IL RACCONTO DELL’ANCELLA di Margaret Atwood – Ponte alle Grazie, 2017

IL RACCONTO DELL’ANCELLA di Margaret Atwood – Ponte alle Grazie, 2017

Assurto alla notorietà per essere la serie TV The Handmaid’s Tale che ha sbancato gli Emmy Awards 2017, conquistandone addirittura otto come migliore serie drammatica, migliore attrice drammatica con Elisabeth Moss, migliore attrice non protagonista con Ann Dowd, migliore sceneggiatura, migliore regìa, migliore attrice “guest star” con Alexis Biedel, migliore scenografia e fotografia, ne ho letto il libro a giugno, fresco di stampa, e l’ho amato immediatamente.

È un racconto di utopia negativa in cui, in un prossimo futuro, le radiazioni atomiche avranno devastato la vita come la conosciamo ora: la storia si svolge nella Repubblica totalitaria di Galaad, gli “ex” Stati Uniti, in cui per la necessità di garantirsi una discendenza e una crescita demografica, vengono sfruttate le uniche donne che ancora sono in grado di procreare, le Ancelle.

In questa epoca distopica il controllo del corpo femminile, per la ricerca di un innalzamento della natalità, è totale, le libertà personali sono completamente annullate, vige una sorta di patronimia in cui nessuna della ancelle ha più una propria identità e un proprio nome, e ognuna di loro viene riconosciuta in base al Comandante di cui sono una proprietà.

La storia della vita a Galaad a noi viene raccontata dall’ancella DiFred, che ci inizia alle caste della  repubblica, al cui apice sono i Comandanti ai quali appartiene tutto il potere e che hanno, al loro fianco, le Mogli, donne con qualche piccolo diritto in più rispetto alle altre donne, a seguire ci sono le ancelle e poi le zie, le marte, i custodi, gli occhi, le economogli e infine, nel gradino più basso, le non-donne, ormai non più fertili e quindi completamente inutili, abbandonate a vivere nelle colonie.

Nel suo racconto DiFred alterna presente e passato e ci descrive come i primi segnali del cambiamento non abbiano allarmato immediatamente la popolazione, narra del suo tentativo di fuga verso il Canada ancora libero insieme al marito e alla figlioletta, del fallimento e della cattura, e di quello che viene ritenuto ormai normale: che le donne possano uscire solo in coppia, che sia loro vietato leggere e scrivere, tanto che le insegne dei negozi sono state sostituite con delle figure… “Esiste più di un genere di libertà, diceva zia Lydia. La libertà di e la liberta da. Nei tempi dell’anarchia, c’era la libertà di. Adesso vi viene data la libertà da. Non sottovalutatelo.

Un romanzo, scioccante, sconvolgente che turba e disorienta e che va assolutamente letto!

data di pubblicazione:09/10/2017

AMMORE E MALAVITA di Manetti Bros., 2017

AMMORE E MALAVITA di Manetti Bros., 2017

Non è Napoli, non poteva non essere Napoli, la città folle protagonista di questo musical cinematografico, dove i Manetti Bros. dipingono la loro storia: tra musica e azione spuntano gli splendidi scenari dei vicoli e del mare del Golfo, tra amore e pallottole appaiono le architetture fatiscenti, dismesse e fascinose di Napoli. Nobody si salva con la “Scampia Disco Dance”, neanche chi è costretto agli arresti domiciliari!

I personaggi si presentano e parlano, cantando e ballando dall’inizio con la canzone “Al mio funerale” e alla fine con il geniale duello “O’ vient’ e libertà” passando attraverso “L’amore ritrovato”, rifacimento di “What a feeling”.

Napoli è una città piena di colori e luci che stimola l’immaginazione ad andare oltre. La tavolozza di colori si ispira a grandi interpreti, grandi autori musicali e ad una “pazzia” che rende leggera la vita con dei movimenti in sincrono.

Un musical “d’ammore”, perché di un ritrovato primo amore adolescenziale si parla. Si canta e si balla sullo schermo in perfetto stile Manetti grazie anche a Luca Tommassini, che ne ha curato le coreografie belle e divertenti.

Non si può uccidere l’amore è il messaggio di questo entusiasmante film. Chi ti vuole più bene di me?

I dialoghi tra Don Vincenzo (Carlo Buccirosso ) e Donna Maria (Claudia Gerini) sono esilaranti, così come le loro nuove identità da latitanti: Vincenzo Ranieri e Grazia Chelli in onore della famiglia reale del principato di Monaco.

La grande storia d’amore è tra Fatima (una ‪Serena Rossi magnetica) e Ciro (Giampaolo Morelli): ma purtroppo Fatima si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato e Ciro dovrà eliminarla.

Le due tigri, Ciro e Rosario (Raiz) sono state addestrate a dovere su ispirazione dei film di 007, e sono al servizio di Don Vincenzo e di sua moglie. Tutte le battute sono esilaranti e geniali.

La scelta del musical ha permesso di affrontare temi profondi ed importanti, si canta mentre ci si bacia, durante una sparatoria, si canta mentre si è scippati a Scampia. Questa vena di follia si respira durante tutto il film grazie anche agli interpreti, tutti molto bravi.

‪I Manetti Bros. riescono a fare divertire anche  gli stessi interpreti durante le loro riprese, ed il risultato finale divertente e di qualità ne è la prova.

data di pubblicazione:08/10/2017


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CHI M’HA VISTO di Alessandro Pondi, 2017

CHI M’HA VISTO di Alessandro Pondi, 2017

La commedia Chi m’ha visto racconta con ironia la storia del quarantottenne Martino Piccione chitarrista pugliese che da anni vive errante accompagnando i più grandi artisti della musica italiana nei tour di musica live. Martino (Beppe Fiorello) è talentuoso e vorrebbe uscire dall’ombra dei palcoscenici calcati lungo l’Italia, e all’estero, sempre alle spalle delle star del calibro di Jovanotti, Elisa, Negroamaro, Giorgia, Gianni Morandi, Neck (solo per citarne alcuni) per salire alla ribalta come cantante e musicista autore della “sua musica”. Purtroppo però il suo primo cd non riesce a raggiungere nemmeno le radio più piccole anche per colpa del maldestro impresario (Dino Abbrescia). Ecco che allora, dopo l’ultima tappa del tour di Jovanotti, Martino torna a Ginosa, nella sua Puglia natia, ma il rientro non è propriamente felice e consolatorio. Tutti gli amici che infatti Martino incontrerà gli chiederanno “Marti sei tornato?…E quando te ne vai?”. Non solo. La fidanzata di una vita lo ha lasciato e l’anziana madre (l’esilarante macchietta Mariolina De Fano) non comprende il suo disagio e vive nel suo piccolo mondo ovattato dove lascia entrare solo le trasmissioni di Barbara D’Urso e i vari programmi dedicati alla cronaca nera. In uno scenario alquanto desolante, Martino può contare solo sull’appoggio del suo migliore amico Peppino (Pierfrancesco Favino), un ragazzone leggero e semplice che trascorre la giornate gironzolando sulla sua Ape, trastullandosi tra il bar e le serate nell’unica discoteca del paese, in attesa che arrivino le “celebrità” dei reality o della trasmissione “Uomini e donne”. Il clima è decadente, come l’umore ormai in pieno pessimismo cosmico, e allora Martino ha un’illuminazione: l’unico modo per farsi notare e diventare famoso potrebbe essere quello di sparire. Peppino diviene immediatamente complice del bizzarro disegno criminoso a fin di bene e nasconde Martino in un vecchio rudere di campagna abbandonato da tutto e da tutti senza nemmeno la corrente elettrica. Dopo i primi giorni, trascorsi senza suscitare alcuna preoccupazione, nemmeno per la madre, l’assenza di Martino, grazie a qualche piccolo “accorgimento” alla messa in scena escogitato da Peppino, inizia a farsi notare e giorno dopo giorno gli iniziali piccoli trafiletti di cronaca locale lasciano il posto alla stampa nazionale, alla mitica rivista Rollingtones, al foto della copertina della Settimana enigmistica e alla troupe degli inviati della trasmissione televisiva del momento “Scomparsi” condotta dall’eccentrica Simonetta Sabelli de Santis (Sabrina Impacciatore). Il piano inizia a dare i suoi frutti. Mentre improvvisamente i tg, i giornali e tutte le star del panorama musicale italiano rilasciano alla trasmissione “Scomparsi” e sui social networks messaggi di affetto e ammirazione per Martino Piccione implorandolo di tornare, – perché i grandi big senza di lui sono persi -, parallelamente il comune di Ginosa conosce un’improvvisa celebrità turistica, divenendo meta del macabro turismo mediatico di tanti curiosi. Cosa si è disposti a fare per il successo? Fino a che punto siamo pronti a fingere e a metterci in gioco per farci notare? Attraverso questi interrogativi – quanto mai attuali nella realtà moderna sorretta dal culto dell’apparire, dove ogni azione, finanche la più banale e insignificante, diviene protagonista di foto, selfie, post e like -, Chi m’ha visto (chiara citazione alla seria e storica trasmissione Chi l’ha visto? Di Federica Sciarelli), commedia che richiama alcuni spunti del film di Omicidio all’italiana di Maccio Capatonda, racconta con leggerezza la difficoltà di uno spaccato reale del mondo dello spettacolo e dell’arte italiana, dei tantissimi giovani talenti che come assistenti di regia, direttori fotografia, musicisti, coristi, attori vivono per anni nell’ombra e sono destinati a non trovare un proprio spazio da protagonisti nel firmamento della notorietà. Il film non eccelle per la regia e il ritmo, il finale appare scontato, ma la sceneggiatura è buona e alcune scene sono davvero esilaranti grazie all’interpretazione del deus ex machina Peppino (un Favino comico pugliese esilarante) e al cameo impeccabile della cinica e naif conduttrice tv Sabrina Impacciatore (la scena durante i titoli di coda è davvero spassosa!). Da vedere per una serata piacevole e divertente!

data di pubblicazione:07/10/2017


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SVELATO IL PROGRAMMA UFFICIALE DI ALICE NELLA CITTÀ

SVELATO IL PROGRAMMA UFFICIALE DI ALICE NELLA CITTÀ

La conferenza stampa della rassegna si è tenuta oggi 6 ottobre presso la Casa del Cinema di via Largo Marcello Mastroianni in Roma. Ecco tutte le novità.

 

Sta per compiere 15 anni Alice nella Città, la sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma, che si terrà dal 26 ottobre al 5 novembre. Un numero importante, segno di tante vittorie all’insegna della settima arte. Ed è proprio per questo che la rassegna è pronta a festeggiare il traguardo con un programma ricco di appuntamenti. Ad annunciarlo al pubblico Fabia Bettini e Gianluca Giannelli, direttori artistici della kermesse, nel corso della conferenza stampa svoltasi all’interno della Casa del Cinema di via Largo Marcello Mastroianni.

Dedicata alle nuove generazioni, Alice nella Città guarda ai giovani con un interesse sincero e senza pregiudizi. “Quest’anno non si può che registrare una grande concentrazione e ricchezza d’infanzie e adolescenze al femminile – hanno spiegato – preziose, complesse, intense e raffinate storie, raccontate nella loro abbagliante esuberanza e radicalità. Storie che scivolano sorprendentemente verso il soprannaturale per incarnare la muta di molti adolescenti, per confrontarsi con realtà dure come le fiabe”.

Sono 12 i film in concorso per la sezione Young Adult, che saranno votati da una giuria composta da 20 ragazzi e ragazze provenienti da tutta Italia. Saranno 11, invece, le opere che caratterizzeranno il programma di Alice Panorama, lo spazio riservato al rapporto tra adulti e giovani nel mondo attuale. A questo si affiancherà la selezione di Alice – KINO Panorama Italia, composta da 9 lungometraggi e 12 corti. Tre le pellicole fuori concorso: Beyond the Sun, con la partecipazione straordinaria di Papa Francesco, Capitan Mutanda e il già annunciato Mazinga Z – Infinity.

Da segnalare anche il premio Camera d’Oro Taodue, che sarà assegnato alla migliore opera prima e seconda dei concorsi Young Adult e Alice Panorama. La giuria sarà composta da Trudie Styler, Camilla Nesbitt, Barbora Bobuľová, Andrea Delogu, Marco Danieli, Zoe Cassavetes e Daniele Guaglianone.

Ma non finisce qui. Numerosi, infatti, gli eventi speciali della rassegna cinematografica per ragazzi. Da Freak Show di Trudie Styler a Paddington 2, fino ad arrivare a Luce propria di Marco Danieli e all’anteprima di Addio fottuti musi verdi di Francesco Ebbasta con i The Jackal come protagonisti, le novità sono davvero tante. Non potevano mancare neanche le serie tv, a cui Alice nella Città si apre per la prima volta dalla sua nascita. Saranno presentate Skam e Junior, entrambe incentrate sul rapporto tra adolescenti e social network, e la nuova stagione di Camorriste che, in sei puntate, racconta l’altra faccia di Gomorra dal punto di vista delle donne.

Degna di nota anche la collaborazione con il Premio Lux Young, il riconoscimento cinematografico assegnato ogni anno dal Parlamento europeo. Gli studenti del Liceo Amaldi di Roma, in accordo con la commissione del Premio, hanno selezionato 12 film che saranno proiettati nella sala della loro scuola negli stessi giorni della kermesse. Da non dimenticare anche il legame con #Everychildismychild, l’iniziativa nata da un gruppo di artisti in seguito all’attacco chimico del 4 aprile scorso in Siria. Prima di tutte le proiezioni ufficiali di Alice nella Città verrà mandata la sigla dell’associazione, realizzata dal regista e sceneggiatore Fabio Mollo. Il 29 ottobre, inoltre, a Casa Alice verranno letti i primi due racconti del libro #Everychildismychild. Storie vere e magiche di piccola grande felicità, che uscirà a novembre edito da Salani.

E se inizialmente era stata annunciata soltanto la Masterclass con Dakota Fanning, durante la conferenza stampa è stata svelata anche quella con Orlando Bloom. Insomma, le aspettative sono alte e il conto alla rovescia è ufficialmente partito. Una cosa è certa: se ne vedranno delle belle.

data di pubblicazione:06/10/2017

120 BATTITI AL MINUTO di Robin Campillo, 2017

120 BATTITI AL MINUTO di Robin Campillo, 2017

Alla fine degli anni Ottanta, sulla scia dell’omologo americano, nasce a Parigi l’Act Up – Paris, associazione che si propose di sensibilizzare le masse al problema dell’Aids, quell’epidemia che oggi tutti conosciamo e che in quegli anni mieteva migliaia di vittime, in gran parte nella cerchia degli omosessuali e dei tossicodipendenti. Il folto gruppo di partecipanti, quasi tutti sieropositivi al virus HIV, mediante azioni molto provocatorie e mai violente intese così scuotere l’opinione pubblica, per spingere la classe politica di allora a prendere seriamente in considerazione il fenomeno e a promuovere una mirata azione preventiva nelle scuole e nelle università.

 

Gli attivisti che gremiscono la sala dove si svolgono le riunioni periodiche del movimento Act Up indossano una maglietta con la scritta Silenzio=Morte, a significare che in quegli anni terribili la classe politica preferiva ignorare il problema dell’Aids, evitando di impiegare i media al fine di presentare alla popolazione la natura dell’epidemia virale e i mezzi per prevenirla o meglio evitarla. Mentre migliaia di uomini ogni anno morivano devastati da atroci sofferenze, le case farmaceutiche prendevano intanto tempo per sperimentare farmaci retrovirali che avrebbero portato nelle loro casse immensi guadagni. L’azione di Act Up era mirata a svolgere una guerra non violenta, ma esclusivamente di sfida, mediante utilizzo di falso sangue da spargere ovunque facessero irruzione, proprio per scuotere quell’establishment politico-sanitario che con la propria indifferenza contribuiva paradossalmente al diffondersi del contagio letale. Nato in Marocco, ma cresciuto in Francia, Robin Campillo è da ritenersi oggi uno dei più noti registi emergenti francesi soprattutto per l’esperienza pluriennale acquisita come sceneggiatore accanto al pluripremiato regista Laurent Cantet (La classe – Entre les murs che gli valse la Palma d’Oro al 61esimo Festival di Cannes). Il film nasce dall’esigenza, da parte del regista, di raccontare la propria esperienza come militante all’interno del movimento che lo aveva portato a partecipare attivamente a diverse azioni provocatorie assieme ad altri componenti del gruppo, al fine di scuotere politica e coscienze. Il prodotto è ben costruito grazie ad un attento montaggio, curato dallo stesso regista, in cui talvolta si passa dal frastuono assordante delle discoteche all’intimità sessuale della camera da letto in cui i due protagonisti Sean (Nahuel Pérez Biscayart) e Nathan (Arnaud Valois) sembrano ritrovarsi, quasi per caso, senza soluzione di continuità. La pellicola, già premiata a Cannes 2017 con il Grand Prix Speciale della Giuria e Queer Palm rappresenterà la Francia ai prossimi Oscar, ha come merito sicuramente quello di far conoscere alle nuove generazioni quello che significò in quegli anni il diffondersi dell’Aids, dal momento che oggi se ne parla davvero poco e forse, per molti giovani, il problema è del tutto ignorato. La storia d’amore tra Sean e Nathan, che si inserisce silenziosamente tra le pieghe del racconto, ci trascina ma non ci commuove più di tanto: siamo ben lontani dalle reazioni al film Philadelphia quando anche il più incallito omofobo, senza darlo a vedere, fu coinvolto emotivamente e ne rimase sconvolto.

data di pubblicazione:04/10/2017


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IL CONTAGIO di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, 2017

IL CONTAGIO di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, 2017

In una Roma dei nostri giorni dove il malaffare sembra dilagare come un’epidemia che contagia in egual misura il corrotto ed il corruttore, Marcello e Mauro sono vittime e carnefici al tempo stesso di un sistema dominato dal potere e dal denaro. Un panorama attualissimo di una città oramai al massimo del degrado morale, dove ai cittadini inermi non rimane altro che constatare l’impunità di ogni atto criminale che invade il settore del pubblico e del privato come qualcosa di ineluttabile, che impera, senza riuscire a scorgere alcuna possibile via di scampo.

Il Contagio, presentato quest’anno al Festival del Cinema di Venezia nella Sezione Giornate degli Autori, è tratto dall’omonimo romanzo di Walter Siti, docente universitario di letteratura italiana conosciuto per i suoi saggi su Montale e Pier Paolo Pasolini, romanziere e vincitore nel 2013 del Premio Strega con il libro Resistere non serve a niente. All’interno di un grande condominio di una non identificata borgata romana si intrecciano vari personaggi femminili che devono affrontare una amara quotidianità senza poter contare sul sostegno dei propri uomini: individui deboli e incapaci di prendersi qualsiasi responsabilità, tutti rivolti a soddisfare unicamente le proprie esigenze personali. Tra questi spicca la figura di Marcello (Vinicio Marchioni), cocainomane che passa tutta la giornata a curare il proprio corpo in palestra, trascurando la moglie Chiara (Anna Foglietta) che deve sobbarcarsi ogni carico domestico vivendo nell’attesa di una benché minima attenzione da parte del marito. Minacciato di morte da una trafficante di droga, al quale deve una ingente somma di denaro, Marcello cerca il sostegno economico del professore Walter (Vincenzo Salemme) con il quale intrattiene una relazione amorosa. Nel palazzo viene intanto ad abitare Mauro (Maurizio Tesei) insieme alla moglie Simona (Giulia Bevilacqua) che cercano subito di stringere un rapporto amichevole con i vicini di casa; Marcello rimane affascinato da Mauro che tuttavia manifesta un atteggiamento poco limpido. Spinto anche da una spasmodica ricerca di danaro facile, Mauro è interessato particolarmente allo sfruttamento dell’ondata di profughi che cercano asilo politico in Italia, divenendo socio di un pericoloso mafioso invischiato in un mega progetto per la costruzione di un centro di accoglienza.

Botrugno e Coluccini, attenendosi quando più fedelmente possibile al romanzo di Siti, hanno fatto un buon lavoro portando sul grande schermo vicende di malaffare molto aderenti alla realtà di oggi, argomenti che suscitano ancora interesse nel pubblico, nonostante il martellamento al quale si viene sottoposti oramai quotidianamente dalla televisione e dai media in generale. Ottimo l’intero cast, anche se in alcune scene l’interpretazione appare un poco sopra le righe, piccole forzature interpretative che però nulla tolgono alla credibilità dell’intera storia. Forte di un’ottima sceneggiatura, il film è sicuramente di valore, non fosse altro che per la realtà rappresentata, cruda, spietata e purtroppo tragicamente attuale.

data di pubblicazione: 02/10/2017


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ROMA EUROPA FESTIVAL GISELLE – Regia e coreografia di Dada Masilo

ROMA EUROPA FESTIVAL GISELLE – Regia e coreografia di Dada Masilo

(Teatro Olimpico, Roma – 28 settembre/1 ottobre 2017)

La bravissima Dada Masilo ha portato in dote al ricco calendario del Roma Europa Festival 2017 la propria rivisitazione di uno dei balletti classico romantici per eccellenza: Giselle di Adolphe-Charles Adam. Mai come in queste ultime settimane la cronaca mondiale, e quella italiana in particolare, è segnata da molteplici brutali episodi di violenza sulle donne. Ed in questo triste susseguirsi di tragedie, apparentemente destinate a non trovare fine, il balletto di Dada Masilo offre una rivisitazione del classico scevra da rotture maldestre che rendono l’Opera incredibilmente attuale.

La Giselle “ridisegnata” dalla prima ballerina Masilo è una contadina che lavora in una fattoria vinicola sudafricana della fine del 1800 e a far da sfondo a questo scenario ci sono i delicati ed eleganti disegni di William Kentridge, l’artista sudafricano, famoso autore di disegni, incisioni e film di animazione creati dai suoi preziosi disegni a carboncino, molto legato alla città di Roma anche per l’Opera “Triumphs and Laments” che ha realizzato come un murales lungo un tratto della banchina del fiume Tevere. Giselle e i danzatori protagonisti del balletto – la madre di Giselle, il principe Albrecht sotto le mentite spoglie di contadino Loys, il geloso guardiacaccia Hilarion e le Villi – danno voce alla storia attraverso passi di danza classica sapientemente mescolata a elementi moderni che talvolta rievocano danze dal lontano sapore tribale nonché quella dalle sfumature del genere r&b. Il tutto in perfetta simbiosi con l’iniziale musica tratta dal repertorio classico di Adolphe-Charles Adam che poi lascia il posto alle musiche composte per Dada Masilo da Philip Miller sulla base di quelle originali. Il balletto ripercorre fedelmente la trama del libretto originale ma ecco che nel secondo atto emergono i due elementi di stacco. Il primo è che le Villi, le creature paranormali, le fate-fantasmi delle donne morte per amore o morte infelici perché tradite e abbandonate, non sono soltanto donne ma anche uomini, tanto che Myrtha, la regina delle Villi, è interpretata dal ballerino Llewellyn Mnguni. Questa scelta è un chiaro segno di solidarietà della coreografa Masilo contro l’omofobia, che soprattutto in Sud Africa è ahimè ancora molto radicata, anche per ribadire come nella parità tra uomo e donna è bene ricordare che anche gli uomini soffrono per amore. Il secondo, e radicale, elemento di “rottura” con la versione classica è dato dal finale: la Villi Giselle questa volta non salverà il proprio amato Albrecht che l’ha condotta alla morte, ma porterà a compimento la missione di vendetta sotto la guida dalla Regina delle Villi e delle sue adepte. E, nella società moderna che mai come oggi è segnata dal proliferare incontrollato di atti di abusi e violenze spesso fatali per migliaia di donne di ogni età, il finale scelto da Dada Masilo appare come una simbolica e corale punizione drastica per tutti quei carnefici ancora liberi di fare del male o che comunque rimangono indifferenti o insensibili all’efficacia deterrente e rieducativa della pena inflittagli.

Un balletto che rapisce per il ritmo moderno ben diretto e interpretato da tutti i danzatori, dotati di una grande forza comunicativa e di un’ottima mimica, a cominciare dalla bravissima “Dada-Giselle” che ha ricevuto la standing ovation dell’intero Teatro Olimpico.

data di pubblicazione: 2/10/2017


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LA LEGGENDA DEL PESCATORE CHE NON SAPEVA NUOTARE di Agnese Fallongo, regia di Alessandra Fallucchi

LA LEGGENDA DEL PESCATORE CHE NON SAPEVA NUOTARE di Agnese Fallongo, regia di Alessandra Fallucchi

(Teatro Quirino – Roma, 1/2 ottobre 2017)

 Quattro attori, quattro protagonisti, quattro storie nel Sud Italia della prima metà del Novecento e della seconda guerra mondiale.

Arturo è un pizzaiolo romano, del quartiere “borgataro” Garbatella, che ama le donne e gli stornelli.

Maria è una giovane palermitana che sogna di ballare, ma alla quale la guerra porterà via l’innocenza e i passi di danza.

Reginella è una ragazza napoletana che dietro l’esuberanza nasconde la fragilità di un cuore spezzato.

Mamozio è un pescatore calabrese che si vede costretto a continuare l’attività di famiglia: ama il mare, ma non sa nuotare.

Le storie si alternano, affidate ora al discorso indiretto dei protagonisti ora a dialoghi veri e propri ora agli strumenti e alle musiche che segnano il ritmo dell’Italia meridionale. Sul palco sono in quattro, ma sembrano molti di più: Eleonora De Luca, Agnese Fallongo, Teo Guarini, Domenico Macrì recitano, cantano, ballano, coinvolgono il pubblico.

Il fascino della quotidianità e l’eccezionalità della normalità irrompono sul palco, accendendo i riflettori su un passato che sembra remoto ma in realtà è fin troppo prossimo. I sentimenti, i sogni, le speranze, la voglia di riscatto, in fin dei conti, restano gli stessi malgrado il passare dei decenni e dei secoli.

La leggenda del pescatore che non sapeva nuotare nasce dalle interviste realizzate da Agnese Fallongo durante i suoi “viaggi” in un’Italia che ha ancora molto da raccontare e da insegnare. Il risultato è uno spettacolo musicale gradevolmente sincero e piacevolmente riflessivo.

data di pubblicazione: 1/10/2017


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PICASSO TRA CUBISMO E NEOCLASSICISMO: 1915-1925

PICASSO TRA CUBISMO E NEOCLASSICISMO: 1915-1925

(Scuderie del Quirinale e Palazzo Barberini – Roma, 22 settembre 2017/21 gennaio 2018)

Picasso – Méditerranée è un progetto che nasce per rafforzare e mettere in luce i legami tra Picasso e le diverse sponde del Mediterraneo.

In occasione della mostra si possono seguire le tracce del primo viaggio di Picasso a Roma (attraverso delle conversazioni a Roma per circa 8 settimane).

La mostra si svolge nelle Scuderie del Quirinale e nel Gran Salone del Palazzo Barberini.

Arlecchino e donna con collana olio su tela 1907, Le retour du bapteme d’après Le Nain olio su tela 1917, Ritratto di Olga in poltrona olio su tela 1918, studio della scenografia del balletto “tricorne” 1919, Cuadro flamenco 1921, Pulcinella 1920, Deux baigneuses gouache, pastello sanguigna e matita su carta velina 1920, La Coiffeuse matita su carta 1921, Deux femmes courant sur la plage gouache su tavola 1922, Saltimbanco seduto con braccia conserte olio su tela 1923, Baigneuse allongée matita su carta 1923, Les trois danseuses olio su tela 1925, sono alcune delle bellissime opere della  mostra, che racchiude il periodo italiano ma anche quello successivo all’esperienza italiana.

Tutta la mostra meriterebbe di essere descritta per la ricchezza e la bellezza delle opere, ma ciò che stupisce è il contributo prezioso che Picasso è riuscito a dare all’arte della scenografia teatrale.

Si vuole sottolineare l’evoluzione del suo progetto partendo da una manifestazione di allegria in Parade ad una espressività essenziale in Il cappello a tre punte.

Parade è il nome del balletto teatrale ideato da Jean Cocteau e realizzato in collaborazione con l’impresario Sergei Djagilev (fondatore della Compagnia dei Balletti Russi) e ai musicisti Igor Stravinskij e Erik Satie, al coreografo Léonide Massine e naturalmente a Picasso; nel 1917 tutti insieme partirono per Roma alla ricerca dell’ispirazione ma ognuno con la propria sfida, Picasso avrebbe trasferito il cubismo sulle scene.

Stupiscimi è la sfida che Djagilev aveva lanciato a Jean Cocteau con l’intento di mescolare la danza con un discorso contemporaneo in un approccio interdisciplinare dei suoi artisti.

Sergei Djagilev stava ricostruendo la sua Compagnia e voleva riconquistare gli alti standard di qualità e fama che aveva prima della guerra.

Parade metteva in scena l’assaggio di un’esibizione destinata ad attrarre un pubblico e rifletteva l’interesse degli intellettuali parigini per il circo e il teatro di rivista.

Cocteau voleva celebrare la banalità quotidiana, Massine voleva creare qualcosa di nuovo e rappresentativo dell’epoca; da qui i riferimenti a forme d’arte moderne come il jazz e il cinema.

 Parade era un balletto che durava 15’ e veniva messo in scena insieme ad altri 2 o 3 numeri di repertorio della Compagnia dei Balletti Russi.

L’infinità dei disegni dimostrano e documentano l’evoluzione del progetto: testimoniano la curiosità dell’artista e della sua disponibilità a imparare a collaborare.

Non c’è luogo più indovinato del Gran Salone di Palazzo Barberini dove ammirare questa meraviglia.

È una tela di dimensioni di 10.00m x 16.00m, 172 mq di vita, allestita sotto 520 mq di volta affrescata da Pietro Berrettini da Cortona e realizzata da Gian Lorenzo Bernini: étonne-moi!

La mostra è un crescendo di emozioni che esplodono in questa immensa opera “sipario” di “Parade (oggi al Centro Pompidou, Musée national d’art moderne, Parigi),

Si rimane senza parole.

Il cappello a tre punte (tributo alla Spagna da parte di Djagilev per averli aiutati durante la guerra) di Picasso è un’altra opera di scenografia teatrale dove realizzò un’unica scena : uno spazio per numerosi “ensemble” e  40 costumi.

Accettò le critiche dell’impresario e produsse innumerevoli schizzi in cerca della soluzione perfetta.

Picasso mostrò come un soggetto può essere ridotto all’essenziale, la scena lasciava ai costumi lo spazio per respirare.

Nel 1924 Picasso diede inoltre il permesso ad usare come sipario la sua opera Deux femmes courant sur la plage (l’immagine dell’opera è la locandina della mostra) per il balletto Le train bleu.

L’incontro di arte, musica e letteratura crea una sinestesia e diventa un’inesauribile risorsa creativa e un metodo di lavoro che è Picasso.

Uno storico dell’arte disse che non si può veramente capire un’opera d’arte figurativa finché non si prova a “danzarla”.

data di pubblicazione: 1/10/2017

 

GAROFANO VERDE – Scenari di Teatro Omosessuale, Rassegna a cura di Rodolfo di Giammarco

GAROFANO VERDE – Scenari di Teatro Omosessuale, Rassegna a cura di Rodolfo di Giammarco

(Teatro India – Roma, 28/30 settembre 2017)

Una simpatica prerogativa dei napoletani, a prescindere dal ceto sociale di appartenenza, è quella di esprimersi comunque nel proprio dialetto ben sicuri che le parole assumono un ruolo secondario, mentre invece il suono ed il gesto sono fattori sufficienti per una corretta comprensione da parte del soggetto interlocutore.

A chiusura di questa interessante Rassegna teatrale, Enzo Moscato, partenopeo doc, presenta il suo monologo a più voci Occhi Gettati, rivisitazione di un testo già elaborato dallo stesso attore-regista negli anni Ottanta e che ancora oggi, dopo tanti anni, riesce a conquistare il pubblico in sala. Al di là del racconto, spesso burlesco ma sempre amaro, Moscato riesce a trasformare la tragedia in divertimento grazie soprattutto al linguaggio espressivo utilizzato. Dopo i primi attimi in cui lo spettatore rimane disorientato da un frastuono di parole incomprensibili, improvvisamente lo stesso si trova dentro la situazione, partecipe di una realtà che, attraverso la finzione, si manifesta nella sua crudezza.

La storia dei tre trans, fermamente convinti ad affrontare una propria odissea pur di arrivare al passo definitivo e aggiustare la propria identità sessuale, se da un lato diverte per il susseguirsi di battute spassose, di contro ci presenta una quotidianità nella sua crudele tragicità. Ecco che l’attore-filosofo ci illumina con la sua napoletanità: unica arma per affrontare il dolore è quella di giocare con esso, imparando l’arte di convertire il dramma in farsa. E se ci si riflette sopra con attenzione ci si accorge che tutto questo è ciò che rende Napoli e i napoletani unici e amati in tutto il mondo, proprio per la leggerezza del loro essere.

data di pubblicazione: 1/10/2017


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