivi.
data di pubblicazione: 30/07/2016
da Accreditati | Lug 28, 2016
(Hotel Excelsior di Roma, 27 luglio 2016)
Spero di rivedervi a Venezia, perché credo che quest’anno valga particolarmente la pena esserci. Con questo buon auspicio il Presidente della Biennale Paolo Baratta chiude il suo intervento alla conferenza stampa di presentazione della 73. Mostra internazionale d’arte cinematografica. E in effetti Venezia 73, dedicata a Abbas Kiarostami e Michael Cimino, sembra promettere davvero bene. Il film d’apertura sarà il musical La la land di Damien Chazelle (con Ryan Gosling ed Emma Stone), in concorso, mentre la chiusura sarà affidata al fuori concorso The Magnificent Seven di Antoine Fuqua (con Denzel Washington e Chris Pratt, attesi al Lido), che aprirà il Festival di Toronto.
La Mostra intraprende l’ambizioso tentativo di coniugare armoniosamente tradizione e innovazione. Tra le novità più attese, dopo la copertura di quello scavo che per anni ha invaso l’area adiacente al Palazzo del Casinò, c’è l’inaugurazione della nuova sala di circa 450 posti, che ospiterà la nuova sezione “Cinema nel giardino”. Si tratta di un esperimento dall’esito incerto, il cui obiettivo è quello di collocarsi nel medio virtuoso tra il cinema d’autore e quello commerciale, con proiezioni (gratuite) destinate non solo alla ristretta cerchia degli accreditati. Il Direttore Alberto Barbera non può fare a meno di rilevare la tiepida accoglienza della nuova sezione da parte dei registi italiani, con la sola eccezione di Gabriele Muccino. Vedremo se lo scetticismo dei cineasti nostrani si rivelerà fondato oppure no.
La Mostra intende poi aprirsi a tutte le forme di produzione e distribuzione, che il cinema non può più ignorare: non solo l’ormai consolidata realtà dei documentari, ma anche le serie televisive (grande attesa per i primi due episodi di The Young Pope, firmati Paolo Sorrentino, con Jude Law e Diane Keaton) e quelle destinate al web.
Se lo scorso anno il filo conduttore dei film proiettati al Lido sembrava essere la spasmodica ricerca di un rapporto con la realtà che fosse diretto e immediato, la chiave di lettura della nuova edizione parrebbe sensibilmente mutata. Posto che, precisa il Direttore, un film che parla del passato o del futuro finisce inevitabilmente per restituire una riflessione sul presente, l’approccio con il reale può avvenire in maniera “filtrata”.
Il primo filtro è quello rappresentato dalla letteratura. Sono molti i film in programma tratti da opere letterarie: talmente tanti che viene da chiedersi se non si tratti dell’ennesimo segnale di una “crisi della sceneggiatura originale”. Tra quelli in concorso meritano segnalazione Les beaux jours d’Aranjuez (cui si aggiunge l’ulteriore “filtro” del 3D) di Wim Wenders, Frantz di François Ozon, Nocturnal Animals di Tom Ford.
Il secondo filtro, ancora rivolto al passato, è rappresentato dalla valorizzazione dei fatti storici come oggetto del racconto cinematografico: il riferimento obbligato all’attesissimo Jackie di Pablo Larraím, con Natalie Portman chiamata a interpretare Jacqueline Kennedy nei giorni immediatamente successivi all’omicidio di JFK.
Il terzo filtro, proteso stavolta verso il futuro, è quello rappresentato dalla fantascienza: si segnala anzitutto The Bad Batch di Ana Lily Amirpour, che gareggia in concorso.
Gli italiani in concorso sono tre. Giuseppe Piccioni torna al Lido con Questi giorni (Magherita Buy e Filippo Timi nel cast); Roan Johnson presenta Piuma, che, a detta del Direttore, rappresenta la commedia che tutti vorrebbero realizzare; Massimo D’Adinolfi e Martina Parenti, coppia cinematografica e nella vita, provano a sorprendere la Mostra con Spira mirabilis, che, anticipa ancora Barbera, sarebbe riduttivo definire un documentario, trattandosi di una sorta di cosmologia e di riflessione sul senso della vita raccontata con immagini di sorprendente impatto visivo.
Il programma integrale della Mostra è consultabile da http://www.labiennale.org/it/cinema/73-mostra/film/. In attesa del 31 agosto e delle meraviglie di Venezia 73.
data di pubblicazione: 28/07/2016
da Antonietta DelMastro | Lug 24, 2016
Dodicesimo incontro con Lincoln Rhyme famosissimo ex capitano tetraplegico della NYPD. Questa volta però non lo incontriamo nelle vesti di detective consulente della scientifica di New York, ha messo un punto alla sua precedente carriera e si è trasformato in un tranquillo professore di criminologia; sarà ingaggiato dalla detective Amelia Sachs sua compagna di vita che, durante l’inseguimento di un efferato omicida, si trova testimone di un terribile incidente: la morte tra atroci sofferenze di un uomo intrappolato tra gli ingranaggi di una scala mobile. Compito di Rhyme sarà quello di analizzare la scena e valutare se ci siano gli estremi per intentare una causa per danni tanatologici e, nel caso, contro chi.
Deaver ci incatena alla storia che si trasforma sotto i nostri occhi, le ricerche di Lincoln e le indagini di Amelia si intrecciano, l’incidente che si è verificato è stato in realtà causato dall’omicida che Amelia stava inseguendo e che si rivela essere un serial killer che continuerà a colpire New York attraverso la domotica.
Tornano quindi in campo le lavagne con tutti i dati di cui siamo a conoscenza per poter trovare il nascondiglio del Sosco 40 e per porre fine agli omicidi.
Non è certo il miglior romanzo di Deaver in cui appare Lincoln, ma dopo così tante puntate sono francamente sorpresa che sia ancora in grado di scrivere con una tale fluidità e di sorprenderci con un serial killer caratterizzato in modo decisamente avvincente. Ritengo che si sarebbe potuto fare senz’altro a meno della parte centrale riguardante le indagini effettuate da Ron Pulansky e la comparsa dell’ex compagno di Amelia, Nick Carelli, che francamente nulla avevano a che vedere con la storia principale e danno l’idea che siano servite solo per arrivare al numero di sedicesimi richiesti dall’editore.
Colpita molto positivamente dal nuovo personaggio che spero di incontrare nuovamente: la tirocinante di Lincoln, Juliette Archer; sicuramente una buona idea per dare una ventata di novità e di freschezza alle prossime storie.
Attendiamo un nuovo episodio e vediamo cosa ne sarà della decisione di Rhyme di non collaborare più con la NYPD e che parte avrà verrà riservata alla Archer.
data di pubblicazione:24/07/2016
da T. Pica | Lug 24, 2016
(Taormina, 2 luglio 2016 – serata Rai Uno, 23 luglio 2016)
A chiusura della stagione cinematografica settembre 2015/giugno 2016, come ogni buona stagione o anno scolastico che si rispetti, si tirano le somme e si danno le “pagelle”. I “professori” sono i membri del Sindacato Nazionale dei Giornalisti Cinematografico i quali, presieduti dall’energica Laura Delli Colli, hanno in gran parte confermato gli orientamenti dei Premi David di Donatello 2016. A presentare la serata da una cornice storica e intensa la giovane Matilde Gioli, scoperta da Virzì nel film Il capitale umano, che come una fatina tutta d’argento vestita ha condotto con professionalità la premiazione.
La pazza gioia di Paolo Virzì si è aggiudicato sei Nastri su dieci candidature: per la regia, per le migliori attrici, Valeria Bruni Tedeschi (vincitrice poi anche del Nastro per lo Stile) e Micaela Ramazzotti, per i costumi e la sceneggiatura condivisa da Paolo Virzì con Francesca Archibugi. Il film di Virzì pare aver ormai siglato un profondo legame e amore tra le due protagoniste, così come una vera amicizia e un legame d’affetto speciale è stato manifestato tra i due attori Luca Marinelli e Alessandro Borghi destinatari in comunione del Nastro d’Argento Persol per Personaggi dell’anno con il film Non essere cattivo di Claudio Calligari ai quali la platea dell’Anfiteatro e i due giovani talenti del cinema italiano hanno dato il loro commosso saluto. Non essere cattivo è stato anche premiato con il Nastro Miglior film dell’anno. Sempre Alessandro Borghi si è visto assegnare il nuovo Nastro Rivelazione dell’anno, intitolato al ricordo della talent scout agente di attori come Claudio Santa Maria e Stefano Accorsi, Graziella Bonacchi. Con il film Io e lei Maria Sole Tognazzi (insieme a Marciano e Cotroneo) si è aggiudicata il Nastro per il miglior soggetto e il Premio Nastri-Porsche Tradizione e Innovazione. Greta Scarano e Luca Marinelli, rispettivamente con Suburra e Lo chiamavano Jeeg Robot, sono stati premiati con i Nastri per i Migliori attori non protagonisti. Stefano Accorsi si aggiudica il Nastro come miglior attore protagonista per Veloce come il vento, mentre le sua coprotagonista, la giovanissima Matilda De Angelis è stata segnalata con il Biraghi per gli attori alla prima affermazione. Gabriele Mainetti, con Lo chiamavano Jeeg Robot, ha vinto il Nastro come Miglior regista esordiente. Il palco si affolla quando ai magnifici 7 protagonisti di Perfetti sconosciuti, con il regista del film Paolo Genovese e la squadra dei produttori (Marco Belardi, Raffaella Leone, Giampaolo Letta), è andato il Nastro speciale per il miglior cast insieme a quello per la canzone, andato a Fiorella Mannoia coautrice oltreché interprete con Chiodo e Bungaro. Il regista Paolo Genovese ha dichiarato di essersi sentito il Leonardo di Caprio del cinema italiano che dopo esser stato in nomination per 7 anni è riuscito finalmente a vincere il Nastro, paragonabile appunto all’Oscar hollywoodiano. Perfetti sconosciuti si è anche aggiudicato il Nastro per la miglior Commedia dell’anno. Tra gli altri premi speciali si ricorda il Premio Nino Manfredi, consegnato dalla moglie Erminia, a Carlo Verdone e Antonio Albanese per il film L’abbiamo fatta grossa. Juliette Binoche ha ringraziato con un video messaggio inviato dalla sua tournee francese l’assegnazione del Nastro europeo per L’attesa di Piero Messina, che le ha regalato l’occasione di un viaggio personale interiore straordinario. Infine Piero Valsecchi, premiato con il Nastro Miglior produttore, per Chiamatemi Francesco, Non essere cattivo e Quo vado?, si è tolto un sassolino nei confronti di quella critica giornalistica e di quegli addetti ai lavori che snobbano o criticano Checco Zalone ed ha sentenziato che il suo talento e il valore delle sue opere sarà riconosciuto dai posteri.
Che dire, il Cinema italiano pare aver messo quest’anno tutti d’accordo e le nuove leve del grande schermo sembrano davvero intimamente rispettose dell’arte del mestiere dell’attore e unite senza invidie e scaramucce da divi immaturi. La commedia è tornata in auge e tutto il cinema italiano sembra prometterci ancora grandi sogni, emozioni, risate e speranza per le prossime stagioni.
data di pubblicazione: 24/07/2016
da Maria Letizia Panerai | Lug 22, 2016
E’ il film del “felicemente non sposati” ed è la consacrazione di Hugh Grant in un ruolo che poi l’attore britannico replicherà, sotto varie forme, sino ai nostri giorni. Qui è Charles, sciupafemmine incallito, ritardatario impenitente, che non vuole rinunciare per nessuna cosa al mondo al suo status di scapolo perché decisamente allergico al matrimonio. L’ironia del film sta nel fatto che Charles, nonostante le sue inossidabili caratteristiche, venga continuamente invitato a matrimoni ai quali deve, suo malgrado, partecipare sino a quando, ferito profondamente al cuore da Carrie (Andie MacDowell) senza rendersene conto a causa della sua ostinata cecità, commetterà l’errore di accettare di convolare a giuste (?) nozze con Henrietta, soprannominata dalla sua amica Fiona (una esordiente Kristin Scott Thomas) faccia di chiulo!
Il film, che incassò moltissimo e consacrò un’intera generazione di attori inglesi, non ha bisogno di troppe presentazioni perché fece epoca sia per l’argomento trattato sia per la struttura stessa della pellicola che si chiude con una serie di fotografie che documentano la vita dei vari personaggi ritratti tutti il giorno delle loro nozze, tranne Fiona e Charles; potremmo anche dire inoltre che film fece conoscere, anche al mondo non anglosassone, un certo gusto per l’organizzazione dei matrimoni che oggi da noi è addirittura abusata con la diffusione eccessiva della figura del “wedding planner”. Qualche annotazione la merita il regista che esordì nel 1985 con un bellissimo film drammatico dal titolo Ballando con uno sconosciuto (interpretato da un giovanissimo e bravissimo Rupert Everet), con il quale Mike Newell vinse lo stesso anno a Cannes un premio per giovani registi. Sono suoi anche Monna Lisa Smile, Harry Potter e il calice di fuoco, L’amore ai tempi del colera.
Ad un film così divertente ed ironico come Quattro matrimoni e un funerale, non potevamo che abbinare una ricetta di frittelle di ricotta, tipici dolci carnascialeschi che ben si addicono agli scherzi che il nostro impenitente scapolo subisce, dall’inizio alla fine del film, oltre che dai suoi amici burloni anche dalla sorte che, grazie alla sua perenne indecisione, risulta essergli decisamente avversa!
INGREDIENTI: 125 gr. di ricotta – 1 uovo – 50 gr. di farina – 1 cucchiaio di Rhum o liquore all’anice o marsala – 2 cucchiai di zucchero – scorza di arancia candita – semi di baccello di vaniglia a gradimento – olio di semi di arachidi per friggere – 100 gr. di zucchero semolato
PROCEDIMENTO:
Queste frittelle soffici e cremose chiamate anche “castagnole di ricotta” per la loro forma rotonda, sono dolci tipicamente carnacialeschi in tutta l’Italia. Sono semplici, morbide e cremose. Mischiare ricotta con lo zucchero ed aggiungete l’uovo, la farina, il rhum, la scorzetta d’arancia a pezzettini e, se volete, i semi di mezzo baccello di vaniglia; ottenete quindi un composto omogeneo e liscio. Scaldare abbondante olio per friggere in una pentola piccola (le frittelle devono galleggiare e non toccare il fondo della pentola). Con l’aiuto di due cucchiai far cadere delle porzioni (circa le dimensioni di una castagna) di composto nell’olio caldo. Quando saranno gonfie e imbrunite toglierle dall’olio, ci vorranno circa 90 secondi. Se cuociono troppo in fretta abbassate la fiamma leggermente. Scolate le frittelle su carta assorbente e, sempre calde, passatele nello zucchero semolato.
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