SONETTI ROMANESCHI di Giuseppe Gioachino Belli

SONETTI ROMANESCHI di Giuseppe Gioachino Belli

(Serata Unica di Gala Teatro Belli-Roma, 19/3/2018)

Testo e voci, la multimedialità assoluta, virata dalle più belle voci del doppiaggio italiano. Serata di gala al Teatro Belli nel nome del poeta non solo romanesco a cui è intitolata la sala. Nel cuore di Trastevere omaggio al dissacrante sbeffeggiatore di ipocriti e preti: l’immortale Giuseppe Gioachino Belli. Un lavoro mastodontico effettuato su 1250 sonetti capitolini, raccolti antologicamente e recitati dalle più autorevoli voci della pratica tutta italiana del doppiaggio, una specializzazione d’eccellenza che il cinema mondiale ci riconosce, per la direzione artistica di Marco Mete, il montaggio, la scelta musicale e la sonorizzazione di Elia Iezzi. Come si può immaginare un efficace combinato disposto tra la recitazione e la poesia in ambiente raccolto e proprio nella sede eponima consacrata al poeta. È stata la società editrice Dante Alighieri a sobbarcarsi il carico pesante dell’opera. E i doppiatori hanno risposto generosamente con la sola assenza di Pino Insegno, impegnato a lanciare Zerovsky al Cinema Adriano. Forse sono più riconoscibili dalla voce e dal riconoscimento dell’attore che interpretano, in genere americano, più che per nome e cognome. Comunque la sfilata è stata d’eccellenza: Mino Caprio ricalca Peter Griffin, Chiara Colizzi si occupa di Nicole Kidman, Massimo Corvo ci è abituale su timbri di Stallone. E poi altri duetti impagabili: Luca dal Fabbro è Steve Buscemi, Francesca Fiorentini si prende Gwyneth Paltrow, Angelo Maggi si è occupato di Tom Hanks in The Post. Inoltre, a completare l’accademia belliana i contributi di Marina Tagliaferri (Un posto al sole ma sopratttutto Annette Bening), Alessando Rossi (Arnold Schwarzenegger), Alessandro Quarta (Ethan Hawke) e lo stesso Marco Pete con Kevin Bacon. Era presente il prefatore e massimo conoscitore di Belli nel Belpaese Marcello Teodonio che, con tanta passione, si dedica a far conoscere un letterato che è entrato nel suo Dna. E questo contributo fissa indelebilmente la possibilità di interpretarlo spiritosamente cogliendo lo spirito più vivo della sua insostituibile e ficcante ironia.

data di pubblicazione:20/02/2018

SORELLE MATERASSI di Ferdinando Maria Poggioli, 1944

SORELLE MATERASSI di Ferdinando Maria Poggioli, 1944

Le sorelle Teresa e Carolina Materassi (Emma e Irma Gramatica) sono due brave ricamatrici tanto famose da essere state persino invitate a Roma dal papa per la perfezione di un lavoro da loro inviato in Vaticano. Le due attempate zitelle conducono una vita abitudinaria insieme alla sorella Giselda (Olga Solbelli), che è andata a vivere con loro dopo essere stata abbandonata dal marito, e alla fidata cameriera Niobe. La serenità della casa viene improvvisamente turbata dall’arrivo del bel nipote Remo (Massimo Serato) che una volta trasferitosi in casa delle zie conduce una vita spensierata, conquistando con la sua seduzione tutte le donne che lo circondano, incluse quelle di casa. Il giovane, dopo tante avventure dispendiose che presto porteranno sul lastrico le zie, oramai ridotte per colpa sua all’indigenza, viene a conoscere la bella ereditiera Peggy (Clara Calamai) la quale con abili stratagemmi riuscirà a conquistare il cuore di Remo che innamorato acconsentirà a sposarla. La notizie delle nozze viene accolta con sgomento in casa Materassi, visto che le donne, incluso la domestica, sono tutte segretamente innamorate del giovane. Gli sposi partono quindi per l’America e le zie, indebitate fino all’osso, riprenderanno a lavorare nella monotonia di sempre. Tratto dal romanzo di Aldo Palazzeschi, il film fu realizzato nel ’44 quindi in piena guerra e in un periodo decisamente difficile per la sua piena diffusione tanto da non essere apprezzato né dal pubblico né tantomeno dalla critica. Dopo il ’45 arrivò il meritato successo soprattutto per la bravura delle protagoniste, attrici già molto note, alle quali si affiancò anche la grande Paola Borboni, che diventerà poi una figura di spicco sulla scena teatrale italiana. Il film ambientato a Firenze ci propone una ricetta di tipico stampo toscano, piatto povero di derivazione contadina: la panzanella.

INGREDIENTI: 400 grammi di pane casereccio raffermo – 4 cucchiai di aceto di vino bianco – 4 cucchiai di olio d’oliva extravergine – 1 cipolla rossa di Tropea – 2 cetrioli – 4 pomodori maturi – basilico – sale e pepe qb.

PROCEDIMENTO: Tagliare il pane a fette non troppo sottili e metterlo in ammollo per 20 minuti in contenitore con acqua fredda e 3 cucchiai di aceto. Strizzare bene il pane e sbriciolarlo in una insalatiera quindi unire i cetrioli puliti e tagliati a rondelle non troppo spesse, i pomodori privati dei semi e tagliati a spicchi, la cipolla tagliata a rondelle sottili, l’olio, 1 cucchiaio di aceto, sale e pepe macinato fresco e basilico sminuzzato grossolanamente. Conservare la panzanella in frigorifero fino al momento di servirla come piatto freddo estivo.

UN AMORE SOPRA LE RIGHE di Nicolas Bedos, 2018

UN AMORE SOPRA LE RIGHE di Nicolas Bedos, 2018

Il racconto di una lunga storia fra lo scrittore Victor (Nicolas Bedos) e la bella, intelligente ed amorevole Sarah (Doria Tiller) che, splendida figura di donna colta e tenace, ne riesce a divenire moglie, musa ed eminenza grigia che sa agire nell’ombra con discrezione, interagendo intelligentemente con la crescente notorietà del marito. Quasi 50 anni di vita in comune con tutte le sue sfumature, belle, buffe, tristi e gioiose, fra gli alti e bassi, le separazioni e le riconciliazioni di un “Amore Irreversibile” fuori del comune.

 

“Dietro ad ogni uomo di successo si nasconde sempre un grande donna”: sarebbe interessante sapere se questo assioma si adatti o meno anche alla coppia Bedos – Tiller oltre che nel film anche nella loro vita quotidiana. Ancor più interessante sarebbe poi sapere se corrisponda anche alla realtà artistico/creativa della nostra coppia l’intrigante colpo di scena nel sottofinale del film. Ovviamente non possiamo anticipare nulla, ma di certo possiamo già dirvi che Un Amore Sopra Le Righe è un doppio esordio ben riuscito. Fortuna? Abilità? Entrambe!

Il film è difatti il positivo debutto nella regia di Bedos ed anche l’esordio brillante come attrice della Tiller. Entrambi hanno anche scritto a quattro mani sia la sceneggiatura che i dialoghi. I due sono ben conosciuti in Francia, lui è un affermato scrittore, polemista, umorista ed attore (Tutti pazzi per Rose e Turbolenza d’Amore), lei invece è una star della TV. Il film è dunque un’opera prima ambiziosa con un approccio quasi femminista perché, ben più che Victor, è Sarah al centro del racconto, un vero omaggio alle donne, soprattutto a quelle che vivono nell’ombra e da lì sostengono ed esaltano i talenti dei loro uomini illuminati dal successo. Bedos dirige con maestria e mano salda con toni graffianti, spesso coraggiosamente provocatori, scorretti ed irriverenti, giocando “con e contro” i vari clichès sui benpensanti, la borghesia retriva, la cultura ebraica, gli intellettuali radical chic, agendo sui diversi livelli di narrazione, tutti legati fra loro dalla voce narrante di Sarah che ricorda la vita della coppia. La sua regia, in una messa in scena gradevole, riesce abilmente a gestire il susseguirsi di situazioni che accompagnano i 45 anni della storia, senza mai ripetersi, evitando di perdere di vista il filo del racconto. Riesce anche a mantenere costante, con tratti di gradevole comicità e dialoghi frizzanti, il ritmo ed il tono brillante della narrazione.

A guardare bene si può cogliere più di qualche ammiccamento a W. Allen o a J. Cassavetes. La Tiller è una piacevole scoperta (ha il fascino della J. Birkin di una volta), ha talento di vera attrice, si impone da subito con un’interpretazione molto convincente e naturale, e, pur nella bella alchimia fra i due attori, è lei che prevale. Eccellenti le caratterizzazioni degli attori secondari. Geniale il colpo di scena dell’epilogo. Qualche difetto è riscontrabile nella lunghezza del film ed in qualche eccesso di verbosità. Piccole cose per un esordio. Un Amore Sopra Le Righe è dunque una gradevole commedia romantica, una graziosa, intelligente e tenera storia sull’”Amore Irreversibile”, un po’ melò, un po’ ironica, graffiante, a tratti commovente e con un pizzico di humour nero.

Un commento “rubato” all’uscita dal cinema:”… rapiti da una storia d’amore che rimane, nonostante la vita, totalmente integro ed esclusivo, forse anche troppo! … Un Amore così si può vedere solo nei film?? …”

data di pubblicazione: 19/3/2018


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LADY BIRD di Greta Gerwig, 2018

LADY BIRD di Greta Gerwig, 2018

Siamo a Sacramento – California, nel 2002, subito dopo l’11 Settembre. Assistiamo al racconto di formazione ed iniziazione alla vita di un’adolescente all’ultimo anno della High School e prossima a scegliere l’Università. La giovane Christine che vuole farsi chiamare da tutti Lady Bird (Saoirse Ronan), lotta per dare spazio ai propri sogni e talenti, per uscire dal suo modesto ambiente sociale e dalla mediocrità della piccola provincia americana e per fuggire dal gap culturale che separa la Costa Ovest da quella dell’Est e da New York.

Lady Bird è il primo lungometraggio scritto e diretto dalla Gerwig, classe 1983 e già icona del Cinema Indipendente Americano. L’abbiamo ammirata anche come ottima attrice in Mistress America ed in Frances Ha con la direzione di Noah Baumbach che, oggi suo compagno nella vita, ha collaborato con lei nella sceneggiatura di questo film. Si tratta di un’opera personale in parte autobiografica, bella e delicata, caratterizzata da un tocco di sincerità nel saper trascrivere e filmare, con una naturalezza assoluta tutta al femminile, la complessità dei rapporti familiari ed intergenerazionali nel delicato passaggio all’età adulta. Un film già meritatamente premiato con due Golden Globe per la migliore commedia e per la migliore attrice. Visto l’argomento, si poteva facilmente cadere nei soliti cliché del Genere Teen Movies. La Gerwig invece riesce ad evitare la trappola con un approccio lieve ed una scrittura di uno charme tutto particolare e ci regala una storia di una delicatezza evocativa che risuona dentro ciascuno di noi. La sua regia si avvale infatti di scene brevi ed equilibrate, dialoghi secchi e precisi ed un montaggio puntuale che sembra quasi sposare gli umori della vicenda. Il racconto scorre così in modo naturale, senza vezzi o esagerazioni, dogmatismi o drammatizzazioni, con un dolce profumo di nostalgia che dà eleganza e fascino a tutti i codici del Genere. La riuscita del film è tutta qui! Non nella storia ma nel tocco delicato e nelle piccole sfumature. Dunque, un’opera tenera, pungente, autoironica, toccante e sincera che non elude nessuna delle contraddizioni adolescenziali o le complessità delle relazioni fra madre e figlia ma si limita invece ad osservarle  alla giusta distanza. Punto di forza del film è la giovane e bella irlandese Saoirse Ronan già ammirata ed apprezzata in Hanna e, soprattutto in Brooklyn. L’attrice conferma la sua bravura prestando tutta se stessa alla protagonista. Un ruolo splendido ed una interpretazione per la quale oltre al Golden Globe, ha anche ricevuto la sua seconda nomination per l’Oscar come migliore attrice protagonista. Superbi anche tutti i secondi ruoli, adulti e giovani, fra questi Timothée Chalamet visto recentemente in Chiamami col tuo nome. Lady Bird, senza alcuna pretesa di figurare fra i capolavori del Cinema, è un vero gioiellino, una piccola delizia di rara bellezza, sensibilità ed autenticità, che con gli attuali frenetici ritmi di uscite settimanali imposti da una dissennata Distribuzione, pur essendo uscito sugli schermi romani solo il 1° Marzo, è già relegato in pochi cinema ed in salette da 40/50 posti! Rincorretelo anche voi: non lo perdete, ne vale la pena!

data di pubblicazione:17/02/2018


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TANTE FACCE NELLA MEMORIA di Francesca Comencini

TANTE FACCE NELLA MEMORIA di Francesca Comencini

(Teatro India – Roma, 14/18 Marzo 2018)

Sei donne, nel momento dell’entrata in scena, si presentono ognuna con il proprio nome e cognome e testimoniano in prima persona il ricordo dei fatti relativi all’eccidio delle Fosse Ardeatine, indelebilmente impressi nella memoria non solo dei romani ma di tutti gli italiani. Sono partigiane, mogli, figlie, che raccontano la loro esperienza così come l’hanno vissuta in quei giorni che seguirono il 23 marzo 1944, quando in risposta all’attentato di via Rasella in cui morirono 32 soldati tedeschi, vennero per rappresaglia trucidati 335 uomini. Le vittime, tutte estranee ai fatti, furono“scelte” tra i civili che si trovavano in prossimità del luogo dell’atto terroristico, tra gli ebrei, tra i detenuti politici rinchiusi nelle carceri romane.

 

Anche quest’anno il Teatro di Roma ripropone, in occasione delle iniziative promosse dal Comune di Roma per il Giorno della Memoria, Tante facce nella memoria, curato da Mia Benedetta e Francesca Comencini, rientrante nel progetto MEMORIA genera FUTURO.  Il testo è ispirato alle testimonianze raccolte da Alessandro Portelli nel suo libro L’ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria, sapientemente intrecciate in un perfetto stile documentaristico caro alla regista. Lo spettacoloin effetti non si basa su un testo teatrale né ha la pretesa di essere teatro, eppure dal teatro eredita la sacralità della trasmissione orale di fatti che servono a costruire una coscienza e a fare memoria. E quale modo migliore per fare memoria se non riproponendo in scena per il terzo anno consecutivo questo racconto? Una drammaturgia che va a ripetersi, quasi a significare che il gesto scenico così ripetuto e ricordato diventi esso stesso rito e memoriale. Non si possono dimenticare questi fatti e non si possono dimenticare le facce di coloro che ne sono stati tragicamente i protagonisti. Quando il teatro presta la sua voce alla storia, qui attraverso l’esperienza ed il pathos di sei grandi interpreti (Mia Benedetta, Bianca Nappi, Carlotta Natoli, Lunetta Savino, Simonetta Solder, Chiara Tomarelli), questa si ritualizza in un racconto che viene ripetuto e trasmesso all’infinito e diventa così ricordo per rimanere nel ricordo. Ecco quindi che le facce non sono solo quelle delle sei donne che si raccontano sulla scena, ma sono anche quelle di noi tutti seduti davanti a loro, che assorti in un religioso silenzio ascoltiamo. Siamo tutti volti della storia, quelli di una Italia ferita ma libera, e soprattutto rappresentiamo i volti di coloro che, pur irriconoscibili al momento del ritrovamento nelle fosse, poterono ritrovare la loro identità per ricongiungersi ai loro cari. La recitazione è serrata, priva di movimento scenico, con un accavallarsi di voci che rimandano a emozioni e sensazioni realmente vissute, ognuna da un punto di osservazione diverso ma che poi trovano fusione in un unicum storico che non può che lasciarci profondamente coinvolti. Spettacolo che va ascoltato e riascoltato, e che sicuramente lascia un segno nella memoria dello spettatore.

data di pubblicazione:16/02/2018


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ANTIGONE di Sofocle, regia Federico Tiezzi

ANTIGONE di Sofocle, regia Federico Tiezzi

(Teatro Argentina – Roma, 27 febbraio/29 marzo 2018)

Antigone di Sofocle, con protagonisti Sandro Lombardi e Lucrezia Guidone, è in scena, in prima nazionale dal 27 febbraio al 29 marzo, al Teatro Argentina di Roma. A tredici anni di distanza dalla versione brechtiana il regista Federico Tiezzi torna a confrontarsi con uno dei massimi capolavori della cultura greca, oggetto di innumerevoli allestimenti.

 

Antigone, sorella di Ismene, Eteocle e Polinice, nata come loro dall’unione incestuosa tra Edipo e la madre Giocasta, assiste a Tebe, dove regna lo zio Creonte, al sanguinoso conflitto tra i suoi due fratelli che si uccidono a vicenda. Al centro della tragedia di Sofocle lo scontro tra la legge naturale e degli affetti, rappresentata da Antigone, che vuole seppellire il fratello Polinice secondo i crismi religiosi degli dei e Creonte, che lo vieta perché ritiene Polinice traditore della città e uccisore di suo fratello Eteocle, che combatteva in difesa di Tebe. Se Antigone dovesse obbedire alle leggi della città, rinunciando a seppellire il fratello, tradirebbe se stessa e la sua famiglia.

Sulle note di Max Ricthter, su una cortina che chiude il palcoscenico, scorrono immagini che presagiscono il crollo della civiltà ellenica, statue che si disgregano, vasi in frantumi in una lenta dissolvenza che apre su un’algida tavola, attorno alla quale siedono Creonte e sua moglie, sua nipote Antigone con la sorella Ismene e il fidanzato (figlio di Creonte) Emone con accanto steso il corpo di Polinice morto, ai piedi di ciò che resta della famiglia maledetta di Edipo.

Federico Tiezzi, coadiuvato dall’imponente scenografia di Gregorio Zurla e dai bellissimi costumi di Giovanna Buzzi, ambienta il dramma in una sorta di ospedale-obitorio, dove le due sorelle, Antigone e Ismene, spinte dal sentimento della pietà, sono venute per trafugare il corpo del fratello, portarlo via e seppellirlo. La guerra tra Tebe e Argo si è appena conclusa ed i letti sono occupati da scheletri che pian piano prendono vita: sono coro e spettri della città di Tebe, tornati in vita per obbedire a Creonte in opposizione all’indovino Tiresia (magistralmente interpretato da Francesca Benedetti).

La determinazione di Antigone mette in crisi in Creonte la sua posizione di maschio che deve difendere l’ordine costituito e non permettere che le donne abbiano la meglio.

In questa alternanza di luci e di ombre, la tragedia si risolve nel segno della morte e del sangue, perché non c’è per l’uomo la possibilità di sfuggire alla sorte che gli è stata destinata.

Si ribellerà Antigone e nell’ospedale–obitorio sopporterà la pena di essere sepolta viva, decidendo poi impiccarsi, scatenando così la maledizione profetizzata da Tiresia sul capo di Creonte, generando i cadaveri dei suoi familiari.

L’ostinazione di Creonte, re non pago di aver inasprito i legami familiari poiché Emone, suo figlio è promesso ad Antigone e la ama, e lui l’ha condannata, è sconfinata. Creonte è un sovrano autoritario e un uomo gelido e sicuro di sé che si spezza però dinanzi ai cadaveri del figlio e della moglie Euridice entrambi suicidi: l’uno dopo aver visto la sua amata Antigone impiccata e l’altra per il dolore della perdita del figlio vivendo il resto dei suoi giorni senza potersi liberare dalla proprie colpe.

La regia di Tiezzi conferma la sua ricchezza visionaria attenta ad esaltare questa complessa trama sotterranea, la destabilizzante guerra tra sessi ma anche lo spietato destino che fa ricadere sui figli le colpe dei genitori, in una catena senza fine di orrori e tragedie. Un velo di speranza forse da coloro che in chiusura lavano il pavimento, spazzando via colpe e sangue ed auspicando una necessaria rinascita.

data di pubblicazione:15/02/2018


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CORSO DI ENIGMISTICA di Ennio Peres – Carocci editore, 2018

CORSO DI ENIGMISTICA di Ennio Peres – Carocci editore, 2018

Sembra essere questo libro di una vita per Ennio Peres, professore di matematica ma soprattutto giocologo, rinverdendo una tradizione che in Italia ha i suoi alfieri storici nei due Bartezzaghi, senior e junior, e nello scomparso Dossena. Il gioco non è azzardo, è sviluppo neuronale, messa in azione delle sinapsi. Non è scienza ma empirismo. E ora Peres, al culmine di mezzo secolo di esperienze, sforna un Corso di enigmistica che non ha pretese accademiche ma molto semplicemente ci svela cosa c’è dietro e oltre la barricata ovvero il mestiere di chi lo fa per professione, mettendoci a disposizione le tecniche per dipanare la matassa dei rebus, portare a termine un cruciverba, affrontare crittogrammi od operazioni complesse. Insomma la bottega e i ferri del mestiere tradizionali. È un libro per non addetti ai lavori ma sicuramente per cultori della materia, per appassionati o semplici curiosi. Come si sa in Italia si legge sempre di meno. Più di un italiano su due non ha portato a termine la lettura di un solo libro nel corso del 2017. Ma la Settimana enigmistica, la rivista a prova di infiniti tentativi di imitazione, ha una schiera di adepti che resiste al tempo e alla velocità del mainstream. L’enigmistica richiede pazienza, tenacia, applicazione ma anche ingegno, intuito, la capacità di sparigliare le regole. Peres ci fa entrare in un mondo che può anche apparire incantato ma che, alla fine, è dominato dalle ferree e inflessibili leggi della matematica. Lui, già, professore della materia, padroneggia con autorità i vari capitoli senza mettersi in cattedra ma spezzando il pane della didattica ai profani. Un libro per tutti, da delibare un po’ alla volta. Un esercizio di ginnastica mentale per il cervello e con la linguistica, con possibilità pratiche per l’ideazione di nuovi giochi.

data di pubblicazione:14/02/2018

ORIENT di Christopher Bollen – Bollati Boringhieri, 2018

ORIENT di Christopher Bollen – Bollati Boringhieri, 2018

Inizio citando le parole dell’autore pubblicate da Il Libraio nell’intervista apparsa in occasione del lancio del titolo: “Quando ho iniziato, avevo l’idea di chi dovesse essere l’assassino. Ma nel corso della scrittura mi sono concesso la possibilità di cambiare, se avessi trovato una migliore idea in futuro, cioè ho lasciato che la trama evolvesse e mutasse durante la stesura”.

A mio parere sicuramente troppe le 720 pagine che soprattutto all’inizio, per le dovute digressioni ed espansioni necessarie per creare l’humus in cui sboccerà la storia, creano lentezza e conseguente distrazione nel lettore. Lo scenario claustrofobico è abbastanza classico: ultima cittadina della penisola a cui si accede da un’unica strada, un gruppo di persone apparentemente coeso ma pieno di piccoli rancori, un cumulo di menzogne che ognuno di loro lotta per tenere nascoste, il sospetto che, ad arte, viene posto a rotazione sulle spalle di quasi tutti gli attori, insomma un giallo in piena regola senza un guizzo, senza un’idea folgorante, con una trama un poco tirata per i capelli…

Per i primi due terzi del libro ho avuto qualche difficoltà a capire chi potesse essere l’assassino proprio per il balletto dei sospetti di cui dicevo in precedenza, ma sono rimasta abbastanza delusa quando ho avuto la certezza di chi fosse l’assassino perché troppo scontato, dagli indizi alle motivazioni…

Due gli aspetti che ho assolutamente apprezzato: l’escamotage attraverso cui il narratore della vicenda, capro espiatorio designato, riuscirà a vivere il resto dei suoi giorni in piena libertà; il suo incipit è sicuramente geniale “Ho imparato troppo tardi la lezione della vita nei luoghi migliori d’America: occorrono azioni grette, diffidenti, spietate per vivere un’esistenza ordinaria” e la rappresentazione della collettività di Orient che, dal punto di vista sociologico, è un microcosmo veramente notevole!

Il romanzo si svolge a Long Island, nella cittadina di Orient, penisola del North Folk, parallela alla più famosa South Folk con le famose spiagge degli Hampton. In questo paradiso di pescatori e natura più o meno selvaggia arriva Mills Chevern, ex tossico dipendente, ex bambino abbandonato, giovane vagabondo, ospite “alla pari” di Paul Benchley, autoctono trasferitosi a New York per la sua carriera di architetto, che rientra nella casa avita dopo la morte della madre.

Orient è l’ultima cittadina sulla punta estrema del North Fork e la comunità che ci vive è naturalmente chiusa e mal fidata soprattutto verso un giovane con il passato di Mills: tutti lo guardano con estrema diffidenza che si trasforma in palese sospetto quando, in concomitanza con il suo arrivo, iniziano ad accadere una serie di strani episodi di violenza, più o meno accidentali, che nessuno dei locali si sarebbe mai neanche immaginato potessero avvenire nella loro tranquillissima oasi di pace.

A indagare, su quelli che si appurerà non saranno semplici incidenti ma omicidi pianificati non sarà solo la polizia locale ma anche il colpevole per antonomasia, Mills, nel tentativo di dimostrare la propria estraneità ai fatti, che sarà affiancato da quella che probabilmente sarà la sua unica amica a Orient, Beth Shepherd, ex pittrice e moglie di un famoso artista, tornata nella casa di famiglia dopo molti anni passati a New York nel tentativo di intraprendere una nuova vita al fianco del marito.

Alla fine direi che si può leggere, non si deve, ma si può.

data di pubblicazione:12/02/2018

THE DISASTER ARTIST di James Franco, 2018

THE DISASTER ARTIST di James Franco, 2018

Greg (Dave Franco), aspirante attore, rimane colpito dalla carica emotiva di un tipo alquanto bizzarro di nome Johnny Wiseau (James Franco). I due diventeranno amici e con reciproco entusiasmo e mezzi economici di incerta provenienza, partiranno per cercare fortuna a Hollywood, coltivando il sogno di realizzare un film.

Non tutto andrà, però, nel verso giusto, anche se, dopo alterne vicende l’idea folle di The Room si attuerà con esiti diversi da quelli sognati: il film scritto diretto interpretato e prodotto da Tommy, passerà infatti alla cronaca e sarà ricordato come il film- più brutto- della -storia-del cinema.

 A James Franco manca solo di presentare il Festival di Sanremo, dopo di che potrà dire a se stesso e al mondo di aver provato e fatto di tutto. Culturalmente onnivoro: spazia tra cinema (attore, producer, sceneggiatore, regista), letteratura (la raccolta di poesie Directing Herbert White), TV e musica, testimonial di Gucci, piuttosto alternativo nelle scelte esistenziali, è incappato di recente nella “sindrome Weinstein”, quando con il suo Disaster Artist veleggiava spedito verso gli Oscar tradito da accuse a suo carico di comportamenti sessuali inappropriati.

La tragicomica genesi di The Room ha finito con l’accumunare accanto a quello del suo autore, lo sciroccato Wiseau, anche James, qui regista e attore, in una immeritata mezza debàcle. Occorre invece dirlo che il giovane Franco, al di là di un ego spaventoso, ha certamente diverse frecce all’arco del suo innegabile talento.

La pellicola di cui si tratta ha ricevuto stroncature forse più legate a fatti emozionali, ma anche plausi e riconoscimenti. Si tratta, infatti, di uno dei suoi migliori lavori, già premiato ai Golden Globes, e pur trattando ancora una volta il tema del cinema che racconta il cinema (tanto per cambiare il film è tratto da Una Storia Vera, altra costante della cinematografia USA), la pellicola ha un suo perché.

Non siamo dalle parti di Effetto Notte di Truffaut e nemmeno di 8 e ½ di Fellini, semmai possiamo pensare a Ed Wood di Tim Burton, ma The Disaster Artist è un making of paradossale con momenti interessanti, divertenti e drammatici e si avvale di buone interpretazioni e azzeccate caratterizzazioni. Il Tommy Wiseau è indubbiamente un personaggio e le sue insicurezze e follie, oltre al suo inquietante accento (nel doppiaggio orientato verso una parlata con intonazione “slava”) sono nelle corde di James Franco, in sintonia e in gara con l’ottima prova del fratellino Dave, succube dell’amico “disastroso”. Il limite è forse nel continuo ondeggiare fra dramma e commedia, senza optare per un solo registro, salvo pensare che sia proprio questa la strada scelta dell’ecclettico regista.

Tratto da un romanzo di Greg Sestero e Tom Bissel, ben fotografato e sorretto da una buona colonna sonora, il film mette a fuoco assurdità e misteri dell’industria cinematografica e risulta in ultima sintesi un film godibile seppure con qualche riserva. Nei titoli di coda appare il vero Tommy Wiseau e si legge che ad oggi, The Room è oggetto di un piccolo culto, con lo stesso Tommy che gira il mondo per proiezioni speciali (l’ultimo dell’anno in particolare) in cui cavalca, ormai, l’ironia involontaria e non prevista dal suo iniziale progetto.

data di pubblicazione:11/02/2018


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QUATTRO CANI PER UN OSSO di J.P. Shanley, regia di J.R. Pepper

QUATTRO CANI PER UN OSSO di J.P. Shanley, regia di J.R. Pepper

(Teatro Off/Off – Roma, 6/18 marzo 2018)

Quattro cani che si litigano un osso. È la metafora della dura realtà di Hollywood, il sipario tirato su i comportamenti irrituali del produttore Weinstein, virati a teatro. Quattro protagonisti: l’attrice emergente, arrivista e cinica, la sua rivale, più in là con gli anni, terrorizzata dalla possibilità di ricadere in una parte da caratterista, il produttore che deve far quadrare i conti e racchiudere un film da 8 milioni di dollari in una versione light da 5 e, infine, lo scrittore alla prima grande prova di sceneggiatura filmica, costretto a ingoiare i compromessi dell’industria cinematografica. C’è azione, violenza verbale, frequente uso del turpiloquio in scena dove i “cambi” sono magnificamente surrogati da immagini di grandi iconici film del passato. I toni sono sempre concitati, molto americani, nell’adattamento operato da Enrico Vanzina sul testo del drammaturgo J.P. Shanley (premio Oscar per la sceneggiatura di Stregata dalla Luna). Il ritmo è incalzante senza alcuna concessione al trend italiano che pure, mutatis mutandis, sul set non è troppo dissimile. La scena restituisce la promiscuità del set e la precarietà del cinema dove tutti sono disposti a sbranarsi per fama o soldi, non rinunciando per principio a vendere il proprio corpo in cambio di un piccolo avanzamento di carriera e le amicizia sono solo tattiche o strumentali per andare a favore o contro un terzo personaggio. Come si intuirà la figura che sfugge al contesto, un quinto possibile descritto per assenza, descritto solo per allusioni, è il regista, presentato come “geniale ma debole” dal produttore. È l’entità su cui si scaricano tutte le frizioni immaginandolo come il soggetto che recepirà forzosamente un finale diverso, in questo caso un happy end in cui tutti vorrebbero arrogarsi il compito di salvare il protagonista. Si restituisce un’idea di cinema come puro artigianato dove l’arte è una parola di cui troppo spesso si abusa conoscendo da una parte “il divano del produttore” e dall’altra l’infinito ricorso al mestiere. Arte sì ma dell’eterno compromesso. Le relazioni pericolose di Hollywood sono l’epitome dell’estrema spregiudicatezza del mondo di oggi. Bravi tutti agli attori: Cristina Cirilli, Paolo Giangrasso, Pietro Montandon e Nela Leoni.

data di pubblicazione:11/02/2018


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