THE DEVIL AND FATHER AMORTH di William Friedkin, 2017

THE DEVIL AND FATHER AMORTH di William Friedkin, 2017

(74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia)

Il regista del cult L’esorcista assiste, telecamera alla mano, a un vero esorcismo, praticato da padre Gabriele Amorth. La finzione e la realtà si toccano senza mescolarsi, così come la Fede e la Scienza, l’Irrazionale e la Ragione. Ognuno è libero di trovare le proprie risposte, semplicemente perché, forse, tutte le risposte sono “vere”.

The Devil and Father Amorth, fuori concorso a Venezia 74, era indubbiamente uno dei titoli più attesi al Lido, se non altro per la suggestiva sospensione tra finzione e realtà da cui muove l’idea di fondo del film. William Friedkin, meglio noto come il regista del cult L’esorcista, non ha mai assistito a una di quelle pratiche che il suo film ha contributo a fa conoscere al grande pubblico. Decide di rimediare quarant’anni più tardi e di farlo in grande stile: Friedkin ottiene l’autorizzazione per assistere, telecamera alla mano, a un esorcismo praticato da padre Gabriele Amorth. Si tratta della prima volta che la Chiesa accorda un simile permesso e padre Amorth morirà il 16 settembre 2016, pochi mesi dopo le riprese. I presupposti per una storia appassionante, dunque, sembrerebbero esserci tutti.

La “protagonista” dell’esorcismo è Cristina, architetto di Alatri: una storia come tante, eppure unica nel suo genere. Cristina accusa disturbi fisici e sofferenze spirituali e approda da Padre Amorth dopo essersi già sottoposta a dieci tentativi di liberazione. Neppure l’esorcista più noto al mondo riuscirà però nell’impresa di sconfiggere del tutto il Male che alberga in lei.

Il curioso esperimento cinematografico di Friedkin si articola su almeno tre piani narrativi: l’esorcismo “nudo e crudo”, le interviste ad esperti di psichiatria e il racconto in prima persona da parte del regista. Mentre i primi due livelli del film risultano di indubbio interesse, se non altro perché, riproducendo i termini dell’eterna dialettica tra Scienza e Fede, offrono un’alternativa all’interno della quale ciascuno può trovare la propria risposta, decisamente più debole risulta il racconto affidato direttamente allo stesso Friedkin. I toni somigliano troppo a quelli di uno spot “postumo” di un film, L’esorcista, che non ha certo bisogno di espedienti per essere ricordato, senza contare che le parole del regista e la colonna sonora scelta per scandire la parte finale della storia di Cristina sembrano assai distanti da quella patente di realtà che le immagini del “vero” esorcismo dovrebbero conferire al film.

Non resta, allora, che congedare The Devil and Father Amorth con le stesse parole usate da Padre Amorth per salutare i suoi “ospiti”: “Ora che vi ho benedetto, andare pure a farvi benedire”.







data di pubblicazione: 31/08/2017

THE DEVIL AND FATHER AMORTH di William Friedkin, 2017

NICO, 1988 di Susanna Nicchiarelli, 2017

 (74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia)

“Non chiamarmi Nico, chiamami con il mio vero nome: Christa”. Una parabola al contrario, e non il classico biopic, racconta pochi anni della vita di una icona senza raccontarne il tutto ovvero il personaggio e la sua carriera, ma al contrario come è diventata negli ultimi anni della sua vita. Da cantante dei Velvet Underground, modella e musa di Andy Warhol per la sua bellezza leggendaria, il personaggio Nico diviene Christa Päffgen e vuole camminare da sola come artista, come donna e come madre.

 

Apre la sezione Orizzonti l’inteso film di Susanna Nicchiarelli, vincitrice a Venezia nel 2009 per Controcampo con Cosmonauta, regalando al pubblico la storia di una donna che ha vissuto due vite andando prima in cima per poi toccare il fondo e scoprendo che entrambi erano “vuoti”. La Nicchiarelli racconta una piccola porzione della vita di questa donna, rappresentandola senza alcuna idealizzazione di quello che fu il suo periodo d’oro, concentrandosi solo su ciò che era diventata negli anni ’80, lontana dai clamori del successo, quando con la sua piccola band girava l’Europa. Il film si chiude nel 1988: alla vigilia del crollo del muro di Berlino e del grande cambiamento.

Ad incarnare Nico è la splendida attrice e cantante danese Trine Dyrholm, Orso D’Oro alla Berlinale 2016 per La comune ed interprete di film intensi come Festen, In un mondo migliore, Love Is All You Nedd, che riesce grazie alle sue doti di interprete a tutto tondo ad entrare nella voce oltre che nel fisico di Christa, una donna che “non si adatta bene e che lotta contro tante cose”, anche contro quella bellezza che un tempo le aveva regalato la notorietà, inventando assieme alla regista un personaggio dotato di una tagliente ironia, una buona dose di cinismo e di un atteggiamento dissacrante verso tutto ciò che l’aveva resa famosa. In particolare la regista si sofferma sul suo ruolo di madre e sul fragile rapporto che ha con il figlio Ari a causa della sua tossicodipendenza, a causa della quale le era stato sottratto alla tenera età di quattro anni ed affidato ai nonni paterni. Non essendoci molte testimonianze se non qualche filmato e le sue canzoni, alcuni dei personaggi rappresentati nel film sono inventati: essi creano una sorta di piccola comune che ruota intorno alla vita e all’arte della protagonista, per ammissione della stessa regista che ha dichiarato di aver ritrovato la realtà lavorando sulla fantasia.

I Gatto Ciliegia, gruppo musicale torinese fondato alla fine degli anni ’90, hanno curato le musiche del film come fu per Cosmonuata e La scoperta dell’alba.








data di pubblicazione: 31/08/2017

 

THE DEVIL AND FATHER AMORTH di William Friedkin, 2017

DOWNSIZING di Alexander Payne, 2017

(74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia)

 

E se la soluzione al sovraffollamento mondiale e all’imminente fine del nostro Pianeta fosse quella di rimpicciolire i suoi abitanti? Tanti Minuscoli, con meno bisogni e meno affanni e una nuova vita a portata di mano. Riusciranno i nostri (piccoli) eroi nell’impresa di salvare la Terra?

Rimpicciolire il mondo e i suoi abitanti per salvare entrambi. Downsizing di Alexander Payne (Sideways-In viaggio con Jack, Paradiso Amaro), cui è affidata l’apertura della 74. Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, muove da un’idea tanto semplice quanto potenzialmente dirompente. Degli scienziati norvegesi mettono a punto una tecnica di riduzione cellulare capace di trasformare (anche) gli essere umani in uomini minuscoli: riducendo le dimensioni del corpo scompare anche la massa di rifiuti che sta soffocando il nostro Pianeta e convertendo la popolazione mondiale in un esercito di Minuscoli, quindi, il sovraffollamento che sta conducendo ineluttabilmente alla distruzione della Terra potrebbe risolversi. I piccoli uomini hanno anche piccoli bisogni di tipo economico e questo, se da un lato li sottrae al “cerchio magico” dell’economia globale, dall’altro lato consente alla classe media di sperimentare il brivido della ricchezza. I Minuscoli, nelle comunità loro riservate, possono vivere in case da sogno, indossare diamanti e persino smettere di lavorare. Anche Paul Safranek (Matt Damon) e sua moglie Audrey (Kristen Wiig) decidono di sottoporsi al trattamento e di concedersi il lusso di una vita da sogno.

L’ingresso nella camera di rimpicciolimento (volevo che somigliasse a un gigantesco microonde, precisa Payne) somiglia in tutto e per tutto a una (ri)nascita, ma non serve molto tempo a rendersi conto che non è tutto oro quello che luccica. Persino l’Eldorado in scala non riesce ad evitare il formarsi (spontaneo?) di periferie e di classi sociali che vivono ai margini. Senza contare che la fine del mondo si avvicina a un ritmo sempre più incalzante, costringendo la prima comunità di Minuscoli ad escogitare un nuovo espediente che funzioni da Arca di Noè: l’obiettivo è sempre (solo?) quello di assicurare che quell’improbabile creatura che è l’essere umano possa continuare la sua straordinaria avventura.

Dopo un avvio in gran carriera, Downsizing diventa un crogiolo di episodi, personaggi e “morali della favola” non sempre ben amalgamati. Il cast (straordinari Christoph Waltz e Hong Chau) è di tutto rispetto costruito, ma la sceneggiatura è troppo ingombrante persino per le loro spalle robuste.

Il racconto apocalittico affidato ai toni della commedia grottesca (in perfetto “stile Payne”, che in conferenza stampa non fa mistero del suo amore per Cechov) insieme alla riflessione sui temi ambientali potevano risultare un binomio vincente. L’impressione, tuttavia, è quella per cui Downsizing, è il caso di dirlo, non abbia preso bene le misure.







data di pubblicazione: 31/08/2017

BUONE VACANZE!

BUONE VACANZE!

Se uno passasse un anno intero in vacanza, divertirsi sarebbe stressante come lavorare.
(William Shakespeare)

Un giorno, una settimana, un mese…Non importa quanto dureranno le vostre vacanze, l’importante è viverle come meritano!

BUONE VACANZE A TUTTI DA ACCREDITATI!

74. MOSTRA INTERNAZIONALE D’ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA – PRESENTAZIONE

74. MOSTRA INTERNAZIONALE D’ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA – PRESENTAZIONE

Un nuovo luogo e una nuova metodologia per la conferenza stampa di presentazione della 74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Quest’anno il Presidente della Biennale Paolo Baratta e il Direttore della Mostra Alberto Barbera offrono il programma “in pasto” alla stampa nella cornice del Cinema Moderno di Roma. Sullo schermo scorrono i titoli di tutti i film in programma. Tutti, per non fare torto a nessuno. La conferenza stampa dura quasi due ore e, forse, il tempo tiranno non consente al Direttore di dedicare la dovuta attenzione ai film inseriti in concorso.

Con enfasi particolare si dà risalto alla nuova VENICE VIRTUAL REALITY: la realtà virtuale forse non sarà il futuro del cinema, ma di sicuro è un orizzonte che Venezia non può permettersi di lasciare nell’ombra. Le nuove sale del Lazzaretto vecchio (sperando che il nome non sia evocativo) ospiteranno cortometraggi inseriti nel contesto della realtà virtuale, sconsigliata, almeno per ora, a chi soffre di vertigini e di nausea.

Sul versante più “tradizionale”, le parole di Barbera lasciano trasparire un cinema italiano e americano in ottimo stato di salute.

Il cinema italiano riesce dopo anni a coniugare quantità e qualità, con tanti film di ottimo livello. Quattro i made in Italy in CONCORSO, chiaramente molto diversi tra loro: Una famiglia di Sebastiano Riso (con Micaela Ramazzotti), Hannah di Andrea Pallaoro (con una sola attrice: Charlotte Rampling), The Leisure Seeker di Paolo Virzì (con Helen Mirren) e “il film che parla al pubblico” Ammore e malavita dei Manetti Bros (con buona parte della squadra di Song ‘e Napul).

Tra i made in USA grande attesa per il film di apertura Downsizing di Alexander Payne (con Matt Damnon), ma soprattutto per The Shape of Water, che il Direttore non esita a definire il miglior film di Guillermo Del Toro dell’ultimo decennio. Il lido si tingerà di glamour con l’arrivo di George Clooney, che porta al lido il suo Suburbicon e con Mother! di Darren Aronofsky (con Jennifer Lawrence, Javier Bardem, Michelle Pfeiffer). Atteso anche Human Flow di Ai Weiwei.

Tra i “ricchi” FUORI CONCORSO si segnalano Il colore nascosto delle cose di Silvio Soldini (con Valerio Golino e Adriano Giannini), in cui il regista continua nell’esplorazione del mondo dei non vedenti avviata negli scorsi anni; Il Signor Rotpeter di Antonietta De Lillo, dal noto racconto di Kafka; Diva! Di Francesco Patierno (con Barbara Bobulova, Anita Caprioli, Carolina Crescentini, Silvia D’Amico, Isabella Ferrari, Carlotta Natoli, Greta Scarano, Anna Foglietta, Michele Riondino) dedicato alla vita di Valentina Cortese; Zama di Lucrecia Martel; Cuba and the cameraman di Jon Alpert, unico giornalista americano riuscito nell’impresa di conquistare la fiducia di Fidel Castro; Piazza Vittorio di Abel Ferrara, dedicato al crociolo culturale rappresentato dall’omonima piazza romana; The Devil and Father Amorth di William Freidkin, che muove dalle riprese dell’ultimo esorcismo di Padre Amorth.

Di particolare interesse anche la Sezione ORIZZONTI. Tra le opere prime si segnalano Brutti e cattivi di Cosimo Gomez e Disappearance dell’iraniano-romano Ali Asgari. Targato Italia è anche il film di animazione Gatta Cenerentola di Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri, Dario Sansone e La vita in comune di Edoardo Winspeare. Molti i casi di cronaca che approdano al Lido, tra cui The rape of Recy Taylor, storia di uno stupro ai danni di una donna di colore rimasto sostanzialmente impunito e Caniba, che racconta un episodio di omicidio seguito da cannibalismo.

Il CINEMA NEL GIARDINO ospiterà, tra gli altri, gli italiani Suburra – la serie, Controfigura e Nato a Casal di Principe.

Tra gli EVENTI SPECIALI doveroso il riferimento a Casa d’altri di Gianni Amelio, “omaggio” al cuore d’Italia colpito dal terremoto, che sarà proiettato il 31 agosto.

Volendo individuare delle “linee tematiche”, la fanno da padrone, ad avviso del Direttore, il tema dell’immigrazione e quello della famiglia o, meglio, della sua crisi. Vietato invece parlare di crisi del cinema. Anche se tra i tanti produttori presenti alla Mostra si è sottolineato a più riprese il solo nome di Netflix.

Non resta che salpare alla volta del Lido. Appuntamento dal 30 agosto al 9 settembre…ovviamente con Accreditati!

Data di pubblicazione: 27/07/2017

LA STREGA di Camilla Läckberg – Marsilio, 2017

LA STREGA di Camilla Läckberg – Marsilio, 2017

Nuova indagine della polizia di Tanumshede che vede protagonista la squadra guidata da Patrik Hedström, con il fondamentale supporto dalla moglie, la scrittrice Erica Falck.

Erica sta facendo ricerche per il suo nuovo libro, che ha per oggetto l’omicidio, avvenuto negli anni Ottanta, della piccola Stella di quattro anni, ritrovata cadavere in uno stagno nel bosco dietro casa: ree confesse, vennero condannate le due tredicenni Hellen e Marie alle quali era stata affidata Stella e che, in seguito, ritrattarono le loro dichiarazioni proclamandosi innocenti.

Hellen non si è mai allontanata da Fjällbacka, se non per un limitato periodo di tempo subito dopo la sentenza di colpevolezza, si è sposata ed è tornata a vivere nella casa avita con il marito; Marie è la prima volta che torna “a casa” dopo essere andata via da Fjällbacka  all’indomani del processo ed è la carriera di star hollywoodiana che la riporta nel suo paese natale per le riprese di un film.

Proprio quando le due “omicide” sono di nuovo contemporaneamente a Fjällbacka avviene un nuovo omicidio, quello di Linnea, una bambina della stessa età di Stella che viveva con i genitori in quella che era stata proprio la casa di Stella: il suo corpicino viene ritrovato nel bosco dietro casa, vicino allo stagno dove era stata ritrovata Stella…

Troppe le coincidenze per non pensare che i due casi siano correlati; ma per questa seconda morte Hellen e Marie hanno un alibi e i dubbi che sorgono a Patrik sono molteplici: fu un errore non credere alla ritrattazione delle due adolescenti in occasione del primo omicidio? Per tutti questi anni un killer si è aggirato libero fino a scatenare ancora la sua furia omicida al ripresentarsi delle situazioni presenti nel primo omicidio? Oppure si tratta di un semplice emulatore?

Mentre Patrik porterà avanti le indagini sull’omicidio di Linnea con la sua squadra, Erica metterà ancora più impegno nello scavare nel passato, nell’intervistare i testimoni del primo omicidio per riportare a galla qualche verità che, forse, è stata taciuta per troppo tempo.

Nel corso di poco meno di 700 pagine la Läckberg toccherà molteplici argomenti che creeranno un intreccio unico tra le due indagini, i vari personaggi ci presenteranno, con la propria voce, la loro verità fin quasi a costruire un rapporto personale con il lettore; gli argomenti che verranno trattati sono molteplici, dal bullismo all’immigrazione, dal razzismo all’integrazione.

Come sempre sarà presente un doppio piano narrativo che si contrapporrà alla storia presente; questa volta il “secondo piano” è la caccia alle streghe che avvenne nella provincia del Bohuslän nel 1600 e, se nel corso del romanzo può essere sembrato un dipanarsi parallelo del clima di sospetto e paura del “diverso”, nelle ultimissime pagine verrà chiarito come ci si ricollega, dopo circa quattro secoli, agli omicidi perpetrati nella magnifica cittadina sulla costa occidentale svedese.

data di pubblicazione:18/07/2017

YERULDELGGER di Ian Manook – Fazi, 2017

YERULDELGGER di Ian Manook – Fazi, 2017

Secondo capitolo della trilogia con il commissario Yeruldegger nel grandioso paesaggio della Mongolia.

È il terzo inverno in cui la “sciagura bianca” avvolge la steppa lasciando dietro di sé una scia di cadaveri di uomini e animali. Troviamo l’ispettrice Oyun accoccolata nella neve per controllare un “monticello di cadaveri” che si staglia come unica protuberanza per chilometri nella steppa; la gamba di un uomo spunta dal un cumolo di carcasse congelate tra un cavallo, su cui probabilmente stava viaggiando, e un dzo che, non si capisce come, sembra le sia letteralmente caduto sulla testa.

Così inizia il nostro nuovo viaggio in compagnia di Ian Mannok che, seguendo le indagini dell’ineffabile Yeruldelgger e della sua squadra, ci porta ancora una volta alla scoperta della spettacolare Mongolia.

Lasciamo l’ispettrice Oyun nella steppa vetrificata dal gelo dello dzüüd e torniamo nella capitale dove viene rinvenuto il cadavere di Colette, la prostituta che nel precedente libro aveva aiutato il commissario Yeruldegger a fare pulizia tra le fila della polizia corrotta di Ulan Bator, ed è proprio lui a essere accusato della sua morte.

Non sarebbe il personaggio forte che abbiamo imparato a conoscere se rimanesse inerme in attesa di giudizio: Yeruldegger si lancia sulle tracce di Ganshü, il figlio scomparso di Colette, e arriva fino in Normandia dove scoprirà  un fitto intrigo che coinvolge servizi segreti, militari e la parte corrotta della politica mongola e che lo obbligheranno a prendere in mano le armi e a mostrarci un volto crudele che il Settimo Monastero Shaoilin non è riuscito a mitigare.

Purtroppo anche questa volta, come per la precedente recensione di Morte nella steppa, non posso non criticare l’intreccio narrativo che ci presenta Manook. Gli accadimenti che si concatenano nelle quasi 500 pagine sono assolutamente inverosimili, l’indagine è contorta, ingarbugliata e assurda. Ma, come per il primo romanzo, la maestria con cui descrive la Mongolia è assolutamente perfetta:  le pietanze, i paesaggi sterminati, le tradizioni millenarie, Mannok riesce a rendere incantevole persino il terribile dzüüd  che si abbatte sulla steppa sconfinata.

Il desiderio di proseguire la lettura per farsi avviluppare dalle descrizioni di questo mondo affascinante è tale che, anche questa volta, sono passata sopra alla trama “zoppicante”, Mannok scrive e ti avvolge, come se tu fossi lì, come se i trenta gradi sotto zero della sciagura bianca bruciassero la tua pelle, come se il calore del Gurgur,  tè con il burro salato di yak, si spandesse tra le tue membra intorpidite. Leggere questi romanzi di Manook è stato per me come viaggiare per paesaggi che, temo, non potrò conoscere se non tramite le sue descrizioni, paesaggi che mi hanno totalmente stregata e di cui, tutte le volte che leggo l’ultima pagina sento, forte, la nostalgia.

Questo è il motivo per cui sicuramente leggerò La morte nomade, ultimo capitolo della saga di Yeruldelgger Khaltar Guichyguinnkhen, libro già pubblicato in Francia che, spero presto, Fazi pubblicherà anche in Italia.

data di pubblicazione:12/07/2017

PRELUDE – IL TEATRO CHE DANZA, concept e coreografia di Cristina Kristal Rizzo

PRELUDE – IL TEATRO CHE DANZA, concept e coreografia di Cristina Kristal Rizzo

(Teatro India – Roma, 4 e 5 luglio 2017)

In questo primo scorcio del nuovo millennio abbiamo imparato obtorto collo a prendere familiarità con nuove espressioni artistiche che attraverso la pura sperimentazione ci hanno insegnato a digerire, non senza la necessaria concentrazione, quello che in termini architettonici viene definito come decostruttivismo. La forma viene scomposta nei suoi vari elementi primari per generare un caos che diventa, con un ossimoro, proprio l’elemento regolatore dei singoli frammenti e ne costituisce paradossalmente il nuovo legante. Prélude, spettacolo di danza ideato della coreografa Cristina Kristal Rizzo e presentato al Teatro India nell’ambito della rassegna il Teatro che Danza, sembra ricalcare questo concetto di base rivisitando, con una propria personale visione, l’idea di ensemble per lasciare spazio ad ogni singolo elemento danzante di manifestare la propria individualità. Qui preludio ed epilogo si sovrappongono senza soluzione di continuità. I protagonisti, tutti di elevata bravura, riempiono con i loro incessanti movimenti una scena vuota e semibuia, come monadi che esistono in maniera autonoma, tutte concentrate a rappresentare se stesse in una ricerca spasmodica di libertà mediante un’attività di attrazione-repulsione. Più che apprezzabile l’iniziativa del Teatro di Roma che con questo progetto, già iniziato il 13 giugno e che durerà fino a metà luglio e poi con una breve ripresa a settembre, ci presenta le nuove tendenze della danza contemporanea frutto del lavoro di giovani coreografi e danzatori provenienti da diversi paesi, ognuno con le proprie peculiarità nate in ambienti totalmente eterogenei. Ben riuscito il lavoro di Cristina Kristal Rizzo che si è avvalsa della collaborazione di Simone Bertuzzi/Palm Wine per la selezione musicale e di Caned Icoda per i costumi. Sicuramente un’esperienza interessante per il folto pubblico in sala, indotto ad elaborare un’astrazione dal proprio immaginario di danza e spinto a indagare un campo espressivo del tutto nuovo, affascinante e decisamente conciliabile con l’inquietudine del presente.

data di pubblicazione:05/07/2017


Il nostro voto:

NASTRI D’ARGENTO 2017

NASTRI D’ARGENTO 2017

(Taormina, 1 luglio 2017)

La tenerezza è l’autentico trionfatore dei Nastri d’argento 2017, assegnati lo scorso 1 luglio presso il Teatro Antico di Taormina. Il racconto a toni cupi di Gianni Amelio stringe tra le mani lo scettro del miglior film (gli altri candidati erano concorrenti d’eccezione come Fiore, Fortunata, Indivisibili e Tutto quello che vuoi), ma si aggiudica anche i premi per la miglior regia, la miglior fotografia (Luca Bigazzi) e il miglior attore protagonista (Renato Carpentieri).

Nessuna sorpresa per la miglior attrice protagonista: la Fortunata Jasmine Trinca, appena reduce dal successo di Cannes. Il palmarès al femminile è completato dall’ex aequo per la migliore attrice non protagonista tra Sabrina Ferilli (Omicidio all’italiana) e Carla Signoris per Lasciati andare e dal Nastro d’argento europeo a Monica Bellucci per On the milky road.

Alessandro Borghi può invece fregiarsi del titolo di miglior attore non protagonista per Fortunata.

La migliore sceneggiatura è invece quella di Francesco Bruni per Tutto quello che vuoi, che si cinge anche del Nastro speciale al suo magnifico Giuliano Montaldo.

Indivisibili di Edoardo De Angelis, pur assente dai premi “più importanti”, non delude le aspettative, aggiudicandosi cinque Nastri e divenendo quindi il film più premiato: miglior produttore (Attilio De Razza e Pier Paolo Verga), miglior soggetto (Nicola Guaglianone), migliori costumi (Marco Cantini Parrini), miglior colonna sonora (Enzo Avitabile), miglior canzone originale (Abbi pietà di noi di Enzo Avitabile).

Fai bei sogni riceve i nastri per il miglior montaggio (Francesca Calvelli), migliore scenografia (Marco Dentici, anche per Sicilian ghost story)

Il miglior regista esordiente è Andrea De Sica con I figli della notte, mentre la miglior opera prima è Il più grande sogno di Michele Vannucci.

La miglior commedia dell’anno è invece L’ora legale di Ficarra e Picone.

 Molte conferme e tante sorprese nella serata condotta da Andrea Delogu, che andrà in onda su Raiuno il 14 luglio (ore 23.20), anticipata mercoledì 5 da un Movie Mag Speciale su Rai Movie.

data di pubblicazione: 03/07/2017

IO SONO DOT di Joe R. Lansdale – Einaudi, 2017

IO SONO DOT di Joe R. Lansdale – Einaudi, 2017

Dorothy “Dot” Sherman  è la narratrice, protagonista adolescente, dalla quale il romanzo prende il nome. Sicuramente non è il mio romanzo preferito tra quelli scritta da Lansdale: la rappresentazione degli anni della Depressione di In fondo alla palude o L’ultima caccia sono assolutamente coinvolgenti, e sono rimasta conquistata da La sottile linea scura, ma la personalità di Dot è assolutamente unica, le descrizioni che fa di ciò che le accade: “In quel momento Herb parcheggiò accanto a me…. mi faceva sentire come se fossi seduta in un carretto trainato da un asino morto…” oppure “Nonna mi portò i giornali. Erano interessanti quasi quando fare la tintura a un topo.” o i battibecco che ha lo “zio” Elbert “… ero lì in Kansas. Avevano bisogno di qualcuno che si vestisse da pagliaccio per i bambini, per la parte dello spettacolo dedicato a loro” “Deve essere stato difficile, con una bottiglia di birra in mano….” sono assolutamente esilaranti, il linguaggio di Dot è dissacrante e la battuta ironica sempre pronta.

La prosa di Lansdale è costantemente godibile e la descrizione della vita in una cittadina del Texas della classica famiglia americana che vive ai margini in una casa mobile con lavori mal pagati e sussidi è veramente pregevole.

La storia è quella della diciassettenne Dot che vive in una casa mobile con la sua famiglia composta da madre, nonna, il fratellino Frank e la sorella con i suoi figli che, perlomeno saltuariamente, chiede asilo dalle botte del marito nella già stracolma roulotte: l’unico che manca è il padre, uscito cinque anni prima per prendere delle sigarette e mai più rientrato.

Dot, per aiutare il bilancio familiare, sfreccia sui pattini servendo la cena ai clienti seduti nelle proprie macchine al “Dairy Bob”, ed è assolutamente determinata a non compiere gli errori in cui sono cadute la sorella e la madre: vuole conseguire il diploma e non annullare la propria vita per un ubriacone che la picchi e la abbandoni con dei bambini.

L’arrivo dello “zio” Elbert sarà di aiuto al riscatto di Dot, le darà la carica e la tenacia per sciogliere alcuni nodi che la perseguitano e tentare di avere qualche cosa di più, non sarà importante cosa o come, e le fa capire che ce la può fare, può riuscire in ciò che ritiene sia giusto per lei, e glielo dice molto chiaramente: “Sai cosa penso? – disse – Penso che siamo tutti responsabili di ciò che facciamo. Non è colpa degli altri. Non è sempre colpa della genetica, e di come ci hanno fatto crescere, perché ci sono tante persone nate in contesti orribili, che hanno subito ogni sorta di torti e non per questo sono diventate spregevoli. Scegliamo di essere quel che siamo. Diventiamo quel che vogliamo essere”.

data di pubblicazione:03/07/2017