da Antonio Iraci | Ago 25, 2018
(Palermo,16 giugno/4 novembre 2018)
Manifesta, la Biennale Nomade Europea, è nata nei primi anni ’90 al fine di promuovere quella fattiva integrazione socio-culturale che si era resa quasi necessaria alla caduta del muro di Berlino, dopo anni di guerra fredda che aveva “congelato”, per così dire, ogni scambio intellettuale tra i paesi occidentali e quelli d’oltrecortina. Manifesta, fondata ad Amsterdam dalla storica d’arte olandese Hedwig Fijen e che ancora oggi la guida, è da considerarsi un progetto culturale che re-interpreta il rapporto tra cultura e società attuando un capillare dialogo interdisciplinare nel contesto sociale di riferimento. In occasione delle iniziative che si stanno svolgendo a Palermo, quest’anno Capitale Italiana della Cultura, trova quindi spazio Manifesta 12, sotto la direzione generale italiana di Roberto Albergoni e della coordinatrice Francesca Verga che affiancano lo staff permanente degli uffici olandesi per la realizzazione di questo ambizioso programma, che terminerà i primi di novembre. Con questo pretesto Palermo ha riaperto i suoi inesauribili tesori d’arte, molti dei quali perennemente chiusi, per presentarsi ai numerosi turisti nella sua veste migliore: un fermento culturale che si percepisce in maniera tangibile girovagando per le viuzze storiche, brulicanti di variegati centri d’interesse oltre a luoghi di degustazione di prelibatezze culinarie, anch’esso vanto della città. Molti palazzi nobiliari hanno aperto i propri spazi, un tempo sfarzosi luoghi della mondanità nobiliare isolana, per accogliere installazioni di importanti artisti contemporanei e per curare la diffusione delle loro opere anche in centri periferici dove il tessuto culturale cittadino fa fatica ad inserirsi. Da segnalare anche la programmazione di numerosi film, selezionati allo scopo di dare una lettura cinematografica ai temi che animano questa rassegna e la narrativa generale che la contraddistingue.
In particolare la sezione On Circulations indaga sui movimenti migratori, le cause e le conseguenze delle politiche attuate, la ricerca di una identità e libertà dei popoli offrendo altresì soluzioni e prospettive in un mondo senza confini.
Accanto ad essa l’altra sezione On Palermo dedicata interamente al capoluogo siciliano, inteso come luogo di trasformazioni e di fermenti sociali attuali, non indifferenti alle necessità del contesto urbano. Il nutrito calendario delle proiezioni è stato curato da In Between Art Film Italia con il supporto di Sicilia Film Commission e Vidi Square.
Un invito dunque a non perdere Manifesta 12 approfittando anche per visitare questa città dai mille aspetti, unica in Italia e nel mondo, che proprio per le sue innate contraddizioni non può che affascinare lasciando una impronta indelebile, certamente indimenticabile, nella persona che la visita.
data di pubblicazione:25/08/2018
da Antonio Jacolina | Ago 13, 2018
L’afa, la calura estiva vi tormentano? Cosa c’è allora di meglio che trovare un po’ di fresco in una bella sala cinematografica con aria condizionata oppure in una ventilata arena e… ritrovarsi nello splendore di un’isoletta greca fra scenari e spiagge da cartolina.
Sono passati dieci anni dal successo planetario di Mamma Mia!, adattamento, a sua volta, della fortunata commedia musicale, ed eccoci tornare di nuovo sulla piccolissima e paradisiaca isola greca ove Sophie (Amanda Seyfried) si industria a riaprire l’Hotel creato da sua madre Donna, lottando contro la sorte e rivivendo le stesse prove che sua madre aveva dovuto affrontare nel passato.
Alla regista Phyllida Lloyd è subentrato oggi Ol Parker che abbiamo già visto dirigere i due film su Marigold Hotel, il risultato è un film mezzo prequel e mezzo sequel, un alternarsi di flash back in cui la giovane Donna (Lily James) scopre e si innamora dell’isola e fa “conoscenza” dei tre padri di Sophie, e di scene in tempo reale sulle difficoltà di quest’ultima, trenta anni dopo.
Di nuovo una commedia musicale ritmata dalle canzoni di successo degli Abba, una commedia che, come il gruppo svedese, è kitsch, colorata, zuccherosa, romantica, ingenua, melancolica, allegra. Una commedia che prova a riprendere e ricomporre tutti gli ingredienti e le ricette di successo di Mamma Mia! Nulla di nuovo rispetto al primo film, resta tutta l’incredibile energia delle melodie degli Abba, la messa in scena è scoppiettante, belle le coreografie ed il film a tratti è veramente esilarante e piacevole, però la sceneggiatura è debole e talora scontata. Il film non riesce infatti a trovare un suo giusto ritmo e non raggiunge certo lo charme e la gioiosità della pellicola del 2008. Uno dei punti forti resta pur sempre il cast, i veterani di dieci anni prima sono sempre tutti perfetti ed impeccabili, garbatamente istrionici sono poi i tre padri: P. Brosnan, C. Firth, St. Skarsgàrd, incantevole e brava come sempre M.Streep, infine superbamente kitsch ed autoironica l’apparizione di Cher.
Nonostante queste piccole /grandi pecche, Mamma Mia! Ci risiamo resta tuttavia un film che ci fa ridere, commuovere ed ovviamente cantare. Un classico film di buoni sentimenti, ingenuamente tenero, un “feel good movie”, ideale per questo scorcio di Estate.
data di pubblicazione:13/08/2018
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da Daniele Poto | Ago 8, 2018
Il consumo di droghe leggere è quella strana devianza che spinge in carcere un quarto dell’attuale universo tra i detenuti. Solo la cannabis viene fruita da una comunità oscillante tra i sei e gli otto milioni. Eppure il suo acquisto e la sua somministrazione sono ancora completamente in mano al mercato criminale-mafioso con l’assistenza della legge Bossi-Fini di tendenza assolutamente proibizionista. Questo agile volumetto di pronta consultazione si avvale dei contributi competenti d Giancane, Grosso, Manconi, Soldo, Rossi e Zuffa e conta della prefazione significativa di Roberto Saviano. Il pamphlet è un notevole contributo alla rimozione dei pregiudizi. E soprattutto a quello consolidato nella visione degli italiani, che il consumo di droghe leggere sia propedeutico al passaggio a quelle pesanti. Le esperienze parallele riscontrare all’estero, dalle più vicine (l’Olanda) a quelle più lontane (alcuni Stati americani) dimostrano che la legalizzazione delle droghe leggere smonta il consumo e lo deprime. Svanisce il fascino del proibito, migliora la qualità delle sostanze, cresce la capacità di controllo della sanità e del potere pubblico. Il testo documenta e ricorda anche i casi di suicidio invalsi dallo scandalo pubblico nella segnalazione che riguarda tutti i consumatori. Il confine tra consumo e spaccio viene valutato da osservazioni ancora troppo discrezionali. Eppure si è calcolato che una misurata e prudente gestione statale del fenomeno potrebbe assicurare entrate fiscali tra i sette e i nove miliardi, cioè quasi l’equivalente garantito dall’industria dell’azzardo, ora in forte flessione dopo i provvedimenti del Decreto-dignità. Il momento politico non sembra propizio alla revisione della Legge, un po’ come per lo ius soli. Le statistiche attuali sono quanto mai preoccupanti: il 2,1% degli studenti di 15-19 anni hanno assunto nella loro vita sostanze psico-attive senza sapere di cosa si trattasse. E’ la cultura incosciente diffusa nelle discoteche che potrebbe essere fortemente limitata con un intervento dall’alto, non necessariamente affidato al Dipartimento delle droghe che ha un ruolo solo tecnicistico.
data di pubblicazione:08/07/2018
da Daniele Poto | Ago 8, 2018
(Teatro Tor Bella Monaca – Roma,4/5 agosto 2018)
Un ensemble di sketches assolutamente funzionali al disegno strutturale della società contemporanea, meglio se vista da un angolo visuale molto romano, molto Centocelle, Tor Bella Monaca, Prenestino. Prova d’attore comico per due: riuscita. All’insegna di una sinergia dei tempi e delle situazioni rodata da una decina di anni di collaborazione.
In estate la comicità dilaga all’aperto ma funziona anche al chiuso, con l’aria condizionata. Non ci era mai capitato di affacciarci in un teatro a inizio agosto. Sarà stata la stagione 2018 o la stagione 2019? Abbiamo scavallato il problema per gustarci “the very best” di due collaudati partner che, uscendo dal ghetto della satira da bar, rodati dall’esperienze nei centri sociali, dove vantano centinaia di estimatori, si sono affacciati in un teatro ufficiale (debitamente pieno). E se i selfie, nella loro visione, rischiano di far diventare ciechi, la loro comicità ci vede benissimo, è magnificamente indirizzata verso le storture del vivere quotidiano. Avete mai provato l’emozione di perdere le chiavi del vostro stabile e di non riuscire a farvi aprire perché non conoscete più un solo inquilino dello stabile? Vi siete mai giocati un posto di lavoro al contrario dove pagate per prestare opera? Avete mai pensato che l’operatore telefonico che vi propone accattivanti offerte potrebbe essere una persona che vi conosce molto bene, così da guidare la vostra vita da un call center?
Un inseguirsi di episodi di vita quotidiana che si rifanno alla commedia dell’arte italiana e a quella degli equivoci. Se Pablo e Pedro, ben più moti, non vi hanno mai fatto ridere, sicuramente Paolo e Stefano fanno per voi! I due sono talmente fusi che è difficile riconoscere chi faccia da spalla. Quello che sicuramente è un punto di forza sono le voci fuori campo di Stefano Vigilante, imitando un negoziante cinese come una donna infoiata E il pezzo sulle complicazioni della raccolta differenziata è da hit parade in un catalogo ideale della burocrazia italiana.
data di pubblicazione:08/07/2018
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Ago 1, 2018
L’arte del camminare ha una lunga tradizione nella letteratura di viaggio e no. Ed Erling Kagge nel raccontarci l’epifania dei piedi e delle meraviglie che possono sviluppare, anche a livello di endorfine, più che attingere a una bibliografia internazionale preferisce rifarsi a esperienze personali. Ecco perché più che Handke e Walser, grandi camminatori ed elogiatori della pratica, troviamo comuni mortali, uomini della strada, rappresentanti di una categoria forse in via di estinzione perché sopraffatta da mezzi più veloci nell’era del consumo spiccio e della superficialità. Kagge ha camminato al Polo Nord come al Polo sud, ha percorso i bassifondi di New York, ha vissuto esperienze pratiche ma nell’agile volumetto Memoir a cavallo tra saggistica e letteratura, preferisce rifarsi alla vita di tutti i giorni. Era un cattivo studente, maldestro in ginnastica ma ha rivalutato il gesto pratico del camminare conferendogli un carattere sovversivo nel mondo del troppo buono e del troppo facile. Erano grandi camminatori anche i filosofi. Come non ricordare la scuola peripatetica ateniese, come non citare Kierkegaard che iniziò a spegnersi, in conseguenza della delusione amorosa provocatagli dal diniego di Regina Olsen, proprio quando smise di camminare. Tutto ciò può apparire vintage nell’epoca dei suv e dei jet supersonici ma il buon norvegese che scrive è un estimatore della natura e si rende che quanto più cammina lentamente tanto più gusta il paesaggio circostante. E il viaggio è più importante della meta finale perché ogni passaggio arricchisce e favorisce pensieri e accumuli. “Camminare ci ha reso possibile diventare quello che siamo e, se smetteremo di farlo, smetteremo anche di essere noi stessi. Allora, forse, saremo diventati qualcos’altro”. Camminando il cervello si libera di freni censori. Come nel sogno permette un’accurata ricognizione di sè stessi. Forse i più saggi nel mondo dello sport sono i marciatori. Oltre a bruciare grassi e a percorrere il giro del mondo (vedi Pamich) sono i più navigati “turisti della strada”.
data di pubblicazione:01/08/2018
da Antonietta DelMastro | Lug 29, 2018
Due uomini, due donne e un adolescente sono i protagonisti di questo libro di Paolo Genovese.
Quattro di loro sono uniti da un filo rosso: la decisioni di farla finita.
Si tratta di Emily, una ex ginnasta eterna seconda ora in sedia a rotelle, Aretha, una poliziotta del NYPD che ha perduto la figlia adolescente, Daniel, un ragazzino che, suo malgrado, è diventato divo della pubblicità e, infine, Napoleon, un ricchissimo “motivatore”.
Il quinto è “l’uomo”, un personaggio senza nome che, un attimo prima che compiano il gesto estremo, li convince a concedergli una settimana di tempo per farli rinnamorare della vita, per mostrare loro cosa accadrebbe se portassero avanti la loro scelta. Alla fine della settimana verranno riportati indietro esattamente nel luogo dov’erano e nel momento cruciale, la decisione sarà solo loro: “Io non posso garantirvi che sarete felici. … l’unica cosa davvero importante è che abbiate nostalgia della felicità. Solo così vi verrà voglia di cercarla.”
Inizia così il viaggio di questo sparuto gruppetto impaurito; nell’arco della settimana che passeranno insieme avranno modo di confrontarsi e capire cosa ha spinto gli altri al gesto estremo e questo li porterà a riflettere sulle proprie motivazioni e sul valore della vita che è stata loro concessa e, forse, a trovare gli stimoli per continuare a viverla oppure proseguire nella loro scelta… “Saltando da un ponte non si risolvono i problemi, al massimo si passano a qualcun altro, qualcuno a cui magari non spettavano”.
Detto ciò, non si può non pensare a La vita è meravigliosa di Frank Capra con l’inarrivabile James Stewart. Sinceramente dopo poche pagine mi sono chiesta se fosse il caso di continuare a leggere un libro di cui le premesse mi avevano fatto pensare di sapere già tutto, era un chiaro déjà vu… ma la scrittura fluida ed estremamente piacevole di Genovese mi ha fatta proseguire nella lettura e alla fine non posso che dire che il libro è veramente bello!
Se è innegabile la somiglianza tra i ruoli assegnati a Clarence Odbody di Frank Capra e “l’uomo” di Genovese, le analogie si fermano qui. Anche nel libro di Genovese lo scopo de “l’uomo” è quello di salvare delle vite dal suicidio, ma le ragioni che lo spingono non hanno assolutamente nulla a che vedere con quelle di Clarence; anche nel romanzo viene concesso del tempo per “vedere cosa accade dopo il suicidio” ma i presupposti che portano i quattro personaggi a compiere il gesto estremo sono lontanissimi da quelli che convincono George Bailey del mitico Stewart.
Gli attori di Genovese sono più complicati, le motivazioni che li portano verso la fine sono più interiori, più metafisiche e quindi sicuramente più difficili da riconoscere e superare; c’è necessità, per ognuno di loro, di un lavoro introspettivo e, anche se necessariamente nel romanzo questa analisi è solo accennata, dà la possibilità al lettore di soffermarsi a riflettere.
Non era facile trovare un finale, per un libro del genere, che non sconfinasse nella banalità e Genovese ci è riuscito, facendo anche chiarezza su alcuni aspetti che, nel corso della lettura, erano rimasti vaghi.
Da leggere assolutamente, in attesa che ne venga fatto un film come Genovese lasciava intendere in una intervista rilasciata a Giovanni Floris in una puntata di fine maggio a DiMartedì sulla 7.
data di pubblicazione:29/07/2018
da Paolo Talone | Lug 25, 2018
(Cortile di Palazzo Venezia – Roma, 24 luglio 2018)
Deluso dal tradimento del precedente matrimonio, Arnolfo deciderà di crescere in una gabbia dorata Agnese, una bimba innocente come il suo nome suggerisce, perché un giorno diventi la sua sposa fedele. Ma la doppia identità che assume il nostro personaggio, che si fa chiamare anche Signore Del Ramo, e la sua doppia abitazione, quella ufficiale e quella dove rinchiuderà Agnese, saranno conseguenza di un equivoco che lo costringerà a diventare prima il confidente del suo rivale in amore e successivamente la vittima del suo stesso piano.
La scuola delle mogli è da annoverare certamente tra i capolavori del commediografo francese insieme ad altri più famosi titoli; commedia intrecciata secondo un gusto antico, ma che si vanta però di attribuire ai pochi personaggi una profondità psicologica tale da farla vivere nel tempo e sentirla a noi contemporanea. È per questo che la sua proposta è compresa e gradita da un pubblico moderno e che se messa nelle mani di un regista e interprete maturo e divertito come Arturo Cirillo, si sveste del vecchio e si riveste di una comicità esilarante e intelligente. La nuova messa in scena dell’opera, presentata per la prima volta a luglio di quest’anno alla 52° edizione del Festival teatrale di Verezzi e riproposta ieri sera nella straordinaria cornice del chiostro di Palazzo Venezia a Roma, convince e diverte. Tutto si concentra intorno alla casa dove viene tenuta prigioniera Agnese (Valentina Picello), l’innocente ragazza allevata da Arnolfo perché un giorno diventi la sua sposa perfetta, sorvegliata da una bizzarra coppia di servi, Georgette (Marta Pizzigallo) e Alain (Rosario Giglio). La casa ruota attorno a un perno, ne vediamo ora l’interno, con la sua stanza “gabbia” accessibile solo tramite una scala di ferro, e ora l’esterno, che da su un’immaginaria piazza. Sembra una casa delle bambole costruita per il divertimento esclusivo del suo padrone e come una bambola appare appunto Agnese, che scoprirà di essere donna solo quando conoscerà il vero amore nell’incontro con Orazio (Giacomo Vigentini). Tutto gira come in una giostra e i personaggi diventano giocattoli nelle mani del potente padrone Signore Del Ramo alias Arnolfo, che pretende di governare e gestire tutto solo con la forza del suo ingegno e della sua volontà. Ma non basta la sola volontà a determinare il corso delle cose poiché la forza determinante di un amore nato casualmente e il candore innocente di un’anima che sa dare retta al suo istinto, segnano inevitabilmente il declino e il rovinarsi di un piano, che se pur architettato con sapiente puntiglio, non può far testa alla bellezza e al sentimento. Il gioco si rompe, l’illusione della perfezione si sgretola: Agnese può vestire nuovi panni, non più quelli della bambola/bambina, ma quelli della sposa e dell’amata corrisposta.
La scuola delle mogli si inserisce nel ricco calendario di appuntamenti culturali di ArtCity, il progetto organizzato e realizzato dal Polo Museale del Lazio e dal MiBACT, che propone all’interno di spazi museali come Palazzo Venezia, Castel Sant’Angelo, il Vittoriano e altri luoghi di interesse culturale nel territorio del Lazio, serate di arte, musica, teatro, danza e letteratura da non perdere. Come accreditati.it non possiamo che suggerire di dare un’occhiata in internet al vasto programma di eventi organizzati (www.art-city.it). Buon divertimento!
data di pubblicazione:25/07/2018
da Accreditati | Lug 25, 2018
Oggi alle ore 11, in un’assolata mattinata di luglio, al cospetto di una folla di critici cinematografici, giornalisti, appassionati e curiosi, si è tenuta, presso il cinema Moderno di Piazza della Repubblica in Roma, la conferenza stampa in cui è stato comunicato il programma della 75. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Il Presidente della Biennale Paolo Baratta, che come di consueto ha aperto la conferenza stampa, tra le novità di quest’anno ha annunciato che in concomitanza con il Festival sarà allestita, presso lo storico Hotel Des Bain al Lido e grazie alla disponibilità della società Coima Sgr, un’esposizione sulla storia della Mostra del cinema che attinge ai materiali dell’Archivio Storico, dal titolo Il cinema in Mostra: volti e immagini dalla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica 1932-2018. L’esposizione includerà foto, filmati, documenti e materiali per lo più inediti sulla storia della Mostra, fatta eccezione per dodici anni di cui, per motivi diversi, non si è conservata memoria delle relative edizioni della manifestazione. Il Direttore del Settore Cinema Alberto Barbera, che curerà l’esposizione, dopo l’intervento del Presidente Baratta, ha iniziato il suo di intervento cominciando dai ringraziamenti a tutti coloro che ogni anno rendono possibile la realizzazione di quello che è il più antico Festival del Cinema al mondo.
Quest’anno sono stati esaminati in poche settimane più di 3.500 film e scelte molte pellicole di genere quali western, commedie, musical, crime story, con cui molti autori si sono misurati, per un programma che già dai primi accenni si preannuncia esplosivo.
La selezione, contrariamente al passato, forse sull’onda di altre innovative rassegne, sembra andare più incontro ai gusti degli appassionati piuttosto che a quello dei critici per la diversità di film presentati. Ricchezza e varietà, come ha più volte sottolineato Barbera, sono dunque le caratteristiche del cinema contemporaneo di questa nuova edizione della kermesse veneziana: autori affermati, alcuni dei quali per la prima volta a Venezia, ma anche 11 nuovi registi, molti dei quali nella Sezione Orizzonti, tante opere prime e seconde. Tra i classici, si contano 17 film restaurati e 8 documentari sul cinema uno dei quali è su Buster Keaton ed un altro sulle donne, con la voce narrante di Tilda Swinton.
Da quest’anno la Sezione Cinema in giardino si chiamerà “Sconfini”, con al suo interno una categoria estremamente eterogenea di pellicole provenienti da tutto il mondo, mentre 13 saranno i cortometraggi.
Per la Sezione “Orizzonti”, 19 saranno le pellicole tutte di autori poco conosciuti, tra cui 8 opere prime; tra i film di questa sezione il 29 agosto, giorno di apertura del Festival, verrà proiettata Sulla mia pelle pellicola di Alessio Cremonini sul caso Cucchi con Alessandro Borghi, padrino della passata edizione del Festival, veste che quest’anno sarà affidata a Michele Riondino; mentre Un giorno all’improvviso vede il debutto di Ciro D’Emilio, un po’ come fu per Dario Albertini con il suo Manuel lo scorso anno.
Nella Sezione Fuori Concorso, che quest’anno annovera 10 documentari, attesissimi sono l’Evento Speciale The other side of the wind di Orson Wells, completato e restaurato, A star is born con Lady Gaga e di Bradley Cooper nella triplice veste di regista, attore e cantante per questo quarto remake del film, e La quietud di Pablo Trapero, considerato come la continuazione ideale de Il clan, L’amica geniale del nostro Saverio Costanzo tratto dai romanzi della misteriosa Ferrante, serie tv prodotta da Netflix che pur non essendo ascrivibile a pieno titolo per il cinema, ha la stessa valenza che ebbe lo scorso anno The Young Pope di Sorrentino; ed infine, ma non ultimo, Dragged Across Concrete con Mel Gibson e Vince Vaughn.
21 le pellicole in Concorso in prima mondiale, tra queste sono da segnalare la pellicola che aprirà il Festival First man di Damien Chazelle preannunciata come una film diametralmente opposto al pluripremiato La La Land presentato a Venezia 73, l’ironico film western europeo girato tra la Spagna e la Romania The sisters brothers con un cast tutto americano, il sorprendente, come lo ha definito Barbera, Vox Lux di Brady Corbet con Natalie Portman e Jude Law, oltre all’atteso Suspiria, definito come il film più ambizioso di Luca Guadagnino con Tilda Swinton che riveste ben tre ruoli, per passare infine all’ultimo attesissimo film dei fratelli Coen The ballad of Buster Scruggs, un western in 6 episodi. Qui di seguito tutti i titoli dei film in Concorso:
First man di Damien Chazelle (film di apertura)
Napszállta (Sunset) di Laszlo Nemes
The mountain di Rick Alverson
Doubles vies di Olivier Assayas
The sisters brothers di Jacques Audiard
The ballad of Buster Scruggs di Joel e Ethan Coen
Vox Lux di Brady Corbet
Roma di Alfonso Cuaron
22 July di Paul Greengrass
Suspiria di Luca Guadagnino
Werk ohone autor (Opera senza autore) di Florian Henckel Von Donnensmarck
The nightingale di Jennifer Kent
The favourite di Yorgos Lanthimos
Peterloo di Mike Leigh
Capri – Revolution di Mario Martone
What you gonna do when the world’s on fire? di Roberto Minervini
Frères Ennemis di David Oelhoffen
Nuestro tiempo di Carlos Reygadas
At eternity’s gate di Julian Schnabel
Acusada di Gonzalo Tobal
Zan (Killing) di Shinaya Tsukamoto
Accreditati sarà presente al Lido durante tutta la durata del Festival. Dunque, arrivederci a Venezia!
data di pubblicazione:25/07/2018
da Antonio Iraci | Lug 24, 2018
Emily Dickinson (Amherst, 1830-1886), che oggi può considerarsi una tra le maggiori figure della letteratura anglo-americana, trascorse tutta la vita circondata solo dall’affetto dei suoi familiari rinchiusa nella propria camera, al primo piano della casa paterna, dedita esclusivamente a se stessa e alla poesia, attraverso la quale seppe portare avanti la sua ribellione verso i rigidi cliché imposti dalla società borghese e puritana nella quale era stata educata. In un periodo travagliato della storia statunitense, come quello della guerra di secessione in cui visse la poetessa, mal si accettava che una donna potesse svolgere attività che esulassero da quelle di moglie e di madre. Le opere della Dickinson furono scoperte e pubblicate prevalentemente postume: la sua spiccata sensibilità poetica è oggi riconosciuta nella cultura letteraria di tutti i tempi.
È merito del regista inglese Terence Davies l’aver portato sul grande schermo la biografia della Dickinson senza ricorrere ad una narrazione ingessata, nonostante si tratti di un biopic inserito nel travagliato contesto storico delle lotte secessioniste americane. Alla buona riuscita della pellicola contribuisce anche la convincente interpretazione di Cynthia Nixon (Miranda nella serie tv Sex and the City) che riesce ad impersonare la complessità caratteriale della poetessa, auto-reclusa nella casa paterna quasi a voler espiare la colpa di sentirsi diversa e ribelle verso schemi sociali rigidi imposti da una morale cristiana a lei totalmente estranea. Una persona che seppe nutrirsi di poesia per sopravvivere in quel contesto piuttosto ristretto in cui veniva relegato il genere femminile, donne sottomesse ad una supremazia maschilista contro la quale era pressoché impossibile opporsi. Il film può apparire lento, a volte quasi tedioso per la sovrabbondanza di citazioni poetiche ma l’ambientazione, circoscritta all’interno della casa dove si muovono i vari personaggi, fa da contrappeso grazie anche all’effervescenza punteggiata dalla sagacia espressiva delle protagoniste che bilanciano con piacevole arguzia la rigidità flemmatica delle figure maschili.
Il regista si sofferma con la macchina da presa su particolari all’apparenza casuali ma che invece racchiudono in sé un simbolismo che riesce a trasmettere allo spettatore la percezione di una atmosfera spesso claustrofobica, ma anche incredibilmente confortevole.
A Quiet Passion è un buon film che riesce a disegnare una personalità complessa come quella di Emily Dickinson, docile e ribelle al tempo stesso, rigida e comprensiva, oggi tra le figure più amate della letteratura universale.
data di pubblicazione:24/07/2018
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da Antonietta DelMastro | Lug 23, 2018
Ammetto di essere stata molto incuriosita dal nome dell’ex presidente americano, sono quindi andata a curiosare, in un sito di informazioni editoriali, le classifiche internazionali dei titoli più venduti e Il presidente è scomparso è primo in classifica, per il mese di giugno, negli Stati Uniti e nel Regno Unito; sempre più incuriosita ho iniziato la lettura…
La storia è ambientata ai giorni nostri e si svolge nell’arco di 72 ore.
Il libro inizia con il presidente degli Stati Uniti, Jonathan Lincoln Duncan, a rischio di impeachment: è stato accusato di avere avuto contatti telefonici con il maggiore rappresentante dei Figli della Jihad. Insieme ai più fidati membri del suo gabinetto sta cercando di trovare una linea di difesa, ma la sua attenzione è rivolta altrove: sa di essere il solo a poter fermare un attacco di cyberterrorismo di dimensioni inimmaginabili che sarebbe in grado di mettere letteralmente in ginocchio di Stati Uniti e che sta per essere messo in atto e deve trovare il modo di agire.
Per porre fine a questa minaccia il presidente “scompare” per poter lavorare nell’ombra; in alcune interviste Clinton ha affermato che, in situazioni estremamente critiche per poter risolvere questioni politiche spinose, l’uomo più potente del mondo effettivamente può “scomparire” per un certo tempo rinunciando anche agli agenti addetti alla sua protezione.
Da qui prenderanno vita una serie di vicissitudini che coinvolgeranno il presidente e non solo, che daranno modo di scoprire una talpa all’interno della stretta cerchia dei suoi fedelissimi.
L’idea di fondo è decisamente interessante ed è basata su una innegabile realtà che ognuno di noi ha sicuramente provato in prima persona: Uno dei paradossi dell’epoca moderna è che il progresso può renderci più potenti, ma anche più vulnerabili – comincia Augie –. Voi credete di essere all’apice del vostro potere, credete di essere in grado di fare cose senza precedenti. Ma io vi vedo all’apice della vostra vulnerabilità. E la ragione di tutto ciò è la dipendenza. La nostra società è diventata completamente dipendente dalla tecnologia.
Molto intriganti le parti in cui Clinton descrive gli interni della Casa Bianca come quando descrive la carta da parati della camera da letto “… su cui sono riprodotte scende della Rivoluzione americana. Un’eredità di Jackie Kennedy, a cui l’aveva regalata un’amica. A Betty Ford non piaceva, perciò l’aveva fatta togliere, ma Carter l’aveva rimessa. Da allora è stata tolta e rimessa varie volte.”, e tutte le varie consuetudini e la vita che vi si svolge al suo interno.
Peccato che sull’altro piatto della bilancia si debbano mettere le continue lusinghe e blandizie della figura del presidente e della sua abnegazione al bene comune oltre al ruolo degli Stati Uniti salvatori del mondo: “Volevano colpirci con forza sufficiente per obbligarci a non prenderci più cura del resto del pianeta”…
A ciò aggiungerei anche la decisione di far interpretare tutti i ruoli più rilevanti del libro a figure femminili, sia all’interno dell’amministrazione statunitense che in altri ruoli fondamentali per la storia ci sono donne: il capo di gabinetto della Casa Bianca, il direttore reggente dell’FBI, il vicepresidente degli Stati Uniti, il direttore della CIA (al momento del lancio in libreria del volume Trump non aveva ancora effettivamente destinato una donna a ricoprire questo ruolo), il presidente di Israele e altri ruoli che evito di anticipare. Una fastidiosissima piaggeria!
Concluderei mettendo sul piatto dei NO anche il discorso che il presidente Duncan tiene al Congresso, probabilmente inserito ad arte più come scelta politica che come necessità narrativa, ma proprio per questo avulso dal racconto e fuori luogo: è un romanzo e non una campagna elettorale.
Detto ciò, saranno comunque i lettori a deciderne la sorte….
data di pubblicazione:23/07/2018
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