MON GARÇON di Christian Carion, 2017 – Selezione Ufficiale

MON GARÇON di Christian Carion, 2017 – Selezione Ufficiale

(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)

Julien, rientrando a casa dopo una missione di lavoro all’estero, trova nella segreteria telefonica un messaggio della sua ex moglie che lo informa della sparizione del loro unico figlio Mathias. La polizia sembra brancolare nel buio circa le cause della scomparsa di un bambino di soli sette anni durante una gita in montagna con la scuola. Julien allora decide di cercarlo ad ogni costo.

Alla base del thriller di Christian Carion c’è la storia di due ex coniugi che ancora si rimproverano le reciproche colpe circa la fine del loro matrimonio. Lui, tutto dedito al lavoro che lo porta a viaggiare molto, e a non essere mai presente né per la moglie né per il figlio; lei (Mélanie Laurent), donna fragile e bisognosa di attenzioni, cerca conforto dopo la separazione da Julien in un altro uomo, più affettuoso e presente, che fa progetti su una loro famiglia futura in cui non c’è posto per il piccolo Mathias. I sensi di colpa e le reciproche accuse circa il perché il bambino sia sparito, prendono dapprima il sopravvento sulla storia e sulle relative indagini, che tuttavia non sortiscono l’effetto desiderato. Julien decide dunque di indagare: la soluzione arriverà solo sul finale di un film ad alto tasso di adrenalina, in cui Julien (un bravo Guillame Canet, che non delude quasi mai né da interprete né da regista) non si fermerà di fronte a nulla pur di ritrovare il figlio, sparito in piena notte dalla tenda in cui dormiva con altri bambini e che sembra svanito nel buio.

Le buone prove degli attori ed il ritmo del film, che riesce a tenere lo spettatore con il fiato sospeso dall’inizio alla fine, non bastano tuttavia a dare sufficiente spessore alla pellicola.

La trama non particolarmente originale, supportata da una sceneggiatura che inserisce elementi apparentemente importanti al fine della risoluzione del caso, ma che poi rimangono irrisolti sul finale, creano un po’ di delusione e ci danno la sensazione che qualcosa nel film non abbia funzionato.

data di pubblicazione:28/10/2017







MON GARÇON di Christian Carion, 2017 – Selezione Ufficiale

CABROS DE MIERDA di Gonzalo Justiniano, 2017 – Selezione Ufficiale

(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)

Samuel è un missionario americano appena ventitreenne che arriva in Cile agli inizi degli anni Ottanta, in piena dittatura di Pinochet, per vivere insieme al popolo di un misero sobborgo di Santiago e nel contempo per praticare la sua azione di evangelizzazione. Il ragazzo prende alloggio in casa di Gladys, donna di carattere che insieme ad altre del quartiere porta avanti una attiva resistenza nei confronti del regime. Samuel, quasi senza volerlo, ne sarà coinvolto sentimentalmente e ne seguirà l’azione clandestina rimanendone invischiato a tal punto da mettere quasi a rischio la propria vita.

Gonzalo Justiniano è un regista, produttore e sceneggiatore cileno che da anni si occupa di problemi sociali del suo Paese, riuscendo ad ottenere con i suoi film numerosi riconoscimenti internazionali. Attraverso il racconto del protagonista Samuel Thomson (Daniel Contesse), che con l’aiuto della sua macchina fotografica ci mostra anche interessanti documenti storici di repertorio riguardanti quel tragico periodo, il regista desidera contribuire al ricordo di tutte quelle numerose donne che come Gladys (Nathalia Argonese) seppero portare avanti la speranza della libertà in un paese martoriato dall’azione della polizia che non esitava, dopo terribili torture, ad occultare i cadaveri buttandoli in mare aperto. Samuel si troverà ad essere testimone di una barbarie che veniva regolarmente perpetuata dagli uomini di Pinochet verso gli oppositori del regime, sovente presunti dal momento che non risparmiava neanche i bambini. Il film ha il merito di mostrare una ferita sociale che, giustamente, fa fatica a rimarginarsi in quanto la popolazione di oggi non può facilmente dimenticare la propria lotta per tornare al legittimo sogno di democrazia. Apprezzabile il lavoro del regista-sceneggiatore, che ha saputo narrare una storia tragicamente credibile, con personaggi molto credibili. Particolare menzione va alla figura del piccolo Vladi (Elìas Collado) che vive nella casa di Gladys e che rappresenta uno dei tanti bambini rimasti soli perché la famiglia d’origine è stata perseguitata e decimata dalla dittatura.

data di pubblicazione:28/10/2017








MON GARÇON di Christian Carion, 2017 – Selezione Ufficiale

UNA QUESTIONE PRIVATA di Paolo e Vittorio Taviani, 2017 – Selezione Ufficiale

(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)

Paolo e Vittorio Taviani scrivono una nuova pagina di poesia ed incantano con Una questione Privata. Dalle righe di Fenoglio prendono magicamente corpo i personaggi di Milton, Giorgio e Fulvia, avvolti e protetti dalla loro amorosa amicizia come le nebbie delle Langhe salvaguardano i partigiani dalle rappresaglie dei fascisti. È l’estate del 1943.

Siamo ad Alba e Milton (Luca Marinelli), giovane studente universitario soprannominato così per il suo amore verso la letteratura anglosassone (e che un anno dopo diverrà il suo nome di battaglia da partigiano), fa visite giornaliere a Fulvia (Valentina Bellè), una giovane torinese sfollata per qualche tempo ad Alba presso la villa estiva dei suoi genitori. La ragazza, capricciosa ed affascinante, di cui Milton si innamora perdutamente, le è stata presentata dal suo amico fraterno Giorgio Clerici (Lorenzo Richelmy), bello e guascone. I tre iniziano un’assidua frequentazione sino a quando Milton, nell’estate del ’43, si arruola: lo ritroveremo un anno dopo partigiano tra le colline di Alba. Non essendo mai riuscito a confessarle il suo amore, Milton fa sovente dono a Fulvia di bellissime lettere d’amore, di cui la ragazza si bea ogni qual volta vuole sentirsi al centro dell’attenzione di quel giovane timido e riservato, che amava leggere in lingua stralci di Cime tempestose. Nel novembre del ’44, durante una ricognizione, il “partigiano Milton” si ritrova casualmente di fronte alla villa e si imbatte nella vecchia governante (Anna Ferruzzo) che gli confida quanto Fulvia e Giorgio si fossero frequentati assiduamente dopo la sua partenza.

Può la gelosia far fermare tutto ciò in cui si crede di più, sino ad arrivare a desiderare la morte? Inizia per questo giovane un viaggio fatto di corse estenuanti, e di stratagemmi guidati da una irrefrenabile ossessione per raggiungere quel rivale in amore che, anche lui partigiano, nel frattempo è stato catturato dai fascisti.

I personaggi del romanzo sono tratteggiati con maestria: Fulvia ad esempio è quasi irreale, è la scintilla che sconvolge Milton e se ne impossessa, sino a spingerlo in questa ricerca spasmodica del suo amico Giorgio solo per conoscere la verità sui loro rapporti, più che per salvarlo dal nemico. Bello il modo con cui i Taviani indicano il passare del tempo mutuato attraverso l’inquadratura su come cambiano le mani di Milton, così come l’importanza che danno al frusciare degli alberi che ricordano la brughiera dello Yorkshire in cui è ambientato il romanzo della Bronte. “Noi abbiamo sempre amato Fenoglio” –dichiara Paolo Taviani in conferenza stampa- “il libro ci ha dato la possibilità di esprimere quell’inquietudine che volevamo raccontare, di cui il fascismo è solo la cornice… noi non traduciamo il libro in un film ma, come fu anche per Pirandello, cogliamo quei sentimenti da trasformare, tradendo il testo… e Fenoglio, sarebbe d’accordo”.

In alcune immagini del film, che rimangono impresse nella memoria, si sente, senza udire, lo strazio della guerra all’unisono con lo strazio della gelosia che corrode le membra e l’animo di Milton, in un furore di “ariostesca” memoria, in cui la storia fa solo da tragico sfondo alla vicenda privata.

data di pubblicazione:27/10/2017








MON GARÇON di Christian Carion, 2017 – Selezione Ufficiale

DETROIT di Kathryn Bigelow, 2017 – Selezione Ufficiale

(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)

E’ il film della Bigelow la vera sorpresa dell’apertura della dodicesima edizione della Festa del Cinema di Roma. La regista, prima donna a vincere nel 2010 il premio Oscar con il film The Hurt Locker, con Detroit è alla sua terza collaborazione con Mark Boal. Con un taglio parzialmente documentaristico ci riporta alla rivolta sanguinosa di cinquanta anni fa, nella omonima città statunitense, dove l’odio razziale americano raggiunse il culmine con l’uccisione da parte della polizia di tre afroamericani ed il ferimento di altre diverse centinaia.

Cinque giorni di disordini che sfociarono in una rivolta repressa nel sangue dalla polizia, in cui rimasero gravemente ferite centinaia di persone tra la popolazione afro-americana, raccontati con un crudo realismo e supportati da immagini di repertorio, riescono a dare un ulteriore colpo di frusta, semmai ce ne fosse ancora bisogno, alla società americana dove l’azione politica perpetuata verso le minoranze, oggi più che mai, risulta palesemente offensiva della dignità umana in tutti i suoi aspetti. La morte di tre giovani che si trovavano nel Motel Algiers, uccisi dagli agenti di polizia perché sospettati di essere dei cecchini, dopo essere stati sottoposti assieme agli altri ospiti del motel a maltrattamenti e torture anche psicologiche perché considerati pericolosi senza che ci fossero delle fondate accuse, mettono il pubblico bruscamente al corrente di come le istituzioni perbeniste americane coprirono l’operato repressivo della polizia di Detroit, riuscendo a camuffare, sotto l’apparenza di una forte democrazia, quello che in effetti fu considerato un grave crimine repressivo contro la gente di colore.

Quelle immagini diventano così un buon pretesto per indurci a pensare che lo slogan “Proud to be American”, tanto reclamizzato ai tempi dell’attentato dell’11 settembre 2001 alle Twin Towers, è da considerarsi oggi quanto mai fuori posto, quasi un eufemismo che induce invece alla vergogna. La regista racconta gli anni 60 bui americani attraverso quel razzismo che fu la reale causa del massacro di Detroit, e lo fa alla luce di quanto accade oggi nel suo paese. La brutalità che aumenta, le urla, la violenza e la tensione vengono restituite al pubblico senza sconti, e si partecipa affinché giustizia venga fatta verso gli autori di tutto questo, in una storia così lontana eppure così attuale. La pellicola può considerarsi un’ottima testimonianza storica per le generazioni di oggi e di domani.

data di pubblicazione:27/10/2017








MON GARÇON di Christian Carion, 2017 – Selezione Ufficiale

HOSTILES di Scott Cooper, 2017 – Selezione Ufficiale

(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)

L’apertura di questa dodicesima edizione della Festa del Cinema di Roma è stata affidata al film Hostiles dello statunitense Scott Cooper (Crazy Heart, Out of the Furnace e Black Mass). Il regista e sceneggiatore assegna ad un western il compito, certamente non semplice, di diffondere un messaggio quanto mai preoccupante e terribilmente attuale.

Ambientato nel 1892 narra del leggendario capitano Blocker (Christian Bale) che, suo malgrado, dovrà scortare un capo Cheyenne in punto di morte e i suoi cari, da tempo detenuti dall’esercito statunitense a Fort  Berringer, fino alla loro terra natia. Durante il lungo viaggio la compagnia dovrà affrontare mille pericoli soprattutto per le incursioni dei sanguinari membri delle tribù Comanche che tra l’altro avevano appena decimato una intera famiglia di bianchi dove era rimasta miracolosamente viva solo Rosalie (Rosamund Pike). L’incontro con la donna, ancora sotto shock per la crudele perdita dei suoi figli e del marito, sarà il pretesto che spingerà il capitano a ripensare a tutta la sua vita, come uomo e come soldato, rendendolo piano piano più predisposto ad abbandonare l’istintivo odio verso i nativi indiani e a accettare il loro modo di essere e la loro ancestrale cultura. Sembra quasi bizzarra la scelta di Cooper di affrontare con un western le problematiche che affliggono oggi il mondo in cui viviamo e dove gli Stati Uniti sembrano sempre più distanti dall’accettare la non violenza e le differenze ideologiche. La storia, pur ambientata in un’epoca oramai appartenente al passato, è quanto mai attuale e sicuramente pertinente alle guerre che insidiano oggi la nostra libertà, il rispetto dei valori umani e della diversità in generale. Il film è ben interpretato e buona è la sceneggiatura curata dallo stesso regista, ma è certamente di ottimo livello la fotografia curata da Masanobu Takayanagi di immensi paesaggi che accompagnano i protagonisti nel loro viaggio verso le praterie del Montana. Il finale, forse scontato, ben si inserisce nel contesto di violenza e di odio che accompagna l’intera narrazione, e non ci sarebbe da stupirsi se Hostiles otterrà la prestigiosa dorata statuetta alla prossima edizione dell’Academy Awards.

data di pubblicazione:26/10/2017








LA RAGAZZA NELLA NEBBIA di Donato Carrisi, 2017

LA RAGAZZA NELLA NEBBIA di Donato Carrisi, 2017

Avechot è uno sperduto villaggio immerso in una piccola vallata tra le montagne nella provincia di Bolzano. I suoi abitanti vivono una vita tranquilla, immersa totalmente nell’attività religiosa di una confraternita che inculca loro principi morali molto rigidi, completamente anacronistici. In una sera densa di nebbia Anne Lou Kastner, ragazza tutta scuola e famiglia con una fortissima passione per i gatti, uscita di casa per andare in confraternita, sparisce nel nulla. Sul posto viene subito inviato l’agente speciale Vogel, uomo di grande esperienza nella soluzione di casi giudiziari difficili, anche se questa volta la ricerca della verità sarà impresa difficile perfino per lui…

Donato Carrisi è uno scrittore, sceneggiatore e giornalista specializzato in criminologia e scienze del comportamento; autore di diversi romanzi, ha già ottenuto prestigiosi riconoscimenti letterari tra cui il Premio Bancarella per il libro Il Suggeritore. Con La Ragazza nella Nebbia, pubblicato nel 2015, Carrisi si cimenta per la prima volta nelle vesti di regista riuscendo a confezionare un thriller psicologico che riesce a trasferire allo spettatore una suspance per l’intera duratadelfilm. Vogel, egregiamente interpretato da Toni Servillo, sin dalle prime immagini si comporta esibendo una sagacia talmente particolare da poterlo accostare al migliore Maigret uscito dalla penna di Georges Simenon. Il complesso caso giudiziario che dovrà affrontare nell’isolata cittadina di Avechot tiene tutti con il fiato sospeso, interpreti e pubblico, in un susseguirsi di colpi di scena che ingarbugliano sempre più il filo logico della vicenda, lasciando tutti spiazzati di fronte ad una insolita soluzione finale. Il film, pur proponendo una storia reale che pecca a tratti di originalità nella trama, coinvolge il pubblico che rimane disorientato nella spasmodica attesa di una spiegazione che tarda a profilarsi e a ricomporsi, come un puzzle che non si riesce a completare in un assurdo gioco perverso tra il bene ed il male.

Il cast è tutto di primordine: oltre a Servillo, troviamo Alessio Boni nella parte del prof. Loris Martini e Lorenzo Richelmy nel ruolo dell’agente Borghi che collabora con Vogel, anche se una menzione di merito va sicuramente al personaggio dello psichiatra Flores interpretato da Jean Reno. La sceneggiatura, curata dallo stesso Carrisi, riesce a catturare lo spettatore sin dalla prima immagine conducendolo nell’intrigo della vicenda con una violenza davvero disarmante.

data di pubblicazione:25/10/2017


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VICTORIA & ABDUL di Stephen Frears, 2017

VICTORIA & ABDUL di Stephen Frears, 2017

Judi Dench entra nuovamente nei panni della regina Vittoria e lo fa sontuosamente con un’interpretazione ad alto tasso d’ironia, oltre che di bravura. Sposata con suo cugino Alberto, la regina Vittoria ebbe nove figli e regnò per un tempo lunghissimo (1837-1901) da tutti conosciuto come epoca vittoriana. Il film parla del periodo immediatamente successivo al giubileo per i primi 50 anni del suo longevo regno, in occasione del quale le venne consegnata una moneta commemorativa.

La regina, che nel 1876 era diventata anche Imperatrice d’India, ricevette questo piccolo dono celebrativo dalle mani di un umile impiegato indiano, Abdul Karim, scelto solo ed esclusivamente per la sua statura e prestanza fisica. Il giovane, inviato da Agra a Londra al cospetto di Sua Maestà, contravvenendo ai rigidi rituali di corte secondo i quali nessun suddito deve in alcun modo guardare negli occhi la sovrana, arrivò oltre che a sorriderle anche a baciarle i piedi. Grazie anche a questi gesti fuori protocollo, Abdul riesce a conquistare la regina a tal punto da diventarne dapprima suo servitore, poi segretario ed infine “munshi”, maestro spirituale. L’amicizia tra i due farà scandalo a corte e sarà molto osteggiata sino alla morte della sovrana avvenuta nell’Isola di Wight nel 1901.

“Ispirato a fatti realmente accaduti … per lo più” è la frase che dà inizio a questa divertente pellicola di Stephen Frears, la quale narra di questa insolita quanto malvista amicizia tra la regina Vittoria ed un musulmano di umilissime origini. Il regista spinge molto l’acceleratore sulla stanchezza che la Regina Vittoria, allora ultra ottantenne, provava per i noiosi riti di corte e su come i comportamenti decisamente inusuali ed arditi di quel giovane proveniente da una terra che, seppur facesse parte dell’impero britannico, lei non aveva mai visitato, la affascinarono a tal punto da esserne attratta. Inutile dire che il film è perfetto, la storia divertente, le ambientazioni sontuose, anche se a tratti stucchevoli, e la maestria di Frears (Le relazioni pericolose, The Queen, Philomena, Florence) nel portare sullo schermo tutto questo è immensa, supportata da un cast di attori tutti molto bravi.

Victoria & Abdul, presentato Fuori Concorso alla 74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, è una di quelle pellicole che non annoiano grazie anche alla curiosità che il pubblico può nutrire verso i capricci eccentrici della Regina Vittoria, da molti anni in lutto per la morte del marito, stanca ed annoiata, ma anche immensamente potente, tanto da potersi permettere di sfidare l’Impero con i suoi comportamenti.

data di pubblicazione:25/10/2017


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MEDEA di Euripide, regia di Luca Ronconi ripresa da Daniele Salvo

MEDEA di Euripide, regia di Luca Ronconi ripresa da Daniele Salvo

(Teatro Quirino – Roma, 24 ottobre/ 5 novembre 2017)

Un sentito omaggio a Luca Ronconi, grande uomo di teatro scomparso nel 2015, da parte del suo allievo Daniele Salvo, regista emiliano diplomato alla scuola attori “Teatro Stabile di Torino” e oramai noto per averci fatto apprezzare i suoi lavori sulla tragedia classica di cui è diventato esperto conoscitore. Lo spettacolo che viene ora ripreso al Teatro Quirino è una edizione storica che già a suo tempo vide l’attore Franco Branciaroli nei panni femminili di Medea, personaggio quanto mai passionale e mostruosamente vendicativo che, con le proprie istanze di riscatto sociale di donna, anticipa di parecchi secoli ciò che ante litteram sarà il pensiero del movimento femminista. Medea ha sacrificato la propria famiglia e la patria pur di assecondare il suo amato Giasone e non ha esitato in suo favore ad utilizzare le proprie abilità magiche rendendosi autrice persino di numerose efferatezze.

Euripide in Medea inserisce tutti gli elementi classici della tragedia greca, che solo la camaleontica interpretazione di Branciaroli riesce a tratti ad alleggerire senza tuttavia sminuirne il pathos. Risultano altresì esaltati i tratti psicologici della protagonista, che si trova sola e costretta all’esilio senza possibilità di ritorno in patria, e alla quale le sono ora negati gli affetti più cari. Solo le donne di Corinto comprendono l’impotenza di Medea di fronte all’oltraggio subito e quasi la spingono a intraprendere una azione vendicativa esemplare, anche se poi rimangono atterrite di fronte al sacrificio dei due giovani figli innocenti che la donna sacrificherà pur di distruggere l’infame Giasone e negargli una discendenza. L’ambientazione scenica è di grande effetto, soprattutto quella iniziale quando ai lamenti della nutrice fa da sfondo la visione di un vero cuore palpitante: qualcosa che disturba, ma che fa entrare direttamente dentro quell’imminente dramma, che già trova forma e contenuto nell’immagine. Accanto a Franco Branciaroli troviamo Alfonso Veneroso nella parte di Giasone e Antonio Zanoletti nel ruolo di Creonte, mentre particolarmente toccante la figura di Egeo interpretata da Livio Remuzzi. Cast quindi di primordine ben adatto ad uno spettacolo che, sia pur curato nei minimi dettagli da Daniele Salvo, porta in calce la firma dell’indimenticabile Luca Ronconi.

data di pubblicazione:25/10/2017


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NON DITELO ALLO SCRITTORE di Alice Basso – Garzanti, 2017

NON DITELO ALLO SCRITTORE di Alice Basso – Garzanti, 2017

Nuovo godibilissimo romanzo di Alice Basso con la ghostwriter Vani Sarca che, anche in questa occasione, mi ha regalato grasse risate!

Enrico Fuschi, direttore delle Edizioni “L’Erica”, si è basato sul Pares cum paribus facillime congregantur di Cicerone e ha affidato a Vani un compito a dir poco arduo, trovare il ghostwriter che si cela dietro uno dei romanzi storici più importanti della letteratura italiana pubblicato proprio per i loro tipi a firma di Ruggero Solimano: l’obiettivo è quello di presentarlo al pubblico come vero autore per rilanciare il testo con la nuova edizione a sua firma.

Con una indagine degna del miglior Poirot, Vani riesce a scovare il suo omologo, Edoardo Marotta, professore di storia del figlio di Solimano, il quale non è esattamente quello che sperava fosse il dott. Fuschi: “Pazzesco. Quest’uomo è totalmente incapace di rilasciare dichiarazioni pubbliche. Come apre bocca, offende qualcuno, Wow.

Fuschi incarica Vani di un ulteriore compito, far diventare Marotta un ottimo comunicatore: a tal fine le affianca Riccardo Randi, lo scrittore che in L’imprevedibile piano della scrittrice senza nome le ha spezzato il cuore.

Mentre si svolgono tutte queste vicissitudini Vani è in realtà completamente presa dalla sua consulenza presso la Polizia di Stato; la sua collaborazione con il commissario Berganza la porta a  scoprire come un boss della malavita, malato e agli arresti domiciliari, possa comunque guidare i suoi traffici illegali… i colpi di scena di susseguono una via l’altro e Vani si troverà anche a dover salvare la vita al commissario!

Pur conscia che il mio commento sarà praticamente una fotocopia di quelli fatti per i libri precedenti, ma l’usus scribendi di Alice Basso è assolutamente godibile, ironico, fluente, brillante; Vani ha un sarcasmo incomparabile che non può non farla apprezzare.

Insomma, come per i precedenti romanzi, non vedo l’ora di avere tra le mani il prossimo libro!

data di pubblicazione: 23/10/2017

 

FERDINANDO di Annibale Ruccello, regia di Nadia Baldi

FERDINANDO di Annibale Ruccello, regia di Nadia Baldi

(Teatro Piccolo Eliseo – Roma, 18 ottobre/5 novembre 2017)

Dopo il fortunato debutto napoletano, approda a Roma, al teatro Piccolo Eliseo, Ferdinando di Annibale Ruccello, per la regia di Nadia Baldi.

Scritto agli inizi degli anni Ottanta e ambientato nel 1870, Ferdinando resta il capolavoro di Annibale Ruccello, considerato il migliore esponente della drammaturgia napoletana post-eduardiana, scomparso prematuramente nel 1986 per un banale incidente stradale. Quello di Ruccello è un grande teatro di prosa, di narrazione.

Connotato del suo teatro è l’angoscia dell’uomo moderno nello scontro con la realtà esterna: fobie, delitti, sensualità dolorosa, ambientazioni cupe e serrate.

L’azione si svolge in una villa nei dintorni di Napoli dove vivono, in esilio volontario, due donne. La baronessa Donna Clotilde (Gea Martire), chiusa nella sua ipocondria e in una simulata infermità a letto, rifiuta culturalmente e storicamente la modernità, non solo ripudiando la nuova situazione politica e il re sabaudo, ma anche l’italiano. L’altra Gesualda (Chiara Baffi), sua cugina povera e zitella, che la accudisce e la sorveglia, che intreccia una relazione clandestina con Don Catellino (Fulvio Cauteruccio), prete dissoluto e coinvolto in intrallazzi politici.  Nulla sembra poter cambiare il corso degli eventi, finché non arriva Ferdinando (Francesco Roccasecca) un giovane nipote di Donna Clotilde, dalla bellezza morbosa e strisciante. Sarà lui a gettare lo scompiglio nella casa, a mettere a nudo contraddizioni, a disseppellire scomode verità e a spingere un contesto apparentemente immutabile verso un inarrestabile degrado.

Tutti i personaggi in una prima fase si presenteranno nel loro quotidiano per poi svelare l’interiore quando i freni inibitori e culturali non hanno più il loro potere censurante.

Ferdinando è il diavolo che irrompe sulla scena, scatenando l’inespressa sessualità che coinvolge prima Clotilde, poi Gesualda, e infine Don Catellino. Una voragine di desideri repressi che finisce per generare gelosie, ricatti, vendette, ed alla fine anche complicità fra le due donne portandole all’avvelenamento del prete rivale in amore. Ma poi tutto precipita, Ferdinando scopre l’assassinio, ricatta le due donne e svela la propria identità (non è il nipote di Clotilde, ma un ladro e si chiama Filiberto, come i Savoia). Un finale noir dell’opera come noir è la solitudine in cui si sono chiuderanno Clotilde e Gesualda.

L’attenta mano di Nadia Baldi esalta la potenza drammaturgica del testo, riuscendo ad enucleare ed esaltare le caratterizzazioni dei singoli personaggi e gli oggetti feticcio che li circondano. Rapporti che spesso si evidenziano con efficacissimi piccoli gesti, giochi di sguardi, sequenze di parole seguite da inquietanti silenzi, mettendo in luce le connessioni esistenziali fra dramma e malinconia, comicità e solitudine.

Molto bravi gli attori ma soprattutto straordinarie le due protagoniste, capaci di rendere le due cugine così differenti e cosi unite, ma anche così uniche, nonostante le tante grandissime interpreti che in passato si sono cimentate nei due ruoli.

Un teatro moderno e colto, che va visto e protetto.

data di pubblicazione: 21/10/2017


Il nostro voto: