da Rossano Giuppa | Ott 13, 2024
(Roma Europa Festival 2024)
Il 12 e 13 ottobre il Roma Europa Festival ha ospitato al Teatro Argentina di Roma in prima nazionale Voice Noise, ultimo lavoro del coreografo belga Jan Martens con produzione GRIP. Grande forza fisica ed energia sul palco, unitamente a un’attenzione al particolare, all’interno di un percorso musicale fatto di canti, ma anche di sussurri e urla. Yan Martens avvalendosi di sei grandi danzatori ha costruito un omaggio alla voce femminile ed alle sue figure più innovative, attraverso un’indagine degli ultimi cento anni della storia della musica, alla ricerca di voci e interpreti sconosciute o persino dimenticate (foto di Klaartje Lambrecht).
Per il suo ritorno al REF, Jan Martens disegna una performance in cui sei danzatori si esibiscono sulla musica di tredici compositrici e cantanti degli ultimi cento anni di storia della musica. La ricerca dell’energia fisica e l’esplorazione del fotogramma, attraverso un’alternanza di movimenti di gruppo dinamici e rallentamenti plastici e drammatici, tra voci, esperimenti vocali, ossessioni e urla liberatorie. Dal Coro delle Mondine di Porporana a Cheri Knight, passando per Erin Gee, Kasarbai Kerkar, Ruby Elzy e tante ancora, Martens costruisce un percorso alternativo nella storia della voce femminile e trasforma la scrittura coreografica in una pedana openspace in cui ogni interprete scopre la propria vocazione.
Nato nel 1984 in Belgio, attivo sulla scena coreografica internazionale dal 2010, Martens basa la sua scrittura sulla convinzione che ogni corpo abbia qualcosa da dire e che questa comunicazione diretta si esprima attraverso forme semplici ed il recupero di idiomi esistenti provenienti dai contesti più disparati.
In Voice Noise Martens e i performer lo fanno con una sequenza di brani interamente basati su voci femminili, costruita durante il lavoro in sala attraverso la reiterazione dei pezzi durante le prove, fatta di voci molto sommerse, lontane dai canoni. Persino Bella ciao, il brano più a rischio di un riconoscimento passivo, appare in una versione differenziata sul femminicidio, eseguita dal Coro delle Mondine di Porporana.
Novanta minuti complessi, imponenti e carichi di frammenti, con un meraviglioso disegno luci di Jan Fedinger che enfatizza il grande lavoro del coreografo e dei suoi straordinari interpreti.
data di pubblicazione:13/10/2024
Il nostro voto:
da Daniela Palumbo | Ott 13, 2024
Netflix ripropone – per i nostalgici e per le nuove generazioni – due piccole gemme del cinema firmato Ferzan Özpetek. Da vedere e rivedere, per la prima volta o come se lo fosse. E riscoprire anche il talento acerbo di attori come Elio Germano o Stefano Accorsi. Senza dimenticare la giovane Margherita Buy.
Magnifica presenza e Le fate ignoranti sono film che incantano, sempre. Storie che sembrano uscite dalla penna di uno scrittore di fiabe. Per il titolo di per sé magico, evocativo. Per l’accento “un po’ straniero” di certi personaggi. Per le musiche. Contes de fées e storie di fantasmi. Presenze “magnifiche”, che per mille e una volta ritornano nell’immaginario collettivo, ma senza fare paura. Sulla scena c’è una compagnia di teatranti, prigionieri nella casa dove le loro vite si spensero, insieme a una stufa a gas difettosa. Mentre fuori c’era la guerra (…ma ci dica, è finita?). Garbati e inconsapevoli, empatici e discreti, si stringono intorno ad uno sprovveduto Pietro Ponte – aspirante attore ed ennesimo locatario dell’appartamento – quasi come una famiglia. È lui l’unico a vederli, a dare loro voce e “sostanza”. A farli uscire, persino.
Mostrare ciò che gli altri non vedono. È il filo conduttore anche del più celebre Le fate ignoranti. Una storia declinata nel segno di un perenne dualismo. Doppia è la vita del protagonista – Massimo, marito di Antonia e amante di Michele – che lentamente riaffiora dopo la morte di lui. Così come le luci della ribalta sul palco della vita diurna e la penombra del “dietro le quinte”. La villa sul lago, teatro di armonia coniugale, e il condominio délabré a più piani, rigorosamente senza ascensore. L’immagine, presente ovunque, di un’erma bifronte dove bellezza androgina e fascino efebico si intrecciano come trama e ordito in una tela.
Il “tradimento” – che sia adulterio o delazione – non esiste più. Sorpassato, o sublimato in uno spazio nuovo di pura umanità, o di umanità pura. In quella terrazza all’aperto tra le casse di frutta e i fili della biancheria. Oppure in quella sala da pranzo antiquata, dal fascino retrò. Dove si mangia tutti insieme – nell’uno e nell’altro film -, si apparecchia la tavola, si cucina. E si ride, persino della morte. I personaggi sono tutto questo e non lo sanno. Sono “ignoranti”, come tutti noi. Noi spettatori, che per ritrovare la verità – pare ci bisbigli Ferzan – dobbiamo provare a squarciare un velo. Che sia una tenda, un sipario, la pagina di un libro di poesie, o di un album di figurine…
O una mappa segreta, con la parola d’ordine e la sua controprova.
Finzione, finzione…
Ma quale finzione. Realtà!
data di pubblicazione:13/10/2024
da Rossano Giuppa | Ott 13, 2024
Serata evento al cinema Adriano di Roma lo scorso 10 ottobre per la presentazione del documentario Super/Man: The Christopher Reeve Story, dal medesimo giorno nelle sale con Warner Bros a 20 anni esatti dalla morte dell’interprete di Clark Kent/Superman, alla presenza dei due registi Ian Bonhôte e Peter Ettedgui e del figlio Matthew Reeve. La storia di Christopher Reeve non è solo straordinaria, è stato il primo a far credere le persone nei supereroi, ma è anche l’esempio di lotta personale e sociale contro un destino beffardo. “Abbiamo bisogno di veri eroi, di veri leader, di vere persone che diano l’esempio, i valori e il senso di responsabilità e che facciano sempre sentire la loro voce nel dibattito pubblico”, ha affermato Matthew che continua a portare avanti la Fondazione Cristopher and Dana Reeve, insieme ai suoi fratelli Alexandra e Will.
Nella memoria collettiva, Christopher Reeve rimarrà per sempre il supereroe, l’attore sconosciuto dell’Off Broadway interprete del primo Superman cinematografico, divenuto prima la grande star di Hollywood ed in via successiva l’attivista e avvocato per i diritti dei disabili, dopo che una caduta da cavallo lo ha paralizzato dalla testa in giù.
Uscito nel 1978, un anno dopo Guerre Stellari, Superman celebrò con successo il ritorno di Hollywood al cinema d’intrattenimento grazie a Christopher Reeve che impose un Superman poderoso e in linea con l’ideale americano che Ronald Reagan aveva riportato in auge. Bellissimo e credibilissimo, imponente e gentile, divenne un’icona, sullo schermo e nella vita. Sportivo, intelligente, innamorato della moglie e dei figli. La sua vita si è letteralmente fusa con quella di Superman; successi e insuccessi cinematografici, una nuova storia d’amore ed un altro figlio, una famiglia più allargata, poi la drammatica svolta: il 27 maggio 1995 la caduta da cavallo che lo paralizza totalmente. Presa coscienza della nuova devastante condizione scende dal piedistallo del supereroe per diventare un vero eroe. Decide di mostrarsi in pubblico e di raccontarsi, prova a portare avanti la carriera cinematografica, dietro e davanti la macchina da presa, diventa un attivista nella ricerca delle cure per le lesioni del midollo spinale, arriva fino alle Nazioni Unite. Barack Obama firmerà poi una legge sulla disabilità che porta il nome di Christopher Reeve e di sua moglie Dana, con la quale ha creato una fondazione per dare voce e ispirare le persone con disabilità di tutto il mondo per raccogliere donazioni a favore della ricerca sulle lesioni del midollo spinale e sulle cellule staminali per rigenerarlo.
Il documentario presentato da Alice nella Città e dall’Assessorato Grandi Eventi, Sport, Turismo e Moda di Roma Capitale, è un ritratto intimo che mette i riflettori sull’uomo tra l’amore, i legami familiari a volte complicati e il rapporto con gli amici, Robin Williams, Susan Sarandon, Glenn Close, Jeff Daniels e Whoopi Goldberg. Ma quella di Reeve è anche una storia di resilienza e di impegno nel sociale. Dopo l’incidente, come si racconta nel film, si chiedeva spesso se avesse senso continuare a vivere paralizzato. “Sei sempre tu e io ti amo”, gli ha detto la moglie Dana entrando nella stanza della terapia intensiva. In quel momento capisce che un eroe è un uomo che riesce a dare un senso alla propria vita anche in condizioni estreme.
Un diario leggero e corale, di ricordi dell’artista e dell’uomo, di gioie e rimpianti, probabilmente un po’ troppo dilatato e a tratti ripetitivo, che però colpisce il cuore di tutti, empatico e privo di commiserazione.
data di pubblicazione:13/10/2024
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da Daniele Poto | Ott 11, 2024
tratto dal romanzo Immer Noch Sturm di Peter Handke, regia di Claudio Puglisi
(Teatro Ateneo presso Università di Roma, 10/11 ottobre 2024)
Echi di seconda guerra mondiale in quella che fu la Jugoslavia. Rimbalzando tra Germania, Austria e Slovenia, riti pastorali, partigiani, lutti, conflitti di famiglia, i rifugi e menù balcanici. Un ensemble navigato e gioioso per tradurre un testo non facile, ricco di asperità, di accelerazioni e improvvisi compiacimenti. Nel segno della rinnovata stagione del Teatro Ateneo, colmo fino all’inverosimile.
Nel luogo caro a Ferruccio Marotti, dove Eduardo De Filippo mise disposizione la sua pazienza per i seminari con gli studenti, dove Carmelo Bene e Vittorio Gassman battibeccarono sulla mission del teatro (e il secondo, piccato, abbandonò proditoriamente il tavolo degli oratori), dove vivemmo un seminario brechtiano diretto da Benno Besson e gestito molti esami, un avvio di stagione promettente. Scelta non facile pescando un testo di Handke supportato con perizia da un eccellente sinergia di compagnia. Prima parte andante mossa, seconda più meditativa Questo teatro è stato definito dall’autore onirodramma ovvero “scrittura drammatica fondata sulla condizione dell’anima”. Sperimentazione nel sogno con frequenti sbalzi emotivi: grida, risa e pianto. Al centro un’identità che si va perdendo nei marosi della guerra, Il sottofondo della necessaria pace è alla base dell’attualità della proposta. Il titolo originale è “Ancora tempesta” ma si tratta di un libro mai tradotto in italiano. Assortiti sottofondi musicali dal vivo accompagnano la narrazione. Un legame dello spettacolo con le teoria di Steiner. Infatti poco ore dopo un intenso seminario steineriano ha animato lo stesso luogo per la cura di Elena Bellavia, Marina Censori e Marialucia Carones Nella promettente stagione sperimentale, un assoluto titolo gratuito (novità per Roma) seguiranno le proposte di Gabriele Vacis, Emio Greco, Pieter Scholten, Andrea Cosentino e Claudia Castellucci.
data di pubblicazione:11/10/2024
Il nostro voto:
da Antonio Iraci | Ott 9, 2024
Dopo alcuni anni di carcere, per connivenza con la mafia siciliana, Catello Palumbo ritorna a casa accolto da una moglie ostile e da una figlia anaffettiva. Lui misero politico locale, con velleità imprenditoriali, ha perso tutto e non gli rimane altro che collaborare con la giustizia per stanare Matteo, boss dei boss e da anni latitante. In qualità di padrino di un ricercato, famoso in tutto il mondo, inizia a riconquistarsi la sua amicizia tramite una fitta corrispondenza epistolare…
Nel dialetto siciliano “Iddu”è un pronome personale riferito alla terza persona singolare maschile e, in quanto pronome, evita di identificare qualcuno con il suo vero nome. I due registi Fabio Grassadonia, palermitano doc, e Antonio Piazza, milanese doc, usano l’epiteto Matteo per riferirsi diligentemente a un enigmatico personaggio da anni latitante e introvabile. Ricercato in tutto il mondo tranne nel luogo dove viveva e da dove continuava indisturbato a esercitare il proprio potere. Liberamente tratto dal libro Lettere a Svetonio, raccolta di scambi epistolari tra il capomafia Matteo Messina Denaro e il Sindaco di un paese siciliano. Il film narra la storia di due personaggi legati da un legame indissolubile, ma di statura decisamente diversa per onore e rispettabilità. Catello Palumbo (Toni Servillo), ex sindaco, ex preside, ex imprenditore edile, praticamente ex di tutto si ritrova a casa con un pugno di mosche non sapendo che fare della propria vita. Accetta malvolentieri di collaborare con la giustizia che, almeno nella forma, è da anni alla ricerca del mafioso Matteo (Elio Germano). Ecco che entrano in gioco i famosi pizzini, vere e proprie lettere, che i due si scambiano e che vengono recapitati nelle forme più disparate e meno ipotizzabili. Una storia che gli stessi registi amano definire come: “ Liberamente ispirata a fatti accaduti. I personaggi che vi compaiono sono frutto però della fantasia degli autori. La realtà è un punto di partenza, non una destinazione”. Il cast scelto è sicuramente di prim’ordine dove accanto ai due attori già citati troviamo Rita Mancuso, Barbora Bobulova, Giuseppe Tantillo, Antonia Truppo e tanti altri ancora. Il film è girato bene anche se a volte alcuni personaggi, incluso quello raffigurato da Toni Servillo, assumono un ruolo quasi caricaturale. Questo va sicuramente a danneggiare la buona riuscita di un plot tutto sommato credibile. Presentato in concorso alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia di quest’anno dove ha ottenuto una buona accoglienza da parte della critica.
data di pubblicazione:09/10/2024
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da Daniele Poto | Ott 9, 2024
Federico Vitella ha scritto un libro che approfondisce un aspetto del divismo italiano a cavallo tra gli anni ’50 e ’60. Quando la presunta rivalità tra Sofia Loren e Gina Lollobrigida stuzzicò la fantasia dei produttori creando delle star sul modello americano ma con una specificità tutta nostrana. Si scopre che la parola “maggiorate” nasce da un equivoco perché le primattrici non erano tutte signorine grandi forme. A esempio Gina Lollobrigida era piuttosto minuta e valorizzata semmai da reggiseni imponenti. Sulla scia di questo binomio anche Silvana Pampanini, Silvana Mangano e Marisa Allasio, coltivarono una propria robusta popolarità lasciandosi dietro incompiute come Cosetta Greco e Gianna Maria Canale. Era un’epopea di un cinema fiorente e tutt’altro che in stato di crisi. Basti pensare che nel 1955 vennero staccati più di ottocento milioni di biglietti nelle sale mentre il rendiconto del’attualissimo 2023 si ferma ad appena 50. Era un’Italia del dopoguerra che andava spesso e volentieri al cinema quando la televisione (prime immagini nel 1954) non si era ancora compiutamente affermata con un’ampia diffusione nelle case degli italiani. E le maggiorate coltivavano una fama che superava anche i confini di Chiasso, complici gli Oscar e film non disprezzabili girati all’estero. Poi negli anni ’70 gli uomini si sarebbero presi la rivincita. Perché dopo le ultime fiammate del neorealismo irrompono gli assi della commedia all’italiana: Gassmann, Manfredi, Tognazzi, Sordi e, sul versante drammatico, Mastroianni. Ma alcuni di loro sposano artisticamente le maggiorate. È il caso di Mastroianni che in un certo modo, generazionalmente, succede a Vittorio De Sica, girando ben 13 film accanto a Sofia Loren. Vitella meritoriamente ci restituisce un trend con una pubblicazione che è insieme un saggio accademico ma anche una facile lettura per appassionati del genere. Una bella silloge di illustrazioni completa l’opera.
data di pubblicazione:09/10/2024
da Daniele Poto | Ott 9, 2024
con Simone Colombari, Sergio Basile, Rosario Coppolino, Viviana Altieri, Cristiano Dessì, Beatrice Coppolino, interpretazione e regia di Emilio Solfrizzi, scene di Fabiana Di Marco, luci di Massimiliano Gresia, costumi di Alessandra Beneduce.
(Teatro Quirino – Roma, 8/20 ottobre 2024)
Plauto non è solo l’ingrediente di repertorio del teatro estivo se viene chiamato, riveduto e corretto, a aprire la stagione del Quirino che ancora pochi abbinano al nome di Vittorio Gassmann. Due tempi spigliati ed irriverenti in cui Solfrizzi conferma le doti di mattatore comico trascinando la compagnia a un franco successo corale. Spettacolo che viene fuori come un diesel con tomi maggiori nella ripresa.
Due Anfitrione e due Sosia nella commedia degli equivoci. Senonché uno è Giove e tutto può, scatenamento dei temporali compresi. Così da Alcmena, sposa tra i due, viene fuori un parto gemellare: un figlio a uno, un figlio all’altro. E alla fine lo chiameremo Sosia nel segno del riscatto della schiavitù, furba e decisiva. Solfrizzi uno dei Sosia, meritoriamente lascia il giusto spazio agli altri interpreti ritagliandosi una regia illuminata in cui c’è posto anche per i singoli assolo, con un solo attore in scena. Frizzi e lazzi con condimenti assortiti. Citazioni da Celentano, Petrolini, riferimenti all’attualità e alla politica attuale, senza troppo calcare la mano. Tutto il mestiere appreso nella gavetta con Stornaiolo viene fuori con perizia con l’assemblaggio della Compagnia Molière che a questo repertorio precipuamente si dedica. Il momento più spassoso è però para-televisivo. Quando si allude ad Amadeus e ai suoi quiz. Qui il deterrente della pausa trattenuta viene sfruttato con perfetti tempo comici ed è la l’esauriente epitome della bravura del maggiore interprete. Teatro pieno, come da copione della prima con folte comitive di studenti ad abbassare l’età media, come al solito piuttosto alta.
data di pubblicazione:09/10/2024
Il nostro voto:
da Maria Letizia Panerai | Ott 9, 2024
ideazione e regia di Rossano Giuppa
(Madlenianum Theatre – Belgrado, 30 settembre 2024)
Il Madlenianum Opera & Theatre di Belgrado ha ospitato lo scorso 30 settembre la premiere dello spettacolo in lingua serba Moc Umenosti 6 Heroina (The Power of Art of the Six Heroinas) scritto e diretto da Rossano Giuppa. Conosciuto come regista che coniuga differenti forme di arte, quali la musica, la danza, la recitazione, il movimento corporeo, il fashion, Rossano Giuppa ha dato vita ad una performance che celebra la bellezza e l’originalità (foto Mitar).
The Power of Art of the six Heroinas è uno spettacolo che mette insieme la danza, la musica, il teatro, la body art, la pittura ed il fashion, rendendo omaggio a sei grandi artiste che hanno raggiunto fama e successo in differenti ambiti artistici grazie ad una straordinaria capacità innovativa e visione strategica che hanno lasciato il segno e condizionato positivamente le successive modalità espressive.
La performer Marina Abramovic, la pittrice Georgia O’Keeffe, la designer Vivienne Westwood, la coreografa Pina Bausch, la scrittrice Simone de Beauvoir, la cantante Mina rappresentano un gruppo di donne forti e visionarie. Presentato in anteprima lo scorso 30 settembre al Madlenianum Theatre di Belgrado e prodotto dallo stesso e dall’agenzia di eventi Fabrika, lo show è stato rappresentato in lingua serba e partirà a breve per un tour nella penisola balcanica.
La scelta delle sei artiste segue un filo emotivo.
Si inizia con l’Italia e la musica e Mina è la cantante per eccellenza, grazie alla sua straordinaria estensione vocale, versatile, istintiva. Pina Bausch è la danza e la vita, l’espressione dell’esperienza, della memoria e del sogno, “Danzate, danzate, altrimenti siamo perduti” è il suo credo. Marina Abramovic è l’artista concettuale e performativa. I suoi lavori esplorano la body art, la resistenza al dolore, la relazione tra performer e pubblico, i limiti del corpo e le possibilità della mente. Simone de Beauvoir fu un’intellettuale esistenzialista, una scrittrice, una saggista e filosofa, un’attiva femminista. Vivienne Westwood è stata un’icona fashion che ha portato il punk e la new wave nella moda. È stata un’attivista per i diritti civili, il disarmo nucleare ed il riscaldamento globale, la prima a parlare di moda etica. La pittrice americana Georgia O’Keeffe fu la pioniera delle correnti del modernismo e precisionismo, ricevendo numerosi riconoscimenti internazionali per la sua meticolosa capacità di dipingere forme naturali, fiori, deserti. Essere donna nella pittura è ancora oggi un limite.
Lo spettacolo punta a raccontare le sei donne attraverso diverse sfumature ed angolature. Un omaggio a più voci realizzato grazie a grandi professionisti quali come le attrici Tamara Aleksic, Tamara Sustic, Natasa Miovcic e Ljiljana Eric, gli attori Andrej Jemcov e Jovan Petrovic, la compositrice e cantante Iva Ikon, il coreografo Matthew Solovieff, i designers Igor Todorovic, Verica Rakocevic, Zdravka Kulier, Emilija Stojakovic e Dragana Ognjenovic, le ballerine del National Foundation for Dance.
È una carrellata di immagini suggestive, parole evocative per avvicinare il pubblico al loro mondo; ogni immagine in scena, la musica, i movimenti, le parole, gli oggetti, gli abiti sono ispirati e dedicati a loro, su un piano puramente emozionale.
data di pubblicazione:09/10/2024
da Daniele Poto | Ott 6, 2024
di Liberato Santarpino, regia di Sebastiano Somma, con Sebastiano Somma e Morgana Forcella, in scena i musicisti Emilia Zamuner, Giuseppe Scigliano, Marco De Gennaro, Gianmarco Santarpino, Liberato Santarpino, ballerini Enzo Padulano e Francesca Accietto, scenografia Lumetrie.
(Teatro Vittoria – Roma, 3/6 ottobre 2024)
Una storia d’amore che diventa anche partecipazione alla vita sociale del Cile nello sviluppo drammatico della dittatura. Neruda appare come folgorato da una passione che non ottunde il suo desiderio di pace e fratellanza universale. Commoventi immagine d’epoca e tra le foto, una graffiante: Pinochet affacciato dal balcone Vaticano in compagnia del Papa d’epoca.
Tensione sentimentale e temperie politica cilena. Su questo arco emotivo si snoda uno spettacolo didattico e/o musicale che racconta un pezzo della grande storia d’amore che legò uno dei più universali poeti del novecento con la messicana Matilde. Ancorati al leggio i due personaggi si parlano in un ragionevole lasso temporale mentre i due omologhi ballerini danzano balli di passione. Tappe immaginate ma non immaginarie a Berlino, Nyon, Capri, Roma, rifugi segreti, prima clandestini poi pubblici. Si esce dallo schema del reading con pregevole musica del vivo che si lega alla tradizione sudamericana del tango. La voce di Somma prima è sommessa e delicata, alla fine irrompe su toni alti, quasi un grido di dolore quando la sua speranza di redenzione dell’umanità si infrange sulla dittatura di Pinochet e la dura realtà conosciuta dal Cile in cui inevitabilmente fa approdo, dopo lungo girovagare, nonostante il dissenso di Matilde. Nello spettacolo si riflettono i tormenti di un‘epoca e, in reazione, si alza la voce forte di una poesia che confessa di aver vissuto di luce e vita propria, nonostante tutto. Gli affanni sentimentali di Neruda si sposano con la delicata emotività della dolce Matilde. Un amore forte che è soprattutto indomita passione.
data di pubblicazione:06/10/2024
Il nostro voto:
da Maria Letizia Panerai | Ott 5, 2024
Presentato all’ultimo Festival di Venezia nella Sezione Orizzonti Extra, Vittoria racconta la vera storia di Marilena Amato e Gennaro Scarica che sul grande schermo interpretano se stessi. Una storia semplice la loro, ma talmente carica di umanità, da emozionare profondamente.
Jasmine e Rino sono una coppia sposata da tanti anni, molto affiatata. Vivono a Torre Annunziata, dove lei gestisce con la sorella un salone di bellezza mentre lui ha un laboratorio di falegnameria. Hanno un mutuo da pagare, un finanziamento per l’avvio dell’attività di Rino e tre figli maschi da crescere. Il più grande ha iniziato da poco l’apprendistato come parrucchiere da uomo ma non è molto convinto che quella sia la sua strada. Gli altri sono ancora in età scolare. Jasmine è una madre semplice ma sa osservare i suoi figli, sino a comprenderne le difficoltà e le aspirazioni. È una donna libera ma che conosce bene il suo ruolo all’interno della famiglia. Con Rino hanno spesso discussioni ma sempre costruttive, di confronto, su tutto. Da qualche tempo però è turbata da un sogno ricorrente in cui una bambina bionda le va incontro. La bambina non è sola: con lei c’è il padre di Jasmine, operaio dell’Ilva morto prematuramente di cancro per contaminazione da amianto. Quel sogno, all’apparenza angosciante, tramuta un dolore ancora vivo nella gioia per l’arrivo di una nuova vita: Jasmine capisce che vuole quella bambina. Ne parla al marito che non vuole saperne soprattutto quando scopre che l’intenzione di Jasmine è l’adozione ”i figli sono di chi li cresce non di chi li fa”. Nel bel mezzo di un pranzo di famiglia, mentre si parla tra il serio e il faceto dei piani di evacuazione qualora il Vesuvio dovesse eruttare, Jasmine rende pubblica la sua idea di adottare un figlio.
Marilena “Jasmine” Amato sembra uscita dalla penna drammaturgica di Eduardo De Filippo. In lei convivono credo religioso, superstizione e saggezza popolare in un unicum che trasuda una tale rara umanità, che non può che con forza entrarti nel cuore. Così come è forte la sua spinta irrazionale nel desiderare il frutto di un sogno. Jasmine è una sorta di eroina moderna intrisa di tradizione popolare e Vittoria rappresenta il suo percorso interiore, fatto di coraggio e ostinazione, che stupisce perché non supportato da un livello culturale che possa in qualche modo giustificarlo. Il suo sguardo segnato da un quotidiano fatto di lavoro domestico e non, guarda sempre oltre, proiettato verso il futuro. Tuttavia il film ha il dono di non perdere mai di vista la vita di tutti i giorni, senza scivolare nel becero romanticismo ma proiettandoci sempre nel mondo reale.
Gli attori, tutti non professionisti, portano sul grande schermo una porzione della loro vita di cui Marilena Amato (Jasmine) ne è l’indiscussa protagonista. E la sua ostinazione, che nasce dal suo innato bisogno di offrire amore, ci emoziona profondamente.
data di pubblicazione:05/10/2024
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