da Daniele Poto | Lug 17, 2024
Vivisezione di un amore scansionato lungo tre età della vita. Tra banchi di scuola, disavventure professionali, lutti e incidenti di percorso. Sullo sfondo una Verona ben conosciuta dal regista con i suoi iconici luoghi simbolo. Un difficile e problematico ritrovamento prima del sé e poi dell’altro.
Un film che ha contemporaneamente il punto di forza e di debolezza nella struttura che per mano di quattro sceneggiatori affonda a piene mani nel romanzo di Matteo Bussola (appunto uno dei quattro), qualcosa di difficilmente e immediatamente traducibile in visivo. Dunque la pregnanza del testo, le citazioni non sgorgano pienamente naturali messe in bocca agli attori, condizionati dalla cappa del sottotesto che potrebbe funzionare anche a teatro. Il regista è umile nell’utilizzare la base di partenza ed è bravo a non far sembrare banale lo stratagemma con cui il protagonista Milo (da Miles Davis, un Guanciale nella mimesi dal volto perennemente triste e spento) fingendosi altro cerca di ritrovare l’amore perduto. Scrittura nella scrittura in un film che si esprime tanto per mail e per lettera, alla faccia della modernità ma che può far breccia nel pubblico sentimentale, non necessariamente femminile. Giravolte sentimentali un po’ complicate a cui il dono dell’emozione può regalare fiducia. C’è un Paolo Rossi utilizzato nel ruolo drammatico che non ti aspetti. C’è la seduzione della musica con un Rino Gaetano che da forza e prende forza nel plot. Molto convincente Francesco Montanari nella parte del fratello dissacrante, l’antitesi del protagonista, immediato e intuitivo di fronte a tante troppo strane parabole intellettuali. I personaggi cercano un centro nella vita. L’architetto fa il cuoco, la scrittrice passa dall’agenzia di pubblicità alla cura dei necrologi cercando l’editore giusto. Lo scatenamento dei sensi produce anche febbrili scene di sesso, quando l’amore ancora regna sovrano. Anteprima al 70° Festival di Taormina, dal 18 luglio nelle sale.
data di pubblicazione:17/07/2024
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da Daniele Poto | Lug 15, 2024
Un collaboratore della polizia si trova sbalzato in un gioco più grande di lui. Tratto da una storia, vera. Il Johnson reale fu capace di far arrestare settanta potenziali assassini fintamente accettando l’incarico di killer. I problemi arrivano quando una seducente fanciulla gli propone di far fuori il marito.
Linklater ha la mano ferma nel girare e nell’assecondare la valida sceneggiatura tratta da un libro di successo. Ma non è un biopic perché la seconda parte del film è di pura fantasia. Difatti il protagonista si fa prendere la mano e si trova invischiato in un legame sentimentale con la fidanzata palesemente rea confessa dell’omicidio che inizialmente gli aveva proposto a contratto. Divagazione libera ma divertente nell’intreccio. Perché il protagonista cerca di salvare capra e cavoli ma si trova ricattato da un collega. La sua eliminazione è un colpo di fantasia che esce dalla biografia reale ma cinematograficamente aggiunge azione e incertezza. Powell ha il volto del bravo ragazzo americano. E la Ajrona trabocca sesso dallo sguardo acuminato e malizioso. Il primo lo vedi una volta ma te lo dimentichi subito, la seconda no. Coppia ideale per un film del genere. Dialoghi veloce e intelligenti, nessun velleitarismo estetico. Diremo mood molto americano perché in Italia non si è arrivato ancora a questa specializzazione. Tanto meno con la rischiosa collaborazione con i corpi di polizia. Un film estivo garbato e intelligente, di non eccelse pretese. Ma la storia si fa seguire con attenzione fino all’ultima sorpresa. Per la cronaca il coraggioso disvelatore di tentati omicidi si è spento in serenità a 75 anni, senza ulteriori complicazioni i intraprendendo una brillante carriera secondaria, affiancata a quella di facondo insegnante di vita.
data di pubblicazione:15/07/2024
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da Antonio Iraci | Lug 12, 2024
Ma Zhe è a capo della polizia della piccola cittadina fluviale di Banpo. A seguito del ritrovamento del cadavere di una donna, viene incaricato di seguire il caso e di risolverlo al più presto. Siamo nella Cina rurale degli anni ‘90 e anche se il periodo maoista è oramai dimenticato, tuttavia il clima che si respira sembra rimasto saldamente ancorato ai tempi andati. Gli indizi a disposizione sono pochi e irrilevanti e non sarà facile trovare il vero assassino e capire il perché di quel gesto efferato…
Presentato l’anno scorso a Cannes, nella Sezione Un Certain Regard, questo film del regista cinese Wei Shujun ci riporta all’atmosfera pesante di una Cina che non riesce ancora a liberarsi del suo scomodo passato. La vita in genere rimane ancora difficile anche per la presenza di una ingombrante e persistente macchina burocratica. Di fatto è quindi molto complicato per il giovane ispettore di polizia Ma Zhe venir a capo di tre misteriosi omicidi. Prima l’assassinio di una vecchia, poi il ritrovamento di altri due cadaveri, ogni delitto sembra collegato agli altri ma senza un chiaro movente e tra la reticenza della piccola comunità del luogo. Personaggi strani ed ermetici che fanno da sfondo a questa vera e propria detective story, dove tutto quello che c’è da risolvere di fatto rimane senza soluzione. I protagonisti, direttamente o indirettamente coinvolti, sembrano recitare un ruolo ben assegnato, dove tutto è innaturale anche nei minimi gesti. Lo stesso Ma Zhe deve affrontare le proprie ossessioni personali, con una moglie che sta per partorire un figlio con molte probabilità affetto da gravi disabilità. Interessante come il regista ponga questo personaggio al centro del racconto, proprio per evidenziare la sua complessa personalità, onirica e immaginaria, che si rispecchia non solo nel privato ma anche anche nello svolgere il suo lavoro investigativo. Lui è un vero e proprio enigma umano, anche nelle minime cose e nei rapporti con i superiori rimane sempre indecifrabile, inseguito da una perenne incertezza. Ci saranno i sospettati, le confessioni, la convinzione di essere arrivati alla soluzione, quando invece non vi è nulla di certo né di risolto. Uno sguardo alla Cina di una volta che però in qualche modo riflette la Cina di oggi che, sia pur diventata la terza potenza economica del mondo, fa fatica a liberarsi di molti cliché oramai anacronistici. Bravo il regista, decisamente originale nel descrivere l’atmosfera cupa e opprimente del romanzo di Yu Hua, da cui è tratta la sceneggiatura, giovane e apprezzato scrittore cinese. Bravi tutti gli attori che rendono bene il clima noir che il film vuole descrivere, emotivamente coinvolgente anche se a tratti con effetti leggermente soporiferi.
data di pubblicazione:12/07/2024
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da Daniela Palumbo | Lug 12, 2024
Ellie e Iddo (Rotem Sela e Yehuda Levi) sono una coppia apparentemente stabile e affiatata. Vogliono un figlio, un sogno che inseguono da anni. Dopo l’ennesimo aborto spontaneo, e l’ennesima delusione, decidono di fare ricorso ad una madre surrogata. Incontrano una giovane donna (Gal Malka), già madre di un bambino e quasi del tutto priva di mezzi di sostentamento. Sarà questa donna a portare in grembo quell’embrione, quel figlio tanto desiderato dai due sposi. Le conseguenze, impreviste anche se forse prevedibili, comporteranno turbolenze improvvise e repentini dirottamenti. Da seguire col fiato sospeso, e su cui riflettere.
A body that works, un corpo che funziona. È il titolo di una serie israeliana, attualmente distribuita a livello internazionale. Nella versione inglese sarebbe anche – letteralmente – un corpo che lavora. Nella storia che ci viene raccontata, il lavoro da portare a compimento è mettere al mondo un figlio. E lo strumento è il corpo della donna.
Meccanismo rodato da secoli, quello della riproduzione. Che può incepparsi, talvolta. Come se vi fosse un difetto di fabbrica o mancasse l’anello di una catena. Come se venisse meno un tratto di un binario ferroviario. Nella traduzione francese si direbbe un corps qui marche, dove funzionare e camminare, nel senso di avanzare o procedere, appartengono ad uno stesso nucleo semantico. Una unica cellula. Così viene mostrato nel corso degli otto episodi che compongono la serie: il corpo di una donna altra – madre surrogata – di mese in mese cresce nella gestazione, e nella consapevolezza di sé. Inversamente, la madre biologica, da cui gli ovuli sono stati prelevati, subisce uno stop. Si arresta, regredisce persino, quindi si perde in giri tortuosi, di fatti e di parole. Il suo corpo non funziona come dovrebbe, e la mente si cristallizza. Nei banali riti scaramantici (vietato rivelare il nome scelto per il nascituro). Nella negazione di una intimità sessuale con il partner. Nel controllo quasi morboso del corpo dell’altra (via il cellulare dalla tasca dei pantaloni, niente sigarette, prescrizioni mediche rigorose). Delirio e parossismo, che si riflettono anche sul proprio lavoro di curatrice editoriale, alle prese con uno scrittore egocentrico (Tomer/Lior Raz). Le parole, messe a nudo, e ostinatamente sviscerate, si trasformano in enigmi irrisolvibili, benché rivelatori di crude verità. Emblematico il duello tra lei e l’autore sull’inserimento di una frase, altrettanto emblematica: quel momento seminò una crepa.
I personaggi maschili, dal canto loro, che siano mariti o amanti, padri o nonni, appaiono tanto impotenti quanto pretenziosi. Più che garantire reale sostegno questi sembrano contribuire a un’opera di demolizione dell’io, forse preludio inconsapevole di una successiva ricostruzione. Così Chen, madre in affitto, viene accusata dagli uomini della sua vita – il proprio padre e il padre di suo figlio, redivivo – di vendere il proprio corpo per soldi, di non fare nulla di buono. E soprattutto, Ellie – tanto inflessibile nell’esercizio della professione quanto insicura e fragile nel proprio intimo – diventa bersaglio del marito. Iddo il buono, Iddo il bello, quello che tutti adorano, quello che sarà all’altezza, un ottimo padre. Al suo cospetto lei è la donna senza utero, o dall’utero danneggiato. Inospitale, incapace di trattenere la vita e di proteggerla. E da cui la vita stessa fugge, sottraendosi alla sua presa, e alla sua tutela. Da qui, la scelta quasi obbligata dell’evasione – o della diserzione – che la porterà lontano da lui, dalla propria casa, dal proprio Paese. E poi il rifiuto di quel ruolo di madre incompleta o fittizia. Fino alla totale disumanizzazione, di se stessa e dell’altra, suo alter ego: Siamo ciò che siamo. Tu incubatrice, io bancomat.
Ma alla fine di questo lunghissimo e duplice travaglio, c’è qualcosa di nuovo che nasce, o rinasce. A dispetto di qualsiasi imperfezione o mancanza, di qualsiasi accusa o sbaglio precedente. Sbagli, mancanze e imperfezioni – e accuse – rimangono lì, infine, esclusi dalla sala dove si produce la vita. Tagliati fuori, e fuori della porta ad aspettare, cercando di captare segni.
L’epilogo, tra il drammatico e il poetico, è tutto da scoprire. In contrasto con le aspettative suscitate dai primissimi episodi, certamente. Un epilogo imprevisto. Anche se forse prevedibile.
data di pubblicazione:12/07/2024
da Antonio Jacolina | Lug 12, 2024
John Knox (M. Keaton) è un killer professionista la cui vita è sconvolta allorché scopre di essere colpito da una forma di demenza in rapida ed inarrestabile evoluzione. Decide di ritirarsi e provare a redimersi. Con l’aiuto dell’unico vecchio amico (Al Pacino) cercherà, nella residua semilucidità, di salvare la vita del figlio (James Marsden) ingiustamente ricercato per omicidio …
L’afa, la calura estiva vi tormentano? Si può trovare un po’ di fresco in una sala cinematografica con aria condizionata o, meglio ancora, in una ventilata arena. Potreste ritrovarvi a vedere un thriller con atmosfere di altri tempi e buoni attori che i fan del Genere, complice l’Estate, non potranno non apprezzare.
Dopo 15 anni dal suo esordio Keaton torna dietro la cinepresa ed interpreta e produce La memoria dell’assassino che è stato presentato al Toronto Festival del 2023. Un film che arriva sugli schermi senza alcuna promozione ed in pieno periodo estivo. Già questo è un segnale ed un giudizio dei nostri distributori! In effetti, diciamocelo subito, non si tratta di un gran film. E’ solo un prodotto un po’ più che discreto che riesce nel suo obiettivo basilare: coinvolgere ed intrattenere gli appassionati in un singolare thriller psicologico dalla giusta tensione drammatica. Una trama sufficientemente intrigante come un puzzle in cui poi ogni tassello prende senso fino al suo ineluttabile epilogo. Il ritmo è scientemente lento senza però essere tedioso. Quasi come per consentire agli spettatori di interiorizzare quanto stanno vedendo.
Pur simile nel tema di base, siamo lontanissimi per qualità da Memento di C. Nolan (2001) o anche da The Killer di D. Fincher (2023). Siamo solo sulla scia di un cinema molto più qualificato di attori/registi come Clint Eastwood o anche Ben Affleck. Al centro del plot il lento precipitare di una mente nella demenza, il rapporto fra vecchie e nuove generazioni e la difficoltà di comunicare i propri sentimenti. Keaton fa bene il suo lavoro di interprete e di regista, discreta la performance di Marsden e, ovviamente, eccezionale come sempre la breve partecipazione di Al Pacino. Eppure si sente che manca qualcosa!
Il vero difetto del film è infatti l’eccessiva ambizione, il voler affrontare troppe tematiche impegnative e l’eccesso di sottostorie che restano insolute e che spezzettano il ritmo narrativo principale. Il film è discontinuo, a tratti scollegato ed il risultato globale ne risente. La memoria dell’assassino nonostante il suo potenziale ed il talentuoso cast alla fine cade proprio sotto il peso dei troppi obiettivi narrativi e tematici. Resta quindi solo un prodotto di medio livello per un discreto svago ed intrattenimento per quegli amanti del Genere che non desiderano andare oltre la superficie. Nulla di più.
data di pubblicazione:12/07/2024
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da Antonio Iraci | Lug 11, 2024
Pierre Forges è un pediatra, con scarsa esperienza in politica, che si trova quasi per caso ad accettare ad interim la carica di sindaco di un sobborgo parigino. Quando deciderà di bonificare il quartiere, con la demolizione di alcuni edifici fatiscenti, si troverà di fronte l’ostilità di tutta la comunità franco-africana costretta ad abbandonare le proprie case. La sommossa sarà capeggiata da Habi, donna molto impegnata nel sociale, che farà di tutto per impedire l’abbattimento del fabbricato dove è nata e dove ancora vive…
Dopo lo strepitoso successo per il suo primo lungometraggio I Miserabili, premio della Giuria al Festival di Cannes e candidato agli Oscar nel 2019, Ladj Ly ritorna a parlare della periferia di Parigi, dove peraltro è nato. Lui stesso ha vissuto le tensioni sociali delle banlieue dove gli abitanti, tra rabbia e violenza, si trovano costantemente a lottare per mantenere i propri diritti di fronte ad un ordine istituzionale che li ignora completamente. Il regista aveva esordito qualche anno prima parlando dei disordini avvenuti nel sobborgo di Montfermeil, dove si erano registrati violenti scontri tra i manifestanti e le forze di polizia, mettendo ancora una volta in risalto la non facile situazione che sta attraversando l’intero Paese. Mutatis mutandis anche in questo secondo film, il regista affronta un cocente problema che è quello della riqualificazione delle aree urbane a scapito della popolazione che le occupa da anni. Come suggerisce lo stesso titolo, si tratta di intere comunità, oramai francesi d’adozione, che però risultano indesiderabili da parte di una certa classe politica, senza scrupoli e poca attenta alle loro esigenze. Pierre (Alex Manenti), temporaneamente sindaco, si trova a continuare l’opera distruttiva del suo predecessore, spinto da una incontenibile voglia di affermare se stesso e il proprio potere ricorrendo a prove di forza. Nascondendosi dietro un’ipocrita senso di accoglienza verso una famiglia di profughi siriani, di fatto è completamente insensibile ai bisogni di una intera comunità che, proprio alla vigilia di Natale, si trova costretta ad abbandonare le proprie abitazioni. Lo scontro frontale con la giovane Habi (Anta Diaw) capace di metterlo di fronte alle proprie responsabilità, farà forse riflettere l’irruento e reazionario sindaco, che dovrà così rendersi conto di quanto disastrosa sia stata la sua politica. Un film che certamente fa riflettere sulla cruda realtà delle periferie parigine dove le minoranze si trovano indifese e perennemente minacciate da uno establishment ottuso e cieco che rema loro contro.
data di pubblicazione:11/07/2024
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da Antonio Iraci | Lug 11, 2024
Alice e François riuniscono i genitori nella sontuosa tenuta della famiglia di lei. Il padre di lui è un concessionario della Peugeot e da subito viene messo a disagio dai consuoceri, i Bouvier Sauvage, che vantano una discendenza nobile e vecchia di diversi secoli. I due giovani hanno intanto preparato una sorpresa: un test del DNA per tutti loro. Ognuno leggerà le proprie origini e rimarrà completamente spiazzato dal risultato scaturito da questo insolito esame di laboratorio…
La commedia alla francese riesce bene se a farla è un francese. Assioma inconfutabile che si applica perfettamente al film firmato dal regista Julien Hervé. Il plot, piuttosto elementare e meglio adattabile a una pièce teatrale, non si può certo considerare particolarmente esilarante. Due famiglie di classi sociali completamente diverse che si trovano a rivaleggiare in nome dell’amore sincero che unisce i loro rispettivi figli. Ognuno sembra legato alle proprie salde origini alle quali non intende certo rinunziare e che anzi diventa elemento di orgoglio quando si troveranno a conversare in salotto per accogliere la notizia del prossimo matrimonio dei figli. Certo non sarà facile per un Bouvier Sauvage acconsentire alla nozze della loro unica figlia e consegnarla nelle braccia di un Martin, insignificante concessionario d’auto. Superate a fatica queste differenze di ceto sociale, tutto sarebbe potuto andare liscio se i promessi sposi non avessero avuto la geniale idea, è il caso di dirlo, di sottoporre i rispettivi genitori al test del DNA. Lo scopo era di rivelare a ciascuno la propria reale discendenza. L’iniziativa, se può sembrare originale, non prevede certamente un risultato così esplosivo. Ognuno scoprirà qualcosa di inimmaginabile che porterà a rivedere nel bene e nel male le proprie convinzioni. Un film divertente, leggero, che vanta l’ineccepibile interpretazione di due grandi comici francesi: Didier Bourbon e Christian Clavier. Situazioni grottesche, ma sempre esilaranti, accompagnano lo spettatore in questa commedia che, forse nell’intento del regista, dovrebbe mettere alla berlina la società francese, così rigidamente attaccata ai propri sentimenti nazionalistici. Come sempre il lieto fine aggiusterà ogni velleità e ogni pregiudizio e il matrimonio verrà comunque fatto. Per la verità anche un poco in ritardo visto che nel frattempo si è materializzato un piccolo Martin per la felicità dei nonni che hanno già dimenticato le proprie inaspettate origini. Pian piano acquisiranno la giusta dose di saggezza per capire quanto siano importanti i rapporti umani che vanno anche vissuti con una buona dose di ironia e di umorismo.
data di pubblicazione:11/07/2024
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da Daniele Poto | Lug 8, 2024
(Casa del Cinema di Roma, Festival del cinema rumeno)
Un impietosa fotografia della corruzione in una povera provincia rumena, specchio di una condizione universale nel rapporto tra ricattatore e ricattato. Un giallo che prepara una svolta violenta aprendo le porte a un inaspettato finale western..
Un poliziotto in crisi sembra dominato dalle circostanze della vita. Lasciato dalla moglie, senza figli, assoggettato a una routine in cui il suo sindaco sembra indirizzare tutti i più riposti pensieri. Il suo unico sogno di riscatto parte dal possesso di un frutteto, unico scopo della sua residua motivazione esistenziale. Non lo scuote anche l’ingenuo impulso di giustizia del suo giovane sottoposto che di fronte a un omicidio muove un’inchiesta seria che lui, il protagonista, cerca progressivamente di spegnere senza troppo clamore. Ma dietro l’uccisione, che è un vero e proprio regolamento di conti, c’è la corruzione, un contrabbando importante, i fili retti dal primo cittadino della cittadina in cui vive. Il poliziotto subisce, incassa, si vede regalato il frutteto in cambio del silenzio. Ma alla fine poi, come ne Il borghese piccolo piccolo, esplode e, in una rivalsa violenta che non avrà testimoni, manda a carte e quarantotto la ragnatela che gli è stata cucita intorno. Un film crudo, violento, indelicato che scuote le coscienze e che riflette un pezzo di vita in Romania ma anche nel mondo, nel finto torpore della provincia. Postelnicu è stato l’autentco protagonista della rassegna rumena comparendo in due pellicole, passando dai moti anti-Ceasescu di Sibiu a questo funzionale ritratto di un uomo di Stato travolto dalla propria apatia. Si è proposto in conferenza stampa spiegando che la storia voleva funzionare senza troppi intenti moralistici. L’ironia del titolo del film svela già tanto.
data di pubblicazione:08/07/2024
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da Daniele Poto | Lug 8, 2024
regia e adattamento di Cinzia Maccagnano, con Edoardo Siravo, Gabriella Casali, Raffaele Gangale, Luna Marongiu, Cristina Putignano, Marta Cirello e tutti i giovani del laboratorio Plautus Festival, musiche Lorenzo de Seta, costumi Monica Mancini. Produzione Teatro dei due mari
(Anfiteatro Trebula Mutuesca di Monteleone Sabino, 6 luglio 2024, poi in tournèe estiva)
Nello scenario suggestivo di un teatro romano un classico della comicità che viaggia incessantemente d’estate dopo aver debuttato al Teatro Arcobaleno di Roma. Siravo s’impone con la sua bonomia in una congerie di bravi e giovani interpreti che svecchiano l’autore a ritmo di musical. Battute fuori programma con citazioni per Vannacci e per le peripatetiche della Salaria.
La commedia è una fabula ricca di personaggi e dunque di interpreti con tutti i consacrati schemi della narrazione plautina. L’amore di due giovani, il servo spregiudicato, il soldato fanfarone, la vecchia beona, il lenone interessato solo ai soldi, immersi in un gioco degli equivoci, leggero e divertente che è solo il prologo allo scioglimento finale in cui tutti i nodi della vicenda vengono brillantemente risolti. Più che il finale ci sono dunque da gustare i singoli siparietti cuciti dalla voce della narratrice che tira i fili dell’intricata matassa. C’è la Roma antica con i suoi vizi e le proprie virtù sotto lo sguardo trasognato dell’autore che sorride di fronte a tanti colpi di scena. Curculio è il parassita perennemente affamato, come si direbbe volgarmente un morto di fame, a cui viene intitolata la commedia. Caricature, mascheramenti bugie digerite con il sorriso sulle labbra. Immancabilmente alla fine i giovani promessi potranno sposarsi. E Curculio approfitterà di un ricco e lauto pranzo pasquale. Gioco di rotture, di spiazzamenti in cui i ruoli di uomini e donne possono essere validamente scambiati. Un teatro che trionfa d’estate ma che meriterebbe una riscoperta anche d’inverno vista la sua intatta leggerezza, sottofondo di modernità. Per la cronaca Curculio è un insetto del grano. Sinonimi: parassita, punteruolo, gorgoglione.
data di pubblicazione:08/07/2024
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da Daniele Poto | Lug 6, 2024
(Casa del Cinema di Roma, Festival del cinema rumeno)
Il film di debutto per il festival del cinema romeno alla Casa del Cinema di Roma. Un intenso flash back su quanto successe a Sibiu nel giorno in cui fu rovesciato Ceasescu (1989). Un punctum storico in cui rivoluzione e controrivoluzione intensamente si confondono.
La presa diretta e le scene di gruppo con concentrazione di tempo e di spazio sono i punti di forza di un film ovviamente di finzione che però prende la parvenza di un documentario nel tessere gli intricati fili del rovesciamento del regime comunista, in seguito a un insostenibile situazione economica di degrado della popolazione. Chi ha davvero sparato per primo a Sibiu creando il corto circuito tra il popolo, l’Esercito, la polizia e la Securitate? Dunque verità e dissimulazione si confondono quando 502 presunti terroristi vengono detenuti in una piscina opportunamente svuotata di acqua e duramente trattati per il loro presunto status di sovversivi, alcuni solo per la colpa di aver militato nei corpi dello Stato. Lo psicodramma rumeno ha bisogno di distanza (35 anni dopo) per essere rivisto, e meditato. Il regista non prende posizione ma mette i fatti sul tavolo in maniera che lo spettatore possa farsi una propria idea su quanto avvenuto. Gli attori sono professionisti ma sembrano appartenere a un tardo neorealismo con la loro intensità emotiva. Per la cronaca durante i disordini di quell’ormai lontana si registrarono 99 morti e più di 200 ferimenti. Ma il clima di grande tensione del film digrada in un finale meno teso anche se tutt’altro che consolatorio. La pellicola adombra anche un possibile intervento spionistico della Russia. Presentato in prima mondiale al Transilvania Film Festival del 2023 ha già avuto 17 riconoscimenti nei premi internazionali.
data di pubblicazione:06/07/2024
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