IL TEMPO CHE CI VUOLE di Francesca Comencini, 2024

IL TEMPO CHE CI VUOLE di Francesca Comencini, 2024

Intimistico ritratto a due: padre/figlia. Con la specifica della fama del regista Comencini, uno dei maestri della commedia all’italiana. Scelta deliberata quella di escludere il resto della famiglia per un focus su un rapporto speciale. Tranciando le altre storie di famiglia e persino Calenda, mostrato per qualche secondo in fasce.

 

Il tempo che ci vuole, oltre alla citazione interna nel film, è quello necessario per metabolizzare un rapporto intenso e portarlo sullo schermo, analizzando un rapporto contraddittorio, non sempre dialettico. La bambina dolce e docile dell’inizio, portata costantemente sul set, diventa nella parte centrale un adolescente problematica. Per un film senza effetti speciali e con cadenza teatrale occorreva un attore come Gifuni per sostenere la sceneggiatura e, a parte qualche banalità dialogica, in particolare quando ci si sofferma sulla dipendenza dalla droga, l’operazione riesce e la tensione narrativa viene mantenuta. La Comencini si mette a nudo senza troppi pudori con qualche libertà poetica e qualche digressione rispetto alla realtà storica. Si attraversa il terrorismo con la cronaca televisiva e l’epopea del cinema muto. Perché Comencini salvò un pezzo di storia del cinema d’anteguerra e le immagini del Pinocchio del 1911 (prima del celeberrimo tutto suo) sono chicche d’autore. Sullo schermo Comencini piange quando vede Paisà di Rossellini perché gli ricorda un’Italia (e un cinema) che non c’è più. Quando già la malattia incalza. Musica d’epoca, tra la classica, Nicola Di Bari, Neil Young. Ma del resto anche Sorrentino saccheggia niente meno che Cocciante. Un film la cui distribuzione si fermerà a Chiasso anche se c’è un pezzo di Parigi che fa molto cartolina. La Roma mostrata è quella dei quartieri alti e del centro che fa molto famiglia Comencini.

data di pubblicazione:05/10/2024


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LA FEROCIA, dal romanzo di Nicola Lagioia

LA FEROCIA, dal romanzo di Nicola Lagioia

ideazione VicoQuartoMazzini

(Roma Europa Festival 2024)

Dall’1 al 4 ottobre il Roma Europa Festival ha ospitato al Teatro Argentina La Ferocia, trasposizione teatrale dell’omonimo romanzo di Nicola Lagioia a cura della compagnia VicoQuartoMazzini. Vittorio Salvemini è un uomo che si è fatto da solo costruendo un impero. Dietro il successo ci sono però ricatti, estorsioni, soprusi, cocaina, rifiuti tossici. La morte della figlia Clara, trovata nuda e ricoperta di sangue sulla provinciale che collega Bari a Taranto e tutte (foto Valerio Polici).

La Ferocia, spettacolo tratto dall’omonimo romanzo di Nicola Lagioia, vincitore nel 2015 del Premio Strega e del Premio Mondello, con la regia di Michele Altamura e Gabriele Paolocà, mette in scena il desiderio del potere a tutti i costi, attraverso l’ascesa e la caduta della famiglia Salvemini, una saga familiare in cui le prevaricazioni dei padri rendono infelici e deboli i figli.

È intorno al cadavere di una giovane donna, Clara Salvemini ritenuta suicida, che si consuma lo sgretolamento dei valori e la tragedia familiare: è la figlia del palazzinaro Vittorio, che senza scrupolo alcuno è riuscito a costruire un vasto impero economico (l’attore Leonardo Capuano, perfetto nel suo ruolo), aiutato nell’impresa dal figlio ingegnere Ruggero (lo stesso Michele Altamura), che si presta volentieri ai suoi dictat spregiudicati.

C’è una sola attrice in scena, Francesca Mazza, nei panni di una madre tradita e piena di dubbi ma incapace di opporsi all’orrore che le ruota intorno e la sommerge. Nella vicenda presente anche il marito della vittima, Alberto (Andrea Volpetti) incapace di amare e colpevole di non averla protetta ed una galleria di personaggi deleteri e remissivi al tempo stesso: il medico legale cocainomane, un ex sottosegretario alla Giustizia e l’amico dell’università, studente modello, finito per campare a fare l’uomo rana in un centro commerciale. C’è poi uno speaker/giornalista, interpretato da Gaetano Colella, intento a registrare un podcast sulla vicenda, che fa da filo conduttore, ma anche da contraltare rispetto a quanto affermato e posto in essere dai protagonisti.

I personaggi prendono vita nelle loro sfumature grazie ad un efficace allestimento a cura di Daniele Spanò con le luci di Giulia Pastore, che da luogo realistico (l’interno della villa dei Salvemini) si trasforma in spazio metafisico del racconto, tra terreni edificati su rifiuti avvelenati, luoghi segreti di abboccamenti e riunioni, violenze e camere mortuarie.

Piano piano intorno al corpo di Clara, vittima sacrificale del gioco al massacro a cui lei stessa si era prestata, si ricompone il mosaico che porta all’amara verità. E sarà proprio il personaggio meno incisivo e più defilato, ovvero l’altro fratello di Clara, Michele (Gabriele Paolocà), fuggito a Roma per ricercarsi una nuova identità personale e lavorativa, a frantumare il castello di menzogne ed il gioco sporco della famiglia.

Una tragedia contemporanea con i canoni della tradizione greca, che scuote le coscienze, grazie alla stesura di un grande romanziere ed a una potente messa in scena, essenziale e moderna, resa ancora più incisiva dal gruppo di bravissimi attori.

data di pubblicazione:04/10/2024


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KOSTAS – serie TV su RAIUNO, 2024

KOSTAS – serie TV su RAIUNO, 2024

Traduzione per il grande pubblico dei ben più complessi gialli dello scrittore greco-turco Petros Markaris. Regia non particolarmente creativa anche se si apprezza lo sforzo di ricreare una location evidentemente Ateniese (Partenope, Acropoli, souvlaki, Piazza Omonia). Persino in greco gli striscioni di una manifestazione sindacale.

C’è stata una stagione cinematografica in cui non si poteva girare un film se non c’era Stefano Fresi. Il corpulento polivalente attore in virtù della propria popolarità assume un personaggio che dovrebbe avere più sfrangiature e sottigliezze per ricalcare il prototipo narrativo. Fresi si sforza per approssimazione ma più dentro la parte sembra la sua moglie e partner Francesca Inaudi. Il legame matrimoniale è il collante ma anche l’altra faccia dell’attitudine investigativa. Per tenere vivi gli episodi (e le quattro puntate) si raccontano omicidi che poi si saldano con il delitto precedente, ingenerando un minimo di sovrabbondanza. Il ritmo è variabile, a tratti calante. Compare ironicamente anche Markaris, l’autore in una sorte di auto-citazione. Si leggono i crismi del film tivù più che di un’opera capace di svincolarsi dal genere e assurgere al rango di cinema. L’inscatolamento in interni nuoce alla varietà della volenterosa narrazione. Il gemello greco di Camilleri produce un Montalbano minore, meno tipizzato e brillante. Ma nel mare magnum dell’attuale produzione dell’ente pubblico la sufficienza non è stiracchiata e in fondo merita il primato di ascolti. Apprezzando il tentativo di sprovincializzare il mainstream degli investigatori all’amatriciana. Retrodatando le vicende si respira anche un po’ di politica, con l’aura in declino del regime dei colonnelli in una società che, a tratti, appare persino più asfittica e corrotta di quella italiana.

data di pubblicazione:04/10/2024 

JOKER – FOLIE À DEUX di Todd Phillips, 2024

JOKER – FOLIE À DEUX di Todd Phillips, 2024

Sono passati solo due anni da quando Arthur (Joaquin Phoenix) ha ucciso in diretta televisiva il suo irraggiungibile modello Murray Franklin (Robert De Niro) ed è stato rinchiuso nell’Arkham Asylum, restando lì in attesa del processo che deciderà della sua pena. Imbottito di psicofarmaci, Arthur è ridotto a una larva fin quando, in un corso di musicoterapia, incontra Harleen Quinzel (Lady Gaga).

Se il primo Joker ha vinto il premio più ambito a Venezia, ottenendo un grande successo al botteghino e un Oscar per il suo protagonista, Joaquin Phoenix, difficile pensare un futuro analogo per Folie à Deux. Nei mesi che hanno preceduto l’uscita, bombardati da teaser e trailer, è stato affascinante vedere crescere l’attesa, soprattutto per la presenza di Lady Gaga, personaggio di forte appeal.

La sua presenza si sente, dando vita a un ibrido: è un quasi-musical? È un quasi-legal drama? È una quasi-storia d’amore? Sembra folle questa idea del sequel al film ormai cult di un’intera generazione, tanto da diventare negli anni una religione con i suoi adepti. C’è (forse sì) un Phoenix maestoso, forse ancora di più, c’è (forse sì) una foto del cedimento senza fine di ogni apparato, da quello giuridico a quello carcerario, per finire a quello sanitario, con un dibattito social(e) che può aprirsi sulla salute mentale. Ma il risultato è probabilmente il frutto di questa attesa troppo alta, con il regista (Todd Philips) che si avventura in un sequel rischiosissimo, fin dalle prime battute col simil cartoon che apre la sua opera. La virata verso il musical (pessima idea di musical, ben 13 scene cantate) non sembra funzionare bene, rendendo il tutto a tratti noioso, anche con la presenza della camaleontica Lady Gaga, con il suo proverbiale fascino da vendere.

Joker-Folie à Deux sembra però finire per roteare a vuoto, gravato dalla lunga parte processuale, portando più che un passo a due passi indietro. Peccato!

data di pubblicazione:01/10/2024


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FAMILIA di Francesco Costabile, 2024

FAMILIA di Francesco Costabile, 2024

Luigi Celeste (Francesco Gheghi) ha vent’anni e vive con la madre Licia (Barbara Ronchi) e il fratello Alessandro (Marco Cicalese). I tre sono uniti da un legame profondo. Sono quasi dieci anni che nessuno di loro vede Franco (Francesco Di Leva), compagno e padre, che ha reso l’infanzia dei due ragazzi e la giovinezza di Licia un ricordo fatto di paura e prevaricazione. Un giorno il “pater” Franco torna, e rivuole tutto, rivuole la sua” familia”: che fare?

Tratto dal libro Non sarà sempre così di Luigi Celeste, il film è un’opera ‘nera’, che passa dal thriller psicologico, al cinema ‘quasi horror’, per arrivare ad incontrare anche vari argomenti sociali. Familia si pone diversi obiettivi: raccontare la violenza, soprattutto quella psicologica; evidenziarne le ferite profonde che segnano l’infanzia, per sempre.

Da sottolineare le analisi delle forme di gelosie possessive, sino a una delle scene simbolo, quella in cui il padre che scatena una illogica e prepotente scenata di gelosia verso il figlio sol perché ha fatto dono alla madre un mazzo di fiori. Attori superlativi. Dagli occhi di Barbara Ronchi traspare un profondo senso di paura nella prima parte ed un senso di amore supremo e di liberata gratitudine verso il figlio nell’ultimo sguardo. La suspense è perennemente presente e sottolineata da brevi incursioni di musiche angoscianti. La tossicità tra moglie e marito, evidente più volte nella sua complessità e contraddittorietà, così come l’assurdità delle istituzioni che non intervengono o se intervengono lo fanno in maniera assurda e inspiegabile, sottolineano l’importanza di questi temi che trae spunto da una storia vera. Tutto ciò rende l’opera matura, che lascia il segno, che stimola il dibattito e assolutamente da non mancare.

data di pubblicazione:01/10/2024


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WHEN THEY SEE US – serie Netflix in quattro episodi, 2024

WHEN THEY SEE US – serie Netflix in quattro episodi, 2024

Il 19 aprile 1989 una donna viene aggredita al Central Park di New York mentre fa jogging come di consueto. Gravissime, per lei, le conseguenze: rischia di non sopravvivere. Cinque ragazzini neri – colpevoli di trovarsi nel luogo del crimine quella stessa sera – sono catturati, interrogati per ore, minacciati, quindi costretti a “confessare”. Sono pecore in mezzo a un branco di lupi bianchi – in toga o in divisa – da cui finiranno per essere sbranati. Anch’essi prede troppo facili, perfette vittime sacrificali. Tratta da una storia vera, e da un fatto di cronaca, questa serie firmata Ava DuVernay, sebbene non di recente uscita, è ora disponibile su Netflix, dove è possibile visionarla per intero, senza interruzioni, oppure fermandosi di tanto in tanto. Giusto il tempo di riprendere fiato e coraggio. Particolarmente toccante è l’interpretazione dei giovanissimi attori, tra cui Jharrel Jerome, vincitore di un Emmy Award.

 

La vera storia di cinque ragazzi di Harlem è rappresentata in questa miniserie drammatica di notevole impatto. Una storia di soprusi e di impotenza, di crudeltà perpetrate su quella solita odiosa scacchiera bianca e nera, come tante ne ha raccontate il cinema, da The Hurricane a Il miglio verde. Con qualche tratto appena più originale. Primo fra tutti, il richiamo del passato, che riecheggia più volte, nella mente dei protagonisti, attraverso la voce di chi era lì prima che tutto accadesse. Dalla compagna di scuola, primo amore giovanile, al padre perduto e poi ritrovato e poi perduto di nuovo. Un passato a cui ci si aggrappa per ricordare che qualcosa di autentico, “prima”, è esistito. Che il disastro, la caduta, il fango, le sbarre, i topi, i lividi, la cella d’isolamento, la fila per una telefonata, le guardie buone, le guardie cattive possono “incidere” ma non cancellare. Che la “ricostruzione” non è opera di fantasia, come non lo è questa narrazione.
Perché si respira, dall’inizio alla fine, un’aria autentica, appunto. Tra i viali bui del parco come nelle aule dei tribunali o nei cortili del carcere.

Ma la più bella commistione tra realtà e fiction, tra persona e personaggio, viene offerta allo spettatore proprio al termine dell’episodio conclusivo. A dare un senso all’intero racconto, a reinterpretare il titolo stesso: When they see us. “Quando ci vedranno”, ci vedranno veramente. Una breve ma intensa carrellata di primi piani con i quali i protagonisti della storia – quelli veri – si presentano e al contempo si congedano da noi. Svelando la propria identità, ad uno ad uno, puntando su di noi lo sguardo innocente. Senza livore o risentimento, senza l’orgoglio della rivalsa. E nessuna amarezza, persino. Occhi sereni, di volta in volta appena sorridenti o semplicemente risoluti, fissano la telecamera. Mentre i nomi e le parole scorrono, per dare un’idea – riparatrice, consolatoria almeno in parte – di cosa è accaduto “dopo”, e a chi. A ciascuno di loro, i cinque di Harlem.

Kevin Richardson, Antron McCray, Yusef Salaam, Raymond Santana, Korey Wise.

data di pubblicazione:01/10/2024

IL LEONE DEL DESERTO di Mustafà Akkad, 1981- riedizione restaurata 2024

IL LEONE DEL DESERTO di Mustafà Akkad, 1981- riedizione restaurata 2024

Si porta addosso la nomea di film maledetto perché rievocando le discutibili imprese del colonialismo italiano si vide bocciato dalle censura (v. Andreotti) e costretto al solo mercato estero. Drammone che ha i tratti di un western per quasi tre ore di durata e un cast di tutto rispetto.

Ricompare dopo 43 anni e un lungo cammino di clandestinità una pellicola feroce verso la patria ma piuttosto fedele alla realtà storica. La sovrabbondante superiorità militare nostrana fa fatica a stroncare la resistenza dei beduini libici che non vogliono sottomettersi alle pretese dell’invasore. Lo scenario è quello degli anni ’30 ma illumina un pezzo di futuro e il Gheddafi che fu. Quando Mussolini (un efficace Rod Steiger) decide di forzare la mano, nomina il feroce Graziani come Governatore della Libia. E la repressione che ne segue è spietata. Impiccagioni, decimazioni, mutilazioni, rendono il Paese una sorta di terra di nessuno in preda alla carestia. E l’estrema ratio è un campo di concentramento in filo spinato che stronca le ultime resistenze. Una damnatio memoriae avvolge il film. Il baluardo del patriottismo libico Omar Al Mukhtar, ben reso da Anthony Quinn, è un eroe che conosce l’arte della guerra e che non abdicherà al proprio credo, rinunciando al salvacondotto e a una pensione di Stato dell’invasore. Film dal budget illimitato per l’epoca con ben rese scene di combattimenti. Proiettato al Cinema L’Aquila, sotto il controllo del Comune di Roma e per volontà dell’associazione “Un ponte per” che ha dato vita a una raccolta di firme per spingere al Rai a mandarlo in onda nei prossimi mesi su una rete generalista. Da notare in parti di assoluto contorno Lino Capolicchio, Claudio Gora, Mario Feliciani e Gianni Rizzo.

data di pubblicazione:01/10/2024


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L’ETERNA ILLUSIONE – L’ENCICLOPEDIA DEL NOIR

L’ETERNA ILLUSIONE – L’ENCICLOPEDIA DEL NOIR

Ha debuttato con lo strepitoso Non voglio perderti la rassegna L’eterna illusione, antologia del noir americano nella forbice che va dal 1941 al 1957 in programma al Cinema Quattro Fontane in Roma, tutte le domeniche alle ore 11 nella stagione 2024-2025.

 Matinèe al Quattro Fontane alle ore 11 con piccola guida critica. Ingresso gratuito per l’esordio, biglietto a 7 euro per una rassegna a cavallo del 2024-2025 che intrigherà i più appassionati cinefili, affezionati al genere, oltre che gli abituali frequentatori di una delle sale più rispettabili e apprezzate della capitale. Ci saranno titoli meno noti accanto a capisaldi del genere per un’immersione in uno delle più scoscese derivazioni del giallo. La rassegna curata da Cesare Petrillo e Simone Fabio Ghidoni con l’indispensabile collaborazione di Circuito Cinema ha visto la partecipazione di un pool di produttori tra cui Andrea Occhipinti, presente alla prima proiezione. Gli ingredienti abituali del noir sono la presenza di una femme fatale e di un detective. L’ambientazione più classica è nella provincia americana. Un cast di sceneggiatori di pregio lavorava dietro le quinte. Nomi come quelli di Cornell Woolrich (o William Irish che dir si voglia) e James Hadley Chase sono dei capostipiti del genere. Nella pellicola d’avvio giganteggia Barbara Stanwick in un’intricata storia di scambio di persone, una tematica che riaffiorerà spesso in Hitchcock o nei film tratti dai libri di Patricia Highsmith. Va da sé che la sala era ai limiti del tutto esaurito, a sottolineare il gradimento dell’iniziativa, nonostante la concorrenza dei film di Cannes, in proiezione nella sale romane. Onore al merito del regista Leisen, capace di passare con disinvoltura dalla commedia brillante al noir. Ma nomi illustri transiteranno nella rassegna anche considerando la densità di quanto ci hanno lasciato scrittori come Raymond Chandler o Dashiell Hammett. L’apertura mattutina enfatizza le possibilità del botteghino secondo una modalità molto cara alla Francia.

data di pubblicazione:30/09/2024

LA CENA di Giuseppe Manfridi

LA CENA di Giuseppe Manfridi

progetto teatrale e regia di Walter Manfrè, con Andrea Tidona, Chiara Condro, Stefano Skalkotos, Giulio Pampiglione. Una produzione Zerkalo

(Teatro Binario 30 – Roma, 28 settembre/20 ottobre 2024)

Crudele partita a quattro con omaggio allo scomparso Manfrè. Trentadue anni dalla creazione ma lo spettacolo non invecchia nella sua originale formula. Trenta spettatori al tavolone rinascimentale, un bicchiere di vino calabrese (Cirò) per gradire. L’incontro tra un padre e un genero si rivela una rovinosa sfida che passa per il conflittuale rapporto con la figlia.

Piatti rotti, tensione alle stelle fino alla scazzottata finale. A pochi centimetri il pubblico che non è chiamato a intervenire ma ad assistere. Non ho mai respirato uno spettacolo così’ vicino all’attore. A venti centimetri da Andrea Tidona, nell’ovvia abolizione del palcoscenico, per gustarne l’irrequieta capacità di mattatore nel mantenimento mimetico di un vivo senso di pericolo per quello che potrà accadere a momenti. Alimentando scommesse che sono assegni strappati a rimarcare il tic sempliciotto dell’aspirante sposo. Il terzo uomo è il cameriere che doveva essere marito e non è lo è stato. Perché c’è sempre un padre di mezzo a influenzare scelte ed umori degli astanti, figlia compresa. Tidona è il regista virtuale dell’architettura teatrale, dialoghi roventi e tempestosi. Così il cibo prodotto in scena (un brodo, un rollè con contorno di patate) diventa un fastidioso fardello di cui liberarsi. Tidona aveva già vissuto un’esperienza del genere nel Valle che fu occupato. Se il teatro è conflitto questa è la sua assoluta epitome. Nell’occasione Binario 30 si propone come la più piccola struttura romana anche se gli spettatori nelle successiva proposte potranno diventare 60. Un’associazione culturale chez Stazione Termini che rappresenta un’originale novità nella stagione appena decollata. I quasi omonimi Manfrè e Manfridi accomunati negli applausi.

data di pubblicazione:30/09/2024


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BRENNERO – serie Tv su RAIUNO, 2024

BRENNERO – serie Tv su RAIUNO, 2024

A Bolzano cresce l’inquietudine per una serie di delitti che lasciano pensare a un serial killer. Una giovane PM, figlia di un magistrato e un ispettore caduto in disgrazia, si ritrovano a districare la complessa vicenda. Assai liberamente ispirata a quella del c.d. Mostro di Bolzano che riempì anni prima le cronache giudiziarie.

Non capita spesso, ma anche RAI riesce a sorprenderci con delle realizzazioni di buon livello. È il caso di Brennero, fiction articolata nella sua prima stagione in 8 episodi della durata di 50 minuti ciascuno. La serie è diretta da Davide Marengo e Giuseppe Bonito che si alternano alla regia ed è trasmessa su RAI UNO dal 16 settembre al 7 ottobre. Interamente fruibile su RAIPLAY da subito. A beneficio dei più giovani, ricordo che l’Alto Adige o Sud Tirol che dir si voglia, fu teatro negli anni a cavallo tra il 60 e il 70 di una serie di attentati dinamitardi da parte di frange separatiste di lingua tedesca che miravano a separarsi dall’Italia ed essere riannessi al Tirolo austriaco. Fortunatamente le cose si risolsero attraverso interventi repressivi e diplomatici e la pace tornò in quelle meravigliose lande.

Riguardo alla fiction che è definibile di genere “giudizial-poliziesco” va detto che qualche rimando a quella storia, seppure larvato, c’è, come pure non è sottaciuta la differenza tra gli abitanti di Bolzano appartenenti alle due differenti etnie. Vivaddio! I protagonisti parlano ora italiano ora tedesco (gentilmente sottotitolato). C’è dunque nella produzione un’attenzione, inconsueta per questo genere, dettagli di non poco conto. Peraltro risulta apprezzabile la caratterizzazione dei protagonisti e degli altri interpreti. Nei ruoli principali Elena Radonicich è la bella PM, Eva Kofler, ovviamente di lingua tedesca, ma quando serve con perfetto italiano in quanto funzionaria dello Stato. Abbastanza credibile nel ruolo di PM alle prime armi, seppure inevitabilmente criticata in quanto figlia dell’ex Capo Procuratore e moglie del Prefetto. Eva viene affiancata nelle indagini dal bravo e più che mai tenebroso, Matteo Martani nel ruolo di Paolo Costa, ispettore refrattario alle gerarchie, ma dotato di fascino e buon intuito. L’incipit della storia è il ritrovamento del cadavere di un uomo di cultura tedesca che induce gli inquirenti a pensare al serial killer, noto come “il Mostro-di-Bolzano” che già negli anni prima aveva compiuto sei delitti ai danni di uomini di madrelingua tedesca. Proprio l’ispettore Costa, a suo tempo, alla ricerca di questo assassino, era stato vittima di un incidente in cui aveva perso la vita la sua collega di indagini e lui stesso ci aveva rimesso una gamba. Della vicenda si era interessato il Procuratore Gerhard Kofler, padre di Eva, ora in pensione e malato di Alzheimer. Inutile dire che inizialmente i rapporti professionali e personali fra la PM e l’ispettore non saranno dei migliori, ma, si sa, nelle fiction RAI, in seguito tendono a migliorare su ogni versante. Dunque, nonostante qualche inevitabile stereotipo e situazioni di raccordo volte ad allungare “il brodo” (ma lo fanno tutti gli scrittori nostrani di gialli!), gli episodi si dipanano intriganti e risultano ben girati e con ambientazioni suggestive e non usuali. Del cast ho già elogiato i meriti, direi quindi che, al di là delle inevitabili critiche dei giallisti doc, si tratta di una serie di livello superiore alla media e certamente godibile.

data di pubblicazione:29/09/2024