LA LA LAND  di Damien Chazelle, 2017

LA LA LAND di Damien Chazelle, 2017

Una favola moderna, dal finale non scontato, si consuma sotto i cieli di LA. Un pianista jazz, che coltiva con rabbia la sua passione assieme al sogno di aprire un locale tutto suo dove poter suonare ciò che vuole e quanto vuole, incontra un’aspirante attrice che si mantiene servendo caffè in un bar all’interno degli Studios pur di poter continuare a fare provini, e coronare un giorno il sogno di recitare da protagonista in una pièce teatrale. Le loro strade s’incontrano ed entrambi proveranno a percorrerle insieme, rinnovando con determinazione ogni giorno il proprio diritto a sognare.

 

Nonostante le stagioni si susseguano nella città degli angeli, in California è sempre primavera e un altro splendido giorno di sole arriverà. Damien Chazelle, compiendo una scelta stilistica diametralmente opposta al pluripremiato Whiplash, ci racconta in chiave musicale la storia romantica di due sognatori: il pianista jazz Sebastian (Ryan Gosling) e l’aspirante attrice Mia (Emma Stone), che ci invitano a brindare ai sognatori, ai cuori che soffrono e ai disastri che combinano…e ai folli che sanno sognare. La La Land non solo ha aperto in maniera assolutamente insolita l’ultima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia che ha poi tributato ad Emma Stone la Coppa Volpi, ma ha di recente vinto ben 7 Golden Globe che, almeno in parte, lo traghetteranno verso gli imminenti Oscar 2017. Il film, puntando su due attori che danno prova di saper ballare e cantare (oltre che recitare come è ben noto a tutti), molto affiatati perché alla loro terza volta insieme sul grande schermo, mostra di avere in sé tradizione, romanticismo e favola raccontati in chiave assolutamente moderna, ingredienti necessari per far parte con onore del genere musical americano, che vanta peraltro un passato glorioso con cui confrontarsi ma che in Europa non ha radici così profonde. Tuttavia questa storia d’altri tempi, calata nel presente dal giovane Chazelle, lancia un messaggio universale che sa di buono ed il cinema diviene un mezzo per violare le regole del reale ed invitarci a inseguire con caparbia perseveranza ciò che ci piace veramente, scegliendo con il cuore e non con la testa. Portatore sano di una ventata di rinnovamento, pur paradossalmente attingendo a radici così lontane nel tempo, La La Land potrebbe incontrare il gusto del pubblico italiano come a Venezia ha incontrato quello della stampa che lo ha applaudito sin dalla splendida scena iniziale. Ad affiancare il “tastierista Gosling” troviamo il premio Oscar John Legend e l’intera colonna sonora del film è stata composta e orchestrata da Justin Hurwitz, che aveva già precedentemente collaborato con Chazelle.

Se, uscendo dal cinema, non tenterete di improvvisare qualche goffo passo di tip tap, o sotto la doccia l’indomani non canticchierete il ritornello del Mia and Sebastian’s Theme, allora forse il film non avrà colpito nel segno e il musical non fa decisamente per voi!

data di pubblicazione:25/01/2017


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COSÌ FAN TUTTE (ossia la scuola degli amanti) – Wolfgang Amadeus Mozart, 1790

COSÌ FAN TUTTE (ossia la scuola degli amanti) – Wolfgang Amadeus Mozart, 1790

(Teatro dell’Opera di Roma, 18/27 gennaio 2017)

Esistono numerosi scritti sulla singolare figura di Lorenzo Da Ponte, uomo di grande talento ed il cui nome è quasi sempre associato a quello di Mozart per aver scritto i libretti delle sue tre opere più significative: Le Nozze di Figaro, Don Giovanni, e per ultima, ma non per importanza, Così fan tutte. Dell’immensa opera musicale di Mozart credo ci sia poco o meglio nulla da dire perché tutti lo conoscono; di Da Ponte, invece, pochi sanno che pur indossando l’abito talare aveva un carattere molto libertino, e conduceva una vita spregiudicata arrivando persino a essere processato con l’accusa di pubblico concubinaggio per aver organizzato festini nei più noti bordelli del tempo. Amico intimo di Giacomo Casanova, dopo la disastrosa parentesi ecclesiastica, condusse una vita tumultuosa che lo portò a lavorare a Londra e poi definitivamente a New York, dove morì novantenne. Prima ancora di tutto questo aveva vissuto a Vienna, richiamato dal celebre compositore Antonio Salieri che lo aveva inserito come poeta di corte presso l’imperatore Giuseppe II. Secondo l’usanza dell’epoca, si richiedeva l’uso tassativo della lingua italiana nelle opere liriche, per cui Da Ponte, esperto di letteratura oltre che dell’intima natura degli intrecci amorosi settecenteschi, non ebbe difficoltà a scrivere libretti per vari compositori, incluso il già noto Mozart. Prendendo spunto dalla messa in scena di Così fan tutte presso il Teatro dell’Opera di Roma, con la regia di Graham Vick e la direzione di Speranza Scappucci, si riaprono alcune controversie interpretative circa l’idea che Da Ponte aveva del gentil sesso che tempo addietro fece insorgere il movimento femminista per quel titolo tanto provocatorio che era stato scelto per l’opera mozartiana. Ancora oggi ci si chiede: Perché così fan tutte e non così fan tutti? Ad un attento esame del libretto potrebbero venir fuori riflessioni interessanti su ciò che Da Ponte aveva da dire sulle donne. Al centro della vicenda le due sorelle ferraresi Dorabella e Fiordiligi che vivono a Napoli, fedeli ai loro rispettivi amanti Ferrando e Guglielmo, in attesa di convolare a nozze che oramai sentono vicine. Don Alfonso, vecchio filosofo, scommette con i due amici che le donne, incluso ovviamente le loro, per natura sono infedeli (E’ la fede delle femmine come l’araba fenice, che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa… Atto primo, Terzetto) e quindi li induce a scommettere cento zecchini sulla loro lealtà, mentre a lui spetterà il compito di dimostrare che anche le loro fidanzate non sono proprio questo esempio di virtù. Don Alfonso architetta un piano in cui Ferrando e Guglielmo simuleranno di dover improvvisamente partire, perché richiamati al fronte. Alle due ragazze non rimarrà che piangere e disperarsi per la partenza in nave dei giovani (Soave sia il vento, tranquilla sia l’onda ed ogni elemento benigno risponda ai nostri desir…Atto primo, Terzettino). Ritornati sulla scena, camuffati da due ricchi e baffuti albanesi, i due cercheranno, aiutati dalla cameriera Despina e dallo stesso Don Alfonso, di conquistare il cuore delle ragazze arrivando persino a simulare di avvelenarsi con l’arsenico pur di non venire respinti. Le due si mostrano invece risolute a difendere con ogni mezzo la promessa d’amore data, rimanendo fedeli ai rispettivi amanti (Come scoglio immoto resta contra i venti e la tempesta, così ognor quest’alma è forte nella fede e nell’amor… Atto primo, Aria). A questo punto l’astuta Despina impartisce loro una pratica lezione di vita convincendole che non c’è nulla di male ad accettare la corte di due giovani belli e danarosi e che il divertirsi un poco con loro non ha alcuna rilevanza dal momento che i fidanzati, lontani da casa, sicuramente si daranno anche loro da fare (E piuttosto che in vani pianti perdere il tempo, pensate a divertirvi…far all’amor come assassine e come faranno al campo i vostri cari amanti…Atto primo, Recitativo). Solo verso la metà del secondo atto le due ragazze cederanno alle promesse d’amore dei nuovi spasimanti e acconsentiranno di convolare con loro a nozze, dimenticando Ferrando e Guglielmo. Ma un improvviso contrordine farà sì che i due giovani rientrino dal campo di battaglia sorprendendo le due ragazze sul punto di stipulare un contratto nuziale, tutto organizzato per burla da Don Alfonso. Di fronte alla disperazione di Dorabella e Fiordiligi, che smascherate confesseranno di essersi lasciate raggirare, ai due giovani non resterà che confessare comunque il loro amore e tornare alle rispettive fidanzate per sposarle. Esaminando a fondo il libretto, contrariamente all’opinione comune che accusava Da Ponte di avere scarsa considerazione delle donne, emerge invece un desiderio palese di prendere le loro difese in quanto vittime inermi delle insidie e dei raggiri degli uomini. Dietro frasi esilaranti e spesso a doppio senso, il librettista esalta quindi la saggezza e la rettitudine femminile in contrapposizione alla irruenza maschile, indice di evidente immaturità. Sarà infatti compito delle donne smascherare gli uomini per evitare di cadere nei tranelli che loro stessi hanno ingenuamente organizzato a scopo di seduzione.

Così fan tutte costituisce pertanto un perfetto gioco di simmetrie e di bilanciati contrappunti che pongono i protagonisti in un perfetto equilibrio di azione e reazione. E’ vero che alle fine Dorabella e Fiordiligi cederanno alle lusinghe dei due falsi pretendenti, ma solo dopo aver resistito invano alle macchinazioni del cinico Don Alfonso (V’ingannai, ma fu l’inganno disinganno ai vostri amanti, che più saggi omai saranno…abbracciatevi e tacete tutti quattro ora ridete, ch’io già risi e riderò… Finale secondo atto, Don Alfonso).

Mentre la musica mozartiana raggiunge vertici di assoluta perfezione, lo spettatore viene introdotto per mano verso un grande finale che solo un uomo colto e licenzioso come Da Ponte poteva immaginare. Il concertato di chiusura racchiude infatti una sapiente morale, un insegnamento a tutti coloro, fedeli o infedeli, che mal si predispongono nei confronti della vita: Fortunato l’uom che prende ogni cosa pel buon verso e tra i casi e le vicende da ragion guidar si fa. Quel che suole altrui far piangere fia per lui cagion di riso e del mondo in mezzo ai turbini bella calma troverà… Proprio saggio questo Da Ponte!

data di pubblicazione:24/01/2017

ALLIED – UN’OMBRA NASCOSTA di Robert Zemeckis, 2017

ALLIED – UN’OMBRA NASCOSTA di Robert Zemeckis, 2017

1942, Casablanca, Marocco. In piena seconda guerra mondiale, un ufficiale (ed agente segreto) franco-canadese viene paracadutato nel deserto per svolgere una missione segreta. In città incontra il suo contatto, una donna simbolo della resistenza francese. Tra i due nasce una travolgente storia d’amore e, svolta con successo la missione, i due rientrano a Londra. Si sposano, hanno una bambina, ma, del tutto inaspettatamente, lei viene accusata di essere una spia tedesca al servizio del Terzo Reich.

 

Robert Zemeckis torna alla regia dopo The Walk (del 2015), e lo fa con un buon film, basato sul sospetto, sulla tensione della (probabile) scoperta di una verità sconcertante e sul peso di un’attesa snervante e logorante, tutti perfettamente rappresentati e suscitati nell’animo dello spettatore. Altrettanto valido, a parere di chi scrive, è l’equilibro tra le scene d’azione ed i momenti di calma, anche apparente, vissuti dai protagonisti. Da segnalare, la notevole interpretazione di Marion Cotillard, nelle vesti della protagonista femminile, donna forte ma anche fragile e, soprattutto, disperata, ed alcuni vuoti di sceneggiatura, sicuramente voluti, sul passato del suo personaggio, giustificati, a mio parere, dal fatto che la rappresentazione del personaggio di Marianne Beausejour “deve” passare esclusivamente dagli, e per gli occhi del marito, interpretato da un maturo Brad Pitt, dapprima (positivamente) sorpresi dell’animo combattivo ed elegante della donna, e poi completamente innamorati di lei.

data di pubblicazione:24/01/2017


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AMINTA S’ei piace ei lice, di Luca Brinchi e Daniele Spanò – libero adattamento dell’opera di Torquato Tasso

AMINTA S’ei piace ei lice, di Luca Brinchi e Daniele Spanò – libero adattamento dell’opera di Torquato Tasso

(Teatro India – Roma, 12/29 gennaio 2017)

Dal 12 al 29 gennaio nel foyer del Teatro India è di scena Aminta, S’ei piace ei lice, rilettura in chiave sensoriale e performativa dell’opera pastorale di Torquato Tasso, un dramma satiresco ambientato tra boschi e laghi abitati da ninfe, pastori, satiri, cacciatori e semidei che racconta l’eterna lotta tra Amore e Natura. La rilettura multimediale, firmata da Luca Brinchi e Daniele Spanò, privilegia la dimensione umana della storia ed il contrasto tra istinto e sentimento, spiritualità e natura, tra le leggi della civiltà e le leggi di Natura, il mondo moderno e il favoloso mondo dell’Arcadia in cui a comandare era Amore. Al centro dell’intreccio c’è il rimpianto dell’Età dell’Oro, un luogo e un tempo mitico, nel quale l’uomo viveva libero da vincoli, godeva a pieno dei frutti della Natura e di Amore, animato unicamente dalla libertà e dall’istinto, senza leggi civili a impedire comportamenti ‘eccessivi’.

L’azione e la narrazione non avvengono direttamente in scena ma si sviluppano in un altro luogo in una dimensione virtuale e visiva di enorme impatto grazie alle registrazioni video che scorrono sugli schermi/parete in continuo movimento e animati dalle presenze in video dei protagonisti che cambieranno di volta in volta la prospettiva spaziale della scena. I monologhi sono riprodotti da megafoni distorti, il coro invece è evocato visivamente e sonoramente dai teli animati e dal suono amplificato dei ventilatori.

Una regia ed una messinscena installativa certamente interessanti realizzate da Brinchi e Spanò,  a metà tra teatro e arte contemporanea, set design (bellissimi gli abiti  della maison Gucci) e sonorità forti, mentre la drammaturgia è a cura di Erika Z. Galli e Martina Ruggeri. Ci si immerge, dunque, in un universo in perenne divenire, quasi metafisico.

Se piace è lecito, non solo esprime un sentimento di libertà e pulsioni, ma descrive una chiave di lettura profonda della vita umana. Un sentimento, questo, incarnato dalla figura del Satiro, unica figura effettivamente presente in scena, testimone dell’Arcadia, un piacere sensuale, erotico e istintivo, un passato perduto dove le regole erano tacite e assenti e la Natura non tramutava in colpa gli istinti delle proprie creature.

data di pubblicazione:22/01/2017


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IL LABIRINTO DEGLI SPIRITI di Carlos Ruiz Zafon – Mondadori, 2016

IL LABIRINTO DEGLI SPIRITI di Carlos Ruiz Zafon – Mondadori, 2016

Ultimo libro della tetralogia del Cimitero dei libri dimenticati Il Labirinto degli Spiriti è un romanzo entusiasmante, fatto di tormenti e di passioni, di intrighi e di avventure in una Barcellona della fine degli anni ’50 in cui ci perderemo tra le strade reali e lugubri e tra quelle avvolte dal mistero del suo “riflesso maledetto”.

Ci sono voluti dodici anni a Carlos Ruiz Zafon per chiudere la sua tetralogia, e lo fa con un libro magnifico, che ci incatena alle sue pagine con l’intensità del suo racconto e che, ancora una volta, celebra la maestosità del mondo dei libri.

Nel romanzo, che è la summa dei tre che lo hanno preceduto, ritroviamo personaggi che abbiamo già conosciuto: Julian Carax, David Martin e Mauricio Valls, la libreria Sempere, con un Daniel ormai padre, e l’inseparabile amico Fermin Romero de Torres. I fili sciolti vengono annodati e vengono date le risposte di cui eravamo in attesa dai precedenti volumi.

A indicare la strada per rispondere a tutte le domande che erano rimaste insolute è Alicia Gris, nuovo personaggio legato a doppio filo con Fermin  di cui non possiamo che innamorarci, come è sempre accaduto per tutti personaggi nati dalla penna di Zafon: complessi, oscuri, segreti, ricchi di mille sfaccettature.

Alicia Gris: di lei sappiamo solo che è stata strappata dalla strada e dalla sua realtà di “ladruncola” dal suo “capo” Leandro, che le ha insegnato tutto quello che sa e che ne ha  fatto una vera artista del travestimento, iniziandola all’arte di indurre le persone a raccontarle ogni loro segreto.

Il ministro Mauricio Valls è scomparso da qualche settimana dopo una mirabolante festa nella sua villa di Madrid: sulle sue tracce è stato prima mandato l’agente Lomana, acerrimo nemico di Alicia, ma anche lui scomparirà nel nulla.

Leandro sceglierà quindi la sua migliore agente che, coadiuvata nelle indagini dal capitano della polizia Juan Manuel Vargas, troverà nascosto nello studio del ministro una copia di Il labirinto degli spiriti. Ariadna e il Principe scarlatto di Victor Mataix. Inevitabilmente Alicia e Vargas non possono che andare a Barcellona, la città dove Valls è stato temutissimo direttore della prigione di Montjuic, dove sono stati rinchiusi Mataix e Martin; seguendo le tracce del libro, Alicia arriva nello studio dell’avvocato Brians, dove troverà preziose informazioni su Isabella Gispert Sempere che la porteranno fino alla libreria dei Sempere e Figli, fino a Daniel e Firmin…

I frammenti del puzzle creato ad arte nei precedenti volumi cominciano ad allinearsi e ad assumere una forma ben precisa.

Un libro di oltre ottocento pagine che scorrono velocemente e sempre di più fanno anelare a leggere, leggere, leggere ancora; si arriva alla fine in un baleno, soddisfatti ma un po’ malinconici, come si è sempre quando si finisce un libro i cui personaggi sono diventati degli amici reali.

data di pubblicazione:22/01/2017

ALLA SCOPERTA DEI POETI PERDUTI incontri di Luca Serianni

ALLA SCOPERTA DEI POETI PERDUTI incontri di Luca Serianni

(Teatro Eliseo – Roma, 17 Gennaio – 7 Febbraio – 21 Marzo 2017)

Viaggio poetico con escursioni di grammatica storica, sotto la guida virgiliana di Luca Serianni e della sua sensibilità retorica.

 

Non solo musica e teatro, ma anche cultura, per un Eliseo a tutto tondo. Serianni (esimio linguista e filologo) seziona i sonetti come un chirurgo, lasciando assistere il pubblico all’operazione ed estasiandolo con i versi della poesia comico-realistica del Duecento.

In questo primo rendez-vous viene trattato il maledettismo toscano, rappresentato da poeti che conducevano una vita dissoluta, la quale suscitava la reazione (e repulsione) nella comunità. Tra questi vi era Cecco Angiolieri, proveniente da una nobile famiglia senese e dedito al gioco e alle donne; vizi che lo porteranno a disperdere la sua ricchezza, tant’è che i figli rifiutarono l’eredità perché gravata da pesanti debiti.

Il sonetto introduttivo selezionato da Serianni è suo: “S’i’ fosse foco”; poesia in cui Cecco – immaginandosi acqua, fuoco, vento (e persino Dio!) – si scaglia contro il mondo intero, in modo divertente e irriverente.

Si prosegue questo viaggio poetico con un altro sonetto dello stesso autore “Accorri accorri accorri, uom, a la strada!”, pregno di insulti ed espressioni volgari. In questo caso Cecco dialoga con una donna, rea di averlo derubato del suo sentimento amoroso. Lei, in risposta alle sue accuse, si prende gioco di lui, canzonandolo. Da notare l’assenza di donne angelicate (come invece in Petrarca e Dante), ma donne reali e per questo scherzose. Alla recitazione del verso “fi’ de la putta”, ci viene raccontato un curioso aneddoto, a testimonianza di come tale espressione fosse utilizzata anche nelle corti. Nella Basilica inferiore di San Clemente (a Roma) è presente un affresco in cui sono raffigurati alcuni miracoli attribuiti a san Clemente. In uno di questi è raccontata la leggenda miracolosa del prefetto Sisinnio, il quale, arrabbiato a causa della conversione della propria moglie Teodora, la seguì con alcuni soldati; quando la trovò in una sala mentre assisteva ad una messa celebrata da Clemente, ordinò il suo arresto, ma Dio non lo permise accecando Sisinnio e i soldati. Quest’ultimi, credendo di portare via Teodora e Clemente, in realtà trascinarono colonne e per la loro lentezza furono insultati dal padrone, come riporta l’iscrizione ancora presente sull’affresco: “traete figli delle pute”.

Altra poesia recitata da Serianni è “Becchin’amor”, caratterizzata da un’ambientazione popolare, ove è la donna a dettare legge, in una posizione psicologica dissimmetrica, che non ha niente a che spartire con gli archetipi alti della poesia. La donna amata da Cecco, Becchina appunto (il cui vero nome era Domenica), lo ha sempre assecondato finché questi ha avuto i soldi per pagare tutto, e poi gli si è rivoltata contro. Qui Angiolieri esprime tutto il suo virtuosismo letterario, utilizzando solamente emistichi (mezzi versi), i quali rappresentano battute di un dialogo con l’amata.

Si prosegue poi con Rustico di Filippo (iniziatore di questo filone), con la sua “Oi dolce mio marito Aldobrandino”, ove una donna adultera si fa gioco del marito, sottolineandone la sua ingenuità. Il poeta fiorentino mescola parole della lirica (cortese, fino) con quelle volgari: contrapposizione tra l’amor cortese e quello carnale.

Ognuno dei sonetti sin qui declamati (diverso per impostazione) offre un differente punto di vista della poesia realista, distante da quello amoroso tipico, dove – al contrario – l’innamorato non riesce, non può, non deve conquistare la donna amata: un amore impossibile.

L’ultimo componimento letto da Serianni è una tenzone (scambio polemico in versi) tra Dante e Forese Donati, personaggio che Alighieri incontrerà nel Purgatorio mentre espìa la pena dei golosi. Nel passo preso in considerazione abbiamo modo di gustare l’autore della Divina Commedia in una veste ai più sconosciuta: offende il rivale dicendogli che è figlio di padre ignoto e infanga il suo nome (tant’è che inizialmente i filologi non ritenevano fosse opera del sommo poeta).

L’analisi attenta di queste poesie permette di assaporare un genere nascosto e allegro, diverso da quello che si è imposto successivamente; di scoprire “l’altra faccia della Luna”, accompagnati dalle parole misurate del professore.

L’unico appunto che si può muovere alla lezione è il mancato riferimento alla splendida trasposizione musicale realizzata da De Andrè della poesia “S’i’ fosse foco”, che si sarebbe volentieri ascoltata – visti anche i mezzi tecnologici messi a disposizione del teatro: ogni poesia era efficacemente proiettata su di un telo bianco. Canzone che ha restituito al testo quella musicalità e giocosità che lo contraddistinguono. Elementi che purtroppo mancano nella disamina cadenzata (e frammentata: in cui viene letto verso per verso) del professore, la quale, seppur impeccabile, annulla il ritmo incalzante dei sonetti.

Sorprendente la numerosa presenza di giovani in teatro.

Gaudeamus igitur.

data di pubblicazione:19/01/2017


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ARRIVAL di Denis Villeneuve, 2017

ARRIVAL di Denis Villeneuve, 2017

A seguito di un’invasione aliena, la linguista Louise Banks si vede affidato l’arduo compito di decifrare il modo di comunicare, e quindi di essere, delle misteriose creature atterrate sul pianeta Terra.

12 oggetti non identificati approdano in luoghi molto distanti del globo terrestre, gettando le popolazioni e i rispettivi capi di Stato in una condizione mista di sconcerto e terrore. Sembrerebbe l’ennesima storia dell’ennesima invasione aliena quella raccontata da Arrival, ma il film di Denis Villeneuve, presentato alla 73. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, riesce a sorprendere anche il pubblico meno avvezzo agli stereotipi del genere “fantascienza”.

Difficile comprendere quale sia l’intento che ha spinto le strane e inquietanti creature ad approdare sulla Terra. Difficile comprendere addirittura se le strane creature riescano a decifrare il concetto di “intento”. Per ottenere delle spiegazioni che mettano a tacere l’ansiosa fame di risposte da parte di un mondo che si sente sotto assedio per il solo fatto di non conoscere i propri ospiti, bisogna dapprima individuare un codice che consenta una comunicazione tra “umani” e “non umani”, mettendo a punto un alfabeto, una grammatica e una sintassi condivisi. Proprio per questa ragione il Colonnello Weber (il premio Oscar Forest Whitaker) decide di affidarsi alla linguista Louise Banks (la convincente Amy Adams, di recente anche in Nocturnal Animals), affiancata dallo scienziato Ian Donnelly (Jeremy Renner).

Il linguaggio, del resto, non solo è alla base di ogni convivenza “civile”, ma incide sui centri maggiormente attivi del cervello, influenza il modo di pensare dell’essere umano e il suo rapportarsi alle coordinate spazio-temporali di riferimento. Non resta che decifrare il modo di comunicare, e quindi di essere, dei nuovi arrivati.

Louise, sforzandosi di restare impermeabile alle logiche di quelle istituzioni da cui pure è stata reclutata, intraprenderà un viaggio alla scoperta delle nuove creature e, in definitiva, di se stessa.

Linearità e circolarità del tempo, necessità e libertà nel progredire della vita di ognuno: sono alcuni dei temi che, anche grazie a una sceneggiatura accurata e convincente, il progressivo dialogo con gli extraterrestri riesce a portare in primo piano. Sullo sfondo, ma sempre ben visibile, resta il tema così eterno eppure così attuale della necessità di comunicare e di restare uniti per evitare di restare sopraffatti dalla paura del “diverso”, posto le “incomprensioni” generano divisioni, caos e, quindi, guerra.

L’impressione complessiva è quella di un film che, pur ripercorrendo alcuni dei più consolidati stilemi del cinema fantascientifico, riesce a imporsi per originalità e consapevolezza, utilizzando la proiezione verso il futuro per il veicolare una (non scontata) riflessione sul presente.

data di pubblicazione: 19/01/2017


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NEBBIA IN AGOSTO di Kai Wessel, 2017

NEBBIA IN AGOSTO di Kai Wessel, 2017

Ernst Lossa è un tredicenne orfano di madre e con un padre senza fissa dimora, appartenente al gruppo nomade degli jenisch. A causa della sua natura ribelle, Ernst viene identificato come soggetto dai comportamenti disturbati e, dopo aver trascorso molti anni nei riformatori, viene internato in una unità psichiatrica diretta dal dottor Veithausen. Ci troviamo nella Germania nazista, e nella clinica dove si trova il ragazzo vengono applicate alla lettera le direttive di un documento firmato da Hitler e denominato “T4” che prevede una sorta di “eutanasia” per coloro che possiedono malattie mentali o ereditarie, con un grado di disabilità ritenuto irrecuperabile. Ernst prenderà atto di quanto sta accadendo ai bambini del reparto, dove lui stesso è ricoverato, e cercherà di opporre resistenza, denunciando senza mezzi termini i crimini di cui giornalmente è testimone. In questo luogo senza speranze, Ernst troverà nella piccola Nandl il suo grande amore.

 

Al regista tedesco Kai Wessel va riconosciuto, senza dubbio alcuno, il merito di aver regalato al pubblico, con questo suo ultimo e ben riuscito film, un piccolo capolavoro traghettandoci nella storia di una delle tante vittime della efferata logica nazista,. Il linguaggio cinematografico utilizzato è asciutto e senza retorica, con una sequenza di immagini crude e realistiche che riescono a raggiungere, al tempo stesso, momenti di altissima e sconfinata poesia. Qui, forse per la prima volta, non si parla di persecuzione degli ebrei, ma di “eutanasia” per nascondere quella che fu, senza mezzi termini, una eliminazione sistematica di una parte della popolazione tedesca ritenuta disabile e quindi incapace di contribuire attivamente allo sviluppo del paese. I medici, esecutori principali di questi crimini, decidevano chi eliminare sottoscrivendo diagnosi che attestassero l’incurabilità dei loro pazienti, in prevalenza bambini, che venivano soppressi solo perché colpevoli di consumare risorse che lo Stato avrebbe potuto indirizzare a scopi economicamente più validi. Attraverso l’occhio attento di Ernst, lo spettatore stesso si trova ad essere testimone di questi atroci delitti perpetrati all’interno della clinica psichiatrica dove erano ricoverati centinaia di pazienti, gente inerme e quindi incapace di un benché minimo atto di ribellione. La fotografia, nel suo rigore, non lascia spazio a sbavature ma si focalizza sulla essenzialità di situazioni vere, come a non voler dare spazio a equivoci interpretativi sul trattamento disumano a cui erano sottoposti i malati. Il regista, raccontandoci questa storia vera, porta a conoscenza delle nuove generazioni un aspetto assai poco noto delle atrocità del nazismo che si potrebbe considerare come un “precedente metodologico” che verrà applicato successivamente anche nei confronti degli ebrei. Oltre a questo aspetto, che si potrebbe definire storico, c’è un altro elemento degno di riflessione che, prendendo spunto dalle condizioni di quei degenti, riguarda invece la società di oggi e di come viene affrontato il problema della disabilità, e della diversità in generale, senza volerla minimizzare ma neanche farne oggetto da esibire. Il diversamente abile di oggi è colui che un tempo era il diverso, e questo cambio di terminologia dovrebbe assumere in ognuno di noi un significato molto profondo. Cast di alto livello, ottima l’interpretazione di Sebastian Koch nella parte del dottor Veithausen  (recentemente lo avevamo apprezzato nel film In nome di mia figlia accanto a Daniel Auteuil), di grande impatto emotivo la performance dei bambini-pazienti ed in particolare quella di Ivo Pietzcker nel ruolo del giovane Ernst Lossa, con la sua carica di umanità in quel suo prendersi cura dei più deboli. Commovente il suo istinto di sopravvivenza, pur in una situazione evidentemente senza scampo, quando di notte guardando il cielo già si immaginava in America insieme alla sua Nandl, proiettato verso un futuro migliore.

data di pubblicazione:18/01/2017


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DOPO L’AMORE di Joachim Lafosse, 2017

DOPO L’AMORE di Joachim Lafosse, 2017

Marie e Boris, in crisi dopo quindici anni di matrimonio, hanno deciso di separarsi. Anche se lei non sopporta più neanche la vista del marito, di fatto però devono vivere forzatamente ancora sotto lo stesso tetto in quanto lui non ha un lavoro stabile e non può permettersi di trasferirsi altrove. Marie, sempre di cattivo umore, trova ogni possibile pretesto per umiliare Boris di fronte alle loro due bambine, creando situazioni imbarazzanti e fastidiose per entrambi. Alle base dei loro litigi la questione economica da concordare: lui promette di andarsene una volta ottenuta una congrua somma di denaro a titolo di indennizzo per i lavori di ristrutturazione fatti a suo tempo nella casa dove abitano, di cui lei è proprietaria.

 

Il film Dopo l’amore del belga Joachim Lafosse, molto acclamato nello scorso Festival di Cannes dove è stato presentato nella Sezione Quinzaine des Realisateurs, ci fa riflettere sulle dinamiche di coppia in crisi e come le stesse possano improvvisamente trasformarsi in un crescendo di rancore e odio. I due protagonisti certamente si sono un tempo amati ma oggi nessuno dei due è disposto a sopportare la presenza dell’altro. Ogni discorso iniziato, ogni semplice parola pronunciata, diventano pretesto per scatenare una lite furiosa che solo la presenza delle loro due bambine riesce talvolta a mitigare. La scene si svolgono prevalentemente in uno spazio chiuso, ma non claustrofobico, delimitato dall’interno della casa e del piccolo giardino antistante, il tutto ben protetto dalla vita che si svolge all’esterno. La storia non può che definirsi banale: le questioni economiche che poi diventano il fulcro su cui poggia l’oggetto del contendere di una coppia in crisi non può che ritenersi argomento scontato, non a caso il titolo originale scelto dal regista è L’économie du couple che rimanda non solo alle diatribe sul denaro, ma soprattutto alla gestione vera e propria del rapporto affettivo con i figli, con la richiesta ossessiva del rispetto dei tempi e degli spazi rigorosamente assegnati a ciascuno dei due coniugi. Di fronte a tanta acredine lo spettatore non sa da che parte schierarsi perché l’apparente cattiveria di Marie trova le sue ragioni nel fatto che Boris è incapace di mantenere la famiglia e accumula debiti su debiti che lei regolarmente salda. Molto credibili Bérénice Bejo e Cédric Kahn nel ruolo dei protagonisti: lei ben conosciuta per il film The Artist di Michel Hazanavicius che le valse il Premio César come migliore attrice e ne Il passato di Asghar Farhadi dove vinse a Cannes il premio come migliore attrice; lui meglio noto in Francia come sceneggiatore e regista e meno come attore (Un amore all’altezza di Laurent Tirard).

data di pubblicazione:18/01/2017


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ATRÌO. e FABRIZIO BOSSO

ATRÌO. e FABRIZIO BOSSO

(Teatro Eliseo – Roma, 16 gennaio 2017)

Nell’ambito del Festival Special Guest organizzato dal Teatro Eliseo insieme all’Istituto Saint Louis College of Music di Roma, il palcoscenico del Teatro di Via Nazionale ha ospitato un inedito concerto che ha sugellato l’ammirazione di uno dei musicisti di maggior rilievo della scena jazz italiana ed europea, come Fabrizio Bosso, per il trio Atrìo. Gli Atrìo sono Gianluca Massetti (al piano), Dario Giacovelli (al basso) e Moreno Maugliani (alla batteria): tre giovani amici che dal loro garage hanno iniziato e continuato a comporre insieme splendidi brani jazz. Si incontrano, come racconta Dario Giovanelli, e ognuno propone un’idea, un’emozione sulla quale insieme sviluppano il progetto. Aprono il concerto con una versione jazz del celebre brano di Sting “Shape of my hearth”, per poi proseguire e stupire per bravura e bellezza con la presentazione delle loro composizioni – tra cui “Gonzalo”, “Giuseppe” – impreziosite dalla maestria e dall’estro della tromba di Fabrizio Bosso.

Per circa un’ora e mezza la platea dell’Eliseo è stata letteralmente ammaliata e rapita dalla performance di brani che hanno alternato atmosfere nostalgiche, ad aree romantiche ed eleganti, fino a ritmi travolgenti – che rendevano le sedute del teatro un pò “strette” per via dell’inevitabile voglia di lasciarsi andare fisicamente al ritmo dei brani – evocativi di contaminazioni africane con qualche eco proprio del genere r&b.

Gli Atrìo sono una giovane realtà promettente ed era palpabile l’affinità e la sintonia – non solo sul pentagramma – con un maestro come Fabrizio Bosso, tanto da aver scatenato standing ovation e la richiesta a gran voce di un ultimo bis prima del definitivo calo di sipario.

Merita dar spazio, però, anche all’originale apertura del concerto. Hanno infatti introdotto la performance live Atrìo. e Fabrizio Bosso, alcuni brani davvero belli – tra cui anche “I lie” di David Lang, tra le colonne sonore del film La Grande Bellezza  – eseguiti dal Coro del Risuonare del Saint Louis College of Music diretto dal Maestro Diego Caravano (ex componente del gruppo italiano “Neri per Caso”): guardare e ascoltare questi ragazzi, le loro voci talentuose insieme al sorriso e alla gioia del volto e dei gesti di Diego Caravano lasciavano brillare il loro affiatamento e la loro gioia, la passione per il loro lavoro (o amore) in modo così dirompente da infondere serenità e gioia ad ogni spettatore.

Che dire, l’iniziativa – fortemente voluta dal direttore Luca Barbareschi, – di mettere il Teatro Eliseo a disposizione della musica e di possibili nuove commistioni artistiche è sicuramente ammirevole e ben riuscita. Infatti nel Festival Special Guest musicisti come Atrìo. e Fabrizio Bosso eseguono una performance unica, inedita, una vera esclusiva dell’Eliseo, che non fa parte di una tournée. E, in effetti, spesso non c’è niente di meglio che chiudere la giornata si a teatro, ma con uno spettacolo ricco di passione, bellezza e senza dialoghi, parole…Questo concerto, infatti, un’esibizione di arte in musica pura, anche con la complicità del Coro del Risuonare, ha realizzato una catarsi tipicamente teatrale.

data di pubblicazione:17/01/2017


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