DIRITTO AL CORTO – CERIMONIA DI PREMIAZIONE

DIRITTO AL CORTO – CERIMONIA DI PREMIAZIONE

Diritto al Corto – Festival internazionale del cortometraggio socio-giuridico, organizzato e promosso dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi “Roma Tre” e diretto dalla prof.ssa Antonella Massaro, è giunto al termine della sua seconda edizione.

Sabato 29 ottobre, presso il Teatro Palladium di Roma, si è svolta la cerimonia di premiazione. La serata si è aperta con un toccante ricordo di Piergiorgio Welby a dieci anni dalla sua scomparsa. La voce di Welby risuona nel buio di una platea gremita e Dario Penne prosegue nella lettura della famosa lettera aperta indirizzata nel 2006 all’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Sono italiano e qui non c’è pietà, scriveva Welby. E su queste parole parte la melodia di Hallelujah di Jeff Buckley, intonata dalla calda voce di Roberta Carrese.

Alla presenza della giuria presieduta da Giuliano Montaldo e composta da Pier Giorgio Bellocchio, Enrico Carocci, Carolina Crescentini, Laura Delli Colli, Sabrina Impacciatore, Virginio Palazzo, Daniele Silvestri e Massimo Vigliar, sono stati assegnati i premi della seconda edizione, dopo la proiezione dei cortometraggi vincitori.

Questi i cortometraggi premiati: La última partida (miglior cortometraggio), Finché c’è vita c’è speranza (premio speciale della giuria – corto italiano), Family on board (premio speciale della giuria – corto straniero), La cura (premio speciale Giuliano Montaldo per l’attrice Ariello Reggio), Ovunque proteggi (menzione speciale della giuria), Severed (premio 30 e lode), La ruota (menzione speciale di Daniele Silvestri per la miglior colonna sonora).

I temi affrontati dai cortometraggi in concorso, selezionati da Antonella Massaro, Lorenzo Brizi, Silvia Brunelli, Francesco Cecchini e Tiziana Pica, sono stati molto eterogenei: dalla pena di morte, ai diritti dei lavoratori, dagli effetti del precariato sulle nuove generazioni alla legittima difesa domiciliare.

Un’occasione per riflettere sul diritto attraverso il cinema, ma anche per offrire ai cortometraggi, troppo spesso relegati ai margini dei tradizionali circuiti distributivi, l’onore del grande schermo.

data di pubblicazione: 31 ottobre 2016

IL PRINCIPE ABUSIVO di Alessandro Siani, 2013

IL PRINCIPE ABUSIVO di Alessandro Siani, 2013

E’ una favoletta leggera che segna l’esordio di Siani come regista e narra di Letizia (Sarah Felderbaum), giovane Principessa di un principato in Nord Europa, triste ed infelice perché i giornali non parlano mai di lei e anche i sudditi sembrano ignorarla. Su consiglio del Ciambellano di Corte (Christian De Sica), il Re (Marco Messeri) approva un piano strategico per porre la principessa al centro del gossip: dovrà fingere di fidanzarsi con un giovane povero e senza cultura e quindi rinunciare al trono, ma il giorno prima del matrimonio il futuro sposo verrà fotografato tra le braccia di una prostituta e quindi tutto salterà. Viene anche individuato la persona che dovrà prestarsi al gioco e cioè il napoletano Antonio De Biase (Alessandro Siani) proveniente da uno dei quartieri più degradati di Napoli, senza un soldo e che vive scroccando pranzi e cene nei vari eventi mondani pur di mangiare gratis. Dopo tante vicende più o meno grottesche che coinvolgeranno anche i sentimenti del Ciambellano verso Jessica, cugina di Antonio, che fa la fruttivendola (Serena Autieri), alla fine Antonio riuscirà a conquistare veramente il cuore della Principessa tanto da convincerla a trasferirsi a Napoli per poi sposarlo realmente. Con questo film, record inaspettato di incassi, Siani guarda un poco alla comicità tipica partenopea senza però mai raggiungere la presenza scenica di Troisi che sapeva porsi in maniera tragi-comica coinvolgendo emotivamente il pubblico. Quindi una storia piena di buoni propositi, buoni sentimenti e con una innocenza tipica delle fiabe con un risultato tutto sommato apprezzabile e divertente. Lo strudel, tipico dolce nordico, ci viene qui suggerito in una versione più meridionale e certamente di grande effetto perché anziché dolce, con le mele, qui invece è ripieno di broccoli e patate.

INGREDIENTI: 250 grammi di pasta sfoglia già pronta – 300 grammi di broccolo – 250 grammi di patate – 200 grammi di robiola – 1/2 cipolla bianca – 50 grammi di burro – 2 cucchiai di latte – 20 grammi di pinoli e 50 grammi di uvetta di corinto – sale e pepe qb.
PROCEDIMENTO: Pulire i broccoli e lessare in acqua salata. Lo stesso per le patate. Da cuocere entrambe le verdure al dente. Tagliare quindi le patate a fette ed i broccoli a pezzetti. Fare appassire la cipolla tritata nel burro. Aggiungere le verdure, i pinoli e l’uvetta di corinto, sale e pepe e rosolare per 3 minuti. Lavorare la robiola con il latte tiepido e unirla alle verdure. Distribuire il condimento sulla pasta sfoglia distesa, avvolgere il tutto e sigillare bene i bordi. Spennellare lo strudel con burro fuso, adagiarlo su una teglia rivestita con carta forno e infornarlo per 30 minuti a 180 gradi.

FINE TURNO di Stephen King – Sperling & Kupfer, 2016

FINE TURNO di Stephen King – Sperling & Kupfer, 2016

Ultimo capitolo della trilogia di Mr Mercedes.

Nei primi due capitoli ci eravamo trovati davanti a due thriller, così come era stato per Joyland e per Colorado Kid, ma con questo ultimo capitolo torniamo al sovrannaturale che tanto abbiamo imparato ad amare nei romanzi del Re.

Iniziamo a leggere il romanzo con un flashback che ci riporta all’alba del fatidico 10 aprile 2009, quando il pazzo criminale Brady Hartsfield, Mr Mercedes, si lanciò, con tutta la potenza che gli permetteva la Mercedes rubata ad Olivia Trelawney, su decine e decine di persone in fila ad una fiera del lavoro, causando morte e sofferenze.

Torniamo nuovamente nel presente e ci troviamo al cospetto di uno strano caso di omicidio/suicidio che coinvolge proprio una delle vittime sopravvissute alla furia di Mr Mercedes; K.William Hodges e la sua assistente Holly Gibney vengono immediatamente coinvolti perché le coincidenze che fanno pensare a Hartsfield sono troppe: Brady aveva già spinto la Trelawney al suicidio e ci aveva provato anche con il nostro Hodges, potrebbe esserci ancora lui dietro questo caso?

Brady Hartsfield vegeta ormai nella stanza 217 del reparto di traumatologia cranica dell’ospedale Kiner da sei anni, dopo che è stato fermato mentre cercava di farsi saltare in aria durante un concerto per adolescenti.

Hodges inizialmente lo andava a trovare per assicurarsi che il suo stato vegetativo non variasse, ma è tempo che ha interrotto le sue visite e non sa che quella stanza è diventata nota per la particolarità delle porte che sbattono, delle persiane che si chiudono senza un alito di vento, degli oggetti che cambiano misteriosamente di posto; perfino alcune infermiere si sentono sempre più a disagio entrando nella 217, l’odiata capo sala del reparto è la prima non voler entrare in quella stanza perché “non si fida completamente di se stessa quando è in camera di Brady”.

In tutti gli anni che ha passato rinchiuso Brady è stato sottoposto a esperimenti che purtroppo non solo hanno ridato vita alla sua mente, ma l’hanno dotata di poteri sovrannaturali che il criminale vuole sfruttare nel solo modo in cui è capace, distruggere e vendicarsi: l’obiettivo è quello di portare a termine la strage mancata del concerto del City Center di sei anni prima.

A questo punto siamo totalmente coinvolti dalla storia, gli elementi di sovrannaturale a cui siamo abituati sono tutti presenti, e la lotta sarà senza esclusione di colpi.

Geniale anche la scelta del titolo; potremmo a questo punto considerare Mr Mercedes come la “nascita” a nuova vita del detective Hodges, Chi perde paga come il romanzo di mezzo in cui la sua vita prende forma e il giovane Pete Saubers diventa grande suo malgrado e Fine turno… ça va sans dire!

Ho letto molti commenti su questo libro, sulla trilogia e in generale sugli ultimi libri di Stephen King; la maggioranza dei commenti è sempre la stessa: non è più quello di Shining o di IT.

È innegabile, non lo è più.

Ma neanche io sono più quella che nel 1986 ha preso per la prima volta in mano un libro di Stephen King, IT per la precisione e che, un paio di giorni dopo, avendo finito di leggerlo, è entrata in libreria a prenotare la bibliografia completa.

Presumo che ognuno di noi cambi con il trascorrere del tempo, presumo lo facciano anche gli scrittori non solo per motivi “commerciali” o perlomeno mi viene da pensare non quelli come SK che ha al suo attivo più di 40 anni di titoli pubblicati che continuano a vendere e da cui si sono tratti film o serie TV. Forse parte della responsabilità va anche attribuita alla traduzione, ma anche in quel caso non si può obbligare un traduttore a continuare il proprio lavoro se non ne ha più voglia, come ha pubblicamente ammesso Tullio Dobner.

Il mio amore per il Re resta invariato, continuerò a seguirlo da fedele lettrice e a consigliarlo a tutti coloro che mi vorranno ascoltare.

Finisco con una informazione “televisiva”: da questa trilogia verrà tratta una miniserie TV diretta da Jack Benden (Lost e The Dome) che dovrebbe essere trasmessa negli USA nel 2018.

data di pubblicazione:30/10/2016

ALICE DRAGSTORE di Massimiliano Burini e Daniele Aureli

(Teatro Argot – Roma, 25-27 Ottobre 2016)

L’iniziazione di una drag queen attraverso un percorso catartico comune, in cui si scopre tutta l’umanità nascosta dietro una maschera apparente.

 

 

Cosa si prova ad esser una drag queen? Cosa si cela dietro il massiccio trucco e i luccicanti vestiti? Da persona romita, Matteo si trasformerà nell’energica regina “Alice”, nel meraviglioso universo delle drag queen. Ma non senza prima aver vinto la resistenza delle altre artiste, che accettano solo persone convinte, perché: per esser drag, bisogna sentirsi divine.

Massimiliano Burini porta in scena uno spettacolo che fa riflettere, pregno di influenze pirandelliane e che pone diversi interrogativi. Per farlo sceglie attori (Matteo Svolacchia, Daniele Aureli, Amedeo Carlo Capitanelli, Stefano Cristofani e Riccardo Toccacielo) che riescono a interpretare efficacemente il loro ruolo e a trasmettere le sensazioni di disagio, prima, e di euforia, poi, vissute dai loro personaggi. Tra loro spicca Riccardo Toccacielo, che grazie al suo volto particolarmente espressivo – come se avesse cucita sul volto la maschera che raffigura – riesce a trasfondere nel pubblico lo stato d’animo del suo personaggio.

Un copione scritto a quattro mani – insieme a Daniele Aureli (che recita la parte di Bunny bell) –, frutto di un lavoro certosino in cui il drammaturgo della compagnia “Occhisulmondo” ha raccolto, attraverso numerose interviste, le esperienze delle drag queen che ha avuto modo di conoscere, per fornire allo spettatore uno spaccato sul loro mondo stravagante. Se nel celebre musical Priscilla (vincitrice di un Oscar e del premio del pubblico a Cannes) l’attenzione si focalizzava sullo spettacolo luminescente e colorato messo in scena dalle drag, qui il regista perugino si concentra sulla persona dietro la maschera. La storia si svolge interamente dietro le quinte del palco dove si esibiranno le drag e la scenografia risulta sufficientemente curata – ancorché può risultare di non immediata comprensione per il pubblico di trovarsi dietro allo specchio del loro camerino. Anche i tempi scenici sono scanditi correttamente e la narrazione scorre senza intoppi (la scena finale, tuttavia, può apparire una superfetazione).

Un testo che può risultare scomodo per gli argomenti che affronta e l’Argot si dimostra, ancora una volta, un teatro cui piacciono le sfide e luogo adatto per questo genere di rappresentazioni; dà inoltre modo al pubblico, con interessanti dibattiti, di approfondire i temi toccati dagli spettacoli ospitati.

È uno spettacolo che trascina il pubblico nella realtà – spesso oscura – delle drag queen; al contrario dei loro spettacoli, in cui si viene trascinati su un pianeta fantastico e luminescente, attraverso una coreografia sfavillante, un’euforia crescente e un’ironia pungente. Il modo in cui si divertono mentre recitano, in cui si liberano dai pregiudizi e dalle preoccupazioni mentre danzano, suscita invidia per la loro sicurezza e determinazione. E allora viene da chiedersi: perché non provare a indossare, almeno per una volta (come usano gli inglesi), i panni di una donna? Cosa costa provare? D’altronde, ci si potrebbe anche divertire!

data di pubblicazione:28/10/2016


Il nostro voto:

I, DANIEL BLAKE di Ken Loach, 2016

I, DANIEL BLAKE di Ken Loach, 2016

Io, Daniel Blake non sono un utente, io non sono un consumatore, io non sono un numero di previdenza sociale, io non sono un punto sullo schermo del computer, io non sono una linea nelle statistiche…

Daniel Blake è arrivato alla soglia dei sessant’anni lavorando da sempre nei cantieri edìli come carpentiere; in seguito ad un attacco cardiaco, il medico lo dichiara inabile a svolgere un lavoro così usurante. L’uomo, messo in malattia senza avere la certezza se potrà mai tornare a lavorare, fa richiesta di un sostegno economico statale; ma l’ufficio preposto respinge la domanda dichiarando che non sussistono i requisiti di inabilità al lavoro dichiarati dal medico. Al fine di ottenere almeno la tessera per la banca del cibo e l’eventuale sussidio di disoccupazione, l’impiegata degli uffici di assistenza consiglia a Daniel di iscriversi al collocamento per dimostrare, paradossalmente, che sta cercando lavoro pur sapendo che non potrà mai accettarlo. Al collocamento Daniel conosce Katie, madre single di due bambini, anche lei rimasta senza sussidio ed appena arrivata da Londra a Newcastle perché le è stata assegnata lì una casa popolare. Tra i due nasce un’empatia immediata che aiuterà entrambi a superare momenti molto difficili.
I film di Ken Loach non si possono raccontare, vanno vissuti. Le sue storie hanno la semplicità delle grandi storie e I, Daniel Blake è un film immenso, di quelli che non si dimenticano per il carico di vita ed emozioni che porta con sé e per come, questo magnifico regista, ce le porge.
É un film sull’identità degli individui, sulla loro unicità, sul loro vissuto, sulla loro dignità, sull’esigenza di venire riconosciuti come esseri umani in una società che di umano ha conservato ben poco.
É un film sull’umiliazione gratuita che subiscono tutti coloro che stanno via via incrementando la lista dei nuovi poveri.
É un film sugli anziani, sui disoccupati, su tutti coloro che il lavoro lo hanno perso e sui loro figli, impauriti da un futuro sempre più incerto.
É un film sull’annullamento della dignità, economica e sociale, che viene alimentata dalla non presenza dello stato, spesso inerme ed ottuso.
É un film sull’invasione esasperante delle nuove tecnologie che, diventando sempre più indispensabili, hanno creato nuove forme di analfabetismo, annullando l’utilità per cui sono nate.
É un film sul senso d’impotenza ma anche sull’inaridimento dei sentimenti.
Però, è anche un film su quella incredibile umanità che esiste ancora nonostante tutto ed esce prepotente quando meno te lo aspetti, che arriva da parte di chi vuole comunque aiutare il suo simile sollevandolo dalla sofferenza, creando unione, regalando solidarietà bella, calda, tonda, disinteressata.
I, Daniel Blake è un capolavoro dei nostri tempi bui, che fa pensare, commuovere, riflettere, amare.

data di pubblicazione:27/10/2016


Scopri con un click il nostro voto:

DIRITTO AL CORTO – Festival internazionale del cortometraggio socio-giuridico, 2016

DIRITTO AL CORTO – Festival internazionale del cortometraggio socio-giuridico, 2016

Diritto al Corto – Festival internazionale del cortometraggio socio-giuridico, ideato e promosso dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università “Roma Tre”, giunge alla sua seconda edizione con il patrocinio del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, del Consiglio regionale del Lazio e del Comune di Roma. Tra 3500 cortometraggi iscritti il gruppo dei selezionatori diretto da Antonella Massaro (Lorenzo Brizi, Silvia Brunelli, Francesco Cecchini, Tiziana Pica) ne ha individuati 12 per la selezione ufficiale. I temi trattati sono molto diversi tra loro: omicidio stradale, pena di morte, funzione rieducativa della pena, condizione femminile in India, crisi economica, legittima difesa domiciliare. I premi saranno assegnati da una giuria di esperti, presieduta da Giuliano Montaldo e composta da: Pier Giorgio Bellocchio, Enrico Carocci, Carolina Crescentini, Laura Delli Colli, Sabrina Impacciatore, Virginio Palazzo, Daniele Silvestri, Massimo Vigliar. Il premio “30 e lode” sarà poi assegnato da una giuria composta da studenti, dottorandi e specializzandi del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università “Roma Tre”. Le proiezioni dei cortometraggi in concorso si terranno il 26 e il 27 ottobre 2016, dalle ore 20.00, presso il Cinema Azzurro Scipioni di Roma. La serata di premiazione si svolgerà, in presenza della giuria, il 29 ottobre 2016, dalle ore 19.30, presso il Teatro Palladium di Roma. Interverranno anche Dario Penne e Roberta Carrese. Tutti gli eventi di “Diritto al Corto” sono gratuiti. L’immagine del manifesto ufficiale, che rende omaggio ai luoghi simbolo di Garbatella-Ostiense, è stata realizzata da Laura Moscatelli. Da questo link è possibile ottenere informazioni ulteriori sui cortometraggi inseriti in concorso:  http://www.dirittoalcorto.it/news/2016/10/23/diritto-al-corto-official-selection-edizione-2016/

data di pubblicazione:26/10/2016

Conferenza Stampa LACCI di Domenico Starnone

Conferenza Stampa LACCI di Domenico Starnone

(Teatro Eliseo – Roma, 20 Ottobre 2016)

C’è chi allaccia le scarpe strette, chi preferisce lacci lenti, chi invece le vuole slacciate. Ognuno di noi decide come annodare i lacci delle proprie scarpe così come sceglie in che modo legare con le altre persone: chi predilige relazioni ben salde, chi mantiene contatti deboli, oppure c’è chi vive senza legami. Ma ci sono vincoli che non si possono scegliere e che corrono invisibili tra le persone: sono i legami di sangue.

I lacci tra Vanda e Aldo si sono allentati già da tempo, dopo che lui ha riscoperto la libertà di innamorarsi e l’ha confessata alla moglie. Decidono tuttavia di continuare a convivere per amore dei figli, amore che invece è oramai sparito tra loro. Un patto di ipocrisia che pone un interrogativo eterno: cosa bisogna tacere e cosa bisogna dire per continuare a stare insieme?

Dopo il successo di 25 anni fa con lo spettacolo La scuola, Domenico Starnone torna nei teatri con un testo tratto da un suo omonimo romanzo (e che sembrerebbe, curiosamente, avere una storia simile a I giorni dell’abbandono della moglie Elena Ferrante), su un tema fondamentale e sempre attuale. Lo fa con un cast eccellente, che sarà in scena a Roma – al Teatro Piccolo Eliseo – dal 25 gennaio al 12 febbraio 2017.

Alla conferenza stampa sono presenti gli attori e il regista, che tratteggiano i personaggi della storia, e regalano qualche anticipazione confezionate con piacevoli battute.

– Silvio Orlando: “Solitamente gli attori nelle conferenze stampa sono messi da parte. Starnutiscono molto; bevono tanta acqua; ma poi parlano poco. Oggi invece diamo spazio agli attori. Iniziamo da Roberto Nobile, che fa la parte del vicino di casa della famiglia.”

– Roberto Nobile: “Si sente la mia voce al microfono? Io sono sordo, non sento nulla; e anche nello spettacolo il mio personaggio è sordo: credo sia questa la ragione per cui mi abbiano cooptato. Scherzi in disparte, questo spettacolo è interessante perché permette di vedere dall’interno i conflitti familiari e il mio personaggio fa da tramite tra interno ed esterno; tra giudizio oggettivo che si può dare su quello che accade e l’interno, dove c’è il dolore di una famiglia spezzata.

Lo spettacolo permette al pubblico di ricongiungersi con la storia che ha letto nel romanzo. Mentre il libro lo leggo da solo, con la messinscena condivido con attori e spettatori il racconto: qui c’è tutta la bellezza del teatro!”

– Silvio Orlando: “Grazie Roberto; ora passiamo a Sergio Romano, che fa la parte di mio figlio (anche se siamo quasi coetanei), cercherò prima dello spettacolo di invecchiare velocemente!”

– Sergio Romano: “Non vorrei raccontarvi troppo per non svelare. Interpreto la parte di un figlio pieno di insicurezze, che è il risultato delle relazioni, dei rapporti all’interno della famiglia. Sono contento di poter dare il mio contribuito in questa famiglia non troppo tranquilla.”

– Silvio Orlando: “Ora tocca a Maria Laura, che nella vita fa la parte di mia moglie, mentre nello spettacolo fa la parte di mia figlia: tanto per confondervi le idee!”

Maria Laura Rondanini: “Il nostro è un progetto molto ambizioso, una grande scommessa; le prove stanno all’inizio, ma ci sono tutti i presupposti perché lo spettacolo riesca bene. La vicenda racconta un dramma familiare vero e proprio, una tragedia dell’anima; ma non di un personaggio in particolare, bensì di tutti. Il mio personaggio è simile a quello di Sergio: io rappresento la figlia e sappiamo benissimo ciò che succede quando una famiglia si separa. Sono molto contenta di recitare questo personaggio perché mi consente di tirar fuori tutto il dolore, di andare dietro nella memoria e rammentare di quando ero piccola, ciò che mi ha fatto soffrire: vorrei mettere tutto ciò in scena, tirare fuori questo dolore e sviscerarlo”.

– Silvio Orlando: “Adesso è il turno di Vanessa, che interpreta in scena mia moglie: se non riuscite a raccapezzarvi, è tutto normale!”

Vanessa Scalera: “Vanda è una donna che si è incancrenita nel dolore, nella rabbia. Ma non è una vittima (almeno per come la vedo io). Sono due persone che si sono fatte la guerra e l’obiettivo di questa donna è di continuarla. Sono felice di far parte di questa compagnia e spero di vincere questa scommessa.”

– Silvio Orlando: “Il vero responsabile di tutto questo (ovvero Domenico Starnone) è negli Stati Uniti per tenere delle lezioni ad un’università, però c’è Armando Pugliese (regista) che ci può dire qualcosa di intelligente. Daje armà, dacci dentro!”

– Armando Pugliese: “È la mia terza esperienza con Silvio Orlando, con cui abbiamo fatto assieme altre due commedie di Eduardo De Filippo, peraltro con molto soddisfazione. In quel caso tuttavia eravamo dinanzi ad opere già scritte, quindi il percorso era già tracciato; adesso invece ci troviamo di fronte ad un testo che proviene da un romanzo. E devo inoltre dire che la riduzione teatrale di Starnone pone molte difficoltà ai teatranti. È come un racconto fatto a ritroso, dove bisogna incastrare i pezzi in senso inverso, e non è costruito con la dialettica teatrale classica; anzi, si propone a blocchi, che sono i punti di vista diversi e questi blocchi sono qualche volta sotto forma di monologo, altre di dialogo, altre ancora di racconto e infine di scontro.

Nonostante sia un dramma, in diversi momenti si ride, perché la situazione diventa paradossale. Detto questo, voglio sottolineare che non si tratta solo di un dramma familiare, ma è un dramma generazionale: è il racconto del fallimento della generazione del ’68, che ha saputo andare contro il potere precostituito in diversi modi, però non è riuscita a sostituire al potere altri valori, pertanto ora soffrono tutti di questo fallimento. È una sinfonia del dolore, per il carico di sofferenza che porta con sé. Durante il percorso resta dentro un qualche cosa di amaro (che non è l’amaro averna!), ma un’amarezza del fallimento del passaggio generazionale.

Il percorso di marito e moglie è opposto: il suo è di liberazione, per lei invece è di chiusura. Ritornerà dalla moglie per i figli, e riscoprirà di essere padre, solo per questo rinuncia al nuovo amore. Ma nessuno ritorna da una donna per amore dopo che si è innamorato: per questo motivo sarà una vita d’inferno, l’integralismo della moglie lo mette continuamente alla prova e lui si sottomette per il bene della famiglia; questa atmosfera genera dei figli che scoprono non esistere il paradiso terrestre in cui credevano, di conseguenza crescono malamente e tirano fuori tutte le loro nevrosi, frutto di quelle dei genitori.

Visto che ho a che fare con attori molti bravi, confido che otterremo un risultato decente, (occhiata di Orlando) straordinario!”

Silvio Orlando: “Come avrete capito, la compagnia cerca il basso profilo (scherzando); lo si intuisce anche dal nome della compagnia “il cardellino”: un uccellino piccolo, però con una voce meravigliosa. Non sarà grande come l’aquila, che vola alto nel cielo (a volte troppo alto), ma quando canta nessuno gli può resistere.

Il progetto nasce perché dopo il successo di 25 anni fa de La scuola, ogni anno sono andato da Starnone e gli ho chiesto di scrivere un altro testo. Lui mi rispondeva: “Sì, poi lo scrivo, poi lo scrivo…”. Sono passati 25 anni, ma non ha scritto niente! Però due anni fa ha scritto un romanzo, che ha già di per sé ha una struttura teatrale, e sono riuscito a convincerlo a portarlo a teatro. La storia tratta un tema fondamentale – quello della famiglia – dove le distanze tra genitori e figli ultimamente si stanno sempre più ingrandendo. Spesso, soprattutto in televisione, passa un modello di famiglia irreale, edulcorato: la famiglia del Mulino Bianco, con Banderas che intinge i biscotti nella tua tazza. La gente guarda la televisione, poi guarda attorno a sé, nella propria casa, e non si riconosce. Rispetto al family day, questo è il family night: la lunga notte di una famiglia italiana.

È uno spettacolo che capita in un momento felice della mia vita, nonostante io sia tendenzialmente melanconico.

Un periodo felicissimo, bellissimo, fortunatissimo e mi trovo a fare i conti con un testo di una amarezza straordinaria!

Manca ancora un personaggio, che purtroppo non è presente. Lui non parla ma sarà sempre in scena. È l’ottavo personaggio, da tener presente perché riserverà molte sorprese”.

data di pubblicazione:24/10/2016

VICEQUESTORE SCHIAVONE di Antonio Manzini – Sellerio, 2013/6

VICEQUESTORE SCHIAVONE di Antonio Manzini – Sellerio, 2013/6

La Casa editrice Sellerio è nuovamente in TV con i suoi libri gialli.

Come già ci aveva abituato con i gialli di Andrea Camilleri e il suo inarrestabile Montalbano, con le vicende esilaranti dei vecchietti del Barlume di Marco Malvaldi, questa volta ci ha fatto conoscere il vicequestore Rocco Schiavone, nato dalla penna di Antonio Manzini, le cui indagini sono un misto di sagacia investigativa e istinti vendicativi.

Questa estate ho iniziato a leggere l’ultimo pubblicato, 7/7/2007, incuriosita dall’enorme successo di vendite e infastidita dal fatto da non aver letto nulla di Manzini…Un notevole successo di vendite non significa necessariamente che il romanzo sia ottimo, ma spesso che il battage pubblicitario è stato tale che il pubblico si è convinto ad acquistarlo (purtroppo ciò nella maggioranza dei casi significa che la Casa editrice con maggiori mezzi si può permettere una maggiore visibilità e maggiori “entrate” in termini di vendite). In questo caso il nome della Casa editrice mi ha convinta senza ombra di dubbio: la Sellerio è di una serietà cristallina, ed il libro non poteva essere che un “vero” successo.

E così è stato.

Sono rimasta subito affascinata da Manzini e dalla sua scrittura.

Il suo personaggio, Rocco Schiavone, è un Vicequestore (che nessuno lo chiami Commissario!), sui generis; ha un indubbio fiuto da segugio che ne fa un fiore all’occhiello della Polizia di Stato, ma è anche un uomo che non sa tenere a freno i propri sentimenti e che non sa fermarsi davanti alla Legge, che sfrutta la sua posizione per portare avanti delle vendette personali e non, che ce lo faranno sentire umano, vicino e persino amare. I suoi comportamenti sono ammissibili solo perché all’interno di un romanzo, un tale modus operandi ci riporterebbe alla barbarie (“occhio per occhio e dente per dente”); ma, che dire, in alcuni frangenti, perlomeno sulla carta, le sue azioni sono sicuramente “liberatorie”…!

Schiavone è in forza alla Polizia di Stato di Aosta, il suo trasferimento nella Valle è stata un’azione punitiva nei suoi confronti e, da buon romano, Schiavone è depresso già solo dall’idea di vivere lontano da Roma, nel “profondo” nord poi, con il freddo e la neve… Nonostante le condizioni atmosferiche che è costretto a sopportare nel corso del suo primo inverno aostano, si rifiuta assolutamente di abbandonare le sua amate Clarks e il suo praticamente inutile loden.

In ogni libro scopriamo qualche cosa di più del vicequestore, un particolare, un ricordo doloroso o piacevole, le sue abitudini, i suoi vizi, i suoi discutibili amici e anche i suoi collaboratori che in alcuni frangenti ci regalano dei momenti veramente esilaranti!

Nell’ordine sono stati pubblicati: Piste nere, La costola di Adamo, Non è stagione, Era di maggio e, appunto, 7/7/2007; mi sento di consigliarli a tutti gli amanti del genere.

Manzini è un maestro nell’accompagnarci nel lato giallo delle indagini di polizia non disdegnando tuttavia gli aspetti comici che si verificano anche nelle situazioni più drammatiche; ci presenta un uomo di legge che è pur sempre un uomo con le sue colpe, le sue manchevolezze, i suoi desideri, la sua sofferenza. Un perdente? Forse, ma proprio per questo più vicino a noi.

Il prossimo mese Rocco Schiavone sarà su RAIDUE, gli presterà il volto Marco Giallini; non ho alcun dubbio che sarà un vicequestore perfetto, più ripenso ad alcuni passi letti più mi appare il viso di Giallini ogni volta che penso a Schiavone…

data di pubblicazione:23/10/2016

DANIEL LIBESKIND – Incontri ravvicinati Festa Cinema Roma 2016

DANIEL LIBESKIND – Incontri ravvicinati Festa Cinema Roma 2016

Come base dell’incontro “Cinema e Architettura” con l’architetto Daniel Libeskind di venerdì 21 ottobre 2016 presso l’Auditorium Parco della musica di Roma, è stata prevista la visione di alcune sequenze di film scelte dallo stesso Libeskind.

IL LAGO INCANTATO (Water babies) di Wilfred Jackson,1935

Il primo film scelto è un cartone animato del 1935 che fa parte della collana Sinfonie allegre, prodotto da Walt Disney. Il film non presenta alcuna forma di dialogo ma lascia che siano le immagini a parlare. I primi ricordi che Daniel Libeskind ha del cinema sono legati ad un grazioso stagno che si risveglia dal sonno della notte, dove gli uccellini svolazzano aprendo col canto vari boccioli di ninfee, dove dentro vi sono tanti  piccoli bambini che si svegliano e corrono a giocare in acqua. Questo ricordo è legato ad un bisogno di sfogo e liberazione nella pesante atmosfera della Polonia dove è cresciuto fino alla fine dei suoi studi.

Libeskind conosce il cinema italiano a seguito del suo trasferimento in America (1960) e afferma che la luce è la struttura del cinema italiano. Film è luce, ma la luce è un elemento fondamentale della e nell’Architettura. Bisognerebbe andare di notte e vedere l’architettura per vedere le dimensioni dell’architettura.

IDA di Pawel Pawlikowski, 2013

Ida è un film del 2013 diretto da Paweł Pawlikowski. Di produzione principalmente polacca, è stato scritto dal regista stesso e da Rebecca Lenkiewicz. Nel 2015 ha vinto il Premio Oscar per il Miglior film straniero. Anna è una giovane orfana che vive in convento, prossima a prendere i voti. Viene convinta dalla madre superiora ad andare a far visita alla sua unica parente in vita, la zia Wanda, che in passato non ha mai cercato di contattarla. La zia, soprannominata “Wanda la sanguinaria”, è un giudice che ha mandato alla pena capitale decine di partigiani non comunisti dell’AK. Ora è una donna depressa, amante dell’alcool e in cerca di briciole d’amore. L’incontro tra le due donne segna l’inizio di un viaggio alla scoperta l’una dell’altra, ma anche dei segreti del loro passato.

Nella sequenza scelta di questo film ci sono presenti dei momenti di silenzio ma pieni di parole, la catastrofe viene sentita. Daniel Libeskind coltiva fin da piccolo una passione per la musica, a 11 anni si esibisce alla Carnegie Hall, Egli afferma che la musica entra in architettura. Dal suono alla vista, la luce aiuta a creare un gradevole ambiente per l’occhio e per lo spirito.

L’architettura è una estensione della musica. Fare architettura è creare una coreografia per coloro che abiteranno quello spazio, la visone deve essere chiara e ristretta per chi lo interpreterà.

OCCHI SENZA VOLTO (Les yeux sans visage) di Georges Franju,1960

Una storia dai toni fantastici e surreali sui misfatti di un chirurgo/demiurgo che, dopo aver provocato con la sua guida spericolata un incidente stradale in cui sua figlia è rimasta sfigurata, cerca di ridarle un volto in ripetuti tentativi di trapianto. La storia è tratta dal romanzo di Jean Redon. In questa sequenza è implicito l’olocausto anche se non è esplicitato. Il volto che il chirurgo sta togliendo rappresenta la maschera degli uomini che spesso non rivelano la verità.

THE FOG OF WAR: LA GUERRA SECONDO ROBERT McNAMARA di Errol Morris, 2004

Il film è un documentario del 2003 presentato fuori concorso al Festival di Cannes e vincitore del Premio Oscar come miglior documentario. Il documentario segue la traccia del libro di Robert McNamara, pubblicato nel 1995. Errol Morris organizza il materiale registrato in 30 ore di conversazione con  l’ ottuagenario Robert Strange McNamara, Segretario alla Difesa coi Presidenti John Fitzgerald Kennedy e Lyndon B. Johnson. McNamara in 11 lezioni, cerca di trasmettere ciò che ha imparato nella sua vita.

Questa testimonianza insegna che noi non siamo protetti. Non ci saranno mai tempi senza guerra, siamo sempre a distanza minima dalla tragedia, il bottone rosso non è nelle mani di Dio, dobbiamo imparare dalla storia per non essere condannati. Ognuno di noi commette degli errori e il buon senso dice di non dice di non ripetere gli stessi errori. Magari si può ripetere lo stesso errore due, tre volte, quattro o cinque, ma con le armi nucleari basta un unico errore e si distruggono intere nazioni. La lezione è che noi dobbiamo imparare dalla storia, capire cosa è successo, e trarne una lezione per trasmetterla.

– C’è ottimismo nel cuore dell’architettura?

L’arte è gettare le basi per un futuro migliore. Quando si progetta c’è sempre nel cuore dell’essere umano la speranza, non è un processo legato al fallimento. Quando si progetta un asilo, deve essere ispirato dai bambini, dal futuro. L’Architettura è una storia, deve elevare l’uomo al di sopra della banalità di vita quotidiana. Il mio cliente di riferimento è sempre il bambino, l’architettura si basa sulla meraviglia.

– Puoi separare i 2 esseri, l’essere umano, americano e essere architetto dalla tragedia delle Twin Towers?

Io vivevo nel Bronx come immigrato, è successo a me, è successo a noi. Non si possono separare questi due aspetti.

LA GRANDE BELLEZZA di Paolo Sorrentino, 2013

La grande bellezza, presentato in concorso al Festival di Cannes 2013, ha vinto il Premio Oscar come miglior film straniero, il Golden Globe e il BAFTA nella stessa categoria, quattro European Film Awards, nove David di Donatello (su 18 nomination), cinque Nastri d’Argento e numerosi altri premi internazionali. Il film si apre con una citazione da Viaggio al termine della notte di Louis-Ferdinand Céline, che funge da chiave di lettura introduttiva per il “viaggio” narrato ne La grande bellezza: “Viaggiare è molto utile, fa lavorare l’immaginazione, il resto è solo delusioni e pene. Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario: ecco la sua forza, va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose: è tutto inventato”.

– Cosa apprezza di Sorrentino?

Sorrentino crea la bellezza , la bellezza è la fonte di ispirazione del cinema. Nei suoi film crediamo di muoverci in una parabola e poi improvvisamente siamo catapultati nella vita reale, il regista lavora tra la parabola e la realtà, tra la complessità e la caduta. Sorrentino aggiunge le parti nel montaggio, non si impilano, ma da allo spettatore la possibilità di decidere in quale mondo vivere, quale mondo caotico e ambiguo decidere di seguire.

– Per un architetto il luogo è importante?

La dolce vita è come La grande bellezza, è un film che parla di Roma. Quando costruisci tieni conto di ciò che hai attorno, quando sono in un luogo, penso a ciò che è vento,  sento i sussurri, mi abbasso a terra, sento le voci che salgono e non le grandi voci. L’architettura è complessa, è molto simile al cinema…è un arte individuale, oltre ad essere bella deve avere anche un fine.

– Possiamo considerarla come un’arte?

Marcel Duchamp diceva che l’architettura è una scultura con tubazioni, ma non fatta di funzionalità. Si è sopravalutato molto il concetto di funzionalità negli ultimi anni, l’architettura è civica, ha un carattere pubblico perché necessita di autorizzazioni, nulla osta e pareri ma è mossa da un principio etico. Il punto di partenza è la tensione verso la bellezza, verso l’arte, in modo che la sorpresa, lo stupore, l’inatteso siano parte anche dell’opera architettonica.

Auguste Flaubert scriveva “Architetti. Tutti imbecilli. Nelle case, dimenticano sempre la scala”.

– Dittatura e architettura?

Molti architetti hanno avuto bisogno di un piglio di Autorità di appoggio e sostegno per potere progettare e eseguire i lavori, a volte devi essere vicino al potere politico per realizzare qualcosa ma io non ne ho avuto bisogno.

data di pubblicazione:23/10/2016

DANIEL LIBESKIND – Incontri ravvicinati Festa Cinema Roma 2016

CAPTAIN FANTASTIC di Matt Ross – Premio Pubblico BNL Sezione Alice

(11^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – ROMA, 13/23 ottobre 2016)

Negli alti e fitti boschi del Nord America, in una capanna in legno con annessa serra, vive da 10 anni un padre – Ben Cash (interpretato da Viggo Mortensen), con i suoi 6 figli, mentre la mamma – Leslie – è ricoverata da qualche mese in una casa di cura  per  un disturbo bipolare della personalità.

Tra pericolose arrampicate sulle rocce e allenamenti fisici impegnativi, come fossero soldati delle forze speciali, tra cacce al cervo armati di affilati coltelli, cene rischiarate dalla luce del fuoco, allietate da letture di classici e dalla gioia di fare musica insieme suonando chitarre ed armoniche, Ben – che non ha nulla del supereroe come ricorda il titolo, ma evoca piuttosto il capitano mio capitano – si prende cura amorevolmente dell’animo e della mente dei suoi ragazzi impartendo loro un’educazione rigorosa che li possa rendere delle persone speciali.

La morte della mamma tuttavia lo costringe a lasciare quell’eden, tenacemente costruito, e ad affrontare un viaggio con i suoi figli sul loro magnifico bus/caravan/biblioteca.

Durante questo viaggio nel mondo esterno dove i ragazzi scopriranno che “Nike” non è solo una dea greca ma più note scarpe o che un pollo si può comprare già pronto al supermercato, dove senza smartphone o Xbox, ma accompagnati dalla consapevolezza di loro stessi, capiranno anche che la vita é … scoprire gli altri (tanto per citare un altro film presentato alla Festa del Cinema di Roma The long excuse).

Il film fa riflettere su cosa significhi essere genitore, sull’abnegazione che spesso porta con sé e su quanto questa sia davvero un bene per i nostri figli.

Film colorato ed eccentrico che fa pensare ed emozionare, e che convince gli spettatori dell’ 11^ Festa del cinema di Roma che gli attribuiscono il premio del pubblico BNL.

data di pubblicazione:23/10/2016