ROMA EUROPA FESTIVAL MONUMENTAL – compagnia The Holy Body Tatto e live music di Godspeed you! Black Emperor

ROMA EUROPA FESTIVAL MONUMENTAL – compagnia The Holy Body Tatto e live music di Godspeed you! Black Emperor

(Auditorium Conciliazione – Roma,13 e 14 ottobre 2017)

Il Romaeuropa Festival ha presentato in prima nazionale il 13 e 14 ottobre 2017 all’Auditorium Conciliazione di Roma, Monumental, spettacolo che fonde musica rock e danza.

Sul palco la compagnia canadese The Holy Body Tattoo, fondata nel 1993 da Dana Gingras e Noam Gagnon insieme ai Godspeed you!Black Emperor storico collettivo musicale, anch’esso canadese, tra i gruppi più rappresentativi della scena post-rock internazionale. Protagonisti tutti i membri della band insieme ai danzatori della compagnia.

Messo in scena per la prima volta nel 2005 solo con le musiche dei GY!BE a fare da colonna sonora dello spettacolo, Monumental dopo 10 anni viene riallestito da The Holy Body Tattoo avvalendosi questa volta delle musiche in parte inedite, eseguite dal vivo dalla band di culto.

Monumental è il racconto dell’ansia della cultura metropolitana. In un clima ipercinetico di avidità e ambizione, le relazioni personali sono sottomesse all’identità del gruppo rendendo l’interrrelazione personale difficile e dolorosa.

Nove danzatori in abiti da ufficio, isolati su altrettanti piedistalli, dialogano con il suono duro ed enfatico di cinque chitarre, due drum kit e un violino, per raccontare il caos del mondo moderno. A dare ulteriore forza a questo affondo nell’alienazione contemporanea, sono i testi dell’artista statunitense Jenny Holzer che, nella serie Living (1981), analizza la quotidianità dell’essere umano.

Una fluida, per quanto frenetica ed emblematica rappresentazione della condizione dell’uomo, ormai piegato al sistema seriale della ripetizione compulsiva di movimenti, pensieri e passioni.

La cosa migliore è stare nel gruppo per mantenere l’anonimato, ripetendo simultaneamente gli stessi gesti, cercando l’omogeneità. Ma i tic si moltiplicano e si stressano fino all’implosione emotiva, che diventa psicosi che si dilaga nei gesti dei danzatori, nei crescendo noise dei GY!BE e nelle parole della Holzer che arrivano come dei verdetti ineluttabili.

Un lavoro organico, con coreografie pensate in relazione alla musica dei GY!BE, che esplora le paranoie, i cortocircuiti e le ansie della cultura urbana, delle metropoli, della quotidianità alienante e del capitalismo che ci cattura e ci avvolge.

Interpreti magistrali e ritmi serrati, che fondono le varie componenti in un unicum che cattura. Uno spettacolo forte e ansiogeno, con forti venature di dolore e di sofferenza.

data di pubblicazione:20/10/2017


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UNA DONNA FANTASTICA di Sebastiàn Lelio, 2017

UNA DONNA FANTASTICA di Sebastiàn Lelio, 2017

Marina, transgender aspirante cantante, vive serenamente una intensa storia d’amore con Orlando, un uomo maturo e socialmente affermato che per lei ha abbandonato la famiglia. L’improvvisa morte dell’uomo per infarto, al termine dei festeggiamenti per il compleanno di Marina, causerà un cambiamento radicale nella vita di lei, travolta da tutta una serie di maltrattamenti fisici e morali da parte della famiglia di Orlando e, come se non bastasse, anche da parte delle istituzioni pubbliche che mettono seriamente in dubbio la sua buona fede unitamente alle cause del decesso.

 

Premiato nell’ultima edizione della Berlinale con l’Orso d’Argento e come miglior film GLBT nella Sezione Teddy Award sulle tematiche gay e trans, Una donna fantastica del cileno Sebastiàn Lelio è stato subito ben accolto dalla critica internazionale che ha voluto riconoscere al regista il talento ed il coraggio di portare sul grande schermo la storia di una diversità che oggi non dovrebbe più definirsi tale. Il personaggio di Marina (Daniela Vega) riesce a conquistarsi la benevolenza di tutti coloro con cui viene a contatto, a cominciare dai proprietari del bar dove presta servizio come cameriera. Lei sa bene cosa vuole dalla vita e sa portare avanti con assoluta determinazione la storia d’amore con Orlando (Francisco Reyes): i due abitano insieme in un appartamento e vivono la quotidianità come una coppia che si ama e che ha voglia di progettare insieme un futuro ricco di emozioni. La morte improvvisa dell’uomo farà riaffiorare tutti quei sentimenti ostili radicati e semplicemente congelati da parte della famiglia di lui che si era sentita umiliata dall’abbandono dell’uomo per una “donna” come Marina e, all’improvviso, ciò che per lei era considerato assoluta normalità, diventa subito diversità se non addirittura perversione, annullando con un colpo di spugna tutto quello che riteneva oramai come acquisito, in quanto appartenente alla propria identità di donna. Il film riesce veramente a coinvolgere emotivamente lo spettatore, in una storia dove rabbia e impotenza si sovrappongono in difesa di una persona che vuole vivere appieno la propria sessualità come meglio crede. In una società come quella cilena, dove ancora alcune scelte di vita vengono considerate come dei tabù, la decisione da parte del regista di affrontare una tematica così delicata è sicuramente un colpo di frusta verso coloro che ancora non riescono ad accettare questa realtà come qualcosa di “reale”. Indugiando sempre con molta discrezione nell’inquadrare il corpo di Marina nella sua intimità, salvaguardandone palesemente la privacy, Lelio riesce ad allontanare lo sguardo dello spettatore da un possibile morboso voyeurismo.

Il film rappresenterà il Cile ai prossimi premi Oscar come miglior film straniero.

data di pubblicazione:18/10/2017


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BESTIE DI SCENA, ideato e diretto da Emma Dante

BESTIE DI SCENA, ideato e diretto da Emma Dante

(Teatro Argentina – Roma, 13/22 ottobre 2017)

Quattordici attori nudi sul palco. Quattordici uomini e donne fuggiti dalla costrizione delle convenzioni e delle eterodirezioni. Quattordici persone che non saranno più disposte a tornare indietro.

Un racconto senza storia, la faticosa emancipazione da ogni forma di sovrastruttura ed eterodirezione: gli attori si spogliano delle proprie vesti e, dopo aver fatto i conti con il senso del pudore e con la vergogna, si abbandonano alla propria nudità. Impauriti e disarmati reagiscono agli stimoli del palco lasciandosi guidare dall’istinto. A mano a mano che si perdono, scoprono il coraggio di ritrovarsi, per poi difendere gelosamente la libertà così faticosamente conquistata.

Con Bestie di scena il teatro di Emma Dante raggiunge uno degli approdi più meravigliosamente compiuti. Il corpo, da sempre al centro della sua ricerca artistica, diviene il protagonista indiscusso della scena. La capacità degli attori di controllare i propri movimenti e di inserirli nella sinfonia del gruppo è semplicemente impressionante.

La regista ha dichiarato che il suo intento iniziale era quello di raccontare il mestiere dell’attore, trovandosi poi a dirigere una piccola comunità di esseri primitivi, spaesati, fragili, “imbecilli”: alla fine, detto altrimenti, Emma Dante si è trovata a raccontare il mestiere dell’uomo che prova a farsi persona, che fugge dalle imposizioni e delle convenzioni, che riscopre, non senza traumi, il valore di una libertà primordiale vissuta però non in maniera individuale e individualistica, ma nella condivisione con i propri simili.

Non ci sono dialoghi in Bestie di scena e durante lo spettacolo la nudità degli attori diviene progressivamente l’elemento meno significativo della rappresentazione. A prendere il sopravvento sono l’armonia dei suoni, la perfezione dei movimenti, la dosimetria delle luci che solo in rare occasioni lascia il pubblico al buio e, quindi, distante dal palco.

Il nuovo spettacolo di Emma Dante è un’esperienza sensoriale che non lascia indifferenti. È il gioiello di un’artista che rende riconoscibile la sua cifra, ma che riesce ogni volta a superare se stessa. È l’emblema di un teatro che non si può descrivere, ma solo ammirare.

Pienamente meritati, dunque, gli interminabili applausi che hanno riempito il Teatro Argentina di Roma in occasione della prima.

data di pubblicazione: 14/10/2017


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IL PALAZZO DEL VICERE’di Gurinder Chadha, 2017

IL PALAZZO DEL VICERE’di Gurinder Chadha, 2017

La corona britannica dopo anni di duro imperialismo invia in India, soprattutto per merito della lotta pacifica portata avanti da Gandhi, Lord Mountenbatten che, in qualità di Vicerè, dovrà gestire la delicata fase di transizione che porterà il Paese verso l’indipendenza. L’abilità diplomatica di questi e della sua splendida moglie Edwina serviranno tuttavia più a fronteggiare l’annoso problema della cruenta lotta tra musulmani, induisti e sikh: diversità religiose che, nonostante gli insegnamenti del Mahatma, non riescono a concepire una pacifica convivenza tra di loro. Il conflitto porterà inevitabilmente alla necessità di riconoscere il Pakistan, dove andranno a confluire le popolazioni musulmane, come una nazione autonoma dall’India.

 

Con un rilevante sfarzo di scene e costumi proprie dei colossal d’altri tempi, quando le produzioni non badavano a spese per la buon riuscita dei propri film, Il Palazzo del Vicerè della regista indiana Gurinder Chadha sembra avere tutte le carte in regola per offrire al pubblico una storia zuccherosa ma che, al tempo stesso, si lascia seguire con particolare interesse. Non sembrerebbe che lo sfondo socio-politico della vicenda sia l’elemento determinante della buona riuscita di questa pellicola, né la travagliata storia d’amore, seppur fulcro della vicenda stessa, tra il focoso induista Jeet (Manish Dayal) e la musulmana Aalia (Huma Qureshi), donna leggiadra e bellissima, entrambi casualmente a servizio nello splendido palazzo imperiale. Quello che sicuramente conquista più di ogni altra cosa il pubblico è come la regista abbia saputo conciliare vicende tragicamente storiche, peraltro supportate da splendide immagini d’archivio, con l’ambientazione della vicenda attraverso il susseguirsi di una quotidianità di palazzo dove tutto sembra funzionare con la precisione di un orologio svizzero. All’interno si riesce a cucire una convivenza tra le fazioni in lotta grazie alle buone maniere britanniche di Lord e Lady Mountenbatten, figure splendidamente interpretate da Hugh Bonneville e da Gillian Anderson, mentre all’esterno si tessono sottili trame politiche, all’inizio sconosciute persino agli stessi protagonisti, che sfoceranno poi in una lotta cruenta che mieterà milioni di vittime.

Nell’ultima edizione della Berlinale, dove il film è stato presentato, la regista anglo/indiana ha spiegato le istanze personali che l’hanno indotta ad affrontare un tema così importante: sono un doveroso omaggio al suo Paese e soprattutto alla sua famiglia, anch’essa travolta dalla divisione territoriale che portò settanta anni fa alla nascita del Pakistan come nazione autonoma. Nella maestosa cornice del palazzo si inserisce la storia d’amore melodrammatica fra i due giovani, divisi dalla religione e dalle situazioni contingenti, un Romeo e Giulietta Made in India, con una fine diversa da quella concepita dalle righe del dramma shakespeariano.

data di pubblicazione:13/10/2017


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IL CASO DELLA FAMIGLIA COLEMAN Scritto e diretto da Claudio Tolcachir

IL CASO DELLA FAMIGLIA COLEMAN Scritto e diretto da Claudio Tolcachir

(Teatro Argentina – Roma,10/12 ottobre 2017)

Dopo aver curato la regia di Emilia nella scorsa stagione, torna al teatro Argentina di Roma Claudio Tolcachir, in scena dal 9 al 12 ottobre con Il Caso della famiglia Coleman (La omisión de la familia Coleman).

Divenuto un classico del teatro contemporaneo che continua a calcare i palcoscenici internazionali, lo spettacolo scritto e diretto da Tolcachir viviseziona il microcosmo di una famiglia di Buenos Aires che vive al limite, in un appartamento che ospita e insieme rende prigionieri tutti i componenti della famiglia, con ognuno in lotta il proprio spazio vitale, in odio amore continuo.

La Familia Coleman vive stipata in un minuscolo appartamento nel quartiere popolare Boedo, una famiglia numerosa e problematica composta da una nonna, una figlia e quattro nipoti in cui le regole sono sovvertite: la nonna occupa il posto della madre e la madre si presenta come una bambina immatura che vive nella propria fantasia. Ci sono due gemelli. Uno ha preso il posto del padre assente: violento, alcolista, e ladro. Alla figlia tocca il ruolo della madre ideale: è l’unica che lavora e porta i soldi in una casa che sprofonda. Ogni personaggio ricava un proprio angolo nell’ angusto spazio disponibile, popolato da più voci che, tra disperazione e leggerezza, si alternano e si sovrappongono senza riuscire a comunicare.

L’autore e regista Claudio Tolcachir, tra i protagonisti del teatro argentino contemporaneo, non ancora quarantenne, erede degli artisti militanti della generazione precedente, ha fondato il collettico Timbre4 trasformando la propria casa, un appartamento di ringhiera nella periferia di Buenos Aires, in un teatro e in una scuola per attori. In questo contesto è nata la famiglia Coleman e con essa un vero e proprio caso teatrale. Dal giorno del debutto, avvenuto nel 2005 in quella stessa casa, lo spettacolo ha registrato uno straordinario successo collezionando numerosi riconoscimenti e incantando pubblico e critica di più di 30 paesi nel mondo per giungere nei più importanti teatri europei.

La scena è ingombra di un mobilio fatiscente, lo spaccato familiare e sociale è lontano anni luce dall’immaginario stereotipato del popolo argentinoche balla il tango e beve mate ad ogni ora del giorno e della notte. I Coleman, in tuta e ciabatte, sono postatomici.

Ad ogni scena si scopre qualcosa di più sui rapporti e sui vincoli di parentela che governano la vita di questa famiglia. Il centro gravitazionale è nonna Leonarda, che gestisce le nevrosi di sua figlia Memè e dei quattro nipoti. Nel momento in cui la nonna viene ricoverata in ospedale per un malore, la famiglia è costretta ad uscire dal guscio del proprio salotto e a presentarsi al mondo ed Edoardo, il dottore che ha in cura la nonna, cerca di fare chiarezza sullo stato di anomalia che presentano i Coleman.

Tolcachir scava a fondo nel paradosso dei rapporti umani, tenendosi in equilibrio tra disperazione e leggerezza. I Coleman sono un caso sociale e psichiatrico debordante; rinchiusi in tale claustrofobia non riescono a non odiarsi ma neppure a separarsi.

Gli attori sono straordinariamente bravi. Personaggi al limite, situazioni assurde, dialoghi deliranti. Nello spettacolo non c’è spazio per la malinconia ma un perfetto equilibrio tra dramma e humour nero, che disegna il meglio e il peggio di ogni personaggio. La malattia della nonna li riunirà. Ma solo apparentemente.

data di pubblicazione:13/10/2017


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ROMA EUROPA FESTIVAL ESPÆCE – Regia di Aurélien Bory

ROMA EUROPA FESTIVAL ESPÆCE – Regia di Aurélien Bory

(Teatro Argentina – Roma, 7 e 8 ottobre 2017)

Già ospite del Romaeuropa Festival con Plexus (REf 2014) e con Questcequetudeviens? (REf 2015), Aurélien Bory è tornato a Roma per presentare al Teatro Argentina il 7 e l’8 ottobre 2017  Espæce.

Con l’acrobata Guilhem Benoit, il danzatore Mathieu Desseigne Ravel, la contorsionista Katell Le Brenn, la cantante d’opera Claire Lefilliâtre e l’attore Olivier Martin Salvan,  Bory celebra lo scrittore francese Georges Perec e la sua scrittura attraverso un viaggio poetico fatto di giochi di parole, di allusioni, di memorie, di percorsi.

Il titolo di questa sua ultima prova è Espæce, crasi di Espèces d’espaces, una delle opere di Perec un neologismo coniato da Bory proprio per definire nel più visivo dei modi il tema dello spettacolo, lo spazio, o meglio, i vari tipi di spazio e il vuoto che li circonda e li contiene.

La scena diviene allora un enorme libro in continuo divenire, che racconta storie, emozioni, vuoti, ironie di 5 individui alla ricerca di se stessi e della propria identità, attraverso pagine che si sfogliano e si raccontano, cariche di immagini, di sguardi e di pensieri.

Un divenire che trova nella macchina scenica la magia onirica e maliconica di Bory, capace di usare magistralmente lo spazio  e di fondere, nel suo teatro visivo, elementi di danza, di musica, di acrobazia e di poesia.

È il teatro nudo con i suoi elementi tecnici, i muri che avanzano e si trasformano, per definire l’azione e generare sorpresa e commozione raccontando le esistenze e le storie.

L’impatto poetico e visivo è altissimo, come se fosse il libro stesso a parlare. Un altro raffinato tassello di un Festival che quest’anno continua a regalare emozione.

data di pubblicazione:13/10/2017


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L’UOMO DI NEVE di Tomas Alfredson, 2017

L’UOMO DI NEVE di Tomas Alfredson, 2017

Oslo (Norvegia), tempi odierni. Harry Hale è un detective della sezione omicidi, alcolizzato, che trascorre le proprie giornate, ubriaco, tra i parchi pubblici della città e l’appartamento della sua ex compagna. Palesemente afflitto e devastato dalla fine della sua relazione, si presenta solo sporadicamente in commissariato e pare non volersi dedicarsi (più di tanto) ai casi a lui assegnati, e giudicati poco interessanti poiché senza morti. Tuttavia, l’improvvisa sparizione di una giovane moglie e madre (con similitudini ad altri casi simili, avvenuti in altre zone del Paese) svegliano Harry dal torpore: seguirà il caso, unitamente alla collega Katrine Bratt, dal passato nebuloso.

Alfredson torna alla regia dopo l’interessantissimo La Talpa del 2011, e dirige Michael Fassbender (nei panni di Harry Hale) nella trasposizione cinematografica del best seller dall’omonimo titolo, scritto da Jo Nesbo.

L’uomo di neve è un thriller duro, cupo e violento, dotato di un ottimo ritmo e di una trama che non può che incuriosire ed incollare lo spettatore allo schermo. Non è solo genere, ma anche riflessione, quando apre la storia apre le porte alle dinamiche di affetti, legami, ma anche drammi familiari. Questi ultimi che un uomo può portarsi addosso, dall’infanzia all’età adulta possono distruggere o, in contrapposizione, motivare a far meglio, come provare a mascherare intrighi e giochi di potere, celati da un’astuta maschera di perbenismo.

data di pubblicazione:11/10/2017


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L’ALTRA META’ DELLA STORIA di Ritesh Batra, 2017

L’ALTRA META’ DELLA STORIA di Ritesh Batra, 2017

Tony Webster conduce a Londra una tranquilla vita da pensionato. Separato dalla moglie da molto tempo gestisce, più che altro per hobby, un piccolo negozio di vendita e riparazione di macchine fotografiche d’epoca. Un giorno riceve una lettera da parte di uno studio legale in cui gli vengono notificate le volontà testamentarie della madre di Veronica, la ragazza con cui era fidanzato ai tempi dell’università. Il lascito, piuttosto singolare, consiste nel diario del suo migliore amico, morto suicida, che imprevedibilmente aveva intrattenuto molti anni prima una relazione amorosa proprio con la sua ragazza. Nel tentativo di venire in possesso della singolare eredità, Tony avrà modo di incontrare Veronica dopo tantissimi anni: sarà un’occasione per fare i conti con il suo passato e reimpostare i suoi affetti all’interno della famiglia.

 Anche per Tony (Jim Broadbent, premio Oscar come miglior attore non protagonista nel 2002 per il film Iris – Un amore vero), alla soglia della vecchiaia, arriva il momento della riflessione personale, una sorta di tentativo di dare una rilettura al proprio vissuto: un piccolo bilancio, un modo come un altro per raccontarsi le cose passate con una buona dose di benevolenza, trascurando l’obiettività dei fatti. Una ex moglie in carriera che lo evita, una figlia ansiosa che ha deciso di avere un figlio senza un compagno al suo fianco, un piccolo negozio per la riparazione di macchine fotografiche, sono gli elementi che compongono il microcosmo in cui si muove il protagonista, a volte scorbutico, a volte distratto, ma apparentemente appagato. La notifica di quell’insolito lascito che riapriva la ferita del tradimento del suo compagno di scuola con la sua fidanzata Veronica (da giovane Freya Mavor, da anziana Charlotte Rampling), accende in Tony una improvvisa ansia di venire in possesso di quell’ eredità come pretesto per dare un senso a tutta la sua vita, a partire dalla giovinezza in cui si innamorò di quella ragazza così enigmatica. Tony comincerà a ricucire molti tasselli mancanti alla propria storia, guardando i propri errori e le intemperanze dell’età giovanile, avviando un processo di rivisitazione dei propri amori, una donna amata e una sposata, in un groviglio di sensazioni che gli procureranno un profondo disorientamento affettivo, una sorta di crisi esistenziale che si rivelerà salutare per rimodellare un trascorso pieno di ombre e di dubbi, alla riscoperta di sentimenti sinceri dei quali lui stesso sembra non accorgersi. Tratto dal romanzo Il senso di una fine dello scrittore britannico Julian Barnes, il film, diretto dal regista emergente indiano Ritesh Batra, risulta ben articolato nel confezionare una storia che ha una sorprendente intercambiabilità nel cast, in un continuo passaggio tra passato e presente, grazie ad interpreti di primordine. Particolarmente interessante l’interpretazione di Tony da giovane da parte dell’attore Billy Howle, recentemente protagonista nel film drammatico di Dominic Cooke On Chesil Beach, tratto dall’omonimo romanzo del noto scrittore inglese Ian McEwan, appena terminato e non ancora in distribuzione.

data di pubblicazione:11/10/2017


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NICO, 1988 di Susanna Nicchiarelli, 2017

NICO, 1988 di Susanna Nicchiarelli, 2017

“Non chiamarmi Nico, chiamami con il mio vero nome: Christa”. Una parabola al contrario, e non il classico biopic, racconta pochi anni della vita di una icona senza raccontarne il personaggio e la sua carriera ma, al contrario, come è diventata negli ultimi anni della sua vita. Da cantante dei Velvet Underground, modella e musa di Andy Warhol per la sua bellezza leggendaria, il personaggio Nico diviene Christa Päffgen e vuole camminare da sola come artista, come donna e come madre.

 

Nico, 1988 di Susanna Nicchiarelli, Premio Orizzonti alla 74ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, parla della breve ma intensa storia di una donna che ha vissuto due vite andando prima in cima per poi toccare il fondo e scoprendo che entrambi questi poli opposti erano “vuoti”. La regista, già vincitrice nel 2009 per Controcampo con Cosmonauta, in particolare si concentra su una piccola porzione della vita di questa donna, rappresentandola senza alcuna idealizzazione di quello che fu il suo periodo d’oro, concentrandosi solo su ciò che era diventata negli anni ’80, lontana dai clamori del successo, quando con la sua piccola band girava l’Europa. Il film si chiude nel 1988: alla vigilia del crollo del muro di Berlino e del grande cambiamento.

Ad incarnare Nico è la splendida attrice e cantante danese Trine Dyrholm, Orso D’Oro alla Berlinale 2016 per La comune ed interprete di film intensi come Festen, In un mondo migliore, Love Is All You Nedd, che riesce grazie alle sue doti di interprete a tutto tondo ad entrare nella voce oltre che nel fisico di Christa, una donna che “che non si adatta bene e che lotta contro tante cose”, anche contro quella bellezza che un tempo le aveva regalato la notorietà, inventando assieme alla regista un personaggio dotato di una tagliente ironia, una buona dose di cinismo e di un atteggiamento dissacrante verso tutto ciò che l’aveva resa famosa. In particolare la regista si sofferma sul difficile ruolo di madre della sua protagonista e sul fragile rapporto con suo figlio Ari che, a causa della sua tossicodipendenza, le era stato sottratto alla tenera età di quattro anni ed affidato ai nonni paterni. Non essendoci molte testimonianze, se non qualche filmato e le sue canzoni, alcuni dei personaggi rappresentati nel film sono inventati: essi creano una sorta di piccola comune che ruota intorno alla vita e all’arte della protagonista, per ammissione della stessa regista che a Venezia ha dichiarato di aver ritrovato la realtà lavorando sulla fantasia.

I Gatto Ciliegia, gruppo musicale torinese fondato alla fine degli anni ’90, hanno curato le musiche del film come fu per Cosmonuata e La scoperta dell’alba.

data di pubblicazione:11/10/2017


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FESTA DEL CINEMA DI ROMA – PRESENTAZIONE DEL PROGRAMMA

FESTA DEL CINEMA DI ROMA – PRESENTAZIONE DEL PROGRAMMA

(Auditorium Parco della Musica-Roma, 26 ottobre/5 novembre 2017)

Al via la dodicesima edizione della Festa del Cinema con la presentazione ufficiale del programma da parte della Presidente della Fondazione Cinema per Roma Piera Detassis e del Direttore Artistico Antonio Monda. La Presidente, oltre a ringraziare tutte le Istituzioni pubbliche e i Partner che sostengono finanziariamente il progetto, ha voluto sottolineare quanto sia stata produttiva, anche in termini di immagine a livello internazionale, la stretta collaborazione con Antonio Monda che senza dubbio in questi tre anni di attività ha dato una sferzata di rinnovamento e di dinamicità all’evento; soprattutto una propria identità che negli anni passati era stato difficile individuare. Ecco quindi che la Festa del Cinema porterà proprio un’aria di festa nei luoghi in cui avrà luogo e non soltanto tra le sale a disposizione entro il perimetro dell’Auditorium, ma anche al MAXXI, alla Casa del Cinema, al cinema Trevi, al Policlinico Gemelli, al My Cityplex Europa ed anche a Rebibbia. Tutto ciò grazie ad un coinvolgimento capillare sia per gli addetti ai lavori che per il vasto pubblico di cinefili. Il Direttore Artistico, con la proverbiale chiarezza espressiva che lo contraddistingue, ha quindi illustrato i numeri di questa nuova edizione:

 39 i film in Selezione Ufficiale, di cui 3 in collaborazione con Alice nella Città, in apertura Hostiles diScott Cooper, film che si presenta con tutti gli ingredienti propri dei vecchi western di tanti anni fa.

6 in Tutti ne parlano, spazio dedicato ad alcuni film che sono stati già presentati al pubblico internazionale tra i quali Babylon Berlin, serie ambientata nella Berlino del 1929, The Party, con la regia di Sally Potter, presentato quest’anno alla Berlinale.

4 tra Gli eventi speciali, con film di notevole spessore quali The Place, film di chiusura di Paolo Genovese, e Spielberg diSusan Lacy, documentario in cui il regista americano confida le sue esperienze personali e i temi ricorrenti affrontati nei suoi film.

12 gli Incontri ravvicinati con registi, attori e grandi personalità del mondo della cultura e dello sport. Tra questi l’attesissimo incontro con David Lynch, al quale verrà assegnato il Premio alla Carriera, e Xavier Dolan, che a soli ventotto anni ha già un curriculum professionale di tutto rispetto.

4 Preaperture, tra queste la Ragazza nella Nebbia di Donato Carrisi e Terapia di coppia per amanti diAlessio Maria Federici.

Retrospettiva, sezione curata da Mario Sesti, che si terrà al Cinema Trevi e che studierà i diversi generi della cinematografia italiana.

Restauri e Omaggi, in collaborazione con Istituto Luce Cinecittà, propone quattro film in versione restaurata quali Dillinger è morto diMarco Ferreridel 1969 e Miseria e Nobiltà di Mario Mattoli del 1954, con l’indimenticabile Totò.

Film della Nostra Vita, vale a dire pellicole scelte dai singoli membri del comitato di selezione nell’ambito dei musical quali Hair scelto da Antonio Monda e West Side Story scelto da Valerio Carocci.

Questi i punti principali del programma, poi integrato da numerosi eventi speciali che accompagneranno i dieci giorni della Kermesse.

Tutto sicuramente di grande interesse specialmente per l’accurata scelta effettuata dai selezionatori che hanno tenuto conto della qualità intrinseca delle pellicole, senza cercare di dare risalto ad un settore specifico o ad una provenienza particolare. Al riguardo si rileva che quest’anno saranno ben 31 i Paesi partecipanti, il che dimostra come l’evento capitolino stia conquistando rilevanza sempre più consistente a livello internazionale. Accreditati, come nelle passate edizioni, vi terrà costantemente e puntualmente informati sui fatti più significati e sui film in programma, in selezione ufficiale e non, con le proprie impressioni ed i propri commenti.

data di pubblicazione:10/10/2017