da Antonio Jacolina | Nov 12, 2017
Michel Hazanavicius, poliedrico e talentuoso regista e sceneggiatore, dopo i premi vinti a Cannes nel 2011 ed i cinque Oscar nel 2012 per The Artist, torna nuovamente sugli schermi con Il mio Godard. Il film già dal titolo potrebbe sembrare uno di quei prodotti di genere che gli Americani definirebbero come biopic, ma non è affatto così: è qualche cosa di ben più raffinato, che potremmo definire un falso biopic, o meglio, una sottile ed impertinente commedia, venata di ironia, charme e humour intelligente tipico del miglior Hazanavicius.
Il mio Godard è un perfetto equilibrio fra omaggio e delicata desacralizzazione dell’icona Godard, il maestro principe della Nouvelle Vague, regista politicamente arrabbiato ed impegnato; contemporaneamente, è anche una frizzante ed ironica sottolineatura dei difetti e contraddizioni del Godard uomo con tutte le sue caratteristiche ed egocentriche debolezze, ispirato alle vicende reali riportate nel libro autobiografico della ex moglie nonché musa del regista. Un sapiente collage di momenti seri e faceti della sua vita, un ritratto sia aspro, sia affettuoso.
Siamo a Parigi nel biennio 1967-1968, Godard (interpretato dal talentuoso Louis Garrel) sta girando La Chinoise con protagonista l’amore e musa del momento: Anne Wiaremsky (la brava e delicata Stacy Martin). Sono entrambi felici, lei ha quasi 20 anni, lui 37, sono innamorati, seducenti e sedotti, l’uno della bellezza e dolcezza di lei, l’altra del fascino intellettuale del regista e dell’uomo. Si amano, convivono, e si sposano. Il film però, alla sua uscita è un fiasco totale, sia di critica, sia di pubblico. La dura realtà, l’imprevisto insuccesso, mettono in crisi profonda il regista.Da un punto di vista artistico Godard pone in dubbio le proprie capacità ideative, realizzative e tutto il senso ed il valore delle opere prodotte fino a quel momento.
Da un punto di vista privato, le sue incertezze e, contemporaneamente il suo ego smisurato e narcisistico, incrinano nel profondo la sostanza del suo rapporto affettivo con la moglie, compagna, musa ed attrice.
Con l’esplosione poi del Maggio Francese nel 1968, con tutte le sue esasperazioni rivoluzionarie, culturali, sociali ed artistiche, Godard, ormai in piena crisi, si trasforma profondamente da artista innovativo di avanguardia in un regista con forte connotazione politica estremistica, rivoluzionaria e “maoista”. Ormai si è posto fuori e contro tutto il sistema artistico e politico, è ormai un militante ed attivista tanto incompreso quanto incomprensibile ai suoi stessi amici, ai colleghi, ai collettivi studenteschi ed al pubblico.
Hazanavicius ci restituisce con tenerezza ed un sotterranea malinconia, in ogni più minimo dettaglio, anche con un voluto uso del technicolor per meglio renderci i colori netti del cinema di quegli anni, l’epoca, i luoghi e le atmosfere di quelle settimane esaltanti di Parigi.
Guarda, con tutta la tenerezza di chi, 50’anni dopo, sa come sono andate le cose, i sogni rivoluzionari, le affermazioni contro la Società, il mito del maoismo egalitario e salvifico per cui Godard lotta e sogna.
Il film procede con un ritmo leggero, quasi senza prendersi troppo sul serio, quasi ammiccando allo spettatore. E proprio questa ricercata leggerezza narrativa, tra l’insolente e l’affettuoso, tra il divertito ed il divertente è la vera chiave narrativa con cui si deve leggere tutta l’opera. Pellicola intelligente, frizzante che ci fa pensare che un film d’Autore può e, non deve aver vergogna di essere, anche un gradevole divertimento.
data di pubblicazione:12/11/2017
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da Maria Letizia Panerai | Nov 9, 2017
The Place è il nome di un bar con piccoli tavoli tondi ed una insegna luminosa, sito all’angolo di una strada che può appartenere ad una qualsiasi città italiana. Quel che conta è ciò che in questo posto avviene: un uomo (Valerio Mastandrea), seduto tutti i giorni allo stesso tavolino, fa colazione, pranza e a volte si intrattiene sino a notte fonda. La sua attività sembra essere quella di ascoltare ed esaudire i desideri di sconosciuti che, avvicendandosi al suo cospetto, gli chiedono di cercare una soluzione ai propri problemi. La soluzione di ogni cosa sembra essere contenuta in una grande agenda dal fodero in pelle nera, sulla quale l’uomo annota ogni richiesta.
Dopo il successo di Perfetti sconosciuti, film originale e sorprendente per le dinamiche che si innescano in un gruppo di amici allo scambio dei loro telefoni cellulari, Paolo Genovese torna a sorprenderci questa volta con una pellicola dove tutto è ben delineato sin dall’inizio, senza troppe sorprese, in una costruzione di scene che si ripetono in maniera eguale. L’unica differenza la fanno i dieci personaggi che espongono le loro richieste a questo insolito “psicologo” che sembra sapere tutto sulle dinamiche dello spirito umano. Sino a quanto questi strani interlocutori oseranno spingersi per raggiungere ciò che desiderano? La cosa che appare subito chiara è proprio che per ogni richiesta c’è un prezzo da pagare: affinché il desiderio si avveri, ogni individuo può scegliere se fare o meno ciò che l’uomo chiede loro di fare ed in cambio di ciò che desiderano ottenere, viene offerta loro una soluzione da accettare in libertà, senza alcuna costrizione da parte dell’offerente. Un esercizio dunque di libero arbitrio. Ma il fine giustificherà i mezzi?
Seppur sia palese che il regista abbia voluto fare qualcosa di diverso senza cavalcare l’onda del successo ottenuto con Perfetti sconosciuti, The Place, purtroppo, rappresenta una sperimentazione che non convince. L’idea del film potrebbe essere buona se portasse a qualcosa che non sia semplicemente un esercizio di stile, rivelandosi un tentativo non perfettamente riuscito di farci fare i conti con la parte oscura che c’è in ognuno di noi.
Quanto agli interpreti, Mastandrea è l’unico che ha un ruolo realmente a fuoco, mentre il resto del cast, seppur messo costantemente sotto una lente di ingrandimento, non convince: anche la grande attrice di teatro Giulia Lazzarini (indimenticabile nel recente Mia madre di Moretti), Alba Rohrwacher ed il bravo Alessandro Borghi, risultano penalizzati pur vestendo i panni dei tre personaggi più interessanti.
data di pubblicazione:09/11/2017
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da Noemi Giulia Sellitto | Nov 7, 2017
Rinnovato per il prossimo biennio l’accordo di Alice nella Città, sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma, con la Fondazione Cinema per Roma, grazie anche alle oltre 40mila presenze, per una 15esima edizione ricca di successi e incontri formativi.
Tanti i traguardi raggiunti dalla kermesse in questa 15esima edizione: oltre l’elevato numero di presenze per gli eventi organizzati a Casa Alice all’interno dell’Auditorium Parco della Musica, al Cinema Admiral di Piazza Verbano e al Liceo Amaldi di Tor Bella Monaca, da sottolineare anche la grande adesione di registi e attori dei 37 film in programma, 23 dei quali sono stati accompagnati dalle delegazioni.
“I risultati straordinari ottenuti da questa quindicesima edizione ci riempiono di gioia e ci premiano per quanto fatto in questi anni, ma c’è ancora molto da fare e siamo pronti a rimetterci subito a lavoro per la prossima edizione – dichiarano i direttori della categoria, Fabia Bettini e Gianluca Giannelli – un ringraziamento speciale va a tutti coloro che ci stanno accanto e soprattutto a tutti quei ragazzi che continuano a scriverci e che sono l’anima di Alice nella Città”.
Un sostegno, questo, che ha permesso il successo di tutti gli incontri rivolti ai ragazzi e dei percorsi formativi con protagonisti, tra gli altri, Piazza e Grassadonia, Dakota Fanning, Orlando Bloom, Pippo Del Bono, Trudie Styler, Zoe Cassavetes, Andrea Delogu, Barbara Bobulova, Nicola Guaglianone e Marco Danieli.
Confermata, inoltre, la collaborazione di Alice con gli EFA YOUNG, che si svolgeranno il 6 maggio 2018 e che è intenzione portare a Tor Bella Monaca, partendo da quanto già fatto con il Liceo Amaldi e le scuole del VI Municipio.
data di pubblicazione:07/11/2017
da Rossano Giuppa | Nov 5, 2017
(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)
La giuria del Premio Camera D’oro Alice/Taodue ha scelto di premiare il film Blue My Mind di Lisa Brühlmann con la seguente motivazione “un racconto di formazione che si trasforma in fantasy, una storia di mutazione e di trasformazione. Un esordio che stupisce ed ha anche in se un messaggio liberatorio”. È la storia della quindicenne Mia che, dopo aver traslocato con i genitori alle porte di Zurigo, si butta in una selvaggia adolescenza cercando di fronteggiare gli strani mutamenti che il suo corpo sta subendo, ricorrendo a sesso e droghe, sperando di arginare il fiume in piena che alla fine la stravolgerà.
Blue My Mind è un film scritto e diretto dalla svizzera Lisa Brühlmann, al primo lungometraggio personale. Il film è stato presentato per la prima volta in concorso nella sezione Nuovi Registi al San Sebastián Film Festival 2017. Nel cast molti attori alla loro prima esperienza come Luna Wedler nel ruolo della protagonista adolescente Mia, Zoë Pastelle Holthuizen nel ruolo di Gianna, Regula Grauwiller nel ruolo di Gabriela e Georg Scharegg che interpreta Michael.
Mia è in momento difficile: si trova in una nuova città, deve integrarsi nel contesto scolastico, si sente estranea ai suoi genitori, convinta di essere stata adottata, nonostante abbia tutto. E’ questo il microcosmo attorno al quale si sviluppa la metamorfosi della protagonista, imprigionata in un corpo, in una casa, in una società che non le corrispondono ma delle quali è incapace di liberarsi. Come un vulcano che sta per esplodere, Mia sembra muoversi come un automa, spinta da un istinto sempre più incontrollabile. Sceglie di stordirsi con fughe e disobbedienze, dosi massicce d’alcool e droghe, incontri occasionali che si trasformano in routine, decisa a precipitare pur di non guardare la strada già tracciata che le si profila all’orizzonte. Mia e tutti i suoi compagni sono desiderosi d’estremo. Nessuna via di mezzo è possibile, ciò che li fa vibrare è il rischio ed il desiderio di andare oltre, secondo una istintualità animale che cementa il gruppo. Nel frattempo, l’arrivo delle prime mestruazioni porta con sé un effetto collaterale inspiegabile: da un giorno all’altro, due dita dei piedi le si sono attaccate, unite tra loro da una specie di membrana, e poco più tardi le gambe hanno iniziato a coprirsi di strani lividi. Si scopre poi vorace di pesce crudo, mentre l’acqua del mare gli si para davanti ogni volta che chiude gli occhi, Mia prova ad allontanare il problema coprendosi via via di più e tenendo comportamenti sempre più estremi. Fino al momento in cui, inesorabile, decide di non rifuggire ma di andare incontro a quello che il destino le ha riservato.
Un film epidermico e sorprendente per una regista di cui sentiremo parlare, una metafora sul mondo adolescenziale in chiave fantasy noir molto moderna. Un premio decisamente meritato. Molto bella la colonna sonora e bravissime le protagoniste. Una freschezza di intenti e una efficacia visiva coinvolgente nel condividere il sentiero del peccato e della resurrezione della giovane Mia.
data di pubblicazione:05/11/2017
da Rossano Giuppa | Nov 5, 2017
(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)
Nella sezione Alice/Panorama è stato presentato La Familia, convincente esordio del regista e sceneggiatore venezuelano Gustavo Rondón Córdova. E’ la storia del dodicenne Pedro e della sua difficilissima adolescenza in un popolare quartiere di Caracas, in un’atmosfera urbana violenta. Dopo aver ferito seriamente un altro ragazzo, suo padre decide che devono fuggire insieme per nascondersi, dapprima respingendosi ma poi ritrovandosi.
Presentato alla Semaine de la Critique, La familia, esordio del venezuelano Gustavo Rondón Cordova, è un aspro ed efficace romanzo di formazione. Nella disperata banlieue di Caracas, Pedro trascorre il tempo con gli amici, mentre il padre si dibatte tra lecito ed illecito per garantire la sopravvivenza ad entrambi, finchè un giorno, per difendersi da una rapina, uccide un altro ragazzo. Il padre per salvare il figlio decide di scappare insieme a lui nascondendosi nella metropoli ma Pedro è pieno di rabbia e rimorsi perché il suo amico Johnny rischia di essere incolpato per l’atto compiuto da lui. Inizia così lo scontro ed il confronto tra un padre ed un figlio che non si conoscono realmente; la terribile scoperta che l’amico è stato ucciso per vendetta è l’amaro punto di partenza per avviare un vero rapporto tra i due.
La familia è un grande film asciutto e neorealista, fatto di sguardi intensi e di silenzi densi di significato: di fronte a un evento scatenante ed una violenza imperante, padre e figlio vagano per la città, enorme e piena di diseguaglianze, non hanno un posto dove andare a dormire, sono entrambi litigiosi, lavorano per guadagnarsi almeno un pasto. Differenti anche le etnie e l’approccio alle vicende: il padre, evidentemente di origine europea, è più attento e riflessivo, Pedro invece ha sangue indio, chiaramente ereditato dalla madre scomparsa da tempo ed è più immediato ed istintivo. Le differenze e l’estraneità tra i due allora diventano un elemento davvero perturbante, almeno finchè sono sperduti nella metropoli e una riconciliazione appare utopica. La morte di Johnny improvvisamente diviene voglia e speranza di un futuro e di un affetto che non può che nascere lontano da li, nel primitivo luogo di origine dove non c’è nulla ma dove si può ricominciare a vivere. Nel primo piano finale di Pedro, che si guarda intorno, per la prima volta consapevole di essere l’artefice del proprio destino, c’è la voglia di dar vita ad una neonata famiglia.
data di pubblicazione:05/11/2017
da Rossano Giuppa | Nov 5, 2017
(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)
Ospite di Alice nella città Romans diretto dai fratelli Shammasiane con Orlando Bloom splendido protagonista. Romans è un film feroce che su un abuso sessuale subito da piccoli costruisce una devastante disamina della rabbia, del disgusto verso se stessi e del desiderio di vendetta che alla fine evolve verso il perdono.
Immagini dure e sofferte sin dalla prima scena per un film che mette a nudo l’animo di un uomo incapace di fidarsi del prossimo e tormentato da un evento traumatico della sua infanzia. Malky (Orlando Bloom), un giovane operaio impegnato nella demolizione di una chiesa dove da bambino ha subito una violenza sessuale, ha una relazione apparentemente di solo sesso con Emma (Janet Montgomery) ma è spesso irascibile lasciandosi andare ad atti di violenza inconsulti ed immotivati. Il suo segreto lo tormenta e lo condiziona; il ritorno in città del prete responsabile della violenza, impone a Malky di fare i conti con il suo passato per potersi liberare della sete di vendetta che lo attanaglia e quindi andare avanti con la propria vita.
Le immagini sono spietate sin da subito: sotto i colpi incessanti di un martello, un crocifisso diventa prepotentemente protagonista della scena dando il via ad un susseguirsi di atti di violenza ed autolesionismo. Incapace di amare ed essere amato, Malky è un uomo devastato dal trauma dell’abuso, che lo ha snaturatoed è incapace di sciogliere i lacci del trauma psicologico che lo lega. Ma la famiglia e gli amici restano sordi e impassibili di fronte alla progressiva caduta nell’abisso. Inizia così il suo incubo, che si dipana attraverso incontri scontri con la fede e con l’amore che prova per Emma, ma che non è in grado di esternare. Le ombre del suo inconscio lo portano in un inferno interiore senza speranza e neppure l’amore per l’anziana madre riesce a fornirgli un po’ di conforto. Il dialogo confessione di fronte alla madre morta lo porta a superare la vendetta ed a credere nel perdono, che non garantisce invece la pace al vecchio prete che trova solo nel suicidio l’espiazione alle proprie colpe.
La densità del dramma rende in alcune scene il film stucchevole e esteticamente ridondante; rimane la straordinaria prova di attore di Orlando Bloom che rende comunque il film intenso e meritevole di essere vissuto.
data di pubblicazione:05/11/2017
da Giovanni M. Ripoli | Nov 5, 2017
In una rassegna all’insegna dello sport non poteva mancare una pellicola sul tennis, disciplina di grande attrattiva per giovani e meno e molto seguita dal vivo e nelle televisioni.
Al cinema, però, il tennis non ha mai avuto la stessa fortuna. Qualche anno fa, Wimbledon ( film del 2004 diretto da Richard Loncraine , pur impreziosito dall’interpretazione di Kirsten Dunst, si rivelò un clamoroso flop , tanto per le maldestre riprese delle fasi di gioco che per la banale storiella imbastita. E persino in, Match Point (2005), di Woody Allen, le riprese delle partite risultavano involontariamente quasi risibili. Nel film proposto alla Festa del Cinema e premiato dalla giuria del pubblico, è vero casomai il contrario: le partite del Torneo di Wimbledon, 1980, ovvero la sfida fra due dei più grandi tennisti di sempre , sono decorosamente girate, credibili e a tratti avvincenti , mentre sono le vite fuori dal campo, seguite a mo’ di tragedia greca , a suonare francamente stonate. Peraltro, si intuisce facilmente che il regista, nella composizione del quadro psicologico dei due campioni, propenda decisamente per il connazionale a scapito dell’americano. Borg (bello e somigliante nell’interpretazione di Sverrin Gudnason, adulto, come bambino, in quella del vero figlio di Bjorn) è, infatti, misurato e corretto, sia pure interiormente dilaniato dalla prospettiva dopo quattro titoli vinti sul prato inglese, di poter perdere il quinto …nella storica finale a scapito dello “scavezzacollo” newyorchese . Mentre, John Mc Enroe (interpretato da Shia Lebouf , bravo ma poco somigliante all’originale) è una specie di discolo di talento , viziato, sempre pronto a contestare e insultare pesantemente arbitri e pubblico , incline all’ ira e al turpiloquio e , talmente incosciente o stupido , da trascorrere le serate prima degli incontri, bevendo e folleggiando in discoteca.
Chiunque capisca qualcosa di tennis sa che nessun atleta farebbe mai le cose descritte nel film la notte prima di un match di Wimbledon ( nella presentazione serale lo rilevava persino Panatta che non fu certo un francescano) e, al di là di qualche intemperanza, nella realtà, Mc Enroe fu, al pari di Borg, atleta vincente e amato dal pubblico per il suo estro e il suo gioco.
Per non farsi mancare nulla, la pellicola , nella sua ambizione di rendere “immortale” quella che fu solo una delle più avvincenti pagine del tennis moderno è appesantita da una colonna sonora drammaticamente struggente che sottolinea solennemente tutte le fasi della finale e – altra pecca da poco ,ma inspiegabile- nasconde i marchi dell’abbigliamento dalle divise dei protagonisti ( problemi di mancate sponsorizzazioni?). Al pubblico, però, il film è piaciuto ( applausi e Premio) e, si sa, il pubblico alla fine ha sempre ragione . Per i palati più fini, si rimanda ad altra occasione nella speranza di vedere finalmente un giorno un bel film sul tennis senza se e senza ma.
da Rossano Giuppa | Nov 5, 2017
(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)
Lola+Jeremy, opera prima della regista francese July Hygreck, è stato presentato nella sezione Kino Panorama Italia di Alice nella Città. Il film, una co-produzione italo-francese, ha al centro un amore difficile e supereroi sui generis, e come protagonisti Charlotte Gabris, e Syrus Shahidi.
Jeremy, 27 anni, è un graphic designer e con il suo amico Mathias gestisce l’agenzia ‘Cercasi alibi disperatamente’ per creare finti alibi tramite fatture, ricevute e linee telefoniche dedicate per coprire gli spostamenti di fidanzati bugiardi. Lola, 25 anni, lavora in una fumetteria ed è appassionata di supereroi e dei film di Michel Gondry, in particolare di Se mi lasci ti cancello che non si stanca mai di rivedere.
Lola e Jeremy decidono di riprendere ogni momento della loro storia d’amore, per creare una sorta di video-diario giornaliero da riguardare da lì a dieci anni. Lola scopre che il progetto di Jeremy era quello di girare un video diario e di cercare pertanto una protagonistae delusa e ferita lascia Jeremy. In realtà il diario doveva far compagnia al padre che è in fin di vita in ospedale. Il giovane, disperato, pensa di mettere insieme un gruppo di bizzarri supereroi che rapiscono personaggi famosi al solo scopo di riconquistarla. Tra i ‘bersagli’/complici (che appaiono in dei cameo) lo stesso Michel Gondry, il batterista Manu Katché e il rapper Youssoupha. L’inevitabile morte del padre fa da prologo ad un finale rosa ed ad una ricongiunzione annunciata.
Cultura pop, fumetti, citazioni cinematografiche e social network sono sapientemente amalgamati in questa pellicola; altro tema forte è la paura di dimenticare e la consapevolezza della fragilità dei rapporti umani che spinge i protagonisti a riprendere ogni momento della loro storia attraverso piccoli e colorati video giornalieri, che insieme diventano un diario fatto di fantasie, emozioni ma anche di un banale quotidiano. Il film strappa dei sorrisi ma non convince perché legato ad una dimensione narrativa un po’ finta e poco coinvolgente, proprio come la trasposizione dei superoi nel reale, un fumetto che scorre senza emozionare e coinvolgere.
data di pubblicazione:04/11/2017
da Antonio Iraci | Nov 4, 2017
(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)
Rosario Castellanos è una studentessa universitaria che mostra subito grande sensibilità per la poesia, dote questa che la farà diventare una delle più famose e amate scrittrici messicane dei nostri tempi. La movimentata passione amorosa per Ricardo, ripresa dopo anni di separazione, la condurrà ad approfondire quel percorso sociale per il quale, sin da ragazza, aveva sempre combattuto le sue battaglie. Le sue poesie, vere perché nate dai propri genuini sentimenti, identificano una donna diversa, un soggetto avente pari dignità di fronte all’uomo e diventeranno presto il manifesto del movimento femminista di un paese ancora sostenuto da una società esclusivamente patriarcale.
In una società, e non solo in quella messicana di un tempo, dove alla donna viene assegnato quasi esclusivamente il compito di soggetto accudente nell’ambito familiare con scarse possibilità di emergere nel sociale, la figura della poetessa Rosario Castellanos è sicuramente da considerarsi un simbolo, una voce che riesce a mandare in frantumi tutta quella mentalità maschilista a cui si era abituati da generazioni. Merito indiscusso della regista Natalia Bristain (No quiero dormir sola, Venezia 2012) è quello di aver saputo presentare, con pennellate semplici ma nette, la figura di una donna con tutte le sue contraddizioni, personaggio ben determinato nelle sue scelte di vita per fuggire a qualsiasi forma di dipendenza, quale ad esempio quella della maternità, per poi invece trovarsi invischiata dai legami dei propri stessi sentimenti. Da brillante studentessa conosce una passione profonda per Ricardo, giovane impegnato come lei a portare avanti un discorso comunista nell’ambito universitario, ma ciò non la distoglierà dal sostenere la propria lotta interiore per emanciparsi da ogni condizionamento sociale in quanto donna. Al ritorno dalla Spagna, dove era andata a studiare dopo aver vinto una borsa di studio, non troverà più il suo Ricardo e ciò la renderà più determinata ad affermarsi in società diventando un personaggio al quale viene ufficialmente riconosciuto il valore letterario della sua opera. Dopo una lunga parentesi i due protagonisti si ritroveranno, quasi per caso, a ricucire un turbolento rapporto coniugale e la scrittrice, oramai famosa, verrà messa di fronte a un impegno che rischierà di compromettere per sempre la validità delle sue scelte. Natalia Beristain realizza un film sulla donna che è tutto una poesia proprio perché riesce a ricucire una storia vera solo con il ricorso della parola e trascurando del tutto ogni forma agiografica. Molto pertinente la scelta dell’attrice messicana Karina Gidi a cui affidare la parte di Rosario proprio per la freschezza e la incisività del suo sguardo che trasmette in ogni attimo della narrazione il genuino stato d’animo di una persona con i sui punti di forza alternati a momenti di estrema fragilità interiore. La figura del protagonista maschile Ricardo Guerra è assegnata all’attore Daniel Giménez Cacho, già conosciuto al pubblico italiano per la sua interpretazione nel film La mala educaciòn di Pedro Almodòvar del 2004. Il film Los Adioses è considerato di spicco all’interno della rassegna cinematografica romana proprio per il messaggio dato che sicuramente troverà spazio di riflessione anche da parte degli spettatori di sesso maschile presenti in sala.
data di pubblicazione:04/11/2017
da Rossano Giuppa | Nov 4, 2017
(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)
Alice nella Città ha ospitato Freak Show, il primo lungometraggio di Trudie Styler, attrice inglese e produttrice di film di successo tra cui Snatch con Brad Pitt, moglie del cantante Sting, che ha appunto esordito alla regia con il film Freak Show sui diritti Lgbt, adattamento cinematografico di Young Adult, il libro cult di James St. James.
Freak Show è la storia di Billy Bloom, un teenager che trovandosi a frequentare un college a forte impronta conservatrice, stanco di venire bullizzato e ghettizzato dai compagni di scuola, trova il modo di combatterli ed ergersi a simbolo di tutti i freak del pianeta
Il personaggio di Billy è interpretato dal giovanissimo Alex Lawther, classe 1995, già noto per il suo ruolo centrale in Departure, con al suo al suo fianco le attrici Abigail Breslin, Bette Midler e Laverne Cox ed un inedito John McEnroe nei panni di un duro insegnante di educazione fisica.
Billy Bloom è un ragazzo esasperatamente eccentrico di fronte ad un contesto eccessivamente conservatore che poco tollera la sua voglia di visibilità. Il suo coraggio però la porta ad affrontare tutto e tutti e a candidarsi al titolo di Miss Reginetta della scuola in veste Drag, nel tentativo di concorrere e di ridare dignità a tutti gli incompresi del mondo. Cresciuto nell’adorazione per una madre non convenzionale che intende vivere la vita come un continuo spettacolo sopra le righe, Billy riscopre il valore degli affetti proprio con il rigido padre nella bigotta provincia americana.
La regista tratta la tematica in maniera leggera ed intelligente, realizzando una commedia brillante e colorata dove il protagonista è fiero e sicuro di sé, non una vittima, ma bello nell’essere diverso di fronte a convenzioni e conformismo.
Billy è uno contro tutti convinto che se la vita ti colpisce forte, tu devi reagire colpendola ancora più forte; il suo drammatico volo più in alto di tutti non lo porta però ad esasperazione e dolore ma ad una denuncia colorata e forte che di certo non cambierà il mondo ma che alla fine scava nel profondo di ognuno. Un percorso che lo porterà alla scoperta dell’affetto del padre, ad un rapporto di vera amicizia ed alla serenità con se stesso, permettendogli di poter lasciare l’adolescenza ed affrontare con convinzione e fiducia il mondo adulto.
Una storia positiva, intima e variopinta, che trasmette tanto, coinvolgendo e mettendo in discussione gli stereotipi e le costruzioni di ognuno.
data di pubblicazione:04/11/2017
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