HITLER CONTRO PICASSO E GLI ALTRI di Claudio Poli, 2018

HITLER CONTRO PICASSO E GLI ALTRI di Claudio Poli, 2018

Nel luglio del 1937, in pieno regime nazista, furono organizzare a Monaco due mostre contemporaneamente. Nella prima erano presentate in maniera volutamente confusa lavori di artisti contemporanei, appartenenti alle cosiddette avanguardie moderniste, posti all’indice in quanto la loro opera veniva considerata degenerata. La seconda era una grande esposizione d’arte germanica di ispirazione classica che doveva anche servire come propaganda dell’ideologia al potere. Hitler e il suo principale luogotenente Goering iniziano una vera e propria razzia di capolavori nei musei dei paesi occupati e soprattutto nelle case dei collezionisti ebrei con il pretesto che le opere sarebbero state collocate in un nuovo museo a Linz, progetto grandioso che poi non fu mai realizzato.

 

Il documentario Hitler contro Picasso e gli altri, che verrà presentato nelle sale cinematografiche italiane il 13 e 14 marzo e successivamente distribuito in altri 50 paesi nel mondo, racconta il destino di migliaia d’opere d’arte saccheggiate dai nazisti, soprattutto nelle case di ricchi mercanti d’arte ebrei in cambio di una presunta via di fuga da quello che invece fu un ineluttabile destino. Al di là di importanti filmati storici di repertorio, il film descrive in maniera uniforme, attraverso la voce narrante di Toni Servillo, le varie fasi che portarono in un primo momento al bando di tutte quelle opere contemporanee considerate una vera degenerazione secondo quella che era la concezione nazista. Successivamente vengono presentate le testimonianze di tutti quei galleristi e esperti d’arte che ancora sono impegnati a recuperare le opere trafugate, allo scopo di restituirle agli eredi di coloro che un tempo ne erano i legittimi proprietari. Ancora oggi non si è infatti venuti a capo nel rintracciare in toto questo enorme patrimonio e la minima parte di esso è attualmente in mostra nei principali musei del mondo, poco restii a cederli a coloro che ne vantano il diritto. I lavori di artisti quali Max Beckmann, Paul Klee, Oscar Kokoschka, Otto Dix, Marc Chagall, El Lissitzky erano considerati come una deformazione del bello secondo la concezione nazista, frutto di menti perverse che travisavano e distorcevano il concetto stesso dell’armonia e dell’estetica. Queste opere sequestrate, venivano poi vendute in aste private e i proventi finivano nelle casse del regime o utilizzati per l’acquisto, a prezzi irrisori, di quadri e sculture più gradite a Hitler e a Goering, che entrambi  fecero dell’arte una forma di ossessione personale. Interessanti le interviste a studiosi che si stanno occupando di riclassificare i capolavori recuperati e sulle tracce di quelli ancora da ritrovare. La complessa macchina del regime, con l’eliminazione dai musei delle opere ritenute indegne, mirava contestualmente a distruggere ogni manifestazione di pensiero che potesse offuscare la loro immagine. Come Picasso ebbe a dire: “la pittura non è fatta per decorare gli appartamenti. E’ uno strumento di guerra offensiva e difensiva contro il nemico…” Con il suo capolavoro Guernica, l’artista intese infatti illustrare quel conflitto fratricida che aveva invaso la Spagna con le nefaste conseguenze che tutti ben conosciamo. Il film di Claudio Poli, su soggetto di Didi Gnocchi e sceneggiatura di Sabina Fedeli e Arianna Marelli, con musiche di Remo Anzovino é distribuito nell’ambito del progetto della Grande Arte al Cinema con il patrocinio dalla Comunità Ebraica di Milano. Sicuramente un ottimo strumento didattico-informativo rivolto a tutti per conoscere la storia e per sapere come l’arte sia in grado di influenzarne gli eventi.

data di pubblicazione:10/02/2018

IL GIARDINO DEI FINZI CONTINI di Vittorio De Sica, 1970

IL GIARDINO DEI FINZI CONTINI di Vittorio De Sica, 1970

Micòl (Dominique Sanda) e Alberto (Helmut Berger) appartengono ad una ricca famiglia ebrea dell’alta borghesia di Ferrara. La loro splendida villa e l’annesso meraviglioso giardino con campo da tennis sono spesso frequentati da Giorgio (Lino Capolicchio), anch’egli ebreo ma figlio di un commerciante, e dal giovane comunista milanese Giampiero (Fabio Testi), entrambi innamorati di Micòl. Siamo nel 1938 in prossimità dell’inizio della guerra e per gli ebrei la situazione si fa sempre più critica. Intanto Giorgio trova il coraggio di manifestare apertamente il suo amore ma viene respinto definitivamente. La ragazza ha per lui solo un sentimento fraterno mentre prova forte attrazione per l’affascinante Giampiero con il quale passa una intera note prima che questi venga inviato al fronte. Intanto gli eventi precipitano: Alberto muore improvvisamente a causa di una malattia, Giorgio che in un primo tempo si era rifiutato di seguire il fratello in Francia ora anche lui è costretto a nascondersi e poi a lasciare Ferrara per sfuggire ai nazifascisti mentre tutta la famiglia Finzi Contini viene prelevata dai repubblichini e relegata in una scuola prima della deportazione. Nonostante il grande successo di pubblico ottenuto, non tutta la critica fu favorevole accusando De Sica di essere stato troppo flemmatico nella narrazione e di essersi in buona parte scostato dall’omonimo romanzo di Giorgio Bassani dal quale il film era stato liberamente tratto. Molti comunque i riconoscimenti: Orso d’oro a Berlino, Oscar come miglior film straniero, David di Donatello, Nastro d’argento, Globo d’oro e premio BAFTA. Ambientato e in massima parte girato a Ferrara, ci rimanda ad una ricetta locale molto semplice: frittatina di zucchine e ricotta alla menta.

INGREDIENTI: 200grammi di zucchine – 250 grammi di ricotta – 6 uova – 1 cipollotto – 3 cucchiai di olio d’oliva extravergine – foglioline di menta – sale e pepe q.b..

PROCEDIMENTO: Tagliare il cipollotto a rondelle sottili e farlo soffriggere in una padella con l’olio d’oliva. Unire le zucchine tagliate a julienne, salare e cuocere coperto per 3-4 minuti. In una terrina sbattere le uova con sale e pepe e unire le zucchine intiepidite e le foglie di menta spezzettate. In una padella antiaderente spennellata di olio mettere il composto e formare tre frittatine sottili. Intanto insaporire la ricotta con sale e pepe e successivamente stendere le frittatine su un foglio di pellicola trasparente, spalmare con la ricotta e arrotolarle. Richiudere nella pellicola e lasciare in frigorifero a rassodare. Al momento di servire tagliare le frittate a rondelle spesse 2 cm e sistemarle su un piatto di portata. Decorare con foglioline di menta.

NOME DI DONNA di Marco Tullio Giordana, 2018

NOME DI DONNA di Marco Tullio Giordana, 2018

Nina si trasferisce insieme alla sua bambina in un centro della Lombardia non molto distante da Milano dove, su raccomandazione del parroco locale, riesce ad ottenere un lavoro in una residenza per persone anziane molto facoltose. Molestata dal direttore della struttura, la donna, confidatasi prima con il suo compagno e poi con una dirigente sindacale, riesce ad infrangere l’imperante muro di omertà e a portare l’uomo in tribunale allo scopo di difendere la propria dignità. L’impresa sin dall’inizio si presenterà molto difficile: le colleghe di Nina, anch’esse oggetto di molestia o addirittura abuso sessuale, pur di non perdere il proprio posto di lavoro scelgono di non esporsi.

 

Giordana non ama farsi chiamare maestro (come affermava Monicelli: maestro de chè?), in quanto per lui l’unico maestro era e rimane Federico Fellini. Nell’accontentarlo togliendo questa etichetta a lui scomoda, Marco Tullio Giordana rimane comunque un regista di grande spessore, che nelle sue pellicole ha sempre manifestato il suo impegno nel denunciare qualsiasi forma di sopruso o abuso esercitato da parte di chi detiene il potere e nell’abbattere l’omertà di chi il potere lo subisce. Nome di donna affronta il tema della molestia esercitata sul posto di lavoro nei confronti delle donne, spesso costrette a tacere pur di non perdere il lavoro, poiché ancora oggi l’autorità è prerogativa prettamente al maschile, sia nel sociale come nel privato. Nina (Cristiana Capotondi) ha imparato a cavarsela da sé nel crescere da sola una bambina, ed anche se ora riceve affetto dal suo compagno Luca (Stefano Scandaletti), disposto anche a mantenerla con il proprio lavoro pur di averla accanto, riesce tuttavia a difendere la propria indipendenza anche a costo di sacrifici ben noti per tutte le donne che lavorano. La violenza che lei è costretta a subire è di natura psicologica, pagando a caro prezzo il suo rifiuto e soprattutto la sua ribellione. Tra gli ospiti della lussuosa residenza per anziani dove si svolge la storia, troviamo Ines, una splendida Adriana Asti nella parte di se stessa, che messa al corrente di quanto sta succedendo afferma con un sorriso amaro che ai suoi tempi queste deplorevoli azioni venivano definite semplici complimenti. Il direttore Torri (Valerio Binasco) potrà contare sulla reticenza, o meglio protezione, di un uomo di chiesa, anche lui detentore di una bella fetta di potere all’interno della struttura, e che non esita a porsi in difesa dell’accusato pur di mantenere i propri privilegi.

Un film profondo dunque, che pone in risalto non solo la problematica delle donne, molte delle quali provenienti dai paesi dell’est, ma in genere di tutti quelli che quotidianamente subiscono una forma di maltrattamento, in qualsiasi modo perpetuata. Basato su un’ottima sceneggiatura, curata principalmente da Cristiana Mainardi, il film è un documento che dimostra quanto ci sia ancora da fare per arrivare a risultati sociali concreti, per la difesa da parte delle donne del diritto al lavoro e al rispetto della propria onorabilità. Nelle note di regia si legge: “inutile nascondersi dietro un dito, ognuno, uomo o donna che sia, sa benissimo cosa sta succedendo, sa qual’è il limite, la linea d’ombra. Chi la oltrepassa sa benissimo di violare un confine…”

Non a caso il film arriverà in sala l’otto marzo… sperando che ci rimanga a lungo.

data di pubblicazione:07/02/2018


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QUEL CHE NON SO DI LEI di Roman Polanski, 2018

QUEL CHE NON SO DI LEI di Roman Polanski, 2018

La scrittrice Delphine (Emmanuelle Seigner) dopo il successo del suo ultimo libro autobiografico  è oppressa dai ricordi familiari riportati in vita, ed è fragile e disorientata per la stanchezza psicofisica ingenerata dalle pressioni dei suoi lettori e degli editori. Delphine è quindi in piena crisi, senza idee per un nuovo libro e tormentata da messaggi anonimi. In questa situazione di difficoltà le capita di incrociare una sua affascinante ammiratrice di nome Lei (Eva Green) che sfrutta abilmente le sue angosce e s’insinua progressivamente nella sua vita privata e professionale fino a divenire morbosamente essenziale. La loro amicizia diviene sempre più ambigua, inquietante e pericolosa.

 

Quel che non so di lei, presentato fuori concorso all’ultimo Festival di Cannes con giudizi contrastanti, è un adattamento operato dallo stesso Polanski, unitamente all’amico sceneggiatore e regista Olivier Assayas (suo il recente Sils Maria), del best seller Da Una Storia Vera della francese Delphine de Vigan.  Dopo l’ultimo suo film La Venere in Pelliccia l’ottantacinquenne regista polacco ritorna oggi con un thriller che, seguendo un sentiero fra realtà e finzione, rinnova la sua maestria nell’adattare per il cinema storie molto forti e nell’operare riflessioni sull’ambiguità del processo creativo in una situazione ricca di suggestioni tutte virate al femminile. Polanski si muove in un incrocio fra un mondo letterario e teatrale che ci ricorda i suoi recenti Carnage e, per l’appunto La Venere in Pelliccia, riproponendoci ancora una volta il tema del “doppio”, “l’altro da sé”, scavando nelle zone d’ombra e di luce dei suoi personaggi, lasciando noi spettatori nel dubbio di quale sia il vero e quale sia il falso. È vero che Lei rappresenta la zona d’ombra di Delphine o piuttosto, è forse vero il contrario?  Un lavoro dunque quello di Polanski che ci porta ad esplorare i dubbi, le manipolazioni e le prevaricazioni di ruoli fra menti fragili e che ci fa rammentare Eva contro Eva, Misery non deve morire ed anche lo stesso Polanski di The Ghost Writer. Come al suo solito il regista è un maestro nell’ambientare la vicenda in spazi ristretti, però questa volta sembra quasi porsi in una posizione di estraneità rispetto alla vicenda narrata, come se fosse desideroso di realizzare un film meno “intellettuale” e più, per così dire, “popolare”, trovandosi però in tal modo a perdere in scioltezza. Difatti nel film, a momenti interessanti e di buona tensione, si succedono altri in cui si nota un’assenza dell’inventiva geniale di altri suoi film, e la sua mano di Direttore da l’impressione di perdere il controllo delle due protagoniste che paiono recitare, per inerzia, ciascuna un suo proprio film. Va però detto che la Seigner e la Green, entrambe costantemente sulla scena, sono costrette in due personaggi cui non sono concesse sfumature e di qui certi eccessi e ridondanze della loro recitazione.  Quel che non so di lei non è certamente uno dei lavori fondamentali di Polanski, ma il regista, dopo oltre 55 anni di attività prestigiosa, resta pur sempre un grande del Cinema e questo suo ultimo lavoro anche se discontinuo e distaccato è comunque coerente con la sua storia di qualità, eleganza e tensione. Dunque, non un’opera maggiore ma un dignitoso thriller psicologico in cui il regista, agendo su vari piani narrativi, punta più al “come” si son svolti i fatti raccontati, piuttosto che alla loro “logicità”, con una conclusione spiazzante che nasce dalla follia creativa, incontro fra illusione e realtà.

data di pubblicazione:07/02/2018


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PALADINI DI FRANCIA di Francesco Niccolini, regia di Enzo Toma

PALADINI DI FRANCIA di Francesco Niccolini, regia di Enzo Toma

(Teatro Vascello – Roma, 6/11 Marzo 2018)

 “ …e che sono quelle? Quelle sono le nuvole…! Quanto sò belle…Ah meravigliosa e straziante bellezza del creato…” questo il punto di partenza dal quale prende avvio il racconto picaresco di Carlo Magno e dei suoi Paladini, tra tenzoni amorose e epiche, che ci portano pian piano alla disfatta totale di Roncisvalle dove tutti, con a capo Orlando, eroe leale e impavido, sacrificarono con la vita i propri ideali e le proprie personali ambizioni.

 

Lo spettacolo è ispirato a Che cosa sono le nuvole?, girato da Pasolini nel 1967 come messinscena sui generis dell’Otello in cui i personaggi erano degli uomini-marionette che si muovevano all’interno di un teatrino improvvisato. Per un atto di insubordinazione dei due protagonisti principali, Jago e Otello, il burattinaio decide di sbarazzarsi dei due oramai inutili attori-pupazzi che finiranno gettati tra i rifiuti dove, non più appesi a un filo, prenderanno coscienza del proprio stato di esseri liberi e per la prima volta potranno scorgere la bellezza del creato. Ecco quindi che l’epilogo pasoliniano, per una trasposizione di tempo e azione, diventa prologo di un racconto dove le marionette si umanizzano di nuovo per dare vita questa volta alle gesta di Rinaldo, Astolfo, Angelica, Bradamante e Orlando sino a concludersi con il riferimento all’ineluttabilità della sorte di chi ha agito sempre nella purezza di cuore e nella fedeltà al sovrano. Lo spettacolo Paladini di Francia ci riporta in un mondo di assoluta fantasia dove si può tornare per breve tempo a essere bambini, per lottare con armature improvvisate fatte di pentole sfondate e cucchiai deformati, in una appassionante avventura di guerra sotto il controllo della voce fuori campo di Carlo Magno che, lui stesso burattinaio, ispira le proprie creature a affrontare eroicamente la realtà da un punto di vista diverso e contrapposto. Carlo Durante, Emanuela Pisicchio, Anna Chiara Ingrosso e Francesco Cortese sono gli attori che si mischiano sulla scena vestendo i panni dei personaggi marionette in un pot-pourri di suoni e colori con una interpretazione degna dei migliori mimi della storia del teatro. Un originale gioco di scatole cinesi dove ognuna è prologo ed epilogo di quella successiva, per avviare il discorso mai esaurito in cui al centro troviamo l’amore in tutte le sue possibili espressioni. Pienamente riuscita l’idea di portare sulla scena un racconto fuori dal tempo con uno sguardo anche all’indimenticabile figura di un grande poeta che ci ha insegnato ad apprezzare quanto di più autentico ci circonda in questo mondo che, al di là delle indiscutibili storture, è anche pieno di un’inafferrabile bellezza.

data di pubblicazione:07/02/2018


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PARENTI SERPENTI regia di Luciano Melchionna

PARENTI SERPENTI regia di Luciano Melchionna

(Teatro Eliseo – Roma, 06 / 18 marzo 2018)

Ventisei anni dopo il debutto al cinema di Parenti Serpenti di Mario Monicelli, Luciano Melchionna riporta la nota commedia sul palco vibrante del teatro. Nei mitici panni del “patriarca” Saverio che furono di Paolo Panelli l’irresistibile Lello Arena affiancato dalla bravissima Giorgia Trasselli nel ruolo della moglie Trieste.

E’ Natale e come ogni anno Saverio e Trieste stanno per accogliere nella loro casa in Abbruzzo i loro 4 figli. E’ un momento topico perché i due anziani genitori attendono le vacanze natalizie per poter finalmente trascorrere qualche giorno con gli amati figli che ormai da anni hanno “spiccato il volo” verso le loro vite, le loro nuove famiglie, verso una non ben chiara “libertà”, lasciando il paesino di origine e il nido in cui sono stati cresciuti con qualche coccola di troppo di mamma Trieste. Non appena la famiglia si riunisce al completo – ad eccezione di due nipoti – son subito scintille! Saverio, integerrimo carabiniere in pensione innesca continui giochi di parole, strepiti, sfoggia assurde e rudimentali invenzioni realizzate a mano ma non è del tutto chiaro se gli attacchi di demenza senile che colorano e scompigliano la cena della Vigilia e le giornate seguenti siano reali oppure una maschera mediante la quale l’anziano e lungimirante genitore vuole togliersi qualche sassolino con il genero Michele, la nuora modenese Gina e ovviamente con i 4 figli Alfredo, Milena, Lina e Alessandro. Questi ultimi ce la mettono tutta per apparire sereni, realizzati davanti ai loro cari, ma le piccole crepe delle loro vite, le fragilità, la depressione, i fallimenti, che inizialmente si “affacciavano” timidamente come reazione a un discorso, a una battuta o un ricordo della loro infanzia, finiscono con emergere violentemente – ma rigorosamente lontano dagli occhi e le orecchie dei loro genitori per tenerli al riparo da dolorose verità – quando devono decidere come esaudire la richiesta che Saverio e Trieste gli hanno comunicato durante il pranzo di Natale: uno di loro, dalla primavera, dovrà prendersi cura dei due genitori accogliendoli in casa per accudirli nel loro ultimo tratto di vita. I quattro fratelli come usciranno da questo banco di prova che deflagra come un massacro di spietato cinismo, rancore, gelosie represse per anni, dove l’uno ferisce l’altra senza risparmiar alcun tiro mancino? Il “fanciullino” dallo sguardo dolce e disincantato di Saverio/Lello Arena da, poi, voce “fuori campo” a piccole riflessioni/analisi inesorabilmente vere ed amare su un ritratto dell’uomo e della società che, attraverso momenti ludici, puerili e comici, commuove lo spettatore fino al gelo, con un pizzico di pelle d’oca, nel gran finale, quando la trasformazione/deformazione dei parenti in serpenti disumani raggiunge l’apice. Luciano Melchionna – regista poliedrico, ironico, cinico e sensibile “scrutatore” dell’animo umano che da anni porta con successo nei teatri, e non solo, Dignità autonome di prostituzione, spettacolo rivoluzionario e rivelatore di tante sfaccettature e lati oscuri dell’uomo moderno – ha saputo allestire in teatro una versione di Parenti Serpenti davvero toccante, una sorta di presepe decadente, bizzarro e a tratti malvagio, che con la complicità di attori bravissimi e dell’istrionico mattatore Lello Arena, eguaglia egregiamente lo spirito, la vis comica e il grottesco della commedia di Monicelli. Da non perdere!

data di pubblicazione:07/02/2018


Il nostro voto:

PUOI BACIARE LO SPOSO di Alessandro Genovesi, 2018

PUOI BACIARE LO SPOSO di Alessandro Genovesi, 2018

Una commedia che, senza troppi giri di parole, tocca questioni ancora dibattute con naturalezza e garbo.

Sollevare un dibattito con il sorriso è il metodo più efficace per evidenziare i pregiudizi e cercare di combatterli. Lo sa bene il regista Alessandro Genovesi che, sulla scorta delle conquiste raggiunte dalla legge Cirinnà in tema di unioni civili, con il suo Puoi baciare lo sposo ha deciso di tornare sull’argomento servendosi dei toni fintamente leggeri della commedia.

Dopo un periodo di convivenza a Berlino, Antonio (Cristiano Caccamo) chiede a Paolo (Salvatore Esposito) di sposarlo. Accompagnati dalla bizzarra Benedetta (Diana Del Bufalo) e dal nuovo coinquilino Donato (Dino Abbrescia), i due torneranno in Italia per affrontare i rispettivi genitori e comunicare ai loro cari il desiderio comune di compiere un passo così importante. Ad opporsi sarà soprattutto Roberto, il padre di Paolo, sindaco di Civita di Bagnoregio in provincia di Viterbo. Pur essendosi conquistato l’incarico lottando per l’affermazione dell’integrazione e della tolleranza nel piccolo centro, il personaggio interpretato da Diego Abatantuono si rifiuterà categoricamente di celebrare le nozze del figlio e di riconoscerle come un evento significativo per la sua famiglia. In questa battaglia personale, condotta anche a costo di ferire Antonio, non avrà accanto neppure sua moglie Anna (Monica Guerritore): quest’ultima, entusiasta della lieta notizia, affiderà l’organizzazione della cerimonia al wedding planner Enzo Miccio che, non tralasciando nessuno dei tradizionalismi più radicati in simili occasioni, si occuperà di curare ogni singolo dettaglio anche per il famoso programma televisivo di cui è volto nella realtà.

Puoi baciare lo sposo è una commedia piacevole e delicata, che fa proprio della leggerezza il punto di forza della sua buona riuscita. Grazie alla presenza di una sceneggiatura pulita, in grado di attribuire il giusto peso alle parole utilizzate, lo spettatore non si ritroverà ad assistere a banali patetismi e a cadute di stile volgari, come spesso accade nel genere. Per l’intera durata della pellicola, infatti, le questioni affrontate raggiungeranno il pubblico con dolcezza, tra una risata e l’altra. Il divertimento è assicurato, a prescindere dalle tematiche man mano emerse, che vanno dalla posizione della Chiesa in merito fino al travestitismo. Ciò che rende particolare la commedia di Genovesi è poi la caratterizzazione di tutti i ruoli, persino quelli giudicati terzi a primo impatto. Un film da vedere in famiglia, per abbattere il muro dei preconcetti e tuffarsi a capofitto nell’amore più sincero.

data di pubblicazione: 7/3/2018


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OSCAR 2018: TUTTI I VINCITORI

OSCAR 2018: TUTTI I VINCITORI

Non ci sono state particolari sorprese nell’assegnazione delle statuette più prestigiose del cinema mondiale e anche le nostre previsioni accreditate sono state ampiamente confermate.

Il trionfo è tutto per La forma dell’acqua-The Shape of water di Guillermo del Toro, che si aggiudica tanto l’Oscar per il miglior film quanto quanto quello per la miglior regia, salendo a pieno diritto nell’Olimpo di questa 90. edizione.

La migliore attrice protagonista è Frances McDormand per Tre manifesti a Ebbing, Missouri, mentre il premio per il migliore attore protagonista va Gary Oldman per L’ora più buia.

Una donna fantastica è il miglior film straniero.

A Chiamami col tuo nome “resta” la statuetta per la miglior sceneggiatura non originale.

Qui di seguito tutti i premi assegnati!

 

Miglior film

La forma dell’acqua – The Shape of Water

 

Miglior regia

Guillermo del Toro per La forma dell’acqua – The Shape of Water

 

Migliore attore protagonista

Gary Oldman per L’ora più buia

 

Migliore attrice protagonista

Frances McDormand per Tre manifesti a Ebbing, Missouri

 

Migliore attrice non protagonista

Allison Janney per Tonya

 

Migliore attore non protagonista

Sam Rockwell per Tre manifesti a Ebbing, Missouri

 

Migliore sceneggiatura originale

Jordan Peele per Scappa – Get Out

 

Migliore sceneggiatura non originale

James Ivory per Chiamami col tuo nome

 

Miglior fotografia

Roger Deakins per Blade Runner 2049

 

Miglior montaggio

Lee Smith per Dunkirk

 

Miglior scenografia

Shane Vieau per La forma dell’acqua – The Shape of Water

 

Migliori costumi

Mark Bridges per Il filo nascosto

 

Miglior colonna sonora originale

Alexandre Desplat per La forma dell’acqua – The Shape of Water

 

Miglior canzone originale

Coco

 

Miglior trucco e acconciature

L’ora più buia

 

Miglior sonoro

Dunkirk

 

Miglior montaggio sonoro

Dunkirk

 

Migliori effetti speciali

Blade Runner 2049

 

Miglior film d’animazione

Lee Unkrich e Darla K. Anderson per Coco

 

Miglior film straniero

Una donna fantastica

 

Miglior documentario

Bryan Fogel e Dan Cogan per Icarus

data di pubblicazione: 5/3/2018

OSCAR 2018: TUTTI I VINCITORI

OSCAR 2018, 90^ EDIZIONE: CANDIDATURE E PRONOSTICI

Il 23 gennaio 2018 sono state annunciate le nomination agli Oscar 2018, statuette che saranno consegnate questa notte, 4 marzo, dalla Accademy of Motion Picture Arts and Sciences al Dolby Theatre di Los Angeles. A condurre il comico Jimmy Kimmel, come per la passata e discussa edizione che verrà ricordata più per il clamoroso errore della consegna della preziosa statuetta a La La Landinvece che al vero vincitore Moonlight.

Il film che quest’anno ha ricevuto le maggiori candidature è stato La forma dell’Acqua (13) di Guillermo del Toro, seguito da Dunkirk (8) di Christopher Nolan, Tre manifesti a Ebbing, Missouri (7) di Martin McDonagh, L’ora più buia di Joe Wright e Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson entrambi ex aequo (6) Blade Runner 2049 di Denis Villeneuve e Lady Bird di Greta Gerwing (5), il nostro Luca Guadagnino con il suo Chiamami col tuo nome (4). Una menzione particolare va alla sezione come miglior film straniero che vede ben 5 pellicole su 5 recensite sul nostro sito Accreditati: Loveless di Andrej Zvjagincev, The Insult di Ziad Doueiri e The Square di Ruben Östlund, A Fantastic Woman di Sèbastian Lelio, oltre a On body and soul di Ildikó Enyedi film ungherese che ha vinto la 67ma edizione della Berlinale.

Le curiosità quest’anno riguardano il mondo femminile, non solo per i ruoli e per le tematiche che sovente hanno pervaso le pellicole, ma anche perché: Meryl Streep è alla sua 21ma nomination per The Post, Greta Gerwing per quella come miglior regia con Lady Bird dopo che nel 2010 The Hurt Locker consacrò Katryn Bigelow, e Rachel Morrison è in corsa per il premio alla migliore fotografia per Mudbound di Dee Rees, film che ha anche ottenuto candidature come miglior attrice non protagonista, miglior sceneggiatura non originale e miglior canzone, queste ultime in cui sfiderà Chiamami col tuo nome.

Le nostre previsioni ci vedono chiaramente tifare per le quattro candidature al film di Guadagnino, anche se le più probabili sembrerebbero essere quella ad Ivory per migliore sceneggiatura non originale e quella per la miglior canzone a Mystery of Love; la sfida più significativa sarà comunque quella tra Daniel Day-Lewis e Gary Oldman, mostruosamente bravi entrambi e sui quali è difficile scegliere se non per simpatia! Quanto al film di Guillermo del Toro, erano anni che non sognavamo così: poesia e raffinatezza si sono baciate, per un film toccante ed emozionante dal primo all’ultimo fotogramma, in contrapposizione al noir di Martin McDonagh che ci descrive “la provincia USA più retriva, rappresentata con tanto di stereotipi politicamente e volutamente scorretti”. Per quanto riguarda i ruoli femminili, Frances McDormand dovrebbe avere la meglio, avendo già vinto ai Golden Globes e ai Bafta: peccato sarebbe per la toccante Sally Hawkins e per la sorprendente Margot Robbie (I, Tonya). Infine per gli attori non protagonisti, anche se il favorito sembrerebbe essere Sam Rockwell per Tre manifesti a Ebbing, Missouri è sicuramente da sottolineare come l’America abbia voluto candidare il grande ed indiscutibile Christofer Plummer per Tutti i soldi del mondoin un ruolo che doveva essere di Kevin Spacey; mentre per le interpreti femminili Allison Janney in I, Tonya sembrerebbe davvero aver colto nel segno.

Non resta che darvi appuntamento sulle pagine di Accreditati per scoprire insieme tutti i vincitori!

data di pubblicazione: 4/3/2018

COME CADE LA LUCE di Cathrine Dunne – Guanda, 2018

COME CADE LA LUCE di Cathrine Dunne – Guanda, 2018

Nel suo blog la Dunne, parlando del suo ultimo romanzo, scrive: Quando si comincia a scrivere ci viene spesso consigliato di ‘scrivere di ciò che si conosce’. Ma se questo significasse ‘scrivere solo delle proprie esperienze dirette, sarebbe estremamente limitante…In Come cade la luce i due personaggi principali sono due sorelle, caratterizzate da una relazione profonda e interdipendente. Sotto molti aspetti tale relazione è stata plasmata dall’interazione con Mitros, loro fratello: il figlio mezzano tra la maggiore Alexia e la minore Melina, affetto da una grave forma di disabilità.

Io non ho sorelle. E non ho mai vissuto con un bambino disabile. Il salto immaginativo mi ha richiesto di mettermi nei panni di personaggi, ponendomi questioni molto importanti.

Ho iniziato, come sempre, con una robusta dose di ‘Cosa accadrebbe se?…”

Ho letto tutto ciò che ha scritto, e tutto lo ho consigliato ad amiche, colleghe e conoscenti; questa volta alla domanda di una di loro sull’ultimo titolo di Catherine Dunne mi sono trovata a rispondere: leggilo, ma non ti aspettare che si avvicini neanche lontanamente a La metà di niente o Il viaggio verso casa o Quel che ora sappiamo. Dopo qualche giorno mi è arrivato il seguente messaggio: “che delusione, un romanzetto della serie Harmony….”.

E’ la storia della famiglia Emilianides, fuggita da Cipro a causa del colpo di Stato del 1974 che, alla ricerca di una nuova serenità in Irlanda, viene segnata pesantemente dalla gravissima malattia di Mitros, l’unico figlio maschio.

La storia viene narrata attraverso lo scambio di email – si potrà ancora utilizzare il termine epistolare  o è troppo legato all’attesa che nulla ha a che vedere con l’immediatezza di una email? – tra le due sorelle Alexia e Melina.

Lo stile della Dunne è sempre lo stesso, elegante ed estremamente coinvolgente: solo la sua penna è in grado di creare “realmente” i dolci aromi e le calde tinte del sud del Mediterraneo e di contrapporli all’odore forte della pioggia e a quello dell’erba che cresce rigogliosa nella plumbea Irlanda, ma la storia non mi ha convinta: il rapporto tra le due sorelle è sicuramente interessante anche se l’argomento non è certo una novità, tutti ricordiamo Elionore e Marianne diRagione e sentimento della Austen o abbiamo visto la trasposizione disneyana di Cenerentola di Perrault, assolutamente interessante il modo in cui le due sorelle vivono il rapporto con il fratello Mitros, ma tutto il resto…  troppi cliché e troppi passaggi scontati, i fallimenti di Alexia, il segreto di Melina che viene svelato nelle pagine conclusive, tutto è assolutamente prevedibile ed esageratamente melodrammatico.

data di pubblicazione:26/02/2018