MARATONA DI NEW YORK di Edoardo Erba, regia e adattamento di Andrea Bruno Savelli

MARATONA DI NEW YORK di Edoardo Erba, regia e adattamento di Andrea Bruno Savelli

(OFF/OFF Theatre – Roma, 26 febbraio/3 marzo 2019)

Maratona di New York di Edoardo Erba uno dei testi teatrali contemporanei più rappresentati al mondo, è in scena all’OFF/OFF Theatre di Roma dal 26 febbraio al 3 marzo 2019. Un progetto rappresentato da oltre vent’anni che è anche una prova fisica di resistenza con gli attori impegnati a correre per l’intera durata della pièce. Il nuovo allestimento, proposto da Andrea Bruno Savelli, presenta una nuova sfida in quanto le protagoniste sono due donne.

 

 

Da una parte c’è una leader, nella corsa così come nella vita, una donna determinata, forte e sicura (interpretata da Fiona May) e dall’altra la sua amica, più insicura, incerta, fortemente legata ad un passato dal quale non riesce a separarsi (interpretata da Luisa Cattaneo). Le due donne devono allenarsi tutti i giorni per prepararsi alla maratona di New York. Inizia l’allenamento ed inizia il dialogo tra le due, con un incedere progressivo anche verbale che scandisce i ritmi e delinea lo stato d’animo di entrambe. Aumenta la velocità ed aumentano i battiti e le emozioni, si inizia a definire un orizzonte difficilmente percepibile ad inizio dell’allenamento. Per tutta la durata dello spettacolo le due donne sviluppano una vera corsa, che cresce insieme all’enfasi per una vicenda che pian piano comincia a rivelarsi in tutta la sua drammaticità. D’un tratto i riferimenti, la strada, le chiavi della macchina, il contesto, i ricordi cominciano a sbiadirsi ed appare quella che è la vera meta. Un’affannata corsa fisica ed emotiva nel profondo delle loro esistenze.

La Maratona di New York è un inno all’amicizia al femminile, uno spettacolo forte e moderno che si estende a qualsiasi idea di vicinanza umana. Un confronto tra due donne tra determinazione e insicurezza, tra passato e futuro che è anche un incontro fra due amiche, che si confidano dubbi, paure e incertezze, cadendo e ferendosi proprio come accade in una corsa reale, che questa volta è, un’estrema ultima volata. Una drammaturgia dallo straordinario impatto emotivo dove il gesto sportivo diventa una metafora del percorso della vita. Un percorso immaginario che, tra ostacoli, fatica, sudore, ricordi, tempo e spazio sospesi, celebra la storia di un’amicizia sincera e fraterna.

data di pubblicazione:03/03/2019


Il nostro voto:

W LE DONNE di Riccardo Rossi e Alberto Di Risio

W LE DONNE di Riccardo Rossi e Alberto Di Risio

(Sala Umberto – Roma,26 febbraio/ 3 marzo 2019)

La Trilogia di Riccardo Rossi in scena al Teatro Sala Umberto si chiude con un vero e proprio manifesto e inno alle donne.

 

Con W le donne lo spumeggiante Riccardo Rossi porta in scena un omaggio alla figura femminile partendo da una certezza inconfutabile: la donna è brava, lo sa ed è superiore all’uomo. Non a caso, partendo dal dato scientifico dell’analisi dei cromosomi, è sempre stato evidente che l’uomo altro non è che un errore umano “uno scherzo della natura” e difatti – citando Groucho Marx – “Gli uomini sono donne che non ce l’hanno fatta”.

Riccardo – ormai mi prendo la confidenza di parlarne come di un amico, uno di famiglia perché così non può che essere dopo la condivisione di ricordi, episodi, pezzi di vita così vicini e familiari a me come al resto del pubblico – racconta, con il suo tono canzonatorio, burlesco e a tratti irreverente, come la vita dell’“errore umano”, alias l’uomo, sia fin dal primo gemito soggetta/sottomessa alla presenza forte, a tratti “manesca” e devastante della donna: dall’ostetrica, alla madre, passando per la maestra, la sorella, la migliore amica, la prima, seconda e forse la terza moglie, la suocera, l’amante, la nonna fino all’esilarante e incredibile momento di “umiliazione” e terrore con la moglie del portiere! Ciascuno di noi, uomo o donna che sia, può ritrovarsi e riconoscersi in questi piccoli affreschi colorati dalla “chiamata in causa” come esempi concreti di personaggi noti come Mina e Madonna Ciccone. W le donne, però, non regala solo perle di intelligente ironia e ilarità, perché Riccardo al cospetto dell’universale potenza e superiorità della donna, vuole anche raccontarci piccole ansie, imbarazzi, emozioni e sentimenti dell’uomo che, al nostro cospetto, spesso può trovarsi travolto e inciampare sulle sue paure o emozioni. E così, quando legge la lettera scritta da un padre per la figlia – unica “vestale” dell’amore più profondo e infinito che un uomo potrà mai provare e dimostrare per una donna – ti ritrovi emozionata come una bambina. Poi per fortuna irrompe la musica ritmata degli Wham!, asciughi gli occhi lucidi, e si riprende il viaggio tra i “volti” femminili che, con toni e ruoli diversi, accompagnano e accompagneranno per sempre ogni maschio.

Lo spettacolo volge poi al termine con una riflessione verissima che trae spunto da una frase con cui la madre di Riccardo gli ricorda che le generazioni nate dopo di lei, classe 1933, sono vissute – ancora oggi vivono – nell’“ovatta”. Partendo da questo incipit – che ci fa capire e comprendere alcuni atteggiamenti dei nostri genitori che nel quotidiano invece talvolta ci spiazzano o irritano – si snoda una parentesi dolce, vera e poetica dedicata dal protagonista a sua madre che si chiude con il fil rouge dello spettacolo: qualunque ruolo assuma nell’arco della sua vita – madre, sorella, fidanzata, figlia, moglie, suocera – la donna dovrà sempre avere rispetto!

Uno spettacolo arguto da vedere per ridere, sorridere e, soprattutto, emozionarsi!

data di pubblicazione:01/03/2019


Il nostro voto:

PARLAMI DI TE di Hervé  Mimran, 2019

PARLAMI DI TE di Hervé Mimran, 2019

Ispirato alla storia vera del Numero Uno di Peugeot-Citroen, il film racconta di Alain (Fabrice Luchini) Direttore di Impresa, docente universitario, oratore brillante, uomo iperattivo ed egocentrico, con una vita pressata fra mille impegni fino al giorno in cui un ictus lo colpisce menomandolo nella memoria e nell’eloquio. Alain è così costretto ad avviare un percorso di rieducazione che lo porta a riscoprire i veri valori della vita ed a ricostruire relazioni ed affetti prima trascurati.

 

Dopo il successo nel 2011 di Quasi Amici, sembra ormai essere divenuta una peculiarità, quasi un “filone” della cinematografia francese affrontare il tema dell’incontro con la disabilità o l’handicap, di volta in volta, con i giusti toni di tenerezza, delicatezza o anche scherzosità. Abbiamo apprezzato, tanto per citarne alcuni, La Famiglia Bélier (2014) e Tutti in Piedi (2018), ed oggi è il turno di Parlami di Te. Con il suo film il cineasta francese Mimran ci parla della caduta e ricostruzione di un uomo e si propone di offrirci anche lo spunto per una riflessione sulla fragilità della Vita e l’occasione per criticare la perdita di relazioni umane in una Società sempre più pressata dall’urgenza e dai ritmi del lavoro, ricordandoci che invece occorrerebbe piuttosto ritrovare il tempo e l’attenzione per se stessi ed i propri affetti.

Visto il garbo ed il successo dei film precedenti ed ancor più anche la presenza di un grande attore come Luchini, ci si attendeva di sicuro un altro film francese gradevole. Ahinoi, anche le ciambelle francesi a volte escono insipide! E questa è veramente sciapa, stucchevole e priva di originalità!

Intenzioni e presupposti ammirevoli ci sono, ma manca purtroppo un risultato adeguato. Il tema e gli interpreti davano infatti al film un buon potenziale, ma, dopo un inizio promettente il regista perde il ritmo narrativo, cade di tono e di inventiva e la storia, priva di una solida sceneggiatura, inizia a girare a vuoto, avvitandosi su se stessa in ripetizioni e disperdendosi in lungaggini ed in storie secondarie inutili. Il risultato è che si accumulano così le ripetizioni senza mai riuscire a decollare, perdendo tutto il brio, la poeticità ed il potenziale narrativo che si era intravisto. La linea scelta dal regista sembra infatti privilegiare un intrattenimento privo di sottigliezza e delicatezza, spesso poi anche prevedibile, se non anche banale.

Prova a salvare, o meglio, a reggere tutto il film la prestazione di Luchini (un grande attore apprezzato soprattutto per le sue capacità recitative), con il suo spaesamento fisico, con i suoi farfugliamenti ed i suoi giochi di parole deformate per effetto dei problemi cognitivi. Giochi di parole che, a volte, riescono ad essere anche divertenti malgrado la loro ripetitività e la notevole perdita di ambiguità lessicale nel doppiaggio in italiano. Ma è veramente un po’ poco! Mancano del tutto quella tenerezza, quel garbo e quell’emozione che il tema o le intenzioni avrebbero potuto apportare con un po’ più di semplicità narrativa e senza inutili ingombri. Volendo forse fare troppo il film diviene progressivamente irritante per la sua banalizzazione del tutto incoerente poi rispetto al personaggio ed all’argomento affrontato.

Alla fine ne risulta un film convenzionale, prevedibile e senza originalità che non trova la sua giusta dimensione, cui non sempre basta un bravo Luchini per dare spessore al quasi nulla. Anzi, lo stesso Luchini corre sovente il rischio di confondersi e farsi travolgere dal nulla. Peccato!

Orario di punta, cinema ai Parioli, e… solo 4 persone in sala!!

data di pubblicazione:01/03/2019


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LUCIANO diretto e interpretato da Danio Manfredini

LUCIANO diretto e interpretato da Danio Manfredini

(Teatro India – Roma, 26/28 febbraio 2019)

Luciano è un uomo ormai invecchiato. Catturato nella sconcertante solitudine della sua esistenza, racconta confuso brandelli di storia passata, popolata di scene e personaggi, fantasmi di avventure che riprendono vita davanti ai suoi occhi.

 

Suscita compassione e commozione il personaggio creato da Danio Manfredini, un disabile psichico, inconsapevolmente ironico per un pubblico che si lascia sorprendere ancora dalla diversità, omosessuale, ossessionato da ricordi dolorosi e storie di personaggi che vivono a margine della società. Fasci di luce sulle tavole del palco illuminano sentieri che ripercorre claudicante e dal buio, improvvisamente, prendono forma i suoi deliri e le voci che sente nella mente. Sono luoghi notturni della periferia di una Milano anni ’70 o ’80, battuage all’aperto di un bosco o al chiuso di una latrina della Stazione Centrale, come anche un cinema a luci rosse e un cruising bar. Popolati da personaggi che hanno tutti un nome, un’identità, e quindi una storia. Hanno maschere che rendono inespressivi i loro volti e di conseguenza invisibile il loro dolore o la loro rabbia. Sono gli abitanti di un mondo dimenticato da tutto e da tutti, dove la prostituzione e i furti prolificano e diventano lo scopo del contatto tra esistenze lacere e consumate. Luciano è il poeta che da voce a tutto questo, attraverso un lirico monologo che echeggia e rimpasta una personale antologia fatta versi illustri appartenuti a Dante Alighieri, Alessandro Manzoni, Grazia Deledda. Tra filastrocche e poesiole lo spettatore è trascinato nello spazio mentale del protagonista e da lì ne esce come triturato e pestato. Ogni esistenza è un raggio di sole, ma la vita in fondo cos’è?

Danio Manfredini sarà impegnato fino a domenica al Teatro India con lo spettacolo Al presente, seconda parte del dittico aperto con Luciano, e poi ancora dal 22 al 24 marzo al Teatro Biblioteca Quarticciolo con Vocazione.

data di pubblicazione:28/02/2019


Il nostro voto:

SHAKESPEA RE DI NAPOLI composto e diretto da Ruggero Cappuccio

SHAKESPEA RE DI NAPOLI composto e diretto da Ruggero Cappuccio

(Teatro Piccolo Eliseo Roma, 21 febbraio/3 marzo 2019)

È notte sulla spiaggia di Posillipo. Una luce lunare illumina appena il corpo di Desiderio, un attore appena ritornato dall’Inghilterra, dove con molta probabilità ha avuto modo di recitare al Globe con la compagnia dello stesso Shakespeare. A dare ascolto ai suoi racconti un amico, Zoroastro, presunto alchimista.

 

Il testo di Ruggero Cappuccio celebra i suoi venticinque anni sui palcoscenici italiani e esteri. La coppia di attori Claudio De Palma (Desiderio) e Ciro Damiano (Zoroastro) dimostra con bravura artigiana di essere affiatata sulle tavole di questa scena seicentesca. Il testo è scritto in un napoletano antico, il lessico è di difficile comprensione, ma la bravura degli interpreti restituisce un ritmo e una musicalità alla quale l’orecchio dello spettatore, superata l’incomprensione iniziale, si abitua. E avviene allora che come in un sogno, di cui non si ricordano tutti i particolari, le immagini cominciano ad apparire nella mente e si montano da sole, tra le suggestioni della lingua e i piani di comprensione aperti da altri fattori significanti.

Desiderio sembra un attore rotolato giù rovinosamente da un palco di tavole da Commedia dell’Arte. Il suo racconto parla di un’avventura a Londra. Una sera di carnevale, durante un ballo a palazzo, si imbatte in una maschera. Pensando inizialmente di trovarsi davanti al viceré scopre invece che davanti a lui c’è proprio William Shakespeare. Nel titolo della pièce si gioca con il nome del bardo inglese, che per il dialettale fenomeno dell’apocope perde la sillaba finale, la quale diventa invece l’appellativo principale che lo innalza a viceré della città partenopea, almeno per una notte, quella durante la quale si svolge il ballo di carnevale. Da qui il viaggio verso l’Inghilterra e l’ingaggio presso il grande teatro inglese. Ad ascoltare le sue storie il vecchio amico di un tempo, Zoroastro, che di storie ne ha anche lui da raccontare, in una Napoli dove non è facile cavarsela per vivere.

Nell’impianto scenico domina la notte, con la simbologia ad essa connessa di morte e sogno. Ed è proprio della morte che i personaggi prendono coscienza nello svolgersi dei fatti. Le luci sono impostate secondo una chiara ispirazione caravaggesca. Le forme dei corpi prendono vita dal buio che li circonda, come fossero partoriti dal misterioso fondale. Nulla si conosce del contesto che li abbraccia. È lo spazio della mente. Esistono solo i due guitti e lo stridere musicale delle loro esistenze.

data di pubblicazione:25/02/2019


Il nostro voto:

LA CENA DELLE BELVE di Vahe Katcha, versione italiana di Vincenzo Cerami – regia associata di Julien Sibre e Virginia Acqua

LA CENA DELLE BELVE di Vahe Katcha, versione italiana di Vincenzo Cerami – regia associata di Julien Sibre e Virginia Acqua

(Teatro Quirino – Roma, 19 febbraio/3 marzo 2019)

Incandescente dramma in un interno. Una festa mal riuscita per colpa del nazismo che svela le crepe dei rapporti interni di un gruppo di presunti amici.

 

Un improvviso cambio di registro è la valvola della drammaturgia di uno spettacolo riuscito. L’ambientazione nei fondali della seconda guerra mondiale potrebbe sembrare un po’ retrò ma in realtà si rivela perfettamente funzionale a una situazione che potrebbe avere validità odierna come dimostrano il plot cinematografico di Perfetti sconosciuti o le stridenti storie di Yasmine Reza. L’innesco ricorda la tragedia delle Fosse Ardeatine. Un’ilare festa tra amici viene funestata dall’attentato che toglie la vita a due ufficiali tedeschi. La vendetta è raccapricciante: venti italiani, due per condominio dovranno pagare con la vita questo gesto di ribellione. E l’ufficiale nazista chiede al gruppo di famiglia e di amici in un interno di scegliere autonomamente i due virtuali condannati a morte. Il pretesto scenico è un’eccellente accensione. Come si può immaginare questa beffarda richiesta mette di fronte il gruppo alle proprie paure, a slanci di coraggio più spesso alternati a lampi di egoistica vigliaccheria. Nel contenitore dei due tempi le contraddizioni e i disvelamenti si sprecano. La moglie del padrone di casa si scoprirà poco virtuosa, il medico assai poco efficiente, persino barlumi di omosessualità trapeleranno dall’intreccio. Rari splendori e abbacinanti miserie spaccano i dialoghi. Non sveliamo il finale che non sarà necessariamente drammatico se non per le conseguenze dei rapporti tra i sette protagonisti, dilacerati per come hanno rivelato un fondo di umanità non proprio edificante, a parte qualche rara eccezione. Da sottolineare l’eccezionale omogeneità del cast tra cui spiccano la dolente debolezza del medico interpretato da Gianluca Ramazzotti, il piglio professorale e gassmanniano con cui Emanuele Salce tratteggia il personaggio di Vincenzo e la straordinaria bravura di Maurizio Donadoni alias Andrea. Il titolo sembra quanto mai appropriato a quanto si sviluppa in scena. Amici che si trasformano in belve.

data di pubblicazione:25/02/2019


Il nostro voto:

OSCAR 2019

OSCAR 2019

La notte degli Oscar 2019 non ha incoronato un vincitore che, da solo, si è imposto sugli altri per numero di statuette, ma i film che avevano maggiormente attirato l’attenzione di critica e pubblico si sono divisi equamente i riconoscimenti più prestigiosi.

Il trofeo del miglior film lo conquista Green Book, straordinaria commedia che, seguendo il sentiero del road movie, ha consegnato al grande schermo uno dei più potenti inni alla tolleranza degli ultimi anni. L’esclusione di Peter Farrelly dai candidati alla miglior regia si era fatta indubbiamente notare, ma la vittoria del suo film nella categoria più prestigiosa ristabilisce (almeno in parte) gli equilibri. Lo stesso Green Book, di cui proprio sulle pagine di Accreditati avevamo segnalato soprattutto la scrittura felice, ai aggiudica anche la statuetta per la migliore sceneggiatura originale. La miglior sceneggiatura non originale, invece, è quella di BlacKKKlansman, diretto da Spike Lee.

Il miglior regista è invece Alfonso Cuarón per Roma, elegante e potente affresco in bianco e nero di un’epoca intrisa di cambiamento e di coraggio. Roma si aggiudica anche il premio per il miglior film straniero e la migliore fotografia.

I due attori protagonisti incoronati da questa edizione degli Oscar sono Olivia Colman per lo spiazzante La favorita e Rami Malek per Bohemian Rhapsody, uno dei biopic più discussi del cinema recente. Peccato per Viggo Mortensen, che in Green Book ha probabilmente offerto una delle sue migliori prove di attore.

Per gli attori non protagonisti, invece, i premiati sono Regina King (Se la strada potesse parlare) e Mahershala Ali (Green Book).

Tra i “premi tecnici” svetta certamente Bohemian Rhapsody, con il miglior montaggio, il miglior editing sonoro e il miglior mix sonoro.

Black Panther vanno gli Oscar per la miglior colonna sonora originale, la miglior scenografia e i miglior costume.

La miglior canzone originale non poteva essere che Shallow, di A Star is born, così come i migliori effetti speciali erano il premio “obbligato” per First Man, che ha aperto l’ultima edizione della Mostra d’arte cinematografica di Venezia.

La notte degli Oscar, come al solito, illude alcuni, delude altri, gratifica chi aveva visto giusto nei pronostici. Si tratta in ogni caso di un appassionante bilancio di un anno di cinema, che noi Accreditati, da Venezia e Roma, passando per Berlino, abbiamo cercato di seguire e condividere sulle nostre pagine telematiche con impegno, passione e dedizione.

Riportiamo qui di seguito l’elenco di tutte le candidature, con il film vincitore per ciascuna categoria.

Buon cinema a tutti!

Miglior film
Black Panther 
BlacKkKlansman 
Bohemian Rhapsody 
La favorita
Green Book 
Roma 
A Star is Born 
Vice

Miglior regia
Spike Lee, BlacKkKlansman
Paweł Pawlikowski, Cold War
Yorgos Lanthimos, La favorita
Alfonso Cuarón, Roma
Adam McKay, Vice

Miglior attrice protagonista
Yalitza Aparicio, Roma
Glenn Close, The Wife
Olivia Colman, La favorita
Lady Gaga, A Star Is Born
Melissa McCarthy, Copia originale

Miglior attrice non protagonista
Amy Adams, Vice
Marina de Tavira, Roma
Regina King, Se la strada potesse parlare
Emma Stone, La favorita
Rachel Weisz, La favorita 

Miglior attore protagonista
Christian Bale, Vice
Bradley Cooper, A Star Is Born
Willem Dafoe, At Eternity’s Gate
Rami Malek, Bohemian Rhapsody
Viggo Mortensen, Green Book 

Miglior attore non protagonista
Mahershala Ali, Green Book
Adam Driver, BlacKkKlansman
Sam Elliott, A Star Is Born
Richard E. Grant, Copia originale
Sam Rockwell, Vice

Miglior film straniero
Capernaum (Libano)
Cold War (Polonia)
Never Look Away (Germania)
Roma (Messico)
Shoplifters (Giappone) 

Miglior film d’animazione
Gli Incredibili 2 
Isle of Dogs
Mirai 
Ralph Spacca-Internet 
Spider-Man: Un nuovo universo 

Miglior corto d’animazione
Animal Behavior
Bao
Late Afternoon 
One Small Step 
Weekends

Miglior sceneggiatura originale
La favorita
First Reformed 
Green Book 
Roma 
Vice 

Miglior sceneggiatura non originale
The Ballad of Buster Scruggs 
BlacKkKlansman 
Copia originale
Se la strada potesse parlare
A Star is Born

Miglior colonna sonora originale
Black Panther 
BlacKkKlansman 
Se la strada potesse parlare
Isle of Dogs 
Il ritorno di Mary Poppins 

Miglior canzone originale
All the Stars – Black Panther 
I’ll Fight – RBG 
The Place Where Lost Things Go – Il ritorno di Mary Poppins 
Shallow – A Star is Born
When A Cowboy Trades His Spurs For Wings – Ballad of Buster Scruggs 

Miglior montaggio
BlacKkKlansman
Bohemian Rhapsody
La favorita
Green Book
Vice

Miglior fotografia
Cold War 
La favorita
Never Look Away 
Roma 
A Star is Born 

Miglior scenografia
Black Panther 
La favorita
First Man 
Il ritorno di Mary Poppins 
Roma 

Miglior costumi
The Ballad of Buster Scruggs 
Black Panther 
La favorita
Il ritorno di Mary Poppins Returns 
Maria Regina di Scozia 

Miglior effetti speciali
Avengers: Infinity War 
Christopher Robin 
First Man 
Ready Player One 
Solo: A Star Wars Story 

Miglior trucco
Border 
Maria Regina di Scozia
Vice 

Miglior editing sonoro
Black Panther 
Bohemian Rhapsody
First Man 
A Quiet Place 
Roma 

Miglior mix sonoro
Black Panther 
Bohemian Rhapsody 
First Man
Roma 
A Star is Born 

Miglior cortometraggio
Skin 
Detainment
Fauve
Marguerite
Mother

Miglior corto documentario
Black Sheep 
End Game 
Lifeboat 
A Night at the Garden 
Period. End of Sentence 

Miglior documentario
Free Solo 
Hale County 
This Morning, This Evening 
Minding the Gap
Of Fathers and Sons 
RBG

data di pubblicazione: 25/2/2019

CAVOLI A MERENDA di e con Pino Strabioli

CAVOLI A MERENDA di e con Pino Strabioli

(Teatro della Cometa – Roma, 19 febbraio/3 marzo 2019)

Un delicato omaggio a Sergio Tofano autore, attore, regista, illustratore, scrittore, figura fondamentale del 900 e della storia culturale italiana, raccontato ed evocato da Pino Strabioli come solo lui potrebbe. Cavoli a merenda, un escursus leggero e senza tempo tra le opere di Tofano tra burattini e musica, in scena al Teatro della Cometa di Roma dal 19 febbraio al 3 marzo.

 

Una narrazione garbata e raffinata, ironica e divertita per raccontare la personalità di Tofano, filastrocche di personaggi, giovincelli, venditori, portinaie, piccoli industriali, avvocati, un piccolo mondo che, dietro l’apparente allegria, nasconde i dolori e le difficoltà dell’Italia del ‘900. Tra ragazzini con difficoltà di lingua e l’inventore dell’attaccapanni, tra maldicenze gratuite e papere bianche e nere, per finire con il Signor Bonaventura, l’uomo baciato dalla fortuna in compagnia del mitico bassotto, che ha spronato alla lettura intere generazioni di ragazzini sulle pagine del Corriere dei piccoli. Piccole storie di vita più o meno quotidiana in compagnia di forme, marionette, figure ed il suono di una chitarra. Una passeggiata divertita nella sua scrittura, fra i personaggi folli e stralunati delle sue novelle grazie alla voce ed alla presenza di Pino Strabioli, un signore del nostro teatro, con il suo modo gentile e colto di affabulare.

Con la collaborazione di Andrea Calabretta (burattini, oggetti, ombre) e Dario Benedetti (chitarra), Pino Strabioli racconta il poliedrico Sto, lo pseudonimo con cui Tofano amava firmare i suoi racconti ed i suoi fumetti. Uno spettacolo nato dalla voglia di scavare nella memoria, nella cultura del novecento, nei ricordi delle generazioni che cresciute leggendo del Signor Bonaventura, per allontanare le sventure ed inseguire il sogno del milione.

data di pubblicazione:25/02/2019


Il nostro voto:

BALLANTINI E PETROLINI scritto e interpretato da Dario Ballantini, regia di Massimo Licinio

BALLANTINI E PETROLINI scritto e interpretato da Dario Ballantini, regia di Massimo Licinio

(OFF/OFF Theatre -Roma, 19/24 febbraio 2019)

I personaggi Gigi il Bullo, Salamini, la Sonnambula, Amleto, Nerone, Fortunello e Gastone, creati dal genio di Ettore Petrolini, rivivono sulla scena grazie all’ottima e attenta interpretazione di Dario Ballantini. Un’antologia precisa di memorabili scene legate al grande attore romano.

  

È fuori discussione che gran parte della comicità moderna sia profondamente debitrice del lavoro e dell’intuizione di Ettore Petrolini, nato in via Giulia a Roma, proprio dove ha sede la sala che ospita lo spettacolo di stasera. Molti attori del secolo scorso come Alberto Sordi, Nino Taranto, Macario e Nino Manfredi fino ad arrivare ai giorni nostri, penso a Gigi Proietti o a Carlo Verdone, hanno preso ispirazione da quei caratteri che il grande Petrolini aveva creato. Ballantini, profondamente riconoscente anche lui per questa ricchezza, ricostruisce con meticolosa precisione e straordinaria bravura un girotondo di personaggi appartenuti al repertorio del grande attore romano, tracciandone una sua personale biografia, sintesi di tante letture e studio (cita Antonucci e Jovinelli tra i tanti), intrecciandola con fatti autobiografici legati alla sua gavetta nel mondo dello spettacolo e ai suoi ricordi familiari. Ecco allora che i due personaggi, Ballantini e Petrolini, si dividono la scena esattamente come il titolo suggerisce.

Attraverso un gioco di trasformazione sulla scena, reso misterioso dal controluce delle lampade dello specchio di un camerino a vista, il caleidoscopio di personaggi prende vita, ognuno introdotto dalle note della fisarmonica del maestro Marcello Fiorini, complice accompagnatore e co-narratore delle divertenti macchiette e cretinerie. Suoi sono gli arrangiamenti che ricreano un’atmosfera decisamente primonovecentesca da caffè concerto.

L’attore livornese dà nuovamente prova di essere un’artista polivalente, intelligente e perfetto imitatore.

data di pubblicazione:21/02/2019


Il nostro voto:

LA PARANZA DEI BAMBINI di Claudio Giovannesi, 2019

LA PARANZA DEI BAMBINI di Claudio Giovannesi, 2019

Un gruppo di ragazzi, tutti minorenni, sfrecciano con i loro scooters per le vie del rione Sanità di Napoli. Il sogno della loro vita è quello di procurarsi con ogni mezzo tanti soldi, sufficienti a garantire loro l’ultimo modello di sneakers o altro capo d’abbigliamento super firmato. Usano e spacciano droga e non esitano un istante ad impugnare le armi per tenere sotto controllo il quartiere. Il loro leader è Nicola che conosce a fondo le regole del gioco e sa esattamente che per affermarsi dovrà contrastare i vecchi boss malavitosi che ora detengono il potere. Letizia, la sua ragazza, lo seguirà in questa escalation di criminalità, conquistata anche lei da una vita facile, piena di lusso e di divertimenti.

 

Presentato in prima mondiale nell’edizione della Berlinale appena conclusasi, La paranza dei bambini di Claudio Giovannesi, tratto dall’omonimo romanzo di Roberto Saviano che ne ha curato la sceneggiatura insieme allo stesso regista e a Maurizio Braucci, ha meritatamente ottenuto l’Orso d’Argento per la migliore sceneggiatura: la scrittura usata, senza troppi preamboli, ci porta nel cuore di una città dove anche un ragazzino inesperto può ambire a ricoprire un posto di rilievo nella malavita organizzata. Il termine paranza, indicato per un tipo di pesca che utilizza le reti a strascico, in gergo camorristico individua una piccola banda malavitosa formata da minorenni, ragazzi giovanissimi che hanno abbandonato la scuola e che hanno, come unico sogno, quello di entrare nella criminalità spicciola del quartiere in cui vivono. Per potersi imporre dovranno intanto avere una pistola, che non importa saperla maneggiare: con essa devono imparare a fronteggiare chi già detiene il potere, introducendosi nel traffico della droga che consente loro di procurarsi in breve tempo una grande quantità di denaro. Divenuti i capi indiscussi che controllano gli affari, di fronte alla loro ingenua sfrontatezza e, talvolta, efferatezza nell’usare le armi, anche i vecchi boss si arrendono e cedono il passo.

Il film di Giovannesi, regista molto sensibile verso i problemi dei giovani (ricordiamo Alì ha gli occhi azzurri del 2012 e Fiore del 2016), ha dichiarato di non volere assolutamente guadagnarsi una funziona pedagogica ma semmai illustrare una realtà, tutta napoletana, dove gli stessi giovani si sentono costretti ad una scelta criminale, per lo più inconsapevoli dei rischi e del prezzo molto alto che prima o poi dovranno pagare. Una decisione quindi determinata dalla contingenza di soddisfare per sé, e per la propria famiglia, dapprima dei bisogni primari per poi arrivare a comprarsi quei generi di lusso che rappresentano, ai loro giovani occhi, veri e propri status symbol del potere.

I due interpreti Francesco Di Napoli (Nicola) e Viviana Aprea (Letizia), così come tutti gli altri, sono attori non professionisti incredibilmente presi dalla strada e alla loro prima esperienza cinematografica.

A differenza di Gomorra di Matteo Garrone, anch’esso ispirato all’omonimo best seller di Saviano, La paranza dei bambini seppur in ambito camorristico ci mostra un aspetto un po’ diverso, quasi tenero, intriso di un realismo estremo che ci porta ad osservare la vita pulsante dei quartieri napoletani dove, nonostante le brutture che questi ragazzi vivono, aleggia una profonda umanità, sentimento che in fondo anima anche le loro giovani coscienze.

La giuria della Berlinale, che quest’anno è stata presieduta da Juliette Binoche, così come riferivano alcuni rumors che circolavano prima della premiazione, aveva mostrato grande apprezzamento per il film, la cui sceneggiatura risulta “impastata” di violenza e amore nel decrivere le vicende dei suoi protagonisti, verso un ineluttabile epilogo sul quale il regista si è volutamente astenuto dall’esprimere alcun giudizio morale.

Film decisamente da vedere.

data di pubblicazione:19/02/2019


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