OLTRE L’INVERNO di Isabel Allende – Feltrinelli, 2017

OLTRE L’INVERNO di Isabel Allende – Feltrinelli, 2017

Come in tutti i suoi romanzi, qualche aspetto della storia personale dell’autrice traspare dai suoi personaggi. Questa volta il suo alter ego è Lucia, cilena espatriata in Canada per sfuggire alla dittatura di Pinochet: la sua vita è segnata da un padre bigamo, dal fratello desaparecido, dalla sua personale lotta contro il cancro e da un matrimonio fallito e, nonostante ciò, è una donna viva e piena di voglia di vivere e di lasciarsi tutto alle spalle. A un certo momento della sua vita si trasferisce a Brooklyn per un semestre come visiting professor e alloggia nel seminterrato affittatole da un collega, Richard, anche lui con un passato drammatico che ha inizialmente combattuto affogando nell’alcol e che ora tiene sotto controllo con una disciplina ferrea.

Con loro protagonista del romanzo sarà Evelyn, giovanissima guatemalteca, immigrata clandestinamente negli USA per sfuggire a una gang criminale che è piombata nella sua vita segnandola in modo indelebile.

Poche settimane dopo Capodanno si scatena su New York una furiosa tempesta di neve; mentre Richard rientra a casa nella tormenta tampona il Suv davanti a lui da cui esce Evelyn che, sconvolta dall’incidente,  afferra il biglietto da visita che Richard le porge e va via come una furia. Dopo parecchie ore, ormai a tarda sera, Richard se la ritrova sulle scale di casa e, poiché con il suo stentato spagnolo non riesce a comunicare con la ragazza, trova un modo per risolvere il problema della lingua: “l’unica cosa che gli era venuta in mente fosse stata di chiamare la cilena del piano interrato”.

Per quel fortuito tamponamento e le conseguenze che porta con sé, le vite dei tre protagonisti si legano indissolubilmente: (Evelyn) aveva preso la macchina della sua datrice di lavoro…., senza dirglielo perché stava facendo un sonnellino. La ragazza aggiunse con difficoltà che, dopo il tamponamento di Richard, aveva dovuto rinunciare all’idea di tornare a casa perché non poteva raccontare cosa era successo”.

I capitoli si alternano tra la narrazione di ciò che affrontano insieme e la descrizione delle loro vite pregresse con i loro fantasmi, i dolori, gli errori, le gioie che li hanno portati a essere ciò che sono diventati.

La Allende, come sempre, ci sorprende con la sua penna. Il romanzo è un po’ un giallo, un po’ un romanzo rosa, un po’ un romanzo storico, gli argomenti che affronta sono forti come il traffico di esseri umani, il potere delle gang o lo strazio della perdita di un figlio; i suoi personaggi sono costruiti magnificamente e prendono vita sotto i nostri occhi segnati dalla differente capacità di ognuno di loro di assimilare le proprie esperienze e cercare di trovare un modo per conviverci.

Forse non sarà la Allende di La casa degli spiriti o D’amore e ombra, ma vale sempre e comunque la pena di leggerla perché, sempre e comunque, ti lascia qualche cosa dentro che è irrinunciabile avere.

data di pubblicazione: 4/12/2017

GLI SDRAIATI di Francesca Archibugi, 2017

GLI SDRAIATI di Francesca Archibugi, 2017

Tratto dal monologo di un padre, come Michele Serra ha definito il suo non-romanzo Gli sdraiati, il film di Francesca Archibugi liberamente ispirato ad esso è una gradevole storia, scritta a quattro mani con Francesco Piccolo, in cui compaiono personaggi che nel libro non ci sono ma che ci consegnano il senso profondo di ciò che Serra ha voluto trasmetterci: una lunga lettera senza risposta di un padre ad un figlio.

Intelligenza, ironia, profondità sono gli ingredienti di questa nuova avventura della regista e sceneggiatrice di Mignon è partita, Il grande cocomero, L’albero delle pere, Lezioni di volo, Questioni di cuore. Un padre ed un figlio visti da una donna, con un occhio attento alle loro sofferenze, ai loro silenzi così carichi di tante parole, al loro senso di abbandono: tutto questo senza lacrime o drammi, ma con quella leggerezza di chi riesce a descrivere i sentimenti senza sentimentalismi, entrando nelle pieghe dei turbamenti di un padre che non riesce a ritrovare la rotta e di un figlio che resiste con maturità mista ad un muro di insofferenza ai suoi tentativi goffi, seppur colmi di un amore smisurato, per appianare le loro diversità.

Claudio Bisio, che ha già portato a teatro questo ruolo nello spettacolo Father and son, è molto bravo nell’esprimere il tentativo impotente di insegnare delle regole ad un figlio che non le vuole apprendere, in questo dialogo tra opposti che non sanno riconoscersi e rispettarsi, in un film che al contrario è un inno al vivere e lascia vivere in cui è importante, anzi fondamentale, per un genitore essere presente senza invadere, andando incontro con rispetto, pazienza e comprensione a chi non ha ancora formati gli strumenti per difendersi, astenendosi dal dettare troppe regole che inevitabilmente vengono disattese creando disinteresse.

Come è già accaduto in altri film della regista romana, anche ne Gli sdraiati la Archibugi riesce a mettere a fuoco il punto di vista dei figli, non solo di Tito interpretato in modo molto convincente dal giovane esordiente Gaddo Bacchini, ma anche dei suoi compagni, un gruppo di amici che ci raccontano quell’alchimia tutta maschile che li unisce, che li rende forti ed invincibili come dei supereroi, impermeabili ai dolori della vita ed alle loro diversità sociali.

Film equilibrato, di cui se ne consiglia la visone anche a chi figli non ne ha.

data di pubblicazione:03/12/2017


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SAVED di Edward Bond, traduzione di Tommaso Spinelli e regia di Gianluca Merolli

SAVED di Edward Bond, traduzione di Tommaso Spinelli e regia di Gianluca Merolli

(Teatro Vascello – Roma, 29 novembre/10 dicembre 2017)

Un’immersione nel sottoproletariato londinese, nella cupezza di vite desolate e desolanti, nell’assoluta assenza dei valori. Dove può maturare una tragedia insensata. Come un infanticidio.

 

La riscoperta e la valorizzazione di un testo di 52 anni fa non è un’operazione gratuita ma richiede rispetto, storicizzazione e adeguato metro valutativo. La colonna sonora dello spettacolo è gradevole e va a riempire i tempi morti dove sono gli stessi attori a comporre la mutevole scenografia. Che è un misto di vuoto e pieno. Il vuoto sono gli esterni che registrano i dialoghi tra i componenti del branco. Il pieno è la cornice solo un po’ più rassicurante di un ambito familiare oscuro ma non privo di qualche anelito e speranza. Il sottofondo è una società dove l’approdo alla middle class è solo un miraggio. Si delinea una Londra poco rassicurante, pregna di violenza, alimentata dalla disoccupazione e dall’incognita del futuro. Lo spettacolo realizzato con la collaborazione di Acea si regge su un cast ricco e quantitativamente numeroso, come raramente accade nel teatro contemporaneo, anche per una questione di costi. E l’assemblaggio inter-generazione degli attori funziona convenientemente. La chioccia è inevitabilmente Manuela Kustermann madrina del teatro, adusa al nuovo e alla sperimentazione che tiene a battesimo i ragazzi del branco e Lucia Lavia, un’attrice in continua crescita. Teatro, cinema, letteratura degli anni ’60 e ’70 ci hanno mostrato già questo vuoto pneumatico. Si respira nel testo e nei dialoghi quasi naturalistici la regola del possesso, della violenza e dell’insensatezza: un modello di vita. La cronaca nera scritta nella vicenda (la soppressione criminale di un giovane innocente) in fondo è quella che si legge oggi sui giornali di tutto il mondo. Con uxoricidi, abomini, sassi lanciati da un cavalcavia, figli che sopprimono i genitori. Una follia globalizzata che forse l’Inghilterra e la sua espressione teatrale hanno anticipato. L’atto della soppressione di un innocente è gratuito, alla Camus, con un sottofondo esistenziale che allude alla disperazione, alla disoccupazione, a un assoluto vuoto da riempire. E una raccomandazione ci fa capire che clima si respira: “Per alcune scene particolarmente crude si sconsiglia lo spettacolo a un pubblico adulto”. Non per niente la prima scena documenta un rapporto sessuale.

data di pubblicazione:30/11/2017


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MAI DIMENTICARE di Michel Bussi – E/O, 2017

MAI DIMENTICARE di Michel Bussi – E/O, 2017

Inutile presentare l’autore, lo conosciamo fin troppo bene dopo aver letto i suoi precedenti successi: Tempo assassinoNon lasciare la mia mano e, su tutti, Ninfee nere.

Con Mai dimenticare, Michel Bussi ci riporta in Normandia: questa volta la scenografia non sarà quella di uno spettacolare quadro impressionista ma ci troveremo a “correre” sulle spettacolari bianche scogliere nella regione della Senna Marittima.

Protagonista del romanzo è Jamal Salaoui, giovane nordafricano in vacanza a Yport per allenarsi, molto duramente, sulle sue falaises e partecipare come primo atleta portatore di handicap all’Ultra-Trail del Mont Blanc, la più dura corsa campestre del mondo.

La mattina del 19 febbraio Jamal sfida il freddo e il ghiaccio e, come ha fatto i giorni precedenti, inizia a correre risalendo una falaise; si ferma solo un attimo per prendere una sciarpa rossa di cachemire che trova poggiata sullo steccato che costeggia la strada, subito dopo gli compare davanti una ragazza: è sull’orlo della scarpata e sembra si voglia gettare, Jamal cerca di convincerla a desistere, ma lei minaccia di lanciarsi se lui si avvicina di più. Allora Jamal le lancia un capo della sciarpa per creare un contatto, per cercare di allontanarla dal precipizio senza avvicinarsi, ma la ragazza fa una mossa improvvisa, Jamal perde il suo capo della sciarpa e la giovane cade inesorabilmente di sotto da un’altezza di più di 100 metri. Quando Jamal arriva correndo alla base della scogliera la ragazza è a terra, morta, con la sciarpa stretta intorno al collo…: testimoni del tragico volo sono stati un uomo e un’anziana con il suo cagnolino .

Ma dalle indagini della polizia, chiamata proprio da Jamal, emerge che non si tratta di  un suicidio: la ragazza ha subito una violenza e non è morta sfracellandosi dalla scogliera ma strangolata dalla sciarpa rossa… da quel momento un incalzante succedersi di avvenimenti rischierà di trasformare Jamal da testimone in colpevole.

La storia è raccontata in prima persona da Jamal che ha messo tutto nero su bianco per rendere reale, ai suoi stessi occhi, tutto quello che aveva subito e che era scaturito a seguito della tragica morte della ragazza, perché una volta che tutto è finito per il meglio ha avuto necessità di scrivere per capire la portata di quello che gli era capitato; ma è proprio vero che tutto è finito per il meglio….?

Finalmente ho ritrovato “a pieno” l’autore di Ninfee nere: in Mai dimenticare tutto è illusione, tutto è inganno, tutto è il contrario di tutto, fino alla fine dubiteremo di tutto e tutti, fino alla fine le vicende di Jamal e dei personaggi che lo circondano ci terranno con il fiato sospeso, non si possono non leggere queste pagine se non con una bramosia infinita, perché dobbiamo capire, dobbiamo scoprire cosa è successo a chi e a causa di chi.

Magistrale, non ci sono altre parole.

data di pubblicazione: 27/11/2017

LE SORELLE MATERASSI di Aldo Palazzeschi, adattamento di Ugo Chiti e regia di Geppy Gleijeses

LE SORELLE MATERASSI di Aldo Palazzeschi, adattamento di Ugo Chiti e regia di Geppy Gleijeses

(Teatro Quirino – Roma, 21 novembre/3 dicembre 2017)

Torna in teatro Le Sorelle Materassi, tratto dal celebre romanzo di Aldo Palazzeschi, nel libero adattamento di Ugo Chiti e con la regia di Geppy Gleijeses, al Teatro Quirino di Roma dal 21 novembre al 3 dicembre 2017.

Tre grandissime attrici, Lucia Poli, Milena Vukotic e Marilù Prati, vestono i panni delle tre Sorelle Materassi che vivono cucendo corredi da sposa e biancheria di lusso per la benestante borghesia fiorentina, nel sobborgo di Firenze Coverciano. Accanto a loro, la fidata governante Niobe (la bravissima Sandra Garuglieri).

Tutto sembra scorrere secondo una lenta e stanca routine quotidiana, quando irrompe nella loro vita il giovane, bello e intraprendente nipote Remo (Gabriele Anagni), figlio di una quarta sorella morta, la cui attitudine all’ozio, alla vita dissoluta e allo sperpero sarà la causa della rovina economica della famiglia.

Rancori e rivalità femminili vengono a galla mentre la vita tranquilla delle tre sorelle viene sconvolta; Teresa e Caterina da un lato subiscono passivamente il fascino del nipote e finiscono per accontentarlo in ogni cosa mentre la minore Giselda, con rabbia e forza inascoltate condanna i comportamenti dissoluti di Remo.

Una piacevolissima versione teatrale che ricorda lo storico e straordinario sceneggiato TV del 1972 con Sarah Ferrati, Rina Morelli, Nora Ricci, Ave Ninchi nella parte di Niobe ed un giovanissimo Giuseppe Pambieri.

Un mondo di donne sole anziane e zitelle, un mondo di situazioni non risolte, desideri nascosti, invidie, gelosie, competizione, insomma amore e odio, una rivalità che si acuisce con l’arrivo del ragazzo: uomo giovane, desiderabile, che suscita nelle donne anche inconfessabili desideri erotici.

Bello, pieno di vita, spiritoso, il giovane attira subito le attenzioni e le cure delle donne i cui sentimenti parevano addormentati; si rende conto di essere l’oggetto di una predilezione venata di inconsapevole sensualità e approfitta della situazione ottenendo immediata soddisfazione a tutti i suoi desideri e a tutti i suoi capricci. A poco a poco Teresa e Carolina spendono tutti i loro risparmi per soddisfare le crescenti esigenze del nipote, poi iniziano a indebitarsi e infine sono costrette a mettere in vendita la casa e i terreni che avevano ereditato dal padre.

Una discesa negli inferi e nei debiti che dopo il matrimonio del nipote ed il suo trasferimento in America lascia nella solitudine le donne che si affidano al ricordo per dare un senso agli ultimi giorni che hanno davanti.

Una commedia amara che strappa sorrisi e applausi per le convincenti interpretazioni delle attrici in scena.

data di pubblicazione:26/11/2017


Il nostro voto:

ROMA EUROPA FESTIVAL Les Particules élémentaires – regia di Julien Gosselin

ROMA EUROPA FESTIVAL Les Particules élémentaires – regia di Julien Gosselin

(Teatro Vascello – Roma, 18/19 novembre 2017)

Tra i più attesi debutti del Romaeuropa Festival 2017, il 18 e 19 Novembre al Teatro Vascello è andato in scena, per la regia di Julien Gosselin  assieme alla sua compagnia Si vous pouviez lécher mon cœur, Les Particules élémentaires ( Le particelle elementari), adattamento teatrale del celebre e controverso romanzo di Michel Houellebecq.

Interessantissima ed ambiziosa trasposizione proposta dal giovanissimo regista e dalla sua compagnia per un teatro assoluto e innovativo capace interpretare  un romanzo alquanto complesso ed apocalittico, tra i più discussi della letteratura contemporanea.

Dieci attori da subito protagonisti della scena pronti ad assumere il ruolo dei personaggi del romanzo, ma anche di commentatori, narratori e musicisti tra chitarre elettriche e spaccati video live.  Oltre tre ore di racconto per attraversare un secolo, dal 1968 al 2079 a cavallo del presente, attraverso le vicende di due fratellastri Michel Djerzinski, biologo molecolare, che vanta una carriera ricca di soddisfazioni professionali ma che poi decide di abbandonare a soli quarant’anni, afflitto anche da una vita privata inesistente e della sua incapacità di amare e Bruno Clèrment fratello per parte di madre, anch’esso abbandonato dai genitori e cresciuto dai nonni fino alla loro morte ed essere poi trasferito in collegio dove diventa vittima dei compagni più grandi. I due si incontrano e finiscono per frequentare lo stesso liceo. La narrazione prosegue con balzi temporali che passano dai contesti hippy degli anni della contestazione fino alle comunità new age di fine secolo. Le loro storie si intrecciano fatalmente e disperatamente con quelle di due donne, Annabelle e Christiane, destinate entrambe a conclusioni amare e senza speranza.

Nell’epilogo infine viene spiegato come le scoperte di Djerzinski abbiano poi portato alla creazione di un nuovo genere umano, geneticamente esente dai difetti del vecchio, voluto proprio da quel genere in via di estinzione, che non conosce la sofferenza e la brutalità, asetticamente orientato a perseguire il bello.

La storia già di per sé molto articolata è raccontata attraverso un ricchissimo vocabolario scenico, grazie al talento del regista che utilizza la lingua dell’autore stessa per tradurla nel linguaggio del teatro. Bruno e Michel, il primo costantemente alla ricerca dell’amore, il secondo da esso terrorizzato, sono il punto di partenza per un ritratto spietato della società occidentale post ‘68 tra ironia e idealismo, sesso e tabù, discoteche e lezioni di yoga, cinismo e furiosa poesia.

E il pubblico viene immediatamente investito da un diluvio di parole, di suoni, di immagini in un flusso ininterrotto, soggiogato dai piani racconto, da sovrapposizioni e modalità comunicative, dalla musica dal vivo, dallo sdoppiamento degli attori in video e dalla grafica proiettata, dai bruschi cambi di luce, sostenuti da una recitazione forte e penetrante cha va dal registro aspro  e urlato al filtro dimesso dell’intimità e della confessione, mentre la storia ed i cambiamenti sociali ed epocali avanzano senza tregua.

“Il mio teatro è plastico, è un concerto, è un’installazione, è letteratura. Gesto, attori, spazio, testo… utilizzo tutto ciò che è in mio possesso, ponendolo sullo stesso piano, con lo scopo di dar vita ad uno spettacolo il più potente possibile”.

Un’esperienza fortissima che scuote e insegna per uno spettacolo straordinario che non conosce calo di tensione e di emozione.

data di pubblicazione:25/11/2017


Il nostro voto:

THE SQUARE di Ruben Östlund, 2017

THE SQUARE di Ruben Östlund, 2017

La commedia drammatica The Square di Ruben Östlund, premiata con la Palma d’Oro all’ultima edizione del Festival di Cannes e selezionata per rappresentare la Svezia agli Oscar 2018, è un film di nicchia forse destinato ad essere compreso fino in fondo solo da un pubblico di addetti ai lavori, che di fondo vive all’insegna del surrealismo e del paradosso.

The Square racconta le disavventure, lo stress e le cose più strambe che il protagonista, Christian vive nel suo ruolo di curatore di un prestigioso Museo di Arte moderna e contemporanea di Stoccolma. In concomitanza con la preparazione del lancio promozionale e dell’allestimento della mostra dedicata all’artista dell’opera “the square” – da cui appunto trae origine il titolo del film – Christian inizia a incappare in una serie di episodi al limite dell’assurdo e, talvolta, del grottesco che piano piano getteranno nel caos la sua patinata e lineare vita impostata. L’opera “the square” allestita all’ingresso del museo contiene il seguente messaggio: tutti coloro che in un certo momento della giornata si trovino all’interno del quadrato 4 metri per 4 (the square) delineato da una luce luminosa avranno gli stessi diritti e doveri, in un regime di pari opportunità e piena eguaglianza. Attraverso il personaggio di Christian, dunque, e gli aneddoti e le stramberie del “dietro le quinte” del Museo di arte contemporanea – dove tutto e tutti sembrano parlare di cose vuote, effimere come l’istallazione di montagnette di sassolini di ghiaia con la scritta al neon you have nothing –  il regista lancia sicuramente una denuncia sociale: il divario sempre maggiore fra la società borghese, da una parte, che vive concentrata sul culto dell’apparenza e che si pone in completa diffidenza e distacco nei confronti del ceto sociale medio e di chi vive nelle periferie di Stoccolma, dall’altro. Altro tema centrale quello dei mendicanti che sono tra i topos del film (forse un fenomeno divenuto dilagante negli ultimi tempi anche nelle capitali del nord Europa) nonché quello dell’insuperabile difficoltà dell’uomo di riconoscere un proprio errore e chiedere scusa al prossimo.

The Square è un film che nel suo caos e nelle sue digressioni iperboliche ha molti contenuti che vanno, forse, oltre quel che emerge al primo impatto. Tuttavia, nonostante la bravura del protagonista e l’immagine affascinante e cosmopolita della “vita del museo”, l’opera appare inevitabilmente pesante e avrebbe potuto essere più incisiva e accattivante se tante scene e dialoghi inconsistenti e infinitamente lunghi e privi di senso fossero stati drasticamente ridotti o tagliati.

Rimango in ogni caso perplessa e, mi si conceda l’osservazione polemica ma ironica, faccio fatica a comprendere come sia possibile che gli svedesi abbiano potuto vincere la Palma d’oro a Cannes con The Square ed andare ai prossimi Campionati mondiali di calcio al posto dell’Italia!

data di pubblicazione:20/11/2017


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COPENAGHEN di Michael Frayn, regia Mauro Avogadro

COPENAGHEN di Michael Frayn, regia Mauro Avogadro

(Teatro Argentina, Roma 24 ottobre/12 novembre 2017)

Umberto Orsini, Massimo Popolizio e Giuliana Lojodice hanno riportato al Teatro Argentina di Roma una delle produzioni più importanti di Emilia Romagna Teatro, Copenaghen. Lo spettacolo, prodotto nel 1999 dal circuito emiliano, mette in scena un testo di Michael Frayn scritto nel ’98. Il drammaturgo britannico (oltre che giornalista, e autore televisivo) analizza le vicende storiche  e umane intorno alle figure di  Niels Bohr, celebre fisico teorico danese (ebreo d’origine) e  Werner Heisenberg, tedesco, suo allievo prediletto e autore per primo del Principio di Indeterminazione.

In una enorme e cupa aula di fisica, in un’atmosfera quasi irreale, tre persone o forse tre fantasmi, due uomini e una donna, disquisiscono di cose successe in un lontano passato, quando tutti e tre erano certamente vivi. Sono appunto Niels Bohr (Orsini), sua moglie Margrethe (Lojodice) e Werner Heisenberg (Popolizio). Devono chiarirsi rispetto a quanto avvenuto nel lontano 1941 a Copenaghen quando il fisico tedesco Heisenberg fece visita al suo maestro Bohr in una Danimarca occupata dai nazisti. Entrambi impegnati nella ricerca scientifica, ma su fronti opposti, vicini forse alla realizzazione di una bomba atomica, i due scienziati ebbero una conversazione nel giardino della casa di Bohr. Voleva Heisenberg che era a capo del programma nucleare militare tedesco offrire a Bohr l’appoggio politico della Gestapo in cambio di qualche segreto e così forse salvarlo? O al contrario essendo mosso da scrupoli morali, tentava di rallentare il programma tedesco fornendo a Bohr informazioni utili? Quali devono essere i rapporti fra potere politico e scienza? Può il progresso venire condizionato da scelte etiche? Su questi presupposti l’autore da vita ad un appassionante confronto e scontro in cui i piani temporali si sovrappongono e i dubbi permangono. Non esiste una sola verità perché ogni verità è semplicemente il punto di vista di chi l’ha enunciata.

Un bellissimo testo, una sapiente regia e tre interpreti superlativi. Un inquietante processo a porte chiuse senza accusati e accusatori, una disputa etica e scientifica a tre voci, densa di angoscianti riflessioni e interrogativi alla vigilia del primo devastante uso della bomba atomica.

data di pubblicazione: 14/11/2017


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ORIGIN di Dan Brown – Mondadori, 2017

ORIGIN di Dan Brown – Mondadori, 2017

Iniziamo col dire che mi sono sempre molto piaciuti i libri di Dan Brown e l’innegabile fascino del professor Langdon in Il codice da Vinci, Angeli e Demoni e Inferno. Questa volta mi sono dovuta imporre di terminare la lettura di Origin, di certo la paginazione non ha aiutato, considerando che il tomo consti di 560 pagine a metà delle quali si era già capito perfettamente cosa sarebbe successo al termine…

Il professor Langdon questa volta è in Spagna, a Bilbao, invitato da Edmond Kirsch, suo ex studente al quale è legato da una solida amicizia, al museo Guggenheim per assistere a un evento eccezionale: la rivelazione che cambierà per sempre la storia dell’umanità e rimetterà in discussione tutti i dogmi religiosi.

Edmond Kirsch, multimiliardario e futurologo famoso in tutto il mondo per le sue inimmaginabili invenzioni high-tech e per il suo inamovibile ateismo, sta per svelare la sua eccezionale ultima scoperta, la risposta alle due domande: da dove veniamo e dove andiamo.

Mentre Langdon e tutti gli invitati al Guggenheim nonchè tutti coloro che, in streaming, stanno assistendo alla presentazione, sono con il fiato sospeso nell’attesa della rivelazione, accade l’imprevedibile: nonostante il ferreo controllo sugli accessi alla location e l’imponente cordone di sicurezza, qualcuno si è introdotto nel museo, mettendo a serio rischio la possibilità che la scoperta di Kirsch venga rivelata e, anzi, possa andare perduta per sempre.

A questo punto inizia la vera avventura di Langdon il quale, coadiuvato da Ambra Vidal, direttrice del museo che ha collaborato con Kirsch alla preparazione dell’evento, fugge da Bilbao nel tentativo di scoprire e condividere con il mondo intero le inestimabili conoscenze di Kirsch.

Come, visto l’argomento, non poteva essere coinvolta la Chiesa? Ambra Vidal è la promessa sposa del principe ereditario, e quindi anche il cattolicissimo Palazzo Reale di Spagna sembra essere coinvolto nel disperato tentativo di lasciar finire nell’oblio le scoperte del futurologo…

Che dire, molto lontano dai primi successi! Lo schema narrativo è il solito: il professore di Harvard che sfugge ai suoi inseguitori con una donzella al fianco, viaggia nei luoghi più suggestivi del Paese, in questo caso il Palazzo Reale di Madrid e la Sagrada Familia di Barcellona, per riuscire a ottemperare ai suoi compiti.

La trama in alcuni punti è, francamente, decisamente forzata; senza spoilerrare il romanzo cito come esempio la fuga “passiva” del Principe ereditario, ma ve ne sono veramente in abbondanza di episodi poco credibili. Il finale a cui l’autore sottende è palese perlomeno dalla metà del libro così come lo è il deus ex machina che ha scatenato tutto l’intrigo e le motivazioni recondite.

Purtroppo direi che non vale veramente la pena di leggerlo…

data di pubblicazione:12/11/2017

MISTERO A CROOKED HOUSE di Gilles Paquet-Brenner, 2017

MISTERO A CROOKED HOUSE di Gilles Paquet-Brenner, 2017

È la prima trasposizione cinematografica di un romanzo del 1949 di Agatha Christie, fra i meno noti, ma fra i più amati dalla scrittrice. La vicenda si svolge in una grande magione di una ricca famiglia nella splendida campagna inglese, nell’immediato secondo dopoguerra. Il ricco capostipite, di origini greche, viene trovato morto, e subito appaiono dubbie le cause della sua improvvisa scomparsa.

La giovane e prediletta nipote Sophia (Stefanie Martini), volendo agire prima che intervenga ufficialmente Scotland Yard, incarica di recarsi nella villa per le indagini, un giovane detective privato Charles Hayward (Max Iron), con il quale lei aveva avuto un breve ma intensa storia d’amore durante un soggiorno a Il Cairo.

La scena si svolge, come è tipico dei romanzi della Christie, tutta all’interno della ricca residenza di campagna. Qui vivono forzatamente, mal sopportandosi, anzi odiandosi “affettuosamente”, ben tre generazioni della famiglia e la giovane seconda moglie del patriarca defunto.

Come al solito tutti sono colpevoli, tutti sono innocenti, tutti si accusano l’un l’altro, tutti attendono il testamento. Gli odi, i rancori, le invidie e le frustrazioni, represse e contenute dalla presenza autoritaria del capo famiglia, una volta scomparso lui esplodono davanti alle prime domande del giovane investigatore.

La storia si intreccia seguendo le varie articolazioni fra i diversi personaggi, e, come da tradizione letteraria, dopo un susseguirsi di eventi, si carica di un’atmosfera sempre più densa di tensione aggravata da piccoli e grandi incidenti. Il mistero che all’inizio sembrava irrisolvibile, si scioglie nel procedere dell’inchiesta ed il meccanismo porta alla rivelazione finale ed al dramma a sorpresa in cui si scarica tutto il meccanismo dell’indagine.

Siamo ovviamente in un film di genere giallo-poliziesco, e, non poteva essere altrimenti vista l’origine letteraria.

Il giovane regista Gilles Paquet-Brenner qui alla sua terza pellicola, dirige abilmente un cast corale di attori perfettamente inseriti nei loro ruoli. Spiccano per collaudata qualità ed esperienza recitativa gli “anziani” Glen Close (la sorella della prima moglie) e Terence Stamp (l’ispettore di S. Yard), entrambi guidano e supportano il resto del cast di attori ancor giovani ma tutti di buona qualità.

Ovviamente perfetta l’ambientazione e l’atmosfera tipicamente british che il regista sa rendere particolarmente suggestiva con un uso originale della camera, delle inquadrature e delle angolature di ripresa. Particolare è anche l’uso dei colori nelle varie riprese con effetti volutamente onirici ed illusori.

Insomma un gradevole film di genere, una buona produzione capace di mantenere fede all’obiettivo principale: tenere alta la tensione fra il pubblico in attesa che fra possibili colpevoli emerga la verità. È però fondamentale, va sottolineato, il notevole contributo al buon risultato finale del film dell’ottima sceneggiatura di Julian Fellowes, premio Oscar nel 2002 per Godsford Park nonché premio Emmy nel 2011 per quella di Downton Abbey.

data di pubblicazione:12/11/2017


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