LA VÈRITÈ di Kore-Eda Hirokazu, 2019

LA VÈRITÈ di Kore-Eda Hirokazu, 2019

(76. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia)

Autore del recente Un affare di famiglia, ma anche di Father and Son, Little sister e Ritratto di famiglia con tempesta, Kore-Eda Hirokazu con La vérité apre, in Concorso, la 76. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Il regista giapponese, che nel 2003 aveva scritto questa storia nella forma di una pièce teatrale che prevedeva come unica ambientazione il camerino di un’attrice, ha deciso di far debuttare la sua idea sul grande schermo girando la pellicola a Parigi con interpreti francesi d’eccezione, non rinunciando tuttavia nella prima e nell’ultima scena a due splendide inquadrature di alberi autunnali che, con il cadere lieve delle foglie, ci traghettano in quel suo mondo poetico che ben conosciamo, in cui ciò che si prova emotivamente è più importante di ciò che viene provato dalla realtà dei fatti.

 

Fabienne (Catherine Deneuve) è una star del cinema francese che ha di recente pubblicato un’autobiografia in cui sua figlia Lumir (Juliette Binoche), che vive a New York sposata ad un mediocre attore americano (Ethan Hawke) e madre a sua volta, non si riconosce. Il confronto tra madre e figlia, quest’ultima accorsa a Parigi per la presentazione del libro, sarà necessario ad entrambe per far emergere “la verità” sui loro rapporti, sul loro differente modo di sentire, sui loro rancori ancora molto vivi e sulle loro ripicche che hanno portato entrambe a vivere in modo diametralmente opposto le loro esistenze. Fabienne è una donna libera, autonoma, che non rinuncia ad essere attrice anche nella vita, perché per lei recitare è la cosa più importante della sua esistenza; mente Lumir sembra volerle ogni giorno dimostrare che al contrario è la famiglia la cosa più importante, dando costantemente di sé un’immagine di donna realizzata come moglie e come madre, pur essendo una apprezzata sceneggiatrice. In questa altalena continua tra realtà e finzione ma, soprattutto, di quanto di vero si è disposti a mettere in gioco nella interpretazione di un personaggio, si alimenta la nuova storia di Kore-Eda che già ci aveva dimostrato, nel suo gioiello del 2018 Un affare di famiglia, come si può essere una famiglia senza esserlo realmente, in una finzione più incisiva della realtà.

L’interrogativo se sia davvero più importante la verità di una bugia e quanto di vero possa esserci nel ruolo di attore allorquando si accinge ad immedesimarsi, con il corpo e con la mente, nella vita degli altri, il regista giapponese non lo scioglie lasciando allo spettatore la scelta, usando la metafora del cinema come rappresentazione della verità attraverso la finzione.

La prova delle due interpreti femminili arriva diretta al cuore, culminando quasi sul finale in un confronto che ci fa commuovere, ma anche sorprendere come quando, di fronte ad un’eccellente prova attoriale ci si vergogna un po’, a luci accese, ad asciugarsi le lacrime per averci creduto. Ottime anche le performances di Ethan Hawke e degli altri interpreti maschili, volutamente in ombra, che fanno da cornice a tanto sentire.

La pellicola non raggiunge l’intensità dei precedenti lavori di Kore-Eda Hirokazu, ma non si può che togliersi tanto di cappello di fronte alla bravura del duo Deneuve-Binoche che fanno di questo film, non perfetto, un film emozionante, in cui ognuna ha messo molto di sé come hanno dichiarato durante una affollata conferenza stampa. Distribuito da BIM, uscirà nelle sale il 3 ottobre, sperando che il doppiaggio non rovini proprio questa sinergia che è il vero punto di forza della pellicola.

data di pubblicazione:28/08/2019








 

SEGNALI DI FUMO di Andrea Camilleri – Utet, 2019

SEGNALI DI FUMO di Andrea Camilleri – Utet, 2019

In un’estate foriera di dolorosi lutti l’ultimo libro di Camilleri è commercialmente e editorialmente una preda ghiotta. In veste grafica un po’ dimessa però è l’ultimo regalo dello scrittore siciliano, non si sa quanto propenso alla pubblicazione di questi pensieri sparsi, un diario di viaggio, appunti in libertà sulla vita e sull’esistenza. Non c’è un ordine preciso di catalogazione perché si prescinde dal criterio cronologico. C’è una numerazione che si spinge fino al 142 per indicarci la trama intellettuale, talvolta intimista, talvolta storica, di uno dei più grandi narratori scoperti nel secolo breve, affermatosi in tarda età, immortalmente reso celebre dal personaggio di Montalbano. C’è tanta Sicilia e tanta vecchiezza in questi ritrattini che ci mostrano l’autore nelle pratiche casalinghe di scrittura. Quando mette il vestito buono in omaggio al lettore e si dedica per qualche ora della mattina all’esercizio preferito e amato della scrittura. Si avverte anche stanchezza perché in una riflessione l’autore la confessa manifestatamente, sazio di tessere trame, forsennatamente richiestegli dagli editori. L’arco temporale è vasto. Ci sono situazioni ripensate del fascismo e del dopoguerra in un “Confesso che ho vissuto” umano, persino troppo umano. Pensatore laico, manifestatamente di sinistra, critico sull’imbastardimento della politica e dei costumi, a tratti dissacrante. Un vecchio palesemente giovane perché fresco di mente e di reazioni. Immerso nel suo tempo ma anche censore del mainstream corrente. Chi vuole conoscere a fondo predilezioni e fobie di Camilleri potrò piacevolmente immersi in questa lettura a tratti aneddotica ma sembra sostenuta da uno stile colloquiale e salottiero che mette infinitamente a proprio agio il lettore. Un’opera minore ma anche un messaggio di congedo dal mondo, quasi anticipato qui e lì da toni pessimisti e distaccati. Quasi un presagio del distacco a venire. Un piccolo testamento saggistico che aggiunge cumuli di grandezza a uno scrittore vicino al popolo. Nel segno migliore di quest’ultimo sostantivo.

data di pubblicazione:26/08/2019

METTERSI IN GIOCO? di Armando Zappolini con Mimma Scigliano – San Paolo edizioni, 2019

METTERSI IN GIOCO? di Armando Zappolini con Mimma Scigliano – San Paolo edizioni, 2019

Armando Zappolini è l’onnipresente portavoce di Mettiamoci in gioco, una campagna in rete per la limitazione dell’azzardo che raccoglie sul territorio nazionale l’adesione di 39 sigle per un totale di nove milioni di iscritti. Trattasi di un bel pezzo di società civile che martella costantemente la politica per ottenere una legge di riordino per un gioco pericoloso che sottrae agli italiani risorse per 110 miliardi (dato del 2018) nel solo comparto legale. Il libro-testimonianza frutto dei suoi sforzi è una fotografia ragionata e credibile dell’esistente di un sistema proditorio che toglie denari all’economia, tempo a lavoro, hobby, iniziative sociali, nel nome del miraggio della grande vincita. La recente insensata vincita al Superenalotto di 209 milioni mostra la fatuità di un sistema che prema il singolo e deprime i perdenti (la collettività) nel segno di una svolta esistenziale che, da solo, il denaro non può dare. Il libro contiene storie e casi umani toccanti di vite e famiglie perse per questa seduzione, il brivido, l’adrenalina dietro una slot machine o persino acquistando caterve di “gratta e vinci”. L’azzardo alimenta una bolla economica, una spirale che va spezzata senza cadere nell’eccesso del proibizionismo. Lo spettro di un’educazione a vasto raggio (nelle scuole, nelle famiglie) è il miglior antidoto a questa piaga. Sottintende un lavoro a lungo termine che non è evidentemente nei piani della macchina istituzionale troppo impegnata a drenare risorse per colmare una piccola falla del debito pubblico. Conoscere i meccanismi dell’azzardo, anche attraverso questo manuale, è un contributo alla comprensione e alla cittadinanza resistente attiva. Non è accettabile che l’induzione all’azzardo crei migliaia di malati patologici, incrinando il tessuto sociale. Camuffare il gioco per azzardo è la grande manipolazione semantica di un sistema che conta su simpatie occulte e lobby manifeste, attive per contrastare in Parlamento ogni piano di riordino.

data di pubblicazione:26/08/2019

L’OSPITE E IL NEMICO di Raffaele Simone- Garzanti editore, ristampa 2019

L’OSPITE E IL NEMICO di Raffaele Simone- Garzanti editore, ristampa 2019

Il linguista Simone negli ultimi anni si è dedicato ad alcuni pamphlet particolarmente incisivi nella rilettura di usi e modi della cultura italiana ed europea. La sua ultima pubblicazione contiene un punto di vista insolito e tutt’altro che buonista rispetto al tema della grande migrazione, chiave di volta per il successo politico della Lega all’insegna del generale grande rifiuto degli italiani rispetto al diverso che viene dall’Africa. La valutazione non può prescindere dall’analisi del pregresso. Forse è nella generale distrazione della politica che 600.000 clandestini si sono insediati nei confini patri. E il permissivismo oggi non rischia di ricadere come un boomerang sui colpevoli mallevadori di questo diffuso permissivismo? Simone ci fa riflettere sul tema: gli ospiti sono per caso nemici che vogliono rubarci il welfare faticosamente conquistato? C’è da scavare nell’antropologia e in parte anche nella psichiatria per percepire il sentimento dei connazionali e del marketing politico che ne sfrutta la loro diffidenza per arrivare a un’analisi rigorosa di pro e contro, tra bisogno di manodopera, generoso spirito di accoglienza e geopolitica. Trattasi di materia delicata, a tratti aggrovigliata, spesso risolto con spirito pregiudiziale. O di qua o di là. Vedi le reazioni rispetto al comandante Rackete. In realtà è doverosa la problematicità rispetto a materia complessa. C’è il complesso del post-colonialismo, dell’Europa colpevole che deve restituire quello che ha tolto (diremo soprattutto la Francia) e, sull’opposto versante, quella che Simone definisce la Grande Sostituzione ovvero il sospetto che una nuova religione possa insediarsi nel vecchio continente soppiantando un sistema di valori collaudato e funzionale, incrinato da massici apporti di materia prima umana. L’autore è al disopra delle parti e non necessariamente politicamente corretto rifiutandosi di obbedire al mainstream contemporaneo. Agita il sottile gusto della provocazione che, a differenza del pensiero dei politici, si permette di volare più in alto, rivisitando anche la storia delle migrazioni che parte della Grecia e continua fino ai nostri giorni in una linea spezzata, dialettica e spesso conflittuale.

data di pubblicazione:30/07/2019

76. MOSTRA INTERNAZIONALE D’ARTE CINEMATOGRAFICA – LA BIENNALE DI VENEZIA 29.08—–8.09 2018: IL PROGRAMMA

76. MOSTRA INTERNAZIONALE D’ARTE CINEMATOGRAFICA – LA BIENNALE DI VENEZIA 29.08—–8.09 2018: IL PROGRAMMA

Alberto Barbera, nella cornice ormai consueta del Cinema Moderno di Roma, svela (ma non troppo) le proiezioni che scandiranno la 76. edizione della Mostra d’arte cinematografica di Venezia, che si terrà al Lido dal 28 agosto al 7 settembre.

Stando alle parole del Direttore, mai come quest’anno la Mostra sarà Donna. Non solo per il significativo numero di registe presenti nelle diverse Sezioni, ma soprattutto perché il tema della condizione femminile e, in particolare, quello della violenza contro le donne, individua una delle “tendenze” ricorrenti dei film di questa edizione.

Un altro significativo Leitmotiv, a più riprese sottolineato da Alberto Barbera, è costituito da film che riflettono sul passato alla evidente finalità di meglio comprendere il presente. Così, per esempio, Citizen Rosi (di Didi Gnocchi e Carolina Rosi, nella Sezione Fuori Concorso) non è solo un ricordo di Francesco Rosi, ma un modo di ripercorrere la storia di Italia attraverso i lavori di uno dei cineasti più attenti alla descrizione della nostra contemporaneità.

Non mancheranno, infine, i generi (guerra, thriller, animazione), a conferma che anche le nuove generazioni non rinunciano del tutto alle “stampelle” offerte da schemi narrativi consolidati, sebbene rivisitati e adattati alle nuove esigenze del linguaggio cinematografico.

Quanto agli italiani, si segnalano Francesca Archibugi (Vivere), Gabriele Salvatores (Tutto il mio folle amore) e Andrea Segre (Il pianeta in mare) nella sezione Fuori Concorso; Pietro Marcello (Martin Eden), Franco Maresco (La mafia non è più quella di una volta), Mario Martone (Il sindaco del Rione sanità) e Ciro Guerra (Waiting for Barbarians, con Johnny Deep) rappresentano invece il nostro Paese in Concorso.

È targata Italia (e porta il nome di Luca Barbareschi) anche la produzione dell’atteso J’accuse di Roman Polanski, una documentata ricostruzione dell’Affaire Dreyfus che, ovviamente, mantiene sempre ben focalizzata la prospettiva sul presente.

C’è anche tanto made in USA nella Selezione ufficiale: Marriage story di Noah Baumbach (con Scarlett Johansson, Adam Driver, Laura Dern, Alan Alda, Ray Liotta, Julie Hagerty), Ad astra di James Gray (con Brad Pitt, Tommy Lee Jones, Ruth Negga, Liv Tyler, Donald Sutherland), l’attesissimo Joker di Todd Phillips, prequel della saga di Batman con Joaquin Phoenix e Robert De Niro e il ritorno di Steven Soderbergh con The Laundromat (con Meryl Streep, Gary Oldman, Antonio Banderas, Jeffrey Wright, Matthias Schoenaerts, James Cromwell, Sharon Stone).

Torna in Concorso Roy Andersson (About Endlessness), già vincitore del Leone d’oro nel 2014 con Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza.

Promettono bene, inoltre, Ema di Pablo Larraín e The perfect candidate di Haifaa Al-Mansour.

Tra le proiezioni speciali fuori concorso si segnalano Irréversible-Inversion intégrale, che Gaspar Noé ha montato nella sequenza cronologica invertita (e dunque “regolare”) rispetto a quella della versione originale, e Eyes Wide Shut, accompagnato dal breve documentario Never just a dream, che racconta “il sogno” di Stanley Kubrick.

Il film di apertura della Mostra sarà La verité di Kore-Eda Hirokazu (in Concorso), con Catherine Deneuve e Juliette Binoche, mentre Venezia 76. sarà chiusa da The Burnt Orange Heresy di Giuseppe Capotondi (Sezione Fuori Concorso). Le serate di apertura e di chiusura saranno condotte da Alessandra Mastronardi.

Le giurie sono così presiedute: Lucrecia Marcel (Venezia 76), Susanna Nicchiarelli (Orizzonti), Emir Kusturica (Venezia Opera Prima Luigi De Laurentiis), Laurie Anderson (Venice Virtual Reality), Costanza Quatriglio (Venezia Classici).

Ecco qui di seguito tutti i film in Concorso e…arrivederci al Lido con Accreditati!

  • La vérité di Hirokazu Kore-Eda
  • The Perfect Candidate di Haifaa Al-Mansour
  • About Endlessness di Roy Andersson
  • Marriage Story di Noah Baumbach
  • Wasp Network di Olivier Assayas
  • Guest of Honor di Atom Egoyan
  • Ad Astra di James Gray
  • A Herdade di Tiago Guedes
  • Gloria Mundi di Robert Guédiguian
  • Waiting for the Barbarians di Ciro Guerra
  • Ema di Pablo Larraín
  • Saturday Fiction di Lou Ye
  • Martin Eden di Pietro Marcello
  • La mafia non è più quella di una volta di Franco Maresco
  • The Painted Bird (Nabarvené ptáče) di Václav Marhoul
  • Il sindaco del rione Sanità di Mario Martone
  • Babyteeth di Shannon Murphy
  • Joker di Todd Phillips
  • J’accuse di Roman Polanski
  • The Laundromat di Steven Soderbergh
  • 7 Cherry Lane di Yonfan

                                                                              data di pubblicazione:26/07/2019

IL SIGNOR DIAVOLO di Pupi Avati, 2019

IL SIGNOR DIAVOLO di Pupi Avati, 2019

Nell’autunno del 1952 Furio Momentè, giovane ispettore del Ministero di Grazia e Giustizia, viene mandato in missione riservata a Venezia per seguire la fase istruttoria di un processo molto singolare. L’imputato è Carlo, un ragazzo appena quattordicenne reo confesso di aver ucciso Emilio, figlio deforme di una ricca possidente e che, secondo le voci della gente del luogo, avrebbe sbranato a morsi la sorellina in un raptus diabolico. Subito dopo il suo arrivo, il giovane funzionario ministeriale sarà coinvolto in una serie di eventi che metteranno seriamente a rischio la sua incolumità personale.

 

 Dopo qualche anno di assenza, Pupi Avati ritorna sul grande schermo con un film di genere o meglio del “suo genere” preferito, un lavoro ben curato che riesce a dialogare molto con La casa dalle finestre che ridono (1976) oggi considerato un cult dagli amanti del romanzo gotico, in cui è facile riscontrare elementi propri del soprannaturale e del terrore e che, ne Il Signor Diavolo, assumono una dimensione più specifica: c’entrano la sacralità ed argomenti che hanno a che fare con l’eterna lotta tra il bene e il male. Sembra quindi necessario dare al diavolo il rispetto che gli si deve, ecco perché esso è degno di considerazione non solo per quello che fa, ma in parte perché ci appartiene, con sfaccettature ovviamente diverse. Il film senza dubbio inchioda alla poltrona, e lo spettatore trattiene il respiro assecondando quell’atmosfera di sospensione che il regista vuole trasmettere, quella sacralità del male che lo accompagna sin dall’età adolescenziale, quando agli inizi degli anni cinquanta da chierichetto aveva a che fare con i preti, epoca in cui la figura del sacerdote era associata alla morte, dunque al male in funzione della salvezza eterna dell’anima. Sono tutti elementi che il regista sembra masticare bene, mostrando con orgoglio quel lato oscuro di sé o quantomeno poco visibile.

In buona parte ambientata a Comacchio, nel Ferrarese, la storia si intreccia in quella parte dell’Emilia Romagna ancora oggi rimasta rurale, sia per mentalità che per modus vivendi, e che quindi ben si adatta al periodo in cui si svolgono i fatti. Un cast d’eccezione ruota intorno a figure di tutto rispetto oramai habitué della cinematografia di Pupi Avati e che hanno trovato in lui il maestro perfetto della propria formazione professionale.

La direzione della fotografia è affidata a Cesare Bastelli che, insieme agli effetti speciali di Sergio Stivaletti, riesce a rendere l’atmosfera veramente cupa e pregna di quel mistero in cui passato e presente sembrano rincorrersi, per aprirci ad un finale del tutto imprevedibile, stravolgimento voluto dallo stesso Avati che ha infatti modificato la conclusione del suo romanzo dal quale è stato tratto il film.

Paura a parte, Il Signor Diavolo che è stato presentato in anteprima alla stampa in questi giorni ed uscirà nelle sale il 22 AGOSTO, segna il ritorno di un grande regista che comunque, sfidando lo scetticismo di molti, è da annoverarsi tra coloro che hanno fatto la storia del cinema italiano.

data di pubblicazione:24/07/2019

SOPRUSO: ISTRUZIONI PER L’USO di Valerio Magrelli – Einaudi editore, 2019

SOPRUSO: ISTRUZIONI PER L’USO di Valerio Magrelli – Einaudi editore, 2019

L’etologia del sopruso potrebbe apparire un approccio esile per un piccolo libro di culto. Ma Valerio Magrelli, critico, poeta, saggista, è bravo a sfruttare l’input per una rivisitazione della maleducazione collettiva di cui siamo vittime nella nostra vita di tutti i giorni. Maleducazione come costume della casa o biglietto da visita per un Paese in decadenza e in vacatio dalle buone maniere. A casa, come al volante o a in vacanza. Un testo estivo che ci ricorda la deriva in cui ci siamo cacciati per il mancato rispetto del prossimo. Magrelli individua nitidamente la figura dell’alterprivo, un soggetto auto-referenziale che invade le spiagge, concede ogni libertà (anche di bagno) al proprio cane, evita di mettere la freccia mentre guida. Insomma, ignora il prossimo in tutte le sue possibili declinazioni. Nel volumetto la messa a fuoco a volte è imprecisa. E non c’è omogeneità di resa retorica tra capitolo e capitolo con qualche indulgenza letteraria estremamente perdonabile. In fondo questo è l’elogio di un distaccato radical chic che vuole evitare di farsi invadere dal volgo. Dunque non c’è discriminante di politica di sinistra, semmai c’è un riferimento alla diade èlite-popolo, così in voga oggi nel dibattito contemporaneo. Magrelli propone il caso personale con l’ipotesi di razzismo sui rossi, cioè su chi ha il pigmento nella pelle di questo colore, rivolgendo la propria ironia al discrimine dell’odore e dei pregiudizi storico. Per Lombroso gli uomini in rosso erano più adusi a commettere crimini a sfondo sessuale. Bizzarre teorie dell’epoca. Magrelli rivolge un’accorata supplica alla burocrazia e ai suoi inafferrabili e poco comprensibili meccanismi. In effetti se a Roma occorrono quattro mesi solo per prendere l’appuntamento per il rilascio di una carta d’identità vuol dire che stiamo vivendo una fase sociale di estremo riflusso. Con un’Italia paziente che si tiene alla larga dall’ipotesi di una rivoluzione. Magrelli compreso dato che l’autore si augurerebbe semplicemente una vita dalla qualità migliore anche in ragione delle tasse che paghiamo.

data di pubblicazione:19/07/2019

SULL’ORLO DEL PRECIPIZIO di Antonio Manzini- Sellerio editore, 2019

SULL’ORLO DEL PRECIPIZIO di Antonio Manzini- Sellerio editore, 2019

C’è il mondo distopico di Fahrenheit 451 in questo piccolo livre de chevet, manuale di ricognizione per l’editoria che verrà da parte di un attore-scrittore che nella propria gavetta ne ha assaggiato i meccanismi. Dunque Giorgio Volpe, scrittore affermato di un’editoria tradizionale (quella delle classifiche, del Premio Strega e del Salone del libro) si trova proiettato in un’altra dimensione quando la sua casa editrice viene venduta a una multinazionale il cui unico imperativo categorico è abdicare alle leggi di mercato. Dunque in un crescendo parossistico di censure, di proibizioni lessicali, di moniti esistenziali, il suo reticolo tradizionale di legami, la sua comfort zone di colpo crollerà per lasciare il posto alla produzione di merce, secondo le regole, anche espositive di un supermercato. Il racconto lungo dunque è la progressiva esposizione a un incubo senza ristoro, del crollo esponenziale del concetto di letteratura. Spariranno valori, ideologie nel grado zero della produzione e del consumo. Una visione terrificante che però appartiene, profeticamente, anche a un pezzo di presente dell’industria del libro con i suoi oligopoli, la sua società chiusa, il deprezzamento del merito a favore dei valori correnti della pubblicità. Il libro fa sprofondare il protagonista nel grottesco muovendo i tasti del controllo totale da parte del nuovo editore. Che taglia i ponti delle sue conoscenze, minaccia i familiari, per esaltare il proprio potere e costringere Volpe alla sofferta pubblicazione di un capolavoro ormai deformato. E l’unico critico che oserà muovere una contestazione a questo prodotto di laboratorio farà una brutta fine. Trattasi della descrizione di una società dal pensiero unico la cui unica possibilità per l’autore è l’accettazione di un indottrinamento coatto. Siamo tanto sicuri che il quadro disegnato da Manzini non sia direttamente il futuro prossimo? Senza neanche aspettare il 2050 vaticinato dai futurologi. L’editoria appare come un mondo repellente da cui occorre star lontani. Come pensano il 56% degli italiani che non leggono un solo libro nel corso di un anno solare.

data di pubblicazione:17/07/2019

CONCERTO FISICO di Michela Lucenti del Balletto Civile

CONCERTO FISICO di Michela Lucenti del Balletto Civile

(Teatro India – Roma, 10 luglio 2019)

Il 10 luglio il Teatro India di Roma ha ospitato la compagnia Balletto Civile con lo spettacolo Concerto Fisico nell’ambito di Fuori programma, Festival Internazionale di Danza Contemporanea, alla sua quarta edizione, sotto la direzione artistica di Valentina Marini. Concerto Fisico è il nuovo progetto creato e performato da Michela Lucenti che è anche la fondatrice della Compagnia, costruito attorno al precario equilibrio che esiste tra sanità e pazzia tra esperienza e conoscenza in un convulso mix di musica, canto, danza, recitazione e filosofie orientali.

 

Una composizione che esplora il concetto tibetano di BAR-DO dove BAR significa TRA e DO significa ISOLA, il punto di riferimento quindi che si trova tra due cose come un’isola in mezzo ad un lago, il momento di passaggio tra passato e futuro, un intervallo dinamico e sofferto che risveglia gli accenti emotivi di un ricordo che è ancora il presente. E’ il racconto di come ci si trasforma e si evolva, prima che tutto scompaia come non fosse mai esistito.

L’approccio creativo sviluppato nella performance si basa sui canoni classici di Balletto Civile, ovvero una ricerca basata sul movimento che emerge dalla profonda relazione scenica tra spazio, mezzi e artisti attraverso l’utilizzo di un linguaggio totale dove il teatro, la danza e il canto originale interagiscono naturalmente. Ecco allora che l’ingresso della regista e coreografa nonché unica interprete, Michela Lucenti, tra coperte termiche e il disegno sonoro live a cura di Tiziano Scali e Maurizio Camilli porta con sé tutto il bagaglio di esperienze, studi, teatro, danza, inevitabilmente interrelato al contesto storico, sociale, politico e culturale di riferimento.

Una danza irrequieta e chiusa, a volte distaccata unita a una voce che è un monito fuori dal coro, decisamente interessanti ma  forse un po’ troppo astratte per essere interiorizzate pienamente.

data di pubblicazione:17/07/2019

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NUREYEV – THE WHITE CROW di Ralph Fiennes, 2019

NUREYEV – THE WHITE CROW di Ralph Fiennes, 2019

La mattina del 16 giugno 1961 Rudolf Nureyev era in procinto di lasciare Parigi dopo che si era esibito con successo all’Opéra insieme alla Compagnia di Balletto del Teatro Kirov di Leningrado; la destinazione successiva della tournèe sarebbe stata Londra, prolungando così lo strepitoso trionfo soprattutto personale al di fuori dell’Unione Sovietica. Già in aeroporto, oramai pronto insieme agli altri ballerini per prendere il volo, alcuni funzionari del KGB, che non lo avevano mai perso di vista durante la permanenza parigina, gli comunicano che per un improvviso cambio di programma dovrà rientrare subito a Mosca per una esibizione straordinaria al Cremlino. Nureyev intuisce subito che tornato in patria non sarebbe più stato autorizzato a lavorare all’estero e decide di consegnarsi alla polizia di frontiera richiedendo formalmente asilo politico alla Francia.

 

 

Oramai archiviate le celebrazioni per i venticinque anni dalla scomparsa di Rudolf Nureyev, avvenuta proprio a Parigi nel gennaio del 1993, viene presentato nelle sale italiane il film che Ralph Fiennes ha diretto, e in parte interpretato, sulla figura straordinaria del ballerino più acclamato di tutti i tempi. Non tutti sanno che il suo lavoro come coreografo influenzò in maniera decisiva il concetto di danza in quanto riuscì a fondere insieme il balletto classico con quello moderno e diventando altresì il precursore di uno stile ancora oggi preso a modello dai ballerini di tutto il mondo. Nureyev, notoriamente molto impulsivo e poco incline al rispetto dell’ordine gerarchico, riuscì infatti a sovvertire le rigide regole impostegli nel balletto e ad accentuare l’importanza del ruolo maschile che sino a quel momento era stato mantenuto sotto tono rispetto a quello femminile. Proprio sulla lettura del suo singolare carattere si base il film di Fiennes senza soffermarsi troppo nel voler raccontare tout court gli esordi professionali dell’artista, quanto piuttosto il suo carattere e quanto questo influenzò la sua carriera e la sua vita. Nureyev sin da bambino aveva percepito la vocazione verso la danza nonostante le difficoltà ambientali e familiari in cui era inserito, prima a ridosso del secondo conflitto mondiale, e successivamente in piena guerra fredda quando l’Unione Sovietica soffriva di un totale isolamento politico.

Partendo da questi fatti il regista, che nel film si ritaglia per sé il ruolo del famoso coreografo del Teatro Kirov Alexander Pushkin, maestro oltre che di Nureyev anche di Baryshnikov, affida coraggiosamente il ruolo di protagonista a Oleg Ivenko, ucraino di 22 anni, famoso come ballerino della Tatar State Oper, ma alla sua prima volta davanti alla macchina da presa come attore. Dai ripetuti primi piani di Oleg si scorge una forte somiglianza con il grande Rudolf e, nonostante l’assoluta mancanza di esperienza cinematografica, il neo attore riesce ad esprimere il carattere deciso, spigoloso ed a tratti arrogante del grande ballerino; ma è con il suo talento professionale che Oleg riesce a sintetizzare la fisicità di Nureyev, la cui tecnica lo rendeva talmente leggero da rimanere sospeso e fuori da ogni reale dimensione.

Girato tra Parigi e San Pietroburgo, Nureyev-The white crow è un prodotto autoriale di tutto rispetto che riesce a mettere a nudo l’anima del grande ballerino-coreografo, ribelle e dissidente, capace di determinare il suo percorso personale e professionale contro ogni schema precostituito. Ralph Fiennes focalizza l’attenzione sul personaggio nella sua intimità più che realizzare un semplice biopic, confezionando così un sentito omaggio verso un ballerino che ha lasciato il suo segno indelebile nel mondo della danza e non solo.

data di pubblicazione:15/07/2019


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