OSCAR 2017 – I VINCITORI

OSCAR 2017 – I VINCITORI

Gli Oscar 2017  confermano in larga parte i pronostici: da una parte la mastodontica operazione artistico-commerciale realizzata con La la Land e dall’altra parte, a fare da contraltare, l’impegno politico-sociale di Moonlight e la ribalta del cinema di nicchia con Manchester by the Sea.
A fare da sfondo (anche questo era in larga parte prevedibile), la nuova “era Trump”, rispetto alla quale il cinema, non solo americano, ha fin da subito mostrato la sua insofferenza.
La sola autentica sorpresa, per la verità già lasciata presagire dalle dichiarazioni rese nei giorni scorsi da Gianfranco Rosi, sta nella mancata vittoria di Fuocoammare, battuto nella categoria del miglior documentario da OJ: made in America: i mali e i vizi made in Usa hanno la meglio sulle tragedie made in Italy.
La la Land la fa da mattatore, aggiudicandosi sei statuette e, in particolare, il trofeo per la miglior regia a Daniel Chazelle e quello per la miglior attrice protagonista a Emma Stone, che ha la meglio sulla Jackie di Natalie Portman.
Il premio per il miglior attore protagonista va invece a Casey Affleck per Manchester by the Sea, pellicola che si aggiudica anche la statuetta per la miglior sceneggiatura originale.
Moonlight viene invece incoronato miglior film della stagione cinematografica in corso, con buona pace delle politiche che il nuovo Presidente sembra intenzionato a portare avanti e …dopo l’errore nell’annuncio di Warren Beatty, che ha annunciato La la Land come miglior film vincitore invece di Moonlight.
Confermate le aspettative della vigilia per l’iraniano Il Cliente, miglior film straniero, anche se Asghar Farhadi sceglie di non presentarsi per ritirare il premio dalle mani dell’America di Donald Trump.
Arrival, invece, deve accontentarsi della statuetta per il miglior montaggio sonoro.

Riportiamo qui di seguito la lista di tutte le candidature, con il vincitore di ciascuna categoria.

 MIGLIOR FILM

La La Land
Moonlight
Manchester by the Sea
Arrival
Fences
Hacksaw Ridge
Hell or High Water
Hidden Figures
Lion

 MIGLIOR REGIA

Damien Chazelle (La La Land)
Barry Jenkins (Moonlight)
Kenneth Lonergan (Manchester by the Sea)
Denis Villeneuve (Arrival)
Mel Gibson (Hacksaw Ridge)

ATTORE PROTAGONISTA

Ryan Gosling (La La Land)
Casey Affleck (Manchester by the Sea)
Andrew Garfield (Hacksaw Ridge)
Viggo Mortensen (Captain Fantastic)
Denzel Washington (Fences)

ATTRICE PROTAGONISTA

Emma Stone (La La Land)
Natalie Portman (Jackie)
Isabelle Huppert (Elle)
Ruth Negga (Loving)
Meryl Streep (Florence Foster Jenkins)

 ATTORE NON PROTAGONISTA

Mahershala Ali (Moonlight)
Jeff Bridges (Hell or High Water)
Lucas Hedges (Manchester by the Sea)
Dev Patel (Lion)
Michael Shannon (Nocturnal Animals)

ATTRICE NON PROTAGONISTA

Michelle Williams (Manchester by the Sea)
Viola Davis (Fences)
Nicole Kidman (Lion)
Octavia Spencer (Hidden Figures)
Naomie Harris (Moonlight)

 

SCENEGGIATURA ORIGINALE

La La Land
Hell or High Water
The Lobster
Manchester by The Sea
20th Century Women

 

SCENEGGIATURA ADATTATA 

Arrival
Fences
Hidden Figures
Lion
Moonlight

 MIGLIOR FILM STRANIERO 

Land of Mine (Danimarca)
A Man Called Ove (Svezia)
Il Cliente (Iran)
Tanna (Australia)
Toni Erdmann (Germania) 

 

MIGLIOR FILM D’ANIMAZIONE

Oceania
Zootropolis
Kubo e la spada magica
The Red Turtle
My Life as A Zucchini

 

MIGLIOR FOTOGRAFIA

Arrival
La La Land
Lion
Moonlight
Silence

 

MIGLIOR MONTAGGIO

La La Land
Arrival
Moonlight
Hell or High Water
Hacksaw Ridge

 

MIGLIOR SCENOGRAFIA

Arrival
Fantastic Beasts and Where To Find Them
Hail Caesar
La La Land
Passengers

 

MIGLIORI COSTUMI

Allied
Fantastic Beasts and Where To Find Them
La La Land
Jackie
Florence Foster Jenkins

 

MIGLIOR TRUCCO E ACCONCIATURE

A Man Called Ove
Star Trek Beyond
Suicide Squad

 

MIGLIORI EFFETTI SPECIALI 

Rogue One: A Star Wars Story
Deepwater Horizon
Doctor Strange
Il Libro della Giungla
Kubo e la spada magica

 

MIGLIOR SONORO

Arrival
Hacksaw Ridge
La La Land
Rogue One: A Atar Wars Story
13th

 

MIGLIOR MONTAGGIO SONORO

Arrival
Deep Water Horizon
La La Land
Hacksaw Ridge
Sully

 

MIGLIOR COLONNA SONORA ORIGINALE

La La Land
Jackie
Lion
Moonlight
Passengers

 

MIGLIOR CANZONE

City of Stars (La La Land)
Audition (La La Land)
Can’t Stop the Feeling (Trolls)
The Empty Chair (Jim: The James Foley Story)
How Far I’ll Go (Oceania)

 

MIGLIOR DOCUMENTARIO 

Fuocoammare
I Am Not Your Negro
Life
Animated
OJ: Made in America
13th

 

MIGLIOR CORTO DOCUMENTARIO

Extremus
4.1 Miles
The White Helmets
Joe’s Violin
Watani My Homeland

 

MIGLIOR CORTOMETRAGGIO 

Ennemis Interieurs
La Femme et le TGV
Silent Nights
Sing
Timecode

 

MIGLIOR CORTOMETRAGGIO D’ANIMAZIONE

Pearl
Piper
Blind Vaysha
Pear Cider and Cigarettes
Borrowed Time

 

 

 

TRE FIGLIE DI EVA di Elif Shafak – Rizzoli, 2016

TRE FIGLIE DI EVA di Elif Shafak – Rizzoli, 2016

Tre figlie di Eva è il nuovo romanzo di Elif Shafak, la stessa autrice de La bastarda di Istanbul.

Nella narrazione si alternano momenti vissuti nel presente, a Istanbul, a ricordi della vita oxfordiana della protagonista Nazperi Nalbantoglu, detta Peri, durante i quali conosceremo anche le sua amiche di allora: Shirin e Mona.

La storia inizia a Istanbul: Peri ha trentacinque anni, tre figli, un marito e una vita agiata, si sta recando con la figlia maggiore a una lussuosa cena da amici del marito, mentre è in fila nel traffico le viene rubata la borsa.

Peri reagisce e insegue le ladre, nella colluttazione che ne segue dalla borsa riemerge una vecchia foto, una polaroid in cui compaiono i quattro volti sorridenti di un uomo e delle sue tre giovani amiche musulmane in un paese lontano da quelli di origine, tre amiche che vivono la loro religione in modo molto diverso una dall’altra, la Peccatrice, la Credente e la Dubbiosa: Shirin, iraniana espatriata con la sua famiglia in Inghilterra per le restrizioni imposte nel suo paese, è bellissima, atea e volitiva; Mona, la Credente, è un’americana di origini egiziane, osservante e femminista porta il velo per sua scelta e infine Peri, la Dubbiosa, figlia di una coppia in totale disaccordo, madre religiosissima ai limiti del fanatismo, padre socialista, laico e totalmente ateo …“la religione era piombata nella loro vita inattesa come un meteorite e vi aveva scavato un baratro dividendo la famiglia in due campi in conflitto.”; mentre suoi fratelli maggiori scelgono ognuno la propria fazione, Peri cerca di non scontentare nessuno dei genitori, ma questa incapacità di prendere posizione ne fa una giovane insicura, costantemente impantanata nel incertezza del dubbio.

Infine l’unico uomo ritratto nella foto, il professor Azur, che le tre ragazze hanno conosciuto frequentando il suo seminario su Dio, è un fervente sostenitore del dubbio come unica via della conoscenza: “… nessuno dei due sembra capire che io, come semplice essere umano, ho bisogno sia della fede, sia del dubbio. L’incertezza, signori miei, è un dono. Non schiacciamolo, facciamogli onore: è di lì che passa la Terza Via.” L’incontro con Azur sconvolgerà la vita di Peri fino ad arrivare a uno scandalo che avrà una enorme eco a Oxford e che la riporterà in Turchia. Uno scandalo che Peri affronterà, come sempre nella sua vita, senza prendere una posizione netta e che le lascerà, per tutti gli anni a venire, un senso di “incompiuto”.

La foto che le è tornata tra le mani, dopo il tentativo di furto, le riporterà alla mente tutti i ricordi del suo periodo oxfordiano, le delusioni e le ferite subite e mai curate ma solo sopite dal tempo, Peri capisce che non può continuare così, che deve prendere in mano il suo passato e chiudere tutti i conti in sospeso per continuare a vivere serenamente.

Libro, bello e intenso che alterna il tema della religiosità a quello della crescita personale a quello dell’amicizia e della delusione.

data di pubblicazione:26/02/2017

JACKIE Pablo Larraín, 2017

JACKIE Pablo Larraín, 2017

Una donna che non ha cercato la celebrità, ma è finita col diventarlo.

Ognuno di noi ha le sue debolezze, i suoi punti fragili, i suoi momenti buî. Ed è in questi ultimi che si misura il valore di un uomo: dal modo in cui reagisce al dolore, da come si rialza dopo esser caduto.

Jacqueline Kennedy ha ancora il vestito macchiato di sangue, quando le viene chiesto di decidere come saranno celebrati i funerali. Una scelta difficile e importante, che deve rendere onore a un uomo non perfetto, ma proprio per questo capace di migliorarsi.

Nonostante le ritrosie degli alti funzionari di Stato, modella il funerale su quello di un altro illustre presidente degli Stati Uniti d’America: Abraham Lincoln (assassinato anche lui durante il suo mandato); pretendendo, pertanto, che tutti i capi di stato marcino insieme fino al cimitero dove il corpo sarà seppellito.

“Jackie” volle fortemente che i funerali di J.F. Kennedy fossero un evento storico e irripetibile: e ci riuscì.

Il film rivela una first lady che, dietro un’apparente fragilità – con la sua voce dal tono basso e debole –, cela un temperamento ferreo e risoluto. Una donna capace di vincere tutte le resistenze, sia interne sia esterne, nel momento di massima sofferenza.

A Pablo Larraín va il merito di aver mostrato l’esecrabile episodio della morte di J.F. Kennedy da un punto di vista inedito, descrivendo l’enorme peso delle responsabilità che ricaddero sulla moglie (e che lei seppe gestire in modo sorprendente). La regia, tuttavia, appare alquanto anonima ed eccessivamente distaccata; non riesce ad affascinare; malgrado diverse componenti del film convincano: le musiche inquietanti si attagliano perfettamente alle scene e aumentano il dramma; la sceneggiatura è ricca di spunti che colpiscono; e le prove attoriali elevano la qualità della pellicola. Sotto quest’aspetto, è d’uopo menzionare la sublime interpretazione di Natalie Portman (Jacqueline Kennedy); il ruolo ricoperto le consente di mostrare le sue eccezionali doti di mimetismo di aggiudicarsi la coppa Volpi, per la migliore interpretazione femminile.

E se nella nostra società si distinguono due categorie di donne, quelle che cercano il potere nel mondo e coloro che lo cercano a letto, lei – come Jacqueline Kennedy – dimostra di appartenere alla prima categoria.

data di pubblicazione:22/02/2017


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NON C’È ACQUA PIÙ FRESCA di Giuseppe Battiston, con musiche originali e dal vivo di Piero Sidoti

NON C’È ACQUA PIÙ FRESCA di Giuseppe Battiston, con musiche originali e dal vivo di Piero Sidoti

(Teatro Vascello – Roma, 20 Febbraio 2017)

“L’allestimento dello spettacolo nella terra delle acque risorgive diventa occasione per un tripudio di sensazioni evocative.”

Un cielo nemboso, rischiarato qua e là dalla luce del sole, minaccia un prato verdeggiante sul quale si staglia un AMI 200, intramontabile jukebox degli anni Sessanta. Il paesaggio raffigurato nell’opuscolo consegnato all’ingresso si dispiega come il mantice di una fisarmonica, dando vita alla prima villotta, che trasporta immediatamente lo spettatore in Friuli-Venezia Giulia: il “paese di primule e tempeste”, come amava definirlo Pasolini.

Nella piazza principale di Casarsa, due attori sono intenti ad allestire il palco per lo spettacolo che dovranno mettere in scena. Durante i preparativi, i due ricordano il loro passato nel paese friulano, attraversato dalla linea delle risorgive, dove l’acqua è più fresca e, quando la stagione lo permette, si va al fiume Tagliamento per un bagno rigenerante. In questa atmosfera evocativa si materializzeranno man mano i personaggi che popolano questo scenario: da soldati abbandonati a operai sfruttati, da padri severi a ricchi austeri, da fanciulle desiderate a giovani disperati. E tutti prenderanno parte a questo surreale clima festoso, di sagra paesana, in cui si balla, si suona, si ride e si canta con un sottofondo di malinconia.

Il friulano Battiston porta in scena le poesie composte da Pasolini durante la sua infanzia passata in Friuli. Componimenti interamente scritti in dialetto: una lingua ricca di parole tronche – che risuonano taglienti come la falce mentre ara i campi – dal suono cadenzato e profondo, come il rumore del gorgoglio delle acque rivierasche. Nella sublime recitazione da parte dell’attore udinese, impreziosita dall’accompagnamento musicale di Piero Sidoti, il dialetto si mescola alla natura, diventando tutt’uno con essa.

In questo viaggio emozionale un ruolo fondamentale è assunto dalle luci (curate da Andrea Violato), che attraverso colori cangianti riescono a rievocare efficacemente i paesaggi friulani, esaltando così le diverse scene interpretate.

Uno spettacolo in cui sono presenti tutti gli ingredienti per il successo – sebbene appaia ancora alla ricerca delle giuste dosi. D’altronde, la fase iniziale della rappresentazione non riesce a calamitare l’attenzione del pubblico, perché indugia molto su particolari che successivamente si riveleranno non essenziali; e anche la scelta di quali parti delle poesie valorizzare può non apparire opportuna. Il finale rimane tuttavia coinvolgente e commovente; un crescendo di emozioni che culminano nei versi conclusivi, in cui riecheggia tremendamente la parola morte. Morte che – come scriveva il poeta – fa della vita quel che il montaggio fa del film: realizza un senso già implicito in ogni fotogramma precedente, che attendeva soltanto di essere sciolto nell’ultima scena.

“Oggi è domenica,
domani si muore,
oggi mi vesto
di seta e di amore.”

(Le litanie del bel ragazzo, dalla raccolta “Poesie a Casarsa”)

data di pubblicazione: 22/02/2017


Il nostro voto:

NON TI PAGO di Eduardo De Filippo, regia di Luca De Filippo

NON TI PAGO di Eduardo De Filippo, regia di Luca De Filippo

(Teatro Argentina – Roma, 21 febbraio/5 marzo 2017)

I numeri della Smorfia volteggiano su un fondale inondato di nuvole. Sogno, superstizione o realtà? 

Il Teatro Argentina di Roma offre il suo palcoscenico al ricordo di Luca De Filippo, a poco più di un anno dalla scomparsa, attraverso la sua ultima regia. Non ti pago, uno dei gioielli del “primo Eduardo” (1940), torna come se il tempo non fosse mai passato: la scrittura è quella originale, ma la messa in scena è capace di sorprendere anche il pubblico più affezionato del Teatro eduardiano.

Il palco è incorniciato dai numeri della Smorfia napoletana e la scena è coperta da un pannello su cui troneggiano gli antichi biglietti del gioco del Lotto.

Il pannello si alza, introducendo lo spettatore nella casa di Don Ferdinando Quagliuolo (Gianfelice Imparato), mentre sua moglie Donna Concetta (Carolina Rosi) e la cameriera Margherita (Viola Forestiero) sono intente a sgusciare dei fagioli freschi. Il fondale è inondato di nuvole, quelle nuvole che Aglietiello (Nicola Di Pinto) scruta di notte nella convinzione di leggervi scene, figure e, quindi, numeri, che il suo padrone Don Ferdinando gioca con assidua e trepidante speranza al Banco Lotto ereditato da suo padre. Le nuvole, però, sono anche e soprattutto il simbolo più eloquente della dimensione del sogno, del mistero, del mondo dei morti che qualche volta viene a far visita al mondo dei vivi, di quel “non è vero ma ci credo” che rende arduo tracciare una netta linea di confine tra la fantasia, la superstizione e la realtà.

Don Ferdinando non ha particolare fortuna al gioco, mentre Mario Bertolini (Massimo De Matteo), innamorato di sua figlia Stella (Carmen Annibale), colleziona estratti, ambi e terni grazie alle visite che gli giungono in sogno da parte di suoi parenti defunti. Una notte si avvicina al suo letto l’anima del padre di Don Ferdinando, in compagnia della buonanima di Don Ciccio il tabaccaio. Il giorno successivo Bertolini centra una quaterna milionaria, ma Ferdinando si convince che quella vincita spetti a lui e si impossessa del tagliando vincente senza alcuna intenzione di restituirlo.

Si avvicenderanno sulla scena uomini di Legge (l’avvocato Strummillo, Giovanni Allocca) e uomini di Chiesa (Don Raffaele, Gianni Cannavacciuolo), ma Ferdinando sembra fermo nel proposito di difendere a ogni costo la sua verità.

Difficile prendere una posizione tra l’intransigenza della razionalità e il fascino del sovrannaturale, tra le prove che ogni Tribunale esige per veder provate le proprie ragioni e l’evidenza che non necessita di dimostrazione alcuna. Alla fine, ad ogni modo, solo il sentimento riuscirà nell’ardua impresa di farsi collante tra prospettive all’apparenza troppo distanti per trovare un punto di contatto, in una quotidiniaità che diviene straordinaria nel momento esatto in cui recupera la propria “normalità”.

Gianfelice Imparato, raccogliendo il testimone di Luca De Filippo, si trova di fronte a un compito assai arduo, che svolge in maniera diligente anche se non sempre all’altezza della complessità del personaggio di Don Ferdinando. Straordinaria la prova di Carolina Rosi e, tra i personaggi minori, particolarmente convincenti Viola Forestiero, Giovanni Allocca e Paola Fulciniti (nel ruolo della popolana Carmela e di Erminia, zia di Mario Bertolini).

Gli appalusi fragorosi e calorosi sono pienamente meritati, per un ricordo che non si stanca di vivere e di rinnovarsi nel presente.

data di pubblicazione: 21/02/2017


Il nostro voto:

MANCHESTER BY THE SEA di Kenneth Lonergan, 2017

MANCHESTER BY THE SEA di Kenneth Lonergan, 2017

Lee Chandler (Casey Affleck) è un tipo taciturno che lavora come “factotum” presso un condominio, in una non meglio identificata località degli Stati Uniti. Passa le sue giornate in solitudine, facendo ogni genere di riparazioni presso case private per poi tornarsene la sera, dopo aver bevuto una birra al pub, a dormire davanti la TV in una stanza nel sottoscala del palazzo. Non appena riceve la notizia che il suo unico fratello Joe, malato di cuore da diverso tempo, è morto per un infarto, è costretto a tornare a Manchester, nel Massachusetts.

 

Lee, profondamente addolorato dalla perdita, sarà l’unico a potersi occupare del funerale e scoprirà, di lì a breve, che Joe lo ha nominato tutore di suo figlio Patrick ancora minorenne.

Questo non preventivato soggiorno obbligato a Manchester, per un periodo piuttosto lungo, farà prepotentemente riemergere in Lee ricordi dolorosi sino ad allora soffocati dal grigiore della sua esistenza, veri e propri demoni che corrodono giorno dopo giorno la sua coscienza. Ritornare alle proprie radici, in questa bella cittadina con il faro e le barche dei pescatori dove un tempo era stato felice, lo obbligherà a fare i conti con un passato che lo ha ineluttabilmente segnato.

Manchester by the sea di Kenneth Lonergan, è stato preceduto da giudizi estremamente lusinghieri quando, in ottobre, fu presentato nella selezione ufficiale della Festa del Cinema di Roma.

In effetti il film si avvale di un cast di primissimo livello, con interpretazioni molto misurate, quasi sussurrate, senza eccessi, urla o atteggiamenti sopra le righe, tra cui spicca per bravura Casey Affleck nella parte del protagonista, candidato come miglior attore agli Oscar 2017. Seppur tutto questo sia un pregio, che sembrerebbe far discostare la pellicola dal solito cliché del drammone esistenziale americano, i 135 minuti pacati e lenti di questa storia irrimediabilmente senza ritorno non conferiscono profondità ma, al contrario, finiscono con l’annoiare lo spettatore costretto a seguire il susseguirsi della grigia vita drammaticamente prevedibile del protagonista. Purtroppo, pur riconoscendo la bravura degli interpreti, secondo il parere di chi scrive, si finisce con il ricordare Manchester by the sea anche per le troppe birre con annessa scazzottata, per gli scarponi da lavoro da “normotipo” americano, per certe strette di mano che sembrano cancellare con naturalezza anche le ferite più profonde, per gli incontri casuali che spazzano via come d’incanto ogni rivalità del passato e che avvengono nella più assoluta ed inverosimile pacatezza: tutti elementi che finiscono per collocare la pellicola irrimediabilmente in un filone già visto.

Come al solito, comunque, al pubblico il giudizio finale.

data di pubblicazione:19/02/2017


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67 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – BERLINALE: ORSO D’ORO AL FILM UNGHERESE ON BODY AND SOUL

67 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – BERLINALE: ORSO D’ORO AL FILM UNGHERESE ON BODY AND SOUL

Questa edizione della Berlinale è stata caratterizzata da film dove i dialoghi erano ridotti all’essenziale, quasi a voler confermare quanto lo scrittore francese Michel Leiris ebbe a dire: “una mostruosa aberrazione convince l’umanità che il parlare è utile per semplificare le reciproche relazioni”. In effetti l’assegnazione del prestigioso Orso d’Oro al miglior film sembra aderire perfettamente a questa tesi, premiando il film On Body and Soul della regista ungherese Ildikò Enyedi dove la protagonista Maria (Alexandra Borbéli) dà pochissimo spazio alla parola per esprimere il suo contorto universo interiore. Il film ha convinto la giuria sicuramente per lo studio attento, da parte della regista, nell’analizzare due personalità: quella di Maria e quella di Endre (Géza Morcsanyi), che pur mostrandosi diverse tra di loro, riescono alla fine a trovare un linguaggio espressivo comune, un codice segreto che possa svelargli l’amore. Al di là dell’accoglienza tiepida da parte del pubblico al momento della sua presentazione in sala, il film sicuramente è degno di attenzione soprattutto per averci fatto capire che di fronte alla difficoltà e paure della vita l’aprire il cuore e i propri sentimenti, ha sicuramente il vantaggio di portarci alla meta prefissata, qualunque essa sia.

Gli altri premi assegnati dalla Giuria Internazionale, presieduta dal cineasta olandese Paul Verhoeven, sono stati:

Orso d’Argento, Gran Premio della Giuria a Félicité di Alain Gomis;

Orso d’Argento per il film che apre Nuove Prospettive  al film Pokot della regista polacca Agnieszka Holland;

Orso d’Argento per la Migliore Regia a The Other Side of Hope, del finlandese Aki Kaurismaki;

Orso d’Argento per la Miglior Attrice alla sudcoreana Kim Minhee nel film On the Beach at Night Alone di Hong Sangsoo;

Orso d’Argento per il Miglior Attore a Georg Friedric nel film Bright Nights del tedesco Thomas Arslan;

Orso d’Argento per la Migliore Sceneggiatura a Sebastian Lelio e Gonzalo Maza per il film Una mujer fantastica di Sebastian Lelio;

Orso d’Argento per Miglior Montaggio a Dana Bunescu per il film rumeno Ana, mon amour di Calin Peter Netzer.

Salutata con un caloroso e prolungato applauso la nostra Milena Canonero alla quale è stato assegnato un Orso d’Oro alla carriera per la sua intensa attività di costumista accanto a registi come Stanley Kubrick, Francis Ford Coppola, Sydney Pollack, Roman Polanski e tanti altri ancora di ben nota fama internazionale.

Si è conclusa così questa 67 esima edizione della Berlinale che, nonostante in sottotono rispetto alle edizioni passate, ha comunque fornito interessante materiale alla stampa internazionale del settore. Accreditati-Laboratorio di Impressioni Cinematografiche e Teatrali, ha voluto fare una cronaca giornaliera dei film in Selezione Ufficiale, manifestando come sempre il suo opinabile punto di vista. Ci rivedremo il prossimo anno, esattamente tra il 15 e il 25 febbraio 2018, per una Berlinale che si spera sia più consona alle aspettative, legittime per un Festival Internazionale di questa portata. Auf Wiedersehen da Berlino!

data di pubblicazione:18/02/2017

67 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – BERLINALE [9]

67 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – BERLINALE [9]

(Berlino, 9/19 Febbraio 2017)

Con la proiezione degli ultimi tre film in selezione ufficiale, si conclude oggi questa maratona berlinese che ha visto impegnato un folto pubblico di giornalisti e cinefili provenienti da tutto il mondo.

Have a nice Day, creato dal cinese Liu Jian che da molti anni si è dedicato solo alla realizzazione di film d’animazione che hanno già ottenuto riconoscimenti in campo internazionale, è il primo film di questo nono giorno. La pellicola ha coinvolto tutti gli spettatori in sala, anche coloro che non sono amanti del genere, proprio per il realismo minuzioso con cui la storia è stata realizzata, tale da far quasi dimenticare che si trattava di cartoons bidimensionali. Un pretesto per gettare lo sguardo sulla Cina, paese in costante evoluzione, dove già emergono più che mai evidenti i segni di un radicato capitalismo.

Secondo film della giornata Ana, mon Amour del regista rumeno Calin Peter Netzer che narra dell’idilliaco rapporto d’amore tra due universitari Toma e Ana, che poi si trasforma in una relazione molto problematica a causa di ricorrenti malesseri della ragazza che soffre di frequenti attacchi di panico. La pellicola è un attento studio psicoanalitico sulla personalità complessa dei due protagonisti e di come il giovane cerchi, con ogni mezzo possibile, di far fronte al disagio psichico della ragazza pur di salvare il loro ménage. I due attori Mircea Postelnicu (Toma) e Diana Cavallioti (Ana) sono perfetti nei loro ruoli e non ci sarebbe da stupirsi se il film, grazie a loro, si aggiudicasse qualche riconoscimento dalla giuria.

Terzo ed ultimo film, fuori concorso, Logan del regista americano James Mangold, storia d’azione mozzafiato con protagonisti una serie di mutanti che, frutto di esperimenti in laboratorio, sono stati concepiti con poteri sovraumani. Esperimento ben riuscito che, al di là della trama in verità poco originale, riesce comunque a catturare il pubblico nell’immancabile lotta tra il bene e il male. Effetti speciali che chiudono in modo spettacolare questa Berlinale: domani l’assegnazione dell’Orso d’oro.

data di pubblicazione:17/02/2017








67 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – BERLINALE [8]

67 INTERNATIONALE FILMFESTSPIELE – BERLINALE [8]

(Berlino, 9/19 Febbraio 2017)

Questa ottava giornata della Berlinale prevedeva solo due film in concorso nella selezione ufficiale. Il primo On the Beach at night Alone, del regista sudcoreano Hong Sangsoo, narra della giovane attrice Younghee che, in crisi con il suo uomo, intraprende un viaggio ad Amburgo per riflettere sul suo futuro sia sentimentale che professionale. Tornata nella Corea del Sud, si rifugia in una piccola città sulla costa dove incontra i suoi vecchi amici con i quali torna ad intrattenersi e a bere, discutendo in maniera a volte provocatoria sul significato dell’amore. Al di là delle belle inquadrature, firmate da un regista che ha alle spalle un curriculum professionale di tutto rispetto, il film mostra ricorrenti cadute di tono con dialoghi pretenziosi al limite della pedanteria. Tra uno sbadiglio e l’altro il pubblico non è sembrato molto entusiasta di apprezzare a pieno la pellicola, peraltro infastidito dall’interpretazione dell’attrice protagonista Kim Minhee che si lasciava andare a manifestazioni di puro isterismo, non sempre comprensibili.

Molto più impegnativo e decisamente più apprezzabile, il secondo film in programma Joaquim, del regista brasiliano Marcelo Gomes. Ambientato nel Brasile del diciottesimo secolo quando il paese era ancora sotto il dominio della corona portoghese, il film è un misto tra storia e finzione. Narra dell’eroe nazionale brasiliano Joaquim José da Silva Xavier, meglio conosciuto come Tiradentes, il quale si impegnò attivamente nella caccia dei contrabbandieri di oro. A contatto con una crudele realtà, Tiradentes si troverà a barcamenarsi tra ufficiali corrotti, indios, meticci e schiavi africani, cercando di raggiungere un compromesso che possa rendere più sopportabile una vita così dura. Impeccabile l’interpretazione dell’attore Julio Machado nelle vesti di Joaquim, che riesce ad incarnare perfettamente la figura di un uomo considerato in Brasile una figura veramente leggendaria. La pellicola potrebbe in effetti rientrare tra la rosa dei potenziali vincitori di questa edizione della Berlinale, considerando che sino a questo momento, soprattutto tra le pellicole in concorso, poche sono particolarmente degne di rilievo.

data di pubblicazione:16/02/2017








MOONLIGHT di Barry Jenkins, 2017

MOONLIGHT di Barry Jenkins, 2017

Tre fasi della crescita di un giovane afroamericano, ma una sola vita: quella che gli altri vogliono che lui viva.

Chiron, soprannominato Little, è un bambino silenzioso, fragile, sensibile, dagli occhi buoni ma impauriti dal bullismo dei suoi compagni di scuola. Ma quando ti trovi a vivere nei quartieri bassi di Miami, tua madre è tossicodipendente e finisci con il ravvisare in uno spacciatore dai modi gentili la figura paterna che non hai mai avuto, non hai scampo: devi crearti quella corazza che non hai, plasmartela addosso come un culturista crea il proprio fisico, per allontanare il resto del mondo da te e difendere il tuo spirito, i tuoi sentimenti, l’amicizia.

Approda nelle sale Moonlight, secondo lungometraggio del regista e sceneggiatore statunitense Barry Jenkins, che ha aperto l’undicesima edizione della Festa del Cinema di Roma dopo essere passato per importanti Festival internazionali riportando un’unanime approvazione da parte della critica, ed in corsa con ben 8 candidature (tra cui miglior film e miglior regia) agli Oscar 2017. Le cose che colpiscono immediatamente di questo film sono la poesia, la delicatezza con cui viene accarezzato l’animo umano, l’intensità: in un ambiente dove non c’è posto per i sentimenti e dove esiste la violenza in ogni piega della vita reale, negli atteggiamenti, nei rapporti, nelle azioni, le fasi di crescita del protagonista, che da piccolo viene dileggiato con l’appellativo di Little e da adulto per tutti diventa Black, arrivano a toccare in un crescendo di emozioni l’animo dello spettatore. Chiron dovrà mettere da parte se stesso, la sua sensibilità, l’affetto per il suo unico amico d’infanzia, per sopravvivere in quel sociale in cui ha avuto la sfortuna di nascere e crescere.

Moonlight è un film sulla solitudine che nasce dalla diversità rispetto all’ambiente che ci circonda, diversità non tanto sessuale quanto nel modo di sentire l’altro, la famiglia, gli affetti veri, finendo col portarsi dietro il peso di certe etichette che, chi non comprende tutto questo, ti dà e con le quali sei costretto a convivere pur sapendo che tu “non sei quello”.

Prodotto da Plan B (casa di produzione di Brad Pitt), Moonlight è potente, realistico, poetico. Decisamente da vedere.

data di pubblicazione:15/02/2017


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