HORIZON AN AMERICAN SAGA – CAPITOLO I di Kevin Costner, 2024

HORIZON AN AMERICAN SAGA – CAPITOLO I di Kevin Costner, 2024

Il passato della Frontiera Americana, a partire dal 1856. Tante storie intrecciate: coloni alla ricerca della Terra Promessa, nativi- nella specie- Apaches, in difesa dei territori dei loro padri, fuorilegge, cacciatori di scalpi, giacche azzurre, donne di poca virtù ed eroine indomite. Il tutto a comporre la prima parte di un affresco sull”innocenza e la violenza di terre ostili negli anni che precedono la Guerra Civile.

Terreno da sempre battuto con esiti altalenanti da attori e registi USA, il Western torna alle sue migliori origini in una eclatante produzione, grazie a Kevin Costner. L’attore e regista, già vincitore di sette premi Oscar col suo Balla coi Lupi, ha un’evidente predilezione e direi autentica passione per il genere. Lo testimoniano precedenti riusciti episodi del suo percorso artistico, su tutti, il suo già citato blockbuster del 1990, ma, seppure meno fortunati al botteghino, gli ottimi Wyatt Earp del 1994 e Open Range del 2003. Con Horizon però, Kostner si è giocato tanto (pare abbia ipotecato anche il suo ranch) per un progetto ambizioso e coraggioso. I risultati economici, ovviamente, prescindono da un discorso critico e, francamente, non ci riguardano. Da spettatori non possiamo che apprezzare lo straordinario spettacolo che ci viene offerto in 3 ore, emozionanti e mai noiose E siamo solo alla prima parte di una trilogia! Nel film c’è l’America delle origini, c’è il racconto del Sogno Americano che troppe volte si trasforma in incubo, c’è “la c.d. questione dei nativi”, affrontato in termini asettici, quindi senza retorica pro o contro. Torna, soprattutto, l’iconica tradizione dei grandi vecchi western del passato. Primo riferimento, anche per la costruzione del plot è certamente, La Conquista del West, anch’esso composto da più episodi che trovavano poi un loro denominatore comune. Ma anche altri grandi cult del passato sono affettuosamente citati: L’uomo che uccise Liberty Valance, Sentieri Selvaggi (vedi alcune inquadrature da interno verso l’esterno che richiamano il capolavoro fordiano), e ancora Il Grande Sentiero, o Gli Inesorabili (ricordato nella drammatica scena iniziale con il tetto della casa incendiato e gli Apaches pronti a irrompere).

Naturalmente la nuova regia di Costner non è solo una rilettura nostalgica dei film e dei registi che ha amato. La straordinaria produzione ha infatti permesso estetismi e locations di tutto rispetto: una fedeltà nei dettagli, quasi maniacale e una sceneggiature ricca e variegata che troverà naturale sviluppo nei successivi episodi, il secondo dei quali previsto per il prossimo 15 agosto. Bisogna dunque lasciarsi immergere in questo effluvio di straordinarie immagini, farsi catturare dalle storie (troppe dice qualcuno?), dal formidabile cast di attori messo a disposizione dalla produzione (Coster, Howard Kaplan e molti altri coraggiosi investitori). Tra i protagonisti, Costner nel ruolo di Hayes Ellison, un lupo solitario che si trova coinvolto in vicende rischiose, Sienna Miller, splendida madre di due figli tra dolori e amori, l’asciutto Sam Worthington, nel ruolo del tenentino progressista, Abbey Lee-Marigold, ragazza disinvolta dal cuore gentile, Luke Wilson nel ruolo del rude capo carovana. Impossibile citarli tutti. Plausi particolari, di certo, vanno al direttore della fotografia J.Michael Muro, allo scenografo R.Hill, e, dulcis in fundo, a John Debney, già premio Oscar, autore delle musiche classiche e possenti. La sceneggiatura se la dividono l’eclettico Cosner e Jon Baird. A loro va l’innegabile merito della gestione di una storia troppo grande per essere raccontata in un solo film, nonché di aver saputo costruire con rigore “ storico” un nuovo evento da immettere nel solco del Grande Cinema. Qualcuno ha osservato che, forse un tale intrico di storie poteva meglio trovare il suo naturale sfogo nelle serie TV, dove i tempi sono forzatamente più rilassati, ma, consiglio da cinefilo, credetemi, il grande schermo continua a mantenere il suo fascino e per un’impresa del genere ne rappresenta il medium più congruo e affascinante.

data di pubblicazione:05/07/2024


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L’OCCIDENTE E IL NEMICO PERMANENTE di Elena Basile – Paperfirst editore

L’OCCIDENTE E IL NEMICO PERMANENTE di Elena Basile – Paperfirst editore

Una voce dissonante nel coro indistinto di chi vuole la guerra permanente, un benefit senza termine per la concessione delle armi all’Ucraina. L’altra faccia della medaglia di questa politica di sostegno è ovviamente la completa distruzione di un Paese, delle sue risorse e il mantenimento al potere di Zelenski nella virtuale sospensione della democrazia. Sul fronte pacifista il quid machiavellico: sostieni la guerra se hai speranze di vincerla e non per prolungare l’agonia di un popolo. Realpolitik per inquadrare la vicenda della guerra russo-ucraina da una prospettiva più vasta dell’avviso putiniano del 2022. Prodromi che risalgono a Majdan, al 2014, se si vuole allo sbriciolamento della Repubbliche ex sovietiche, a quando Kiev era la capitale di un impero, sottotesto che mai viene dimenticato dai russi. Così il pamphlet dell’ex ambasciatrice è una provocazione efficace in un’Italia che mediaticamente è schiacciata sull’atlantismo e sul feroce condizionamento statunitense, senza neanche un lampo di autonomia e indipendenza. Dietro l’autrice c’è ovviamente Il Fatto, le tesi di Travaglio e Santoro, le acuminate analisi del vituperato Orsini. Seminare il dubbio è esercizio ontologico di dibattito oltre l’unidimensionalità del pensiero unico. Contributo fattivo, intelligente, dialettico. Perché una crisi definita regionale non diventi un conflitto globale e non scateni la lusinga del ricorso al deterrente nucleare. Nel libro c’è anche la visione del conflitto Hamas-Israele e anche in questo caso, fuori di superficialità, si cercano le radici profonde di un odio che rimane atavico, scolpito nella storia. Interessanti contributi per la confezione editoriale la prefazione di Luciano Canfora e la postfazione di Alberto Bradanini, Abituati ai diplomatici dai modi felpati e con la feluca, quasi tutti uomini, ritroviamo al centro del pensiero un soggetto femminile estremamente combattivo e che fa uscire la diplomazia da quel velo di pesante retorica che l’ha sempre contraddistinta.

data di pubblicazione:27/06/2024

ALL WE IMAGINE AS LIGHT di Payal Kapadiya, 2024

ALL WE IMAGINE AS LIGHT di Payal Kapadiya, 2024

A Mumbai la vita quotidiana di Prabha viene sconvolta quando riceve un regalo inaspettato da suo marito che è andato a vivere all’estero. La sua giovane compagna di stanza, Anu, cerca invano di trovare un posto in città dove fare sesso con il suo ragazzo. Un viaggio in un villaggio costiero offre alle due donne uno spazio dove i loro desideri possono finalmente manifestarsi.

Il film racconta le vite parallele di due infermiere coinquiline a Mumbai, la più giovane Anu (Divya Prabha) e Prabha (Kani Kusruti): la prima cerca un posto per stare col ragazzo, ma nel frattempo la famiglia le combina in matrimonio, la seconda riceve un regalo inaspettato dal marito che lavora in Germania e da tempo non si fa sentire. Prabha ha poi dimenticato il come e il perché si “ama”, tanto che non sa nemmeno gestire le attenzioni di un medico, Anu desidera il ragazzo che frequenta, che è musulmano ma la differenza di religione per loro non conta, ed è infatti con lui che si immagina un futuro. Emerge anche un’altra figura, Parvaty, la cuoca dell’ospedale dove lavorano le due infermiere, che desidera solo tornare nella sua cittadina vicino al mare, perché sfrattata dal suo appartamento di Mumbai, sradicandola da una realtà in cui vive da 20 anni.

Quello che risulta è un ritratto delicato e toccante che riflette la stasi e lo sconforto (sembra) perenne delle due infermiere, con una routine che sembra senza avvenire. Ma al tempo stesso emerge anche un’analisi sociopolitica, in cui si denunciano le evidenti disparità di genere, classe e religione radicate nel Paese.

È con tutte le tre figure femminili citate che All We Imagine As Light diventa un film di viaggio, nella seconda parte un viaggio che si sposta dal caos cittadino verso la costa, al traffico si sostituisce il suono delle acque, ed in mezzo alla natura rigogliosa il film trova la sua definizione.

data di pubblicazione:27/06/2024


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FREMONT di Babak Jalali, 2024

FREMONT di Babak Jalali, 2024

Donya è miracolosamente riuscita a fuggire da Kabul dove lavorava come traduttrice presso le truppe statunitensi in Afghanistan. Ora vive a Fremont, in California, operaia in una piccola fabbrica cinese di biscotti della fortuna. Il pensiero dei suoi familiari e il rimorso per averli abbandonati nel suo paese rende le sue notti insonni. Per risolvere questo problema inizierà a frequentare lo studio di uno psicoterapista e pian piano darà un senso alla sua solitudine…

Il regista Babak Jalali, di origini iraniane, insieme alla regista e sceneggiatrice italiana Carolina Cavalli, confeziona su misura un film sulla figura quanto mai enigmatica di Donya. Una rifugiata che vive ai margini di una comunità afghana, in un paese non suo e che cerca con ogni mezzo di farlo diventare suo. La ragazza passa il suo tempo tra la fabbrica di biscotti della fortuna, dove lavora, e la sua modesta camera in un vero e proprio ghetto dove sono vigenti le leggi e le usanze del lontano Afghanistan. Proprio nella solitudine della sue interminabili notti da insonne, i pensieri salgono alla sua mente e le creano forti tormenti. A Kabul ha infatti lasciato ogni cosa e tutti i propri affetti. Lei stessa però si considera una fortunata per essere riuscita a porsi in salvo, fortuna che forzatamente cerca di trasferire agli anonimi consumatori di quei biscotti che contengono all’interno un messaggio profetico. Film nella sostanza statico pone Donya (Anaita Wali Zada) al centro di una schermo che lei stessa riesce a trapassare con lo sguardo e raggiungere direttamente lo spettatore. Il film infatti ruota su una staticità e una riproduzione di gesti senza soluzione di continuità che, aiutate da una fotografia in bianco e nero, sono quanto mai funzionali e dipingere l’immagine di una donna sola in cerca di amore vero. Se la sorte pare si prenda gioco di lei, in effetti, dietro le quinte, sta preparando per la ragazza la possibilità di un lieto fine, fornita da un meccanico (Jeremy Allen White) anche lui triste e solo. Come ogni lavoro che in qualche modo si focalizzi solo su l’immagine malinconica del protagonista, anche questo film rischia di annoiare, se non addirittura infastidire, lo spettatore. Se lo si guarda invece nell’ottica di una sorta di emancipazione e crescita, nella ricerca di una felicità che stenta ad arrivare, allora il film di Babak Jalali assumerà una valenza particolare e se è vero che la felicità sta nel biscotto giusto, allora basta avere la fortuna di trovarlo.

data di pubblicazione:26/06/2024


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ALL WE IMAGINE AS LIGHT di Payal Kapadiya, 2024

L’HISTOIRE DE SOULEYMANE di Boris Lojkine, 2024

Un ciclista (rider) che consegna cibo a Parigi e richiedente asilo di nome Souleymane ha due giorni per preparare la sua storia per un colloquio decisivo per ottenere la residenza legale.

Premio della giuria e per la migliore interpretazione nella sezione ‘Un Certain Regard’, L’Histoire de Souleymane è un cine-documentario diretto da Boris Lojkine, che tratta la storia di un immigrato della Guinea che prova ad inserirsi nella capitale francese.

È un’opera accecante che Boris Lojkine trasforma in una romanzo umanistico che si muove a velocità continuamente esagerata nel cuore di Parigi, su una bicicletta di uno dei tanti ultimi della società, il cui futuro in Francia si deciderà due giorni dopo, durante un colloquio con l’Ufficio francese per la protezione dei rifugiati e degli apolidi.

Una Parigi non sicuramente “ville lumiere”, non usuale nelle altre classiche visioni dei vari registi, ma piena di caos, scorbutica e nevrotica per certi versi, con un uso istruito delle luci della città: i fanali delle biciclette, i fari degli autobus, i lampioni delle fermate.

La trama è un vero e proprio conto alla rovescia che dura poco meno di tre giorni, un breve periodo che ci consente di addentrarci ne dettagli della vita quotidiana di Souleymane, seguendone in tempo reale ogni singola mossa. È così che la sua storia personale emerge in tutta la sua frenesia e in tutta la sua realtà, senza nessun filtro, dando così come risultato un film sociale in cui si descrivono le reali condizioni di lavoro e la sua reale situazione.

L’interpretazione è schietta, la lingua libera e autonoma, senza dialoghi costruiti artatamente: siamo dall’inizio alla fine a fianco di Souleymane. La fotografia dà un taglio documentarista che si addice alla trama commovente. L’intervista finale è la vera chiusura dell’anello che permette di dare un senso al titolo del film “la storia di Souleymane”.

È uno di quei film che si possono anche definire necessari, con un taglio tipico alla Ken Loach, che parla anche di speranza, cosa di cui oggi abbiamo un immenso bisogno.

data di pubblicazione:25/06/2024


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L’ELEFANTE CHE AVEVA PERSO GLI OCCHI di e con Boni Ofogo

L’ELEFANTE CHE AVEVA PERSO GLI OCCHI di e con Boni Ofogo

e TAMBURO E VOCE BATTITI DI UN CANTASTORIE di e con Nando Brusco

(Associazione La Farfalla – Castel Fusano, 15 giugno 2024)

Due storytellers mescolano musica e parole per ridare vita alla tradizione secolare dei cantastorie. Tra colori e atmosfere di storie forse lontane, forse vicinissime, il festival internazionale di storytelling fa tappa a Roma.

Ci sono cantastorie che girano ancora per il mondo, come nelle leggende e nei racconti medievali. Oggi si chiamano storytellers, ma la sostanza resta la stessa: depositari di una tradizione orale lunga secoli, lasciano che le storie dei propri paesi viaggino sulle loro gambe. E il 15 e il 16 giugno, queste storie sono passate dalle parti di Roma sulle gambe di Boni Ofogo, storytellers camerunense, e di Nando Brusco, cantastorie calabrese. Nella splendida cornice della sede dell’associazione La Farfalla nella pineta di Castel Fusano, la sera del 15 giugno il pubblico ha ascoltato storie di Africa e Crotone, di piccoli ruscelli e di mare, di elefanti nervosi, re cacciatori e donne antiche. In un mix unico di lingue, armonie e stili narrativi, ci si lascia trasportare dalla musica e dalle parole, tutto rigorosamente improvvisato, come nella migliore tradizione dei cantastorie. Resta l’incanto per l’espressività di Ofogo e l’ammirazione per la maestria di Brusco, capace di alternare diversi tipi di percussioni e innumerevoli modulazioni della propria voce.

Da non perdere i prossimi appuntamenti del festival internazionale di storytelling, diretto da due italiani, Paola Baldi e Davide Bardi, dal 21 al 23 giugno all’Abbazia di Farfa. Protagoniste dei prossimi spettacoli, nonostante le inimmaginabili difficoltà per essere presenti, le sette storytellers palestinesi del gruppo Seraj Librieries di Ramallah. Storie da ascoltare, oggi più che mai.

data di pubblicazione:17/06/2024


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L’ARTE DELLA GIOIA di Valeria Golino, 2024

L’ARTE DELLA GIOIA di Valeria Golino, 2024

Modesta vive con la madre e la sorella disabile in una povera casa di campagna di un entroterra siciliano. In famiglia viene trattata con disprezzo e si illude di ricevere attenzioni solo da un padre, sempre assente, che le manifesta interesse, che lei inizialmente scambia per affetto ma che si tramuta in un atto di violenza. A seguito di un incendio, rimasta sola, viene accudita in un convento di suore dove tra figlie di principi e principesse dovrà adattarsi, facendo crescere in se’ stessa la consapevolezza che anche lei un giorno potrà raggiungere quel rango e imparare così cosa veramente sia “l’arte della gioia”…

In veste di regista Valeria Golino dà veramente prova di grande abilità nella trasposizione cinematografica del romanzo postumo della scrittrice Goliarda Sapienza. Con una sceneggiatura scritta a più mani, Golino dà il meritato valore a una narratrice siciliana che ha saputo descrivere il mondo arcaico della sua terra, andando contro a una cultura patriarcale tipica di quel periodo di inizio novecento, e riuscendo a sfidare con coraggio quella morale che mortificava nelle donne “l’arte della gioia” ovvero la possibilità di essere libere di scegliere come vivere la propria vita. Il film, presentato nelle sale in due parti ma che di fatto nasce come mini serie televisiva di Sky, ruota tutto intorno alla figura di Modesta che sin da bambina sa con consapevole certezza ciò che vuole e come dovrà ottenerlo. Lei stessa dimostrerà capacità di adattarsi a qualsiasi situazione, prima in un convento, dove vivrà accanto a delle novizie, poi nel palazzo nobiliare della principessa di Brandiforti dove darà subito prova di intelligenza e soprattutto di grande pazienza. Attraverso un matrimonio di convenienza, tra alterne vicende che lei stessa riuscirà a superare, anche a costo di travolgere senza scrupoli la vita di altri, Modesta si convertirà in una dama aristocratica, capace di badare a se stessa e alla casa a cui ora appartiene di diritto. Una manipolatrice che sa benissimo come raggiungere il suo scopo, sfruttando la seduzione come arma per conquistare sia uomini che donne. Ritratto quindi perfetto di un essere ribelle che sfida il suo tempo, capace di sapersi imporre e di apparire nello stesso tempo amante sensuale e madre irreprensibile. Il film di Valeria Golino è impeccabile in ogni dettaglio, specialmente nella regia e nella scelta del cast. A partire dalla protagonista assoluta della scena, interpretata dalla bravissima Tecla Insolia, a seguire con Valeria Bruni Tedeschi nei panni di una principessa Brandiforti che passerà alla storia, sino a Jasmine Trinca nel ruolo della tormentata badessa Eleonora. Nei ruoli maschili una nota di merito va a Guido Caprino. I dettagli sono curati dalla stupefacente fotografia di Fabio Cianchetti con il montaggio di Giorgio Franchini. La regista, che da giovane aveva lavorato a stretto contatto con Goliarda Sapienza, all’epoca apprezzata attrice di teatro, è riuscita appieno a trasfondere una storia scabrosa in un capolavoro cinematografico che farà conoscere il vero e genuino significato della vita, senza remore o false vergogne.

data di pubblicazione:17/06/2024


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THE ANIMAL KIMGDOM di Thomas Cailley, 2024

THE ANIMAL KIMGDOM di Thomas Cailley, 2024

A seguito di alcune inspiegabili mutazioni che stanno interessando gli uomini, François, accompagnato dal figlio Émile, va a trovare la moglie in osservazione presso un centro di ricerca. La donna, come tanti altri, si sta fisicamente trasformando in un animale e viene pertanto trasferita in un lager al sud della Francia. Nonostante queste precauzioni, il fenomeno sembra dilagarsi a dismisura e le autorità inizieranno a dar loro la caccia…

 

Come Gregor Samsa, che Kafka pone al centro del suo racconto La metamorfosi, così il genere umano, senza un perché, si ritrova un bel giorno a trasformarsi in un animale qualunque, forse un insetto forse un uccello, senza alcun apparente nesso logico. Il regista e sceneggiatore francese Cailley, qui al suo secondo lungometraggio in veste di regista, ci presenta un film ibrido del genere fantasy con tracce di fantascienza e horror. Gli esseri umani, trasformati geneticamente e fisicamente, risultano impotenti di fronte a questa inarrestabile alterazione. A loro non resta che comunicare la loro sofferenza tramite gli occhi, unico elemento dell’uomo a loro rimasto. Nel seguire i disperati tentativi di François alla ricerca di una moglie-orso dispersa in un bosco, non si può far altro che solidarizzare con lui che tenta il tutto e per tutto per salvaguardare l’incolumità di questa creatura, oramai indefinibile, braccata dalla polizia. Nella storia assume anche una posizione di rilievo la figura del figlio sedicenne che a tutti i costi deve lottare per ottenere tutto ciò che gli altri della sua età già hanno. La sua è anche una sfida contro il tempo perché il dramma che sta iniziando a mutare il suo corpo non lascia alcuna via d’uscita. Quello che veramente colpisce e come Émile tenti, per quanto possibile di ribellarsi, di nascondere questa stranissima condizione soprattutto di fronte al padre e ai compagni di scuola. Forse il regista trae spunto da questa singolare storia per parlare di diversità e di come per molti giovani di oggi diventi una vera e propria tragedia. Non si può rimanere quindi indifferenti di fronte a questa intensa sventura esistenziale, intrisa di genuino pathos affettivo, che coinvolge in egual misura tutti i protagonisti. Ottima regia e ottima interpretazione del giovane Paul Kircher e di Romain Duris, attori già più che collaudati in precedenti film. Presentato lo scorso anno a Cannes, The Animal Kingdom ha subito registrato un record di consensi e ha vinto ben 5 premi César tra cui come miglior colonna sonora, per le musiche di Andrea Laszlo De Simone, e per i migliori effetti speciali curati da MPC e Mac Guff. Se ne consiglia la visione.

data di pubblicazione:12/06/2024


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IL GRANDE CARRELLO di FABIO CICONTE e STEFANO LIBERTI

IL GRANDE CARRELLO di FABIO CICONTE e STEFANO LIBERTI

ECONOMICA LATERZA, 2024 – 124 pagine, 10 euro

Tutti i segreti della grande distribuzione visti da due esperti del settore.

Forse non tutti sanno che il primo supermercato fu inaugurato negli Stati Uniti nel 1956. È una conquista che diamo per scontata ma che in Italia si è apparentata allo sviluppo del boom e alla creazione di catene sempre più sofisticate con ragioni sociali spesso all’estero. Vi interesserà sapere chi sta meglio in termini di progresso nel fatturato. È Eurospin, piccolo gigante dell’hard discount che non pretende di competere con i colossi del settore come Coop e Conad ma si è ritagliato interessanti margini di sviluppo. In crisi invece i francesi: Carrefour e Auchan non hanno sfondato, a differenza di Lidl che nel rapporto qualità/prezzo è estremamente competitivo, come, su un altro asset, decisamente nordista, Esselunga. Il testo ci fa capire come la fidelizzazione dell’utente-cliente sia fondamentale e come l’esposizione della merce risponda a precisi criteri di visibilità e di fruizione. C’è una ragione se la frutta è in avvio di locale e i dolci alla fine. Ma il prodotto-base trainante per la politica aziendale è, inaspettatamente, la salsa di pomodoro. Quando vedi una bottiglia di vetro contenente il prezioso prodotto stesso coltivato per lo più nella valle del Sele in vendita a 0,39 euro ne puoi dedurre che sia venduto sotto costo come esca per l’acquisto di altri prodotti. Gli autori però fanno riflettere sul senso indotto di questa operazione che può sottendere caporalato, sfruttamento, sottovalutazione del lavoro agricolo. Al gioco delle aste per la fissazione della congruità dei prezzi pochi produttori possono sottrarsi. E quando vedete in vendita prodotti Coop o Conad non dovete credere che siano autenticamente prodotti dalla grandi catene, è una forma di subappalto di garanzia.

data di pubblicazione:12/06/2024

TOILET, una storia scritta, diretta e interpretata da Gabriele Pignotta

TOILET, una storia scritta, diretta e interpretata da Gabriele Pignotta

aiuto regia Julie Ciccarelli, supervisione artistica di Cristiana Vaccaro, musiche originali di Stefano Switala, scene Tiziana Liberotti. Produzione Artisti Associati

(Teatro Manzoni – Roma, 6/10 giugno 2024)

One man show da un’idea piccola ma enormemente valorizzata da un bagaglio teatrale pieno di sorprese e di eccellenti trovate. Un bagno in cui il protagonista è accidentalmente rinchiuso diventa la cartina di tornasole per la revisione della propria vita. Ma poco filosofia e molta pratica nel desiderio di sopravvivenza personale. Un gioco crudele in cui Pignotta spende bene le proprie innumerevoli carte. Con levità e mestiere

Nella funzionale scenografia di una toilette che più facilmente definiresti un cesso coagulano gli umori sulfurei del protagonista che clamorosamente manca l’appuntamento di lavoro top del proprio percorso professionale, constata l’inefficienza della burocrazia (nel caso specifico dei Carabinieri). Ha il torto di trovarsi solo e depresso in un luogo che non ha scelto e che nella descrizione diventa un desolato e triste non luogo. La porta che non si apre è lo sbarramento all’ambizione, alla voglia di costruire qualcosa di importante in capo a 47 anni di vita. La disperazione fa formulare pensieri all’ultima spiaggia (una proposta di matrimonio, una reunion con i genitori). Il caso può diventare anche di successo se è richiesta una denuncia di scomparsa che può alimentare la curiosità e le offerte di denaro delle trasmissioni televisive che si occupano dei ritrovamenti. Il marchio della piece è talmente di funzionale successo che la collocazione a fine stagione non è penalizzante perché dal teatro si passa al cinema con più ricchezza di budget e di personaggi. La claustrofobia rimanda all’aristotelica unità di azione, di luogo e di tempo. E Pignotta, che si lamenta con gli spettatori alla fine perché non gli hanno voluto aprire la porta che avrebbe risolto lo spettacolo, ritornerà in ben altra posizione nel cartello del Manzoni stagione 2024-2025.

data di pubblicazione:10/06/2024


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