MAZINGA Z INFINITY di Junji Schimizu – Alice nella città

MAZINGA Z INFINITY di Junji Schimizu – Alice nella città

(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)

Evento speciale per Alice nella città, in collaborazione con la Festa del Cinema, è la proiezione in prima mondiale di Mazinga Z Infinity, film diretto da Junji Shimizu. Terzo episodio tratto dalla serie manga e anime Mazinger Z di Go Nagai, prodotto dalla Toei Animation in occasione del 45º anniversario della serie e distribuito dalla Lucky Red è il primo ad essere realizzato in forma di lungometraggio.

Mazinga Z è certamente il robot icona per eccellenza della storia del manga e dell’anime contemporaneo. Era il 1972 quando veniva pubblicato il primo capitolo di Mazinga Z, manga scritto e disegnato da Go Nagai. L’opera, che nello stesso anno verrà trasposta in un anime di 92 episodi, è rivoluzionaria poiché introduce nei manga di genere mecha i super robot, ovvero robot colossali pilotati da ragazzi e caratterizzati dalla grande potenza distruttiva con il compito di difendere la Terra dall’invasione di mostri o alieni giganteschi che puntualmente vengono sconfitti.

Dieci anni di lavorazione per un film fumetto che mantiene inalterato il suo fascino, il suo stile ed un gusto retrò. La storia è quella di un sequel complesso e intricato. Dieci anni dopo la sconfitta dell’Impero Sotterraneo, Koji Kabuto è divenuto ormai un importante scienziato che opera alle pendici del Monte Fuji, presso il Centro di Ricerca per l’Energia Fotonica, la più potente e pulita che il mondo abbia mai conosciuto. Insieme a eroi robot che hanno difeso l’umanità come Boss o Diana A, anche l’originale Mazinga Z è adesso una semplice statua all’interno del museo. Ormai preso dai suoi studi, dopo essersi lasciato alle spalle i giorni in cui guidava Mazinga Z, Koji Kabuto rinviene una ragazza androide, ribattezzata Lisa, nelle misteriose rovine scoperte all’interno del Monte Fuji. Sembra essere la chiave per avviare il gigantesco mech Infinity. Mentre la minaccia del Dottor Inferno torna a farsi preponderante, e Sayaka sogna un futuro e una famiglia con lui, Koji cederà alla tentazione di guidare ancora una volta Mazinga Z. Lo farà anche per correre in aiuto del Grande Mazinga e di Tetsuya, che aspetta un figlio da Jun, divorata dall’apprensione.

Sul piano nostalgico e romantico, Mazinga Z Infinity non può non piacere: la sceneggiatura intreccia le vicende dei personaggi più rappresentativi con un’evoluzione più romantica, legata alla dinamica esistenziale e sentimentale dei suoi protagonisti.

Il film rimane forse un po’ ingenuo e datato nei contenuti a motivo anche di innumerevoli spiegazioni scientifiche complicate e tutto sommato poco interessanti. I dialoghi si aggrovigliano su loro stessi nel tentativo di spiegare teorie come il multiverso e gli spazi contigui.

Mazinga Z Infinity sembra provenire davvero da un’altra epoca, nel bene e nel male, ma con tanti entusiasti adepti di ogni età, a giudicare dal variopinto calore con il quale è stata accolta questa anteprima mondiale.

data di pubblicazione:30/10/2017








I,TONYA di  Craig Gillespie, 2017 – Selezione Ufficiale

I,TONYA di Craig Gillespie, 2017 – Selezione Ufficiale

(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)

I,Tonya è il ritratto di una giovane pattinatrice della provincia americana, protagonista di uno degli scandali sportivi più controversi degli anni ‘90, tratteggiato attraverso il difficile rapporto con un marito violento ed una madre opprimente e crudele che, sin dall’infanzia, le inculca l’ossessione per il pattinaggio. La deriva di una brillantissima carriera drammaticamente annunciata.

Di indubbia presa I,Tonya, film del talentuoso regista australiano Craig Gillespie, classe1967, già apprezzato nel 2007 per Lars e una Ragazza tutta Sua, che qui è alle prese con un tema assai caro alle produzioni USA: il successo nello sport ad ogni costo. Per l’esattezza la disciplina è lo skating, da noi pattinaggio sul ghiaccio, e la storia racconta la drammatica vicenda di Tonya Harding, ottima pattinatrice statunitense sbattuta sui media prima per le sue grandi qualità per essere stata la prima ad eseguire il triplo salto Axel, uno dei più acrobatici del pattinaggio di figura sul ghiaccio, ed in seguito perché ritenuta corresponsabile dell’aggressione alla sua rivale Nancy Kerrigan, alla vigilia delle Olimpiadi invernali di Lillehammer.

La pellicola, un biopic ma sulla falsariga di un docu-film grazie ad interviste e flashback abilmente montati, ripercorre la vicenda di Tonya ancora piccolissima nelle mani di una madre ossessiva e sboccata che la vuole numero uno al mondo e, appena talentuosa quindicenne, in un tormentato rapporto col fidanzato e poi marito Jeff Gillooly. Punteggiata da momenti memorabili come alcune scene sulle prestazioni sportive, e da lampi di recitazione di altissimo livello della bravissima protagonista, l’australiana Margot Robbie, ma anche di Allison Janney nel ruolo della terribile madre Lavona, la pellicola è una appassionante denuncia contro lo sport vissuto in modo totalizzante e brutale e regala alla Festa del Cinema di Roma una magnifica prova d’autore, dove tutto funziona al meglio, dagli attori alla regia, dall’ambientazione alla colonna sonora, con memorabili brani che spaziano dai Dire Straits ai Bee Gees.

data di pubblicazione:30/10/2017








PRENDRE LE LARGE di Gaël Morel, 2017 – Selezione ufficiale

PRENDRE LE LARGE di Gaël Morel, 2017 – Selezione ufficiale

(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)

Una fabbrica tessile che chiude per delocalizzare la produzione dalla Francia al Marocco. Un’operaia che decide di “prendere il largo” e di (in)seguire il suo lavoro in terra straniera. Il ritratto di una donna che riesce a trovare la forza nelle sue fragilità.

Edith (una straordinaria Sandrine Bonnaire) è un’operaia tessile che si trova a dover affrontare la chiusura dello stabilimento in cui lavora. Nell’età della globalizzazione, la fabbrica decide di delocalizzare la propria produzione dalla Francia al Marocco, dove i costi sono decisamente inferiori. Ciascun operaio può accettare il licenziamento e la conseguente “buonuscita” oppure richiedere il trasferimento a Tangeri. Edith, inaspettatamente, sceglie di partire, sceglie di “prendere il largo”. Anche perché Edith, rimasta sola dopo che suo figlio Jérémy (Ilian Bergala) ha preso la sua strada, non saprebbe vivere se le togliessero anche il suo lavoro.

L’arrivo in Marocco non è indubbiamente agevole: Edith è la “straniera che non porta il velo” e non conosce le insidie di una città in cui ci sono “più matti che gatti”, senza contare che le condizioni di lavoro nella nuova fabbrica sono ai limiti sono bel al di sotto degli standard minimi di sicurezza.

L’incontro con Mina (Mouna Fettou), proprietaria della pensione dove Edith ha trovato alloggio, e con suo figlio Ali (Kamal El Amr) restituiranno a Edith parte della vita che credeva di aver perduto per sempre.

Prendre le large, per la regia di Gaël Morel, è un delicato affresco introspettivo sul cui sfondo troneggia l’età della globalizzazione: la libertà che si traduce in vincolo, la realtà liquida nella quale rischiano di dissolversi anche i valori fondamentali. L’aspetto forse meno convincente del film è rappresentato dal fatto che la “questione sociale”, relativa al mondo operario e alla tutela dei lavoratori, pur individuando uno dei fili conduttori della storia, resta forse troppo in secondo piano: rapidi cenni che però non riescono a scavare nel cuore della questione. Anche l’ingenua sprovvedutezza di Edith, per quanto comprensibile, non sempre risulta realistica.

La regia di Morel e l’interpretazione di Sandrine Bonnaire, in ogni caso, restano una combinazione che regala al film dei momenti di alta e intensa poesia.

data di pubblicazione: 30/10/2017







PRENDRE LE LARGE di Gaël Morel, 2017 – Selezione ufficiale

LOVE MEANS ZERO di Jason Kohn, 2017 – Selezione ufficiale

(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)

Un documentario racconta la storia di Nick Bollettieri, leggendario allenatore di tennis che a stento avrebbe saputo vincere un set, ma che era in grado di far vincere gli altri. Un vincente che amava circondarsi di vincenti e che per questo era disposto a mettere da parte ogni inutile sentimentalismo. Almeno in apparenza.

Nick Bollettieri è uno dei più famosi allenatori di tennis della storia. Resta seduto su una sedia più di quanto abbia mai fatto in vita sua e risponde alle domande di Jason Kohn, avvertendolo di non accanirsi troppo nella ricerca di un senso nella storia che sta raccontando: lui è Nick, semplicemente Nick Bollettieri. E il risultato è il riuscito documentario Love means zero.

Bollettieri è stato il primo che ha tentato di applicare una logica “comunista” nella gestione capitalistica dello sport: ha infranto le regole, esigendo che i giovani aspiranti campioni si separassero dalle loro famiglie e vivessero all’interno dell’Academy, a stretto contatto l’uno con l’altro, alimentandosi dello spirito di competizione e della voglia di vincere.

Il carisma di Bollettieri faceva il resto. Un uomo avvicinatosi al tennis per caso e in “età avanzata”, uno che non avrebbe mai vinto una partita in vita sua, ma che era capace di far vincere gli altri. I ragazzi e le ragazze della sua scuderia erano disposti a tutto pur di conquistare la stima e le attenzioni di Nick. Vedevano in lui un padre. Un padre severo, cinico, che concentrava le proprie energie solo sui figli più promettenti. Il duello storico tra Andre Agassi e Jim Courier, alcuni degli campioni più noti del team Bollettieri, altro non era che una battaglia per conquistare il cuore e il rispetto di Nick.

Proprio la parabola professionale e umana di Andre Agassi diviene uno dei nuclei più riconoscibili della storia raccontata da Love means zero. Agassi è anche il grande assente del documentario di Kohn. Parlano per lui le immagini di repertorio degli incontri che hanno segnato la storia del tennis, le sue interviste, gli articoli di giornale. Agassi è stato uno di quegli sportivi che meglio ha incarnato le intersezioni tra sport, star system e marketing, ma è anche l’allievo che si porta dietro un controverso rapporto con il proprio “padre”.

Love means zero è un documentario ben congegnato e ottimamente diretto, capace di rendere partecipi della storia e di appassionare anche lo spettatore a digiuno della recente storia del tennis. Risulta interessante, in particolare, la metamorfosi di Nick nel corso dell’intervista: spavaldo e “tutto d’un pezzo” all’inizio, commosso e fragile alla fine. Così come interessante è la parabola della sua Accademia: sembrava anzitutto una spietata macchina da soldi, ma è arrivata sull’orlo del fallimento, perché Bollettieri non ha mai voluto vincolare contrattualmente i propri sportivi, i quali, dal canto loro, non hanno scelto spontaneamente di sostenere l’Academy.

Nick, alla fine, è semplicemente Nick Bollettieri: un vincente, che ama circondarsi di vincenti.

data di pubblicazione: 30/10/2017








PRENDRE LE LARGE di Gaël Morel, 2017 – Selezione ufficiale

TOUT NOUS SEPARE di Thierry Klifa, 2017 – Selezione Ufficiale

(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)

In una piccola cittadina sulla costa francese una madre e una figlia vivono in simbiosi quasi perfetta. La prima, fredda e ostinata, usa ogni arma a disposizione pur di proteggere la figlia, reduce da un incidente in cui è rimasta seriamente menomata, legata sentimentalmente ad un balordo violento. A seguito della brutale morte del giovane, le due donne dovranno sottostare a tutta una serie di ricatti.

Solo Chabrol ha saputo offrire un ritratto efficace della media borghesia, della sua accanita difesa dei propri “valori” e della vita ristretta e chiusa nella provincia. La piccola città, la casa, la famiglia sono i luoghi ed i motivi per cui si consumano delitti, si mente e si nascondono gli armadi pieni di scheletri da non far conoscere al di fuori. Purtroppo il regista Thierry Klifa non è Chabrol, né si avvicina ad esserlo, pur impegnandosi ad illustrare un ambiente di una piccola cittadina di mare, con la famiglia medio borghese da una parte e un mondo, con un piccolo sottomondo malavitoso, dall’altra. Al centro della storia ci sono una madre (Catherine Deneuve), vedova benestante di un operatore portuale la cui fiorente attività ha poi preso in mano, e la figlia (Diane Kruger), con una gamba segnata da un incidente che la rende claudicante e dolorante per i postumi e, di conseguenza, divenuta progressivamente tossicodipendente.

La madre è una donna volitiva che, come dice lei stessa, è forte per istinto di conservazione di ciò che è suo, la casa, i mobili, il denaro, l’impresa di famiglia e l’unica figlia, con la quale ha un rapporto altalenante, lacerato fra momenti di dolce e tenero accudimento dei dolori causati dall’infermità e dalle sostanze assunte, e momenti di contrasto per la sua condotta troppo libera e per la sua dipendenza. La giovane figlia, segnata dall’invalidità e dal bisogno di droghe, cerca amore, affetto e protezione legandosi, in una contorta relazione fatta di desiderio fisico, violenza e soprusi, con piccolo balordo e spacciatore che la usa, la rifornisce e le spilla denaro in continuazione. Il film potrebbe divenire un noir oppure un poliziesco, o, come dicono i francesi, un polar. In realtà non assume un tono specifico fermandosi ad essere solo un film di genere in cui si inquadra, da una parte il disagio sociale  e la rabbia delle frange marginali e dei giovani delle periferie, dall’altra le ipocrisie di certi ambienti disposti ad ogni menzogna e compromesso pur di salvaguardare se stessi, perdendo ritmo e mordente e tendendo a ripetersi in attesa di un evento risolutore. Tout nous sépare gira un po’ su se stesso ed è retto dall’interpretazione della Deneuve che sa dipingere con classe gli impacci, gli imbarazzi e la determinazione di una madre pronta a tutto pur di salvare la figlia, senza badare a nessun compromesso che si presenti necessario. La sua recitazione, sia pur molto credibile, non basta però a rendere il film completamente convincente.

data di pubblicazione:29/10/2017







IL SISTEMA PIXAR di Christian Uva – Il Mulino

IL SISTEMA PIXAR di Christian Uva – Il Mulino

Nell’ambito delle iniziative promosse dalla Festa del Cinema di Roma, lunedì 30 ottobre verrà presentato Il sistema Pixar di Christian Uva, edito da Il Mulino. L’appuntamento è alle 16.30 presso la libreria Notebook, situata all’interno dell’Auditorium Parco della Musica. Da Toy Story a Cars, il volume ripercorre le fasi principali di una delle più grandi case cinematografiche di animazione.

 Oltre all’autore, che insegna Storia del Cinema e Tecnologia del cinema e dell’audiovisivo al DAMS dell’Università di Roma Tre, interverranno Oscar Cosulich, critico cinematografico  e Direttore del Future Film Festival e Alberto Crespi, Responsabile Ufficio Stampa e Comunicazione Centro Sperimentale di Cinematografia. L’incontro sarà moderato da Laura Delli Colli, Presidente del Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici.

All’interno del saggio, Christian Uva analizza le tappe di un sistema industriale nato come costola della Lucasfilm di George Lucas. Acquisita da Steve Jobs nel 1986 e divenuta nel 2006 di proprietà della Walt Disney, la Pixar rappresenta un esempio ideale di industria creativa capace di imporre a livello globale un marchio di qualità che è cifra di una precisa visione del mondo, oltre che di un solido e corposo immaginario insieme infantile e adulto. Film come Toy StoryAlla ricerca di NemoGli incredibiliCars o Inside Out sono il frutto di un sistema industriale, narrativo, estetico e ideologico che, nel corso degli ultimi vent’anni, è stato in grado di rivitalizzare il cinema d’animazione proponendo, tra tecnofilia e nostalgia, un’articolata riflessione sull’american way of life contemporanea e, in particolare, sull’identità nazionale degli Stati Uniti alla prova delle sfide del presente.

data di pubblicazione:29/10/2017

PRENDRE LE LARGE di Gaël Morel, 2017 – Selezione ufficiale

LAST FLAG FLYING di Richard Linklater, 2017 – Selezione ufficiale

(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)

L’America di ieri e quella di oggi, unite dall’eroismo (razionalmente incomprensibile) dei giovani Marines mandati al fronte. Vietnam e Iraq: cambia poco in fondo. Restano intatti il rispetto per la divisa, l’orrore del fronte, la disperazione delle famiglie. Così come resta intatta la bandiera a stelle strisce che, nonostante tutto, continua a sventolare sullo sfondo.

 

Larry Shepherd (Steve Carrel), meglio noto come Doc, si mette sulle tracce di ex soldati che, insieme a lui, hanno militato nei Marines: Sal Nealon (Bryan Cranston), che ora gestisce una birreria senza troppe pretese, e Richard Mueller (Laurence Fishburne), divenuto un appassionato e autorevole Reverendo.

I tre hanno combattuto insieme in Vietnam, in una guerra di cui probabilmente nessun militare americano ha mai compreso il senso, ma che ha lasciato nei loro corpi e nelle loro anime delle cicatrici profonde e indelebili.

Anche il figlio di Doc ha deciso di arruolarsi nei Marines. Nei primi anni del nuovo millennio i nemici non sono più i musi gialli che popolano le giungle Vietnam, dove ormai anche gli americani vanno in vacanza, ma gli iracheni capeggiati da Saddam Hussein che si nascondono nei deserti dell’Iraq. Proprio dall’Iraq arriva la notizia della morte del figlio di Doc. È caduto in azione come un vero eroe, dicono. Deve essere seppellito con tutti gli onori, dicono.

Larry chiede ai suoi vecchi compagni di divisa di accompagnarlo nel viaggio più lungo e tormentato che la vita poteva riservargli. Ha inizio quindi un road movie, che, come tutti i road movie che si rispettino, diviene anzitutto un viaggio interiore che conduce alla (ri)scoperta di se stessi.

Richard Linklater torna al cinema con Last Falg Flying, tratto dall’omonimo romanzo di Darryl Ponicsan e sequel del film del 1973 L’ultima corvè con Jack Nicholson. Il film, prodotto da Amazon Studios, è stato scelto per l’apertura del New York Film Festival.

Il tema, caro a Linklater, è quello del patriottismo nazionalistico, raccontato in maniera disincantata ma non del tutto cinica, rassegnata ma mai del tutto disperata. Il trio di protagonisti funziona a meraviglia, tanto per la convincente prova di attori di Carrel, Cranston e Fischburne, quanto per l’armonica complementarietà dei personaggi: Doc è remissivo e mite, Sal è irriverente e caustico, Mueller è il reverendo cui la fede ha concesso di placare gli eccessi giovanili e di curare le ferite del fronte. Non ci sono risposte definitive nel film. Non ci sono buoni e cattivi. C’è solo il silenzio del vuoto, che ciascuno può riempire con le proprie riflessioni con temi che, ormai da decenni, continuano a tormentare la coscienza dell’America.

I 124 minuti del film, forse, scorrono più fluidamente nella prima parte anziché nella seconda, ma la scrittura, che assegna un ruolo determinante alla spiazzante ironia di Sal e che mantiene il costante parallelismo tra ieri e oggi, tra Vietam e Iraq, restituisce un’opera nel complesso convincente. Qualche retorica di troppo nelle sequenze finali; ma, del resto, è il rischio pressoché inevitabile che si corre quando, sullo sfondo, la bandiera a stelle e strisce continua a sventolare nonostante tutto.

data di pubblicazione: 29/10/2017








PRENDRE LE LARGE di Gaël Morel, 2017 – Selezione ufficiale

IN BLUE di Jaap van Heusden, 2017- Selezione Ufficiale

(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)

Lin è una assistente di volo di una compagnia olandese, molto apprezzata in ambito lavorativo per la sua professionalità. Mentre si reca precipitosamente in aeroporto a Bucarest, il suo taxi investe un ragazzo di quindici anni: Nicu vive nei sotterranei della città e, pur di procurasi la droga, ricorrendo ad ogni tipo di espediente incluso la prostituzione. Il ragazzo inizialmente si offre di farle da guida turistica e la donna piano piano viene inspiegabilmente attratta non solo dai suoi modi bruschi ma anche dalle sue attenzioni particolari.

 

Il regista olandese Jaap van Heusden, al suo terzo film, con In Blue ci presenta una storia genuina, privo di una sceneggiatura particolarmente elaborata, dove il sentimento sta alla base di un racconto che nella sua leggerezza non scivola mai nel sentimentalismo. Il rapporto che nasce tra Lin (Maria Kraakman) e Nicu (Bogdan Iancu) è la dimostrazione di come due persone così diverse per cultura ed estrazione sociale possano trovarsi insieme in qual cosa che va al di là della semplice amicizia. Entrambi i protagonisti hanno bisogno di un affetto sincero, da sempre negato e mai ricevuto, e proprio in questa circostanza si trovano a colmare qualcosa che loro stessi non avevamo forse mai sperimentato. Lin, ad esempio, si trova a seguire Nicu nel sotterraneo dove vive in branco insieme ad altri emarginati, e la tenerezza che prova per il ragazzo sarà sufficiente a farle dimenticare dove realmente si trova, in una situazione ben lontana dall’ambiente asettico in cui è abituata a muoversi in Olanda, perché questo suo nuovo amico riuscirà a colmare quella perenne deficienza affettiva da cui è affetta, dovuta ad una mancata maternità. La narrazione, a cui fa da sfondo l’aberrazione della gioventù rumena, sembra procedere lungo un percorso credibile perché basato su sentimenti veri, non inquinati né dal sesso né da interessi esclusivamente materiali. Film che si segue con attenzione ed un tocco di ammirazione per la determinazione e la delicatezza dei due protagonisti.

data di pubblicazione:29/10/2017








MAZINGA Z INFINITY di Junji Schimizu – Alice nella città

BRIGSY BEAR di Dave McCary, 2017 – Alice nella città

(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)

Alice nella città ospita l’opera prima Brigsy Bear, una commedia agrodolce diretta da Dave McCary scritta ed interpreta da Kyle Mooney, affiancato da Claire Danes , Mark Hamill, Greg Kinnear e Andy Samberg, presentata in anteprima al Sundance Film Festival 2017 e successivamente proiettata al Festival di Cannes, nella sezione Settimana Internazionale della Critica.

 

La storia verte su James Pope (Kyle Mooney), ragazzo rapito da bambino e che ha vissuto tutta la sua infanzia assieme a un tv show di nome Brigsby Bear.

Costretto a vivere in un bunker nel deserto con i suoi genitori in un mondo apparentemente post-apocalittico, James è completamente isolato e vive soltanto in funzione della sua serie tv preferita, Brigsby Bear. Lo show era stato ideato dai falsi genitori di James, per dare una parvenza di normalità alla vita del ragazzo.

Tutto cambia quando la polizia irrompe nel bunker e James scopre di essere stato rapito quando era un neonato e soprattutto che Brigsby Bear non è un vero show per bambini.

Sconvolto e incerto, James cerca di adattarsi alla sua nuova vita, ma l’ossessione di Brigsby Bear non riesce ad abbandonarlo, soprattutto, non può concepire che il mondo non conosca il suo eroe. Per questo motivo, James decide di dare nuovamente vita al suo personaggio preferito, mettendo su un vero e proprio film con l’aiuto di un nuovo gruppo di amici e del detective Vogel.

Il film è la difficile integrazione di un uomo apparentemente adulto in un mondo che ha sempre ignorato esistesse. Divertente, ironico e delicato, Brigsby Bear è un viaggio nell’eterno mondo dell’infanzia di James. Un mondo fatto di combattimenti, mostri leggendari e fantasmi del passato. Un mondo di fantasia attraverso il quale James può fare i conti con la sua realtà e far comprendere quanto per lui Brigsby sia stato un fedele compagno.

Il film si muove attraverso un linguaggio metaforico, semplice e accessibile ma che vuole spesso rimandare a un mondo di grandi con una chiave di entrata per tutti quanti.

Difficile non voler bene a James. La sua ingenuità è travolgente ed emozionante, ed il suo mondo un po’ paradossale ed eccessivo, finisce per coinvolgere e conquistare personaggi e spettatori.

data di pubblicazione:29/10/2017








PRENDRE LE LARGE di Gaël Morel, 2017 – Selezione ufficiale

ABRACADABRA di Pablo Berger, 2017 – Selezione Ufficiale

(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)

Titolo emblematico per una pellicola ad alto tasso di follia, in cui una casalinga trascurata, un marito insensibile e dai modi bruschi, un cugino particolarmente galante e l’ipnosi si incontrano tra le vie periferiche di Madrid, dando origine ad una commedia esilarante, dal finale un po’ prevedibile.

 

Carmen, per andare al matrimonio della cugina, vuole essere particolarmente originale e copia da una nota rivista di gossip l’acconciatura di Madonna, ma il marito Carlos non ne vuole sapere di arrivare in orario: è più importante la finale di coppa del Real Madrid e… non è il solo a pensarla così! Durante il ricevimento, per pura e semplice goliardia, Carlos si sottopone ad un amatoriale esperimento di ipnotismo proposto a tutti gli invitati dal cugino di Carmen, da sempre suo fedele corteggiatore. È un modo come un altro per ridicolizzare quell’uomo che osa mettere gli occhi sulla sua donna, anche se lui da anni non prova più per lei alcun interesse. Ma qualcosa durante l’esperimento, apparentemente mal riuscito, sembra essere accaduto e Carlos da quel momento non sarà più lo stesso.

Si ride molto durante la proiezione di questa folle commedia di Pablo Berger, giovane regista spagnolo che nel 2014 rappresentò la Spagna agli Oscar con Blancanieves nella categoria Miglior film straniero. È quasi impossibile non pensare quanto lo stile e la filmografia di Almodóvar abbiano potuto influenzare giovani registi come Berger, che riesce con Abracadabra, in chiave ovviamente grottesca, a raccontare una storia di reincarnazione alquanto surreale, che appassiona senza grossi cali di attenzione. Peccato solo che sul finale la storia perda corpo e la soluzione a tutto ciò che il regista ha messo in scena sia un po’ banale e non all’altezza del corpo centrale del film.

data di pubblicazione:28/10/2017