LA CUCINA di Arnold Wesker, regia di Valerio Binasco

LA CUCINA di Arnold Wesker, regia di Valerio Binasco

(Teatro Eliseo – Roma, 2/20 maggio 2018)

La cucina non possiede una vera e propria trama. Entriamo in un ristorante non come ospiti, ma dalla porta che dà direttamente in cucina, lì dove entra anche il personale che ci lavora. Siamo così spettatori di quello che accade in un giorno come tanti, in un luogo come tanti, a persone come tante.

 

 

In cartellone al Teatro Eliseo fino al 20 maggio La Cucina di Arnold Wesker, drammaturgo tra i più rappresentativi del teatro inglese della seconda metà dello scorso secolo, scomparso da appena due anni, impegnato a rappresentare costantemente nei suoi lavori le storie di tanta gente normale, ordinaria, con una scrittura che si ispira direttamente ai dialoghi che si possono ascoltare nei luoghi comuni come la strada, i bar, i luoghi di lavoro. E nel raccontare la vita delle persone comuni, dei semplici lavoratori, necessariamente si tocca la sfera sociale e la tematica politica, che tanto caratterizzano il teatro del nostro autore. Una scelta certamente coraggiosa quella di Valerio Binasco di portare in scena un testo come La Cucina, dalla trama semplice ovvero quasi inesistente (si assiste alla routine giornaliera del lavoro in un ristorante), ma con una complessità nei personaggi, numerosi sul palcoscenico (ben 24) per lo più compresenti durante tutta la durata dello spettacolo. Difficile dunque orchestrare una corale di attori così grande, ma il risultato è armonico, ritmato, ben riuscito e soprattutto divertente. Si apprezza una regia quando questa è curata in ogni suo minimo dettaglio (come del resto la realistica scenografia di Guido Fiorato) e quando gli attori, per tutta la durata dello spettacolo, non abbandonano mai il personaggio neanche quando non hanno una battuta da dire e perfino nell’intervallo, quando li troviamo a servire bicchieri di vino a noi spettatori dietro il bancone del bar del teatro. La musica che si suona è quella rumorosa delle pentole che sbattono, dei coltelli che affettano, dei piatti che si rompono, dei mestoli che girano, delle fruste che sbattono, che diventano metafora della vita stessa dei dipendenti di questo ristorante che serve da mangiare duemila coperti al giorno: camerieri, cameriere, cuochi, sguatteri si mostrano in tutta la loro spontanea umanità e capiamo che la vita è una lunga preparazione e che a volte può non riuscire bene. La si affetta, la si dosa, la si mette in cottura, se dimenticata si brucia oppure può risultare acida come una minestra uscita male, ma è pur sempre vita.

data di pubblicazione:03/05/2018


Il nostro voto:

TROIANE/FRAMMENTI DI TRAGEDIA, compagnia Mitipretese

TROIANE/FRAMMENTI DI TRAGEDIA, compagnia Mitipretese

(Teatro Vascello – Roma, 27/30 aprile 2018)

Le donne di Troia, prigioniere di guerra, chiuse in una cella ed in attesa di salpare per la Grecia, strette attorno alla loro regina Ecuba, rivivono i loro drammi: Cassandra, Andromaca, Elena ripercorrono dolore e rabbia ma si fortificano di fronte all’efferata violenza dei Greci ed al futuro che le aspetta.

 

È la rielaborazione drammaturgica della compagnia Miti Pretese, che rivisita la tragedia di Euripide. Lo spettacolo Troiane/Frammenti di tragedia, secondo testo proposto al Vascello dal 27 al 30 aprile dalla compagnia Mitipretese è il racconto delle donne sconfitte della guerra di Troia, ma anche di un universo femminile che non si piega al nemico, che parla di coraggio, di vita oltre la violenza.

Alvia Reale è un’Ecuba oramai oltre il dolore, che alterna lucidità e follia, Manuela Mandracchia è una Cassandra in delirio disperato per i suoi vaticini inascoltati, Mariangeles Torres ha il volto impietrito di Andromaca, vedova di un eroe incapace di proteggere il figlioletto e la stirpe, mentre Sandra Toffolatti incarna la figura di Elena devastata da un destino che le semina intorno solo odio, vera vittima e capro espiatorio dei capricci degli dei.

La drammaturgia tratta dalle opere di Euripide e Seneca porta le quattro donne in uno spazio post moderno, idealmente vicino a Pistoletto, in compagnia dei propri ricordi ridotti ad un cumulo di stracci. Uno spettacolo tutto al femminile che enfatizza la contemporaneità della tragedia classica e di quel grido inascoltato che arriva diretto ad ognuno, l’urlo delle donne e degli sconfitti della guerra, sopravvissuti e destinati ad ancora più vili soprusi.

Una rilettura delle Troiane, concentrata sulle quattro figure femminili e sulle straordinarie protagoniste sempre insieme sulla scena, che porta allo scoperto relazioni sconosciute, intime, familiari e segrete. Il rapporto tra le donne, i dialoghi, i vestiti, le ossa di uno scheletro, il piumino appartenuto al figlioletto diventano immagini e voci strazianti che raccontano l’accettazione di un destino ma non la resa.

Sofferenza e dolore profondo associato alla volontà di sopravvivere. Per non dimenticare.

data di pubblicazione:03/05/2018


Il nostro voto:

COCO CABASA di Klara Johanna Til, Olanda

COCO CABASA di Klara Johanna Til, Olanda

(CASA DEL CINEMA – Roma, 27/29 Aprile 2018)

Kaoutar Darmoni ha vissuto la sua infanzia in Tunisia in una famiglia dove il padre-padrone alzava le mani su di lei e sua madre se non gli obbedivano o se si permettevano di uscire fuori di casa senza il suo permesso. La ragazza appena può fugge in Francia, allo scopo di completare i suoi studi interdisciplinari socio-culturali sulla sessualità e sull’identità di genere. Delusa dall’esperienza di vita francese, oggi Kaoutar Darmoni è da qualche anno docente-ricercatrice presso l’Università di Amsterdam. Le interviste a Kaoutar e ad alcune persone in Tunisia, che l’hanno a suo tempo incoraggiata a lasciare il paese, ci fanno comprendere quanto sia stato per lei difficile emanciparsi e diventare la donna di successo che oggi è.

 

Coco Cabasa è un documentario che chiude Immaginaria, interessante rassegna cinematografica che ha presentato in tre giorni di proiezioni tutta una serie di film fatti da donne e nei quali le stesse hanno potuto affermare i propri diritti e la propria libertà di pensiero. Il racconto della tunisina Kaoutar, oggi donna affermata nella vita privata come in quella lavorativa, ci fa comprendere quanto ancora sia lunga la lotta che le donne devono affrontare per il raggiungimento della parità. Certo vivere in Tunisia non è la stessa cosa che vivere in un paese occidentale, ma dalle varie interviste che coinvolgono oltre la protagonista anche persone che le sono state vicine, si evince che la strada è comunque e sovente ovunque in salita. La donna che oggi ha in mente un progetto di emancipazione dovrà comunque assumersi rischi e oneri non indifferenti, oltre ad una grande dose di tenacia. Questo è dunque il messaggio forte che emerge da questo documentario che sicuramente deve essere considerato come un forte incoraggiamento a non perdersi d’animo. Kaoutar insegna anche come riprendere il controllo del proprio corpo mediante una serie di movimenti liberatori e di tecniche respiratorie coniugando allo stesso tempo la gestualità orientale araba con quella occidentale. Pratiche queste importanti che sicuramente aiutano a realizzare il controllo della mente e predispongono il soggetto a conquistare maggior sicurezza di sé. Coco Cabasa nasce da un progetto di Klara Johanna Til, giovanissima studentessa di cinematografia che dall’Olanda è riuscita a portare il film fuori dai confini nazionali, riscuotendo l’attenzione che merita.

data di pubblicazione:29/04/2018

COCO CABASA di Klara Johanna Til, Olanda

LA BELLE SAISON di Catherine Corsini, Francia

(CASA DEL CINEMA – Roma, 27/29 Aprile 2018)

Delphine lavora nella fattoria di proprietà dei genitori situata nella regione di Limousin in Francia. Disattendendo le loro aspettative che la vorrebbero accasata con l’amico di famiglia e d’infanzia Antoine, e a seguito dell’abbandono da parte della sua compagna, decide di trasferirsi a Parigi per iniziare lì una nuova vita. Un giorno per caso incontra Carole, donna affascinante a capo di un gruppo di attiviste femministe: Delphine ne rimane conquistata e decide di frequentare con lei le assemblee del movimento. Sullo sfondo di queste legittime azioni sociali, la relazione tra le due donne diventa sempre più intima sino a sfociare in un vero e proprio rapporto d’amore. Costretta a tornare in compagna per prendersi cura della fattoria di famiglia, Delphine è più che mai convinta a non tornare sui suoi passi, nonostante l’ostilità nei confronti del suo legame con Carole.

 

 

 

La Belle Saison di Catherine Corsini (L’amante inglese, Les Ambitieux, La Répétition) è un film che ben si inquadra nella filmografia della regista francese, oramai da tempo impegnata nella battaglia contro le violenze sessuali e coniugali perpetuate nei confronti delle donne. Molto attenta alle problematiche relative ai rapporti di coppia, e in particolare a quelli di natura omosessuale, la Corsini con questo film, presentato ieri nell’ambito del Festival Immaginaria, ci riporta alle lotte sociali degli inizi degli anni settanta quando, in piena campagna abortista, le donne iniziarono ad organizzarsi per dimostrare così la loro ferma determinazione a rivendicare i diritti sulla propria persona. Il film però non vuole solo raccontare un momento particolare della storia dell’emancipazione femminile dai condizionamenti sociali che le volevano relegate a ruoli sociali secondari, al centro dello script c’è anche la narrazione di un intenso rapporto affettivo. Le difficoltà di allora, vale a dire come affrontare una storia omosessuale in un ambiente sociale ostile, seppur a tinte più tenui ancora oggi sono frutto di pregiudizi da cui la società fa fatica a distaccarsi. Le due donne vivono intensamente una bella stagione d’amore, ma quando sembrano decidersi a condividere apertamente i loro sentimenti, eccole ricadere nella paura di presentarsi come diverse, fuori dagli schemi imposti da una morale oramai retrograda. In tale contesto gli ampi spazi della campagna francese fanno da contrappunto ad una Parigi in pieno fermento sociale, caratteristico proprio di quegli anni post-sessantotto. La Belle Saison è decisamente una love story : le immagini che riguardano i rapporti intimi tra le due donne sono segnati da semplici pennellate d’effetto, dalle quali lo spettatore percepisce una intensità di sentimenti che solo una esperienza personale vissuta è in grado di dare: la Corsini ci riesce alla perfezione.

data di pubblicazione:29/04/2018

COCO CABASA di Klara Johanna Til, Olanda

EXTRA TERRESTRES di Carla Cavina, Porto Rico/Venezuela

(CASA DEL CINEMA – Roma, 27/29 Aprile 2018)

Teresa è una astrofisica che vive nelle Canarie e lavora con la sua compagna Daniela presso un centro di osservazione stellare. Dopo sette anni di lontananza da casa decide di tornare in famiglia, in Porto Rico, allo scopo di invitare i parenti al suo matrimonio che si celebrerà alla falde del vulcano Teide. L’impresa sin dall’inizio non si prospetterà facile in quanto il padre ha una mentalità molto retrograda che tiene in pugno figli e moglie, da tempo costretti a vivere una vita di sotterfugi pur di seguire in segreto i propri ideali di felicità. Teresa, convinta dovrà lottare duro contro un genitore prepotente e dispotico, lei vegetariana e lui grande allevatore di polli, che non hai mai compreso le sue scelte di vita e men che meno i suoi sentimenti verso Daniela.

A dare il via a questa tredicesima edizione di Immaginaria è stato scelto il film Extra Terrestres, primo lungometraggio della regista portoricana Carla Cavina conosciuta per i suoi corti e documentari già presentati in molti Festival internazionali a tematica lesbo-femminista. Il film, pur utilizzando metaforicamente l’immagine galattica di stelle e pianeti vaganti nell’universo secondo un ordine cosmico prestabilito, non è un film su extra terrestri ma al contrario racconta di esseri umani che si ritrovano ad affrontare il quotidiano con i normali problemi di sempre. Teresa ha un rapporto stabile con Daniela, compagna nella vita privata e nel lavoro, e dopo anni di assenza da casa sente la necessità di affrontare una volta per tutte la famiglia per comunicare la sua decisione di sposarla. Ecco che la giovane si troverà suo malgrado a lottare contro un padre autoritario, che mai accetterà la sua relazione affettiva omosessuale ritenuta anormale e quindi inaccettabile. Messo di fronte a questa realtà, l’uomo casualmente verrà a conoscenza di un mondo parallelo e segreto dove anche gli altri membri della famiglia hanno trovato rifugio per sfuggire al suo dispotismo. Interessante come la regista abbia utilizzato il linguaggio delle stelle per farci comprendere la forza dell’amore che, al di là delle distanze interplanetarie, è ancora una volta il fulcro energetico che muove i singoli esseri umani in un piccolo pianeta, come il nostro, sperduto nel nulla. Ne viene fuori un film sicuramente ben costruito che non trascura il messaggio che sta alla base dell’intera storia anche se a tratti sembra perdersi nella banalità, così come l’interpretazione degli attori che non riescono a dare quel quid tale da rendere la pellicola convincente per il folto pubblico che affollava le tre sale messe a disposizione dalla Casa del Cinema.

data di pubblicazione:28/04/2018

ROMA ORE 11 di Elio Petri, compagnia Mitipretese

ROMA ORE 11 di Elio Petri, compagnia Mitipretese

(Teatro Vascello – Roma, 23/26 aprile 2018)

A distanza di dieci anni dal debutto, il Teatro Vascello in collaborazione con il Teatro Stabile di Brescia ospita i primi tre lavori della compagnia Mitipretese, composta da quattro bravissime attrici, Sandra Toffolati, Mariàngeles Torres, Manuela Mandracchia e Alvia Reale, tratti dal loro repertorio: Roma ore 11, Troiane, Festa di famiglia. Tre spettacoli che identificano le scelte e le tematiche affrontate in chiave di interpreti, scenaggiatrici e registe, dall’inchiesta sul lavoro, agli orrori della guerra, alle violenze all’interno della famiglia, secondo una visione al femminile fatta di complicità e di un vissuto comune.

Signorina giovane, intelligente, volenterosissima, attiva, conoscenza dattilografia, miti pretese, per primo impiego cercasi”. Un fatto di cronaca del 1951, una inserzione per un posto di dattilografa a Roma al quale si presentano duecento ragazze con la scala della palazzina di Via Savoia, luogo della selezione, che crolla per il troppo peso, provocando la morte di una di loro ed il ferimento di altre settantasette costrette al ricovero in ospedale ed a una degenza alla fine pagata di tasca propria. Elio Petri fece un’inchiesta preparatoria alla sceneggiatura del film che De Santis realizzò di li a poco, film molto bistrattato per la realtà scottante che proponeva. La pellicola, infatti, fu esclusa dal Festival del Cinema d Venezia.

Da tutto ciò prende spunto Roma ore 11, Premio ETI Olimpici del Teatro 2008 come spettacolo d’innovazione, l’adattamento teatrale proposto da Mitipretese attraverso una regia a otto mani che racconta le storie di quelle ragazze, dei soprusi subiti, del lavoro che manca, ma più in generale di povertà, di morti bianche, di speranze disilluse, di un passato così tanto presente. Un reportage giornalistico, una cronaca cruda e colorata, un affresco della vita delle ragazze italiane degli anni Cinquanta che scorre secondo un piano sequenza fatto di mille personaggi, di piccole donne e delle loro famiglie, di portieri, nonne, suore e fattucchiere, di piccoli sogni e speranze, di miseria e volontà, di una giovane Italia in ricostruzione ma in fermento.

Lo straordinario alternarsi delle quattro interpreti viaggia con emozione e leggerezza tra lenzuola bianche distese alternato ad un cha cha cha rivisitato e a canzoni popolari, con un linguaggio vivo e sentito, mai banale. Sono i volti dell’Italia del dopoguerra, della disoccupazione, del boom edilizio, dei datori di lavoro e delle segretarie.

È uno spaccato solo apparentemente lontano dall’Italia di oggi e dei suoi falsi miti e con i suoi grandi problemi di occupazione. A distanza di 67 anni dall’inchiesta di Elio Petri e di dieci anni dal debutto dello spettacolo, queste quattro donne hanno il grandissimo merito di riproporre e rendere ancora più vivi gli intenti e sentimenti, una concreta presa di coscienza della condizione sociale e psicologica della donna, ancora più attuale oggi, senza alcuna retorica ma bensì con un forte messaggio di vitalità. E i loro volti ed i loro sorrisi ci illuminano.

data di pubblicazione:28/04/2018


Il nostro voto:

COCO CABASA di Klara Johanna Til, Olanda

IMMAGINARIA – International Film Festival of Lesbians & Other Rebellious Women

(CASA DEL CINEMA – Roma, 27/29 Aprile 2018)

Si inaugura oggi alla Casa del Cinema la XIII edizione di Immaginaria, Festival tutto al femminile organizzato dall’Associazione Culturale Lesbica Visibilia di Bologna insieme al Festival MIX – Milano, con il supporto di numerose unioni lesbo-femministe internazionali. Come in passato, anche quest’anno verranno proiettati film diretti da registe di ogni parte del mondo, tutte impegnate nel sociale per portare a conoscenza tematiche particolari, non facilmente riscontrabili nei normali circuiti di distribuzione. Durante questa kermesse romana verranno presentati in concorso 7 lungometraggi e ben 13 corti, tra questi 5 documentari tutti ovviamente incentrati sulla tematica propria che caratterizza questo Festival. Da ricordare che Immaginaria, fondata venticinque anni fa a Bologna, è la prima manifestazione cinematografica italiana che ha come obbiettivo di portare sullo schermo i problemi delle donne con orientamento sessuale lesbico e soprattutto la loro lotta per emanciparsi dai soliti cliché imposti dalla società maschilista e fallocratica vigente nel nostro beneamato Paese. Quindi i film proposti hanno lo sguardo attento di donne coraggiose, impegnate per la difesa del diritto a vivere serenamente a propria sessualità, con l’intento di superare ogni bigotto e anacronistico pregiudizio. Novità di questa edizione è l’aver introdotto per la prima volta la Sezione speciale “Donne al Corto” che presenterà cortometraggi italiani in anteprima per poi essere distribuiti in maniera più capillare nei festival LGBTQ. Accreditati seguirà la manifestazione e informerà sulle proiezioni in programma.

data di pubblicazione:27/04/2018

 

LA MÉLODIE di Rachid Hami, 2018

LA MÉLODIE di Rachid Hami, 2018

Parigi. Simon è un famoso violinista in attesa di essere convocato per lunga serie di concerti. Nel frattempo accetta un incarico presso una scuola di periferia: si tratta di affiancare un professore di musica nell’istruire un gruppo di alunni per trasformarli in una vera e propria classe-orchestra, secondo un programma scolastico che prevede a fine anno una loro esibizione alla Filarmonica. Tra questi ragazzi, alcuni dei quali vivaci e maleducati, c’è il timido Arnold di origini senegalesi, che mostra subito una spiccata attitudine per il violino.

 

 

Per Simon (Kad Merad), secondo il quale la musica è un’arte universale che può aprire le porte a tutti coloro che la approcciano nel modo giusto, non sono sufficienti passione e tecnica: per riuscire a suonare bisogna innanzitutto divertirsi. Purtroppo, di fronte ad un pubblico di allievi così indisciplinati e sfrontati che devono essere in primo luogo educati a maneggiare con cura lo strumento che è stato loro assegnato, Simon dovrà dar fondo a tutta la sua pazienza per mantenere controllo e disciplina. Fa eccezione Arnold, timido e riservato, che mostra un immediato rigore comportamentale, tanto impegno ed un grande rispetto per la musica. La musica potrà realmente cambiare la vita di questi ragazzi?

Dopo aver visto il primo lungometraggio del regista algerino Rachid Hami non possiamo che dare a questo interrogativo una risposta positiva. La mèlodie è un commovente e tenero film sulla musica in ambiente scolastico ed i giovani attori, tutti bravissimi, scelti in base al loro talento per la commedia, hanno dovuto realmente imparare a suonare il violino, come ha dichiarato uno di loro durante la conferenza stampa all’ultimo Festival di Venezia dove il film è stato presentato Fuori Concorso: “mi ha fatto molto piacere imparare a suonare il violino perché mentre suonavamo eravamo tutti uguali, non c’erano più diversità di razza. È stata una grande opportunità, non sarei qui oggi”.

La mèlodie è uno di quei film corali a sfondo educativo che ci fanno capire come dare anche ad uno solo di quei ragazzi la possibilità di appassionarsi a qualcosa sino ad allora irraggiungibile, permettendogli di ampliare i propri orizzonti, rappresenti oltre che una sfida anche un autentico divertimento. E questo messaggio semplice, delicato e commovente ci arriva soprattutto attraverso la musica: Shéhérazade è il brano che il regista sceglie di far suonare ai ragazzi, una suite sinfonica composta da quattro brani separati, e poi uniti tra loro da una parte solistica affidata al violino.

data di pubblicazione:27/04/2018


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IL SINDACO DEL RIONE SANITÁ di Eduardo De Filippo regia di Mario Martone

IL SINDACO DEL RIONE SANITÁ di Eduardo De Filippo regia di Mario Martone

(Teatro Argentina–Roma, 17/29 aprile 2018)

Intensa e toccantela versione proposta daMario Martone de Il sindaco del rione Sanità, di Eduardo de Filippo, in scena al Teatro Argentina dal 17 al 29 aprile. Una prima volta per Martone nel teatro di Eduardo, secondo un progetto che associa il Teatro Stabile di Torino, la Elledieffe, compagnia indipendente che porta il nome di Luca De Filippo, oggi diretta da Carolina Rosi ed il NEST – Napoli Est Teatro di San Giovanni a Teduccio, uno dei quartieri più popolari e difficili di Napoli, dove un gruppo di giovani, attori, registi, scenografi e drammaturghi hanno ristrutturato una palestra e creato uno spazio per le arti. 

Scritta nel 1960, Il sindaco del Rione Sanità è una commedia in tre atti inserita dall’autore nella raccolta Cantata dei giorni dispari ed anche interpretata da Eduardo De Filippo. Il protagonista, Antonio Barracano (Francesco Di Leva), è “il sindaco” della Sanità. Qui amministra da signorotto illuminato le problematiche del rione, secondo principi da “uomo d’onore” decisamente borderline rispetto alla legge, ma certamente efficaci. Si avvale dell’aiuto di Fabio Della Ragione (Giovanni Ludeno), un medico che cura clandestinamente i feriti da sparatorie e regolamenti di conti che avvengono nel quartiere. Chi non ha santi e protettori si rivolge a da Don Antonio da sempre. Quando però gli si presenta disperato Rafiluccio Santaniello (Salvatore Presutto), il figlio del fornaio, deciso ad ammazzare il padre Arturo (Massimiliano Gallo), Don Antonio, cogliendo nel giovane la stessa determinazione che lo spinse all’omicidio in gioventù, si propone come mediatore finendo poi col pagare tragicamente di persona il suo intervento.

Antonio Barracano è certamente un padre-padrone, ma è anche un predicatore, unico punto di riferimento per una comunità di disperati cui trasferire principi di giustizia e convivenza non sempre ortodossi ma nella sostanza egualitari. Una commedia con una forte connotazione sociale che Martone traspone ai nostri giorni arricchendolo di quella complessità che oggi caratterizza le attuali generazioni, abbastanza distanti da quelle raccontate da Eduardo.

Uno spettacolo denso e personale nel rispetto assoluto del testo ma in un contesto che amplifica le contraddizioni di oggi, tra rapper con felpa e cappuccio in testa ad agguati violenti nel quartiere per costruirsi inutili identità, ad una casa fatta di cristalli, plexiglas e acciaio, nella quale vanno e vengono individui palestrati, dove un tavolo può trasformarsi in un lettino sul quale operare in segreto, popolata da una famiglia allargata, nella quale i pranzi si alternano a processioni di questuanti del quartiere. Qui regna il giovane e forte Don Antonio, apparentemente immortale, che poi paradossalmente soccombe per una buona azione.

Uno spettacolo che spiazza e cattura, dove tutto ha un senso e che ha il proprio punto di forza nelle sonorità e gestualità proposte, espressione fedele del degrado metropolitano di oggi, per una visione intelligente e lucida di un testo che ancora di più si riesce ad apprezzare nella sua essenza e rigore. Da non perdere.

data di pubblicazione:23/04/2018


Il nostro voto:

LA SCIARPA RICAMATA di Susan Meissner – TRE60, 2018

LA SCIARPA RICAMATA di Susan Meissner – TRE60, 2018

La sciarpa ricamata è la storia di due donne unite da una sciarpa con un motivo di calendule, e dei loro due destini che si dipanano a NY a distanza di 90 anni.

Due piani narrativi: Ellis Island, settembre 1911, l’infermiera Clara Wood si prende cura degli emigranti che ogni giorno vi approdano in attesa del visto d’ingresso negli Stati Uniti. Lei è approdata sulle coste dell’isola dopo aver perso l’uomo che amava; tra le migliaia di persone che transitano da quell’isola lo sguardo di Clara è attratto da un uomo che porta stretta al collo “una sciarpa di tessuto indienne, di fattura francese con un motivo indiano… Vicino all’orlo, ricamato in nero, c’era il nome Lily, e il motivo ripetuto era un’esplosione di calendule.

Manhattan, settembre 2011. Taryn Michaels vive con la figlia Kendal nell’Upper West Side sopra allo splendido negozio di tessuti in cui lavora e dove ha cercato faticosamente di  ricostruirsi una vita con una parvenza di serenità, ma in occasione del decimo anniversario del crollo delle Torri Gemelle una fotografa ritrova una scheda di memoria della macchina fotografica che utilizzava quell’infausto giorno e una rivista riporta l’immagine a doppia pagina. Taryn è costretta a rivivere il terribile giorno in cui suo marito è morto nel crollo delle Torri Gemelle, lo stesso giorno in cui uno sconosciuto l’ha raggiunta e le ha salvato la vita scomparendo subito dopo insieme alla sciarpa che Taryn portava in quel momento al collo, “challis francese, di lana, fine Ottocento… Molto probabilmente la stampa è stata fatta con un colorante anilinico, a base di catrame di carbone, motivo per cui i colori originali erano così accesi.”.

Una sciarpa e due tragedie accomunano Clara e Taryn a circa un secolo di distanza, ma fanno solo da sfondo alla storia di queste due donne, ai loro sentimenti, al senso di colpa di chi sopravvive, al dolore delle aspettative tradite, alla paura di affrontare una vita che non è più quella che sarebbe dovuta essere e da cui scaturisce il disperato tentativo di annullarsi, di nascondersi per sfuggire al dolore: ma poi un incontrollato quid cambia tutto e fa riemergere tutta la forza che era in realtà solo sopita e rimette in moto la speranza che le riporta a lottare e a vivere.

Un bel romanzo, due storie coinvolgenti, due bei personaggi femminili, la prosa della Meissner è delicata, da grande narratrice.

data di pubblicazione: 23/04/2018