MOTHERLESS BROOKLYN – I SEGRETI DI UNA CITTÁ di Edward Norton, 2019

MOTHERLESS BROOKLYN – I SEGRETI DI UNA CITTÁ di Edward Norton, 2019

(FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 17/27 ottobre 2019)

Lionel Essrog, un detective privato, affetto dalla sindrome di Tourette prende a cuore l’omicidio del suo capo e mentore, Frank Minna e, fra mille difficoltà, va alla ricerca dei mandanti e delle ragioni del delitto. Si troverà coinvolto in situazioni più complesse di come appaiano inizialmente in una città, la New York degli anni 50, già decisamente violenta e corrotta nei massimi esponenti della municipalità…

Edward Norton torna a dietro la macchina da presa a distanza di nove anni dalla commedia romantica, Tentazioni d’amore con Ben Stiller e lo fa da regista consumato nella pellicola Motherless Brooklyn – I segreti di una città, presentato in anteprima nel corso della 14esima edizione della Festa del Cinema di Roma. Rispetto alla precedente esperienza registica, una commedia brillante, il progetto, nell’occasione, è ben più stimolante e impegnativo. Parte da lontano, dall’acquisizione dei diritti di un testo di un autore importante come Jonathan Lethem, una storia che sia pure sfrondata e alleggerita, offre l’occasione per uno spaccato volutamente datato della New York degli anni 50. Per cominciare, calzante nella ricostruzione di quegli anni, al punto da pensare che poteva essere perfetto se girato in bianco e nero quasi come fosse un “noir” di quel periodo. Ma i meriti ascrivibili al film e al suo giovane “film maker” non si fermano qui; la pellicola ha spessore, ritmo e tranne, forse per qualche ingenua leziosità stilistica, scorre intenso e coinvolgente per tutto il suo andare. Norton, fra i tanti ottimi attori, si ritaglia un ruolo da autentico dominatore e protagonista, seppure nei panni di un anti-eroe con tanto di irrefrenabili tic, manie e debolezze. La sua è certamente una prova d’autore che troverà eco nelle nominations agli Oscar (fermo restando la forte candidatura come miglior attore protagonista di Joquin Phoenix in Joker) : il personaggio Essrog cattura per la sua fragilità, sensibilità e intelligenza e offre a Norton la possibilità di confermare quelle doti espressive, mai fuori dalle righe, già dimostrate in altre pellicole (su tutte, American History X, dove già ricevette la candidatura). Non sono da meno gli altri comprimari, la bella e brava, Gugu Mbatha-Raw (Laura Rose, un’attivista della comunità di colore con cui Lionel si accompagna nel corso della sua indagine), il consolidato Alec Baldwin (quasi un Trump ante litteram), Willem Dafoe (il fratello del cattivo) e i colleghi dell’agenzia investigativa ….La colonna sonora curata da Daniel Pemberton, coerente con le situazioni e lo sviluppo della trama , quasi suggerisce lo stato d’animo dei personaggi ed è impreziosito da pezzi Jazz famosi   ( suonati all’interno del club di Harlem del padre di Laura e   comunque funzionali alla logica del film) che col loro impatto ricreano la magica atmosfera dei “fifties”, con il celeberrimo ponte di Brooklyn, avvolto nella nebbia, a dominare molte scene. A riprova dell’amore di Norton per il grande cinema poliziesco del passato, non mancano le citazioni che i cinefili più scafati non mancheranno di individuare (Taxi Driver? Gli Intoccabili? Chinatown? Il Grande Sonno? E perché no, Hitchcock?). Dunque un bel salto nel passato per un film potente e ben costruito.

data di pubblicazione:18/10/2019








IL SILENZIO GRANDE di Maurizio De Giovanni, regia di Alessandro Gassmann

IL SILENZIO GRANDE di Maurizio De Giovanni, regia di Alessandro Gassmann

(Teatro Quirino – Roma, 15/27 ottobre 2019)

Una stanza in una casa. Un affaccio su Napoli. La vita di una famiglia nello scorrere del tempo che muta le cose, ma non ne intacca il valore. L’autore de “I bastardi di Pizzofalcone” incontra un regista sensibile e intimo come Alessandro Gassmann.

 

  

Valerio Primic è uno scrittore che ha goduto nella vita di grande fama e successo, ma non pubblica più nulla ormai da molto tempo. A farglielo pesare è la moglie Rose, che lo rimprovera di passare tutto il tempo rinchiuso nel suo studio, mentre oltre la porta – quella che dà sul resto della casa dove tutta la famiglia vive una vita dinamica – le cose precipitano rovinosamente verso una crisi economica preoccupante. Anche il figlio Massimiliano non sembra andare d’accordo con il padre, a cui rinfaccia le troppe assenze nei momenti importanti, l’ordine maniacale con cui tiene in ordine i suoi libri – che sommergono letteralmente la scenografia, organizzati non per autore o argomento, ma secondo una “omogeneità emotiva” ovvero una concordanza di sentimenti nei contenuti – fino a confessargli la propria omosessualità come ad arrecargli un dispetto. Adele, la figlia più piccola, è l’unica che passa volentieri il tempo dentro la stanza in compagnia del padre, del quale però subisce il fascino fino a cercare negli altri uomini la figura che sia all’altezza di competere con lui, anche negli anni. L’unica a supportarlo e a guidarlo con consigli pescati nella saggezza popolare, ad avere cura di lui, è Bettina – la cameriera che ascolta ogni minimo rumore della casa da dietro un’altra porta – a cui Valerio si oppone con un linguaggio troppo più alto per lei, generando momenti di edoardiana comicità. Le scene si susseguono una dopo l’altra in una sequenza che ne ripete ciclicamente la struttura. A tratti può annoiare, ma serve ai personaggi per dialogare – monologando – con l’unico protagonista presente in scena per tutta la durata dello spettacolo: il padre. La sua unica colpa sembra essere quella di osservare e di rispondere ai familiari con piccoli silenzi, che se sommati però diventano un silenzio grande, forse troppo per essere sopportato. Per Massimiliano Gallo (il padre) è una grande prova d’attore, al quale si affianca un’eccezionale e applauditissima Monica Nappo (Bettina, la cameriera).

La casa viene venduta per acquistarne una più piccola e riportare finalmente un po’ di serenità alla famiglia. A turno tutti entrano nello studio per salutare il luogo testimone dei fallimenti e delle incomprensioni, le mura che hanno ascoltato le più segrete confessioni e che ha visto nascere libri di successo. La stanza diventa quasi personaggio tra i personaggi. Di lei vediamo solo due pareti che creano una fuga prospettica di cui Valerio Primic ne è il centro focale. È il luogo del ricordo, dolce e amaro, zavorra a volte da cui ci si deve alleggerire.

La commedia si risolve nella semplice celebrazione della bellezza che si trova nascosta nelle cose ordinarie della vita, quella che attraversa ognuno. Il coup de theatre nel finale cambia la lettura delle cose e ne innalza improvvisamente il valore. Ora si può traslocare altrove.

data di pubblicazione:16/10/2019


Il nostro voto:

MISTERO BUFFO di Dario Fo, regia di Ugo Dighero

MISTERO BUFFO di Dario Fo, regia di Ugo Dighero

(Teatro Brancaccino – Roma, 10/13 ottobre 2019)

La straordinaria abilità recitativa di Ugo Dighero a confronto con due testi tratti dall’opera antologica del premio Nobel alla letteratura Dario Fo.

 

È diventato ormai da tempo un cavallo di battaglia per Dighero portare in scena i brani di Dario Fo Il primo miracolo di Gesù bambino e La parpàja topola, tratti rispettivamente da Mistero buffo (1969) e da Il fabulazzo osceno (1982), non solo in Italia ma anche all’estero. L’attore si cimenta in una prova non facile, per la quale è necessario tanto studio e allenamento. Il risultato è originale e coinvolgente tanto da far dimenticare nell’interpretazione il suo stesso ideatore. L’accento comico si sposta da una battuta all’altra in un ritmo serrato dalla precisione di un metronomo. Tutto è costruito sulla forza della parola e del gesto. Come nelle rappresentazioni di Fo non c’è utilizzo di altri inutili tecnicismi. Anche le luci sono ferme e non ci sono scene. Il corpo dell’attore – alle prese con un mal di schiena vero che è pretesto all’improvvisazione di ulteriori lazzi – tradisce tutto ciò che c’è da vedere sulla scena, anche i numerosi personaggi di cui è interprete contemporaneamente. Tutto quello che è evocato sulla scena si dipinge nella mente dello spettatore, a cui si chiede solo di immaginare. La lingua è il grammelot – un pastiche di dialetto lombardo e suoni onomatopeici – che ha potenza di muovere la fantasia alla completa comprensione.

Ne Il primo miracolo di Gesù bambino il racconto si concentra sull’infanzia del dio fatto uomo. Si racconta la sua umanità, il rapporto con i genitori, con la madre in particolare, senza però profanare quanto di sacro è nel mistero. Nonostante siano passati cinquant’anni dal primo debutto del testo si ride ancora a crepapelle e ne si ammira l’attualità, perfettamente declinata nei problemi sociali di oggi. Gesù è un bambino bullizzato dai suoi coetanei e allontanato dai giochi perché forestiero, palestinese. Chissà quanti bambini oggi vivono la stessa situazione per colpa di una politica allarmista. Ma la capacità del bambino divino di trasformare un pugno di fango in un uccello che vola davvero lo fa eleggere re dei giochi e castigatore del figlio del padrone, prepotente e guastafeste.

La parpàja topola è invece la storia di Giavan Pietro, un contadino sempliciotto – visto come un possibile antenato di Forrest Gump – che alla morte del padrone eredita una ricchezza immensa. Ambito dalle donne del paese ha però difficoltà ad avvicinarsi a loro per via della paura della misteriosa topola che con un morso potrebbe mozzargli le dita. Sarà la visione di Alessia a fargli cambiare idea. Inutile dire che anche qui comicità e divertimento si raggiungono senza cadere mai nella volgarità e nel troppo spinto.

Uno spettacolo riuscito che va goduto dalla prima all’ultima battuta.

data di pubblicazione:13/10/2019


Il nostro voto:

VALIUM di Alessandro Sena

VALIUM di Alessandro Sena

(Teatro La Cometa – Roma, 9/27 ottobre 2019)

Una compagnia scalcinata che riflette tutte le esagerazioni e le contraddizioni del teatro brillante odierno. Un “Rumori dentro la scena” all’italiana.

 

Il repertorio leggero e brillante attinge a un’altra opera prima che apre, con una serata a inviti, la stagione di un teatro che riflette profondamente sui meccanismi interni della rappresentazione e crede nel genere. La difficile gestazione di uno spettacolo nel segno di un autore in crisi matura attraverso doverosi compromessi. C’è un cane in scena ma anche un’attrice-cagna che farà una brutta fine. Compendio di personalità diverse ed eccentriche. L’attore esperto, l’aiuto regista attrice improvvisata d’emergenza, l’attore giovane prostatico, l’attrice di mezza età poco adatta alla parte. E un produttore che è un boss mafioso che controlla l’andamento attraverso un proprio killer che si rivelerà un regista aggiunto manipolando il testo con alcune sapide invenzioni. Si ride e si pensa con toni a volte semi-amari. Commedia anti-stress per eccellenza che trasmette il futile del teatro ma anche il birignao e quanto di teatro c’è nella vita di tutti giorni attraverso i tic dei protagonisti, a volte stagionati.  Recitazione omogenea e dialoghi che invitano al sorriso e a qualche risata a scena aperta. Sena converrò sulla necessità di qualche sfrondatura per evitare qualche caduta di ritmo. Lo spettacolo cerca una sua fine con una certa approssimazione. In effetti i finali immaginati potrebbero essere molteplici. Inutile aggiungere che lo spettacolo avrà successo e dunque chiuderà con l’happy end anche se con qualche piega imprevista tra i protagonisti. Il regista mollato dalla fidanzata, il boss che non chiude i conti con il suo sgherro, non più fidato. Le repliche non potranno che contribuire a oliare un meccanismo già piuttosto rodato e che regala ampio copione ai numerosi attori (nove, un’eccezione per i palcoscenici contemporanei).

data di pubblicazione:11/10/2019


Il nostro voto:

LE VERITÁ di Kore-Eda Hirokazu, 2019

LE VERITÁ di Kore-Eda Hirokazu, 2019

Arriva nelle sale, con il titolo Le verità, il film di Kore-Eda Hirokazu che ha aperto il Concorso della 76. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Il regista di Un affare di famiglia, ma anche di Father and Son, Little sister e Ritratto di famiglia con tempesta scrive nel 2003 questa storia nella forma di una pièce teatrale che prevedeva come unica ambientazione il camerino di un’attrice, ma decide poi di farla debuttare sul grande schermo girando a Parigi con interpreti francesi d’eccezione, non rinunciando tuttavia nella prima e nell’ultima scena a due splendide inquadrature di alberi autunnali che, con il cadere lieve delle foglie, ci traghettano in quel suo mondo poetico che ben conosciamo, in cui ciò che si prova emotivamente è più importante di ciò che viene provato dalla realtà dei fatti.

 

  

Fabienne (Catherine Deneuve) è una star del cinema francese che ha di recente pubblicato un’autobiografia in cui sua figlia Lumir (Juliette Binoche), che vive a New York sposata ad un mediocre attore americano (Ethan Hawke) e madre a sua volta, non si riconosce. Il confronto tra madre e figlia, quest’ultima accorsa a Parigi per la presentazione del libro, sarà necessario ad entrambe per far emergere “la verità” sui loro rapporti, sul loro differente modo di sentire, sui loro rancori ancora molto vivi e sulle loro ripicche che hanno portato entrambe a vivere in modo diametralmente opposto le loro esistenze. Fabienne è una donna libera, autonoma, che non rinuncia ad essere attrice anche nella vita, perché per lei recitare è la cosa più importante della sua esistenza; mente Lumir sembra volerle ogni giorno dimostrare che al contrario è la famiglia la cosa più importante, dando costantemente di sé un’immagine di donna realizzata come moglie e come madre, pur essendo una apprezzata sceneggiatrice. In questa altalena continua tra realtà e finzione ma, soprattutto, di quanto di vero si è disposti a mettere in gioco nella interpretazione di un personaggio, si alimenta la nuova storia di Kore-Eda che già ci aveva dimostrato, nel suo gioiello del 2018 Un affare di famiglia, come si può essere una famiglia senza esserlo realmente, in una finzione più incisiva della realtà.

L’interrogativo se sia davvero più importante la verità di una bugia e quanto di vero possa esserci nel ruolo di attore allorquando si accinge ad immedesimarsi, con il corpo e con la mente, nella vita degli altri, il regista giapponese non lo scioglie lasciando allo spettatore la scelta, usando la metafora del cinema come rappresentazione della verità attraverso la finzione.

La prova delle due interpreti femminili arriva diretta al cuore, culminando quasi sul finale in un confronto che ci fa commuovere, ma anche sorprendere come quando, di fronte ad un’eccellente prova attoriale ci si vergogna un po’, a luci accese, ad asciugarsi le lacrime per averci creduto. Ottime anche le performances di Ethan Hawke e degli altri interpreti maschili, volutamente in ombra, che fanno da cornice a tanto sentire.

La pellicola non raggiunge l’intensità dei precedenti lavori di Kore-Eda Hirokazu, ma non si può che togliersi tanto di cappello di fronte alla bravura del duo Deneuve-Binoche che fanno di questo film, non perfetto, un film emozionante, in cui ognuna ha messo molto di sé come hanno avuto modo di dichiarare alla stampa. Si spera che il doppiaggio non rovini proprio questa sinergia, che è il vero punto di forza della pellicola.

data di pubblicazione:10/10/2019


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ROMA EUROPA FSTIVAL Raoul – di e con James Thierrée

ROMA EUROPA FSTIVAL Raoul – di e con James Thierrée

(Teatro Argentina – Roma, 2/6 ottobre 2019)

Un uomo solo rinchiuso in una torre che prende coscienza dello spazio e della materia che lo circonda per iniziare un percorso che lo porta progressivamente a liberarsi di tutte le sue sovrastrutture. Ecco l’essenza di Raoul, spettacolo feticcio dell’artista belga James Thierrée presentato, nell’ambito di Roma Europa Festival al teatro Argentina di Roma dal 2 al 6 ottobre.

James Thierrée, mago della scena teatrale e innovatore delle forme circensi, dialoga con il suo amico immaginario e visionario che vive isolato in una torre-corazza, in un mondo incantato, abitato da teiere parlanti, vestiti animati, meduse-ombrello ed elefanti fantasma.

 

Thierrée è un predestinato (i genitori gli artisti circensi Victoria Chaplin e Jean-Baptiste Thierrée, il nonno Charlie Chaplin) in grado di intrecciare sapientemente gli elementi della sua formazione artistica quali teatro, circo, danza e arti visive per creare un unicum teatrale, innovativo e senza tempo, poco tecnologico e di grandissimo effetto.

Gesti provenienti del quotidiano, lo scherzo, le parole inventate, l’assurdo entrano in relazione con il cammino di Raoul nel quale la solitudine,  l’instabilità e l’insicurezza del vivere incontrano quali compagni di viaggio degli animali fantastici che entrano in gioco per dialogare, infastidire o illudere il protagonista che a volte seccato, altre volto avvinghiato a loro, decide di trasformare la propria vita.

Uno spettacolo intenso, faticoso, vissuto, come tutta la scena, progressivamente ed inesorabilmente scardinata e scomposta per arrivare all’essenza: palizzate di ferro che diventano delle vele e il corpo che alla fine può librarsi nell’acqua e nell’aria. Un’ora e mezza di intensissimo one man show per cogliere appieno coglie tutto il brio dell’attore, regista e mago e il suo rapporto personale con la danza, l’acrobazia, la trasformazione, l’ironia ed il silenzio.

Uno spettacolo enigmatico, visionario, capace di avvincere il pubblico, punteggiato di simboli, ma al tempo stesso semplice da decodificare emotivamente; una performance che unisce straordinaria qualità tecnica e un impatto visivo altamente suggestivo alla tenerezza e all’empatia che il protagonista suscita nello spettatore.

data di pubblicazione:08/10/2019

PICCOLI CRIMINI CONIUGALI di Éric-Emmanuel Schmitt, regia di Michele Placido

PICCOLI CRIMINI CONIUGALI di Éric-Emmanuel Schmitt, regia di Michele Placido

(Teatro Quirino – Roma, 1/13 ottobre 2019)

Commedia dalle tinte scure. Nella penombra di un appartamento una coppia di coniugi gioca a strapparsi dal viso una maschera che il tempo ha incollato al volto. La soluzione al difficile caso è accettare di confessare la verità.

 

 

Veste rinnovata per il teatro Quirino Vittorio Gassman di Roma che accoglie il pubblico alla prima di stagione con poltrone restaurate di nuovo velluto, sempre di un rosso acceso, merito dell’iniziativa prenditi cura del teatro Quirino, attraverso cui ogni spettatore può offrire il suo contributo e vedere il proprio nome impresso su una targa apposta sulle poltrone. Per un teatro poco sostenuto dagli enti Istituzionali questa risulta essere un’iniziativa importante.

A debuttare sul palco una commedia a due voci scritta da uno degli autori più prolifici e attivi del nostro tempo, il francese Éric-Emmanuel Schmitt. Piccoli crimini coniugali – di cui esiste una versione cinematografica recensita da noi in un articolo di Antonio Iraci – mette in scena la fatica di una coppia, ormai avanti con l’età e con i problemi, che vacilla a ritrovare un equilibrio stabile ai suoi tormenti.

Anna Bonaiuto restituisce in scena una moglie sì devota, ma non sottomessa, fragile ma non rassegnata, e mai soprattutto tragica. Michele Placido è Marco, uno scrittore di romanzi polizieschi che ha una teoria per tutto, specialmente per non cambiare le cose.

Il racconto si snoda lungo un tortuoso e serrato dialogo tra i due protagonisti, che vivono insieme ormai da 20 anni. Marco torna a casa dopo un ricovero di quindici giorni in ospedale dovuto a una ferita alla testa che si è procurato in un misterioso incidente casalingo. Lisa lo accompagna. L’incidente ha causato in Marco una curiosa amnesia: ricorda perfettamente le cose del passato, ma per niente quelle accadute di recente, tantomeno come abbia potuto picchiare la testa. Il fatto rimane un pretesto per far aprire tra i due un confronto sulla loro vita coniugale, fatta di difetti e colpe che non risparmiano di rinfacciarsi. Il dubbio si insinua nei loro ragionamenti e serve da strumento per smascherare le loro bugie.

Il testo drammaturgico è ricco e complesso, a tratti eccessivamente filosofico che si fa fatica a seguire, ma compatto nel suo svolgersi – unità di tempo e luogo sono rispettate – e condito di imprevisti e colpi di scena che danno movimento alla vicenda. Marito e moglie si scambiano di volta in volta il ruolo di vittima e di carnefice, in un gioco quasi pirandelliano di punti di vista, che fanno cambiare continuamente opinione sulla storia. Chi sarà il primo dei due a voler uccidere l’altro?

data di pubblicazione:04/10/2019


Il nostro voto:

JOKER di Todd Phillips, 2019

JOKER di Todd Phillips, 2019

Stupefacente prova d’attore per Joaquin Phoenix nel Joker di Todd Phillips, film Leone d’0ro a Venezia. In una Gotham City in cui imperversa un crescente malessere metropolitano, fatto di immondizia, rabbia e violenza, di diseguaglianze sociali estremizzate, cerca di sopravvivere il debole Arthur Fleck (Joaquin Phoenix) vittima di un grave disturbo che lo fa scoppiare in risate isteriche quando è sottoposto a stress emotivi rilevanti e che lo porta ad essere umiliato, deriso, malmenato ed emarginato.

 

Fleck vive con una madre anch’essa malata che ha rovinato irrimediabilmente la sua vita. Fa parte della schiera degli ultimi. Il suo sogno è quello di diventare un cabarettista, e magari essere un giorno ospite del suo show televisivo preferito, quello condotto dal comico Murray Franklin (uno straordinario Robert De Niro), ma nel frattempo si arrabatta come può travestendosi di clown. Sempre più ai margini, in un susseguirsi di vicissitudini grottesche, quasi vittima sacrificale di un disegno preordinato, non può che far esplodere la sua impotenza in una rivolta improvvisa e feroce verso tutti. Una trasformazione violenta e folle in un nuovo Joker la cui patologia viene eretta a simbolo di una rivolta popolare egualmente brutale e cieca, di cui diviene l’emblema suo malgrado.

In un panorama a fosche tinte tra le atmosfere de I Guerrieri della Notte e Taxi Driver, ma vicino anche all’indefinito futuro di Blade Runner ed agli scenari apocalittici di Romero, Joaquin Phoenix plasma un nuovo Joker a sua immagine e somiglianza, esorcizzando il suo passato ed il suo grandissimo talento. C’è lo sguardo folle di Nicholson ma anche la nera eleganza di Heath Ledger scomposti ed elaborati secondo una nuova fisicità, frutto di un lavoro ossessivo e profondo.

Joaquin Phoenix polarizza letteralmente tutto il film dalla prima all’ultima sequenza, grandissimo nel costruire un personaggio che dal fumetto rimanda ad echi letterari ea a personaggi di spessore mostrando una profondità non comune.

Arthur Fleck è la risata ossessiva e disperata del disagio di oggi, anche se trasposto in un’atmosfera torbida da comics apparentemente lontana, fatta di sporcizia e di rabbia, di soprusi, di segreterie telefoniche e vecchi lettori VHS, in un’atmosfera nella quale servizi sociali e medicine non sono in grado di sostenere la fragilità del giovane Arthur e dei suoi sogni, aprendo di fatto la voragine della cieca follia. E Arthur non può che affondare nel dolore e nella violenza trascinando con sé tutta quella piccola umanità selvaggia. Non c’è speranza su questa terra, forse un po’ di luce e di candore gli sono destinati in un’altra vita, nella quale dar sfogo alla sua andatura sconnessa e sognante.

Un film decisamente bello e misurato, con un importante lavoro di regia e con tanti superlativi attori (De Niro in primis), ma condizionatissimo dal suo mostruoso protagonista, cui spetteranno certamente tantissimi riconoscimenti che non può non meritare.

data di pubblicazione:02/10/2019


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TUTTAPPOSTO di Gianni Costantino, 2019

TUTTAPPOSTO di Gianni Costantino, 2019

Roberto è uno studente presso la Facoltà di Lettere nell’immaginaria città siciliana di Borbona Sicula. I suoi esami sono pilotati visto che nell’ateneo, di cui il padre è magnifico Rettore, tutti i professori sono più o meno imparentati con la sua famiglia. Il giovane, vittima compiacente di un sistema che si basa sulla raccomandazione e dove la meritocrazia è un concetto molto astratto, un bel giorno decide di rompere questo dilagante malcostume e, insieme ad altri universitari, decide di creare una “app” dove saranno gli studenti stessi a dare un voto ai docenti in base alla loro serietà professionale…

 

 

Che il sistema universitario italiano sia invaso in parte da un baronato, dove gli stessi professori agiscono impunemente, è cosa nota ai più e pertanto la commedia di Gianni Costantino non dice nulla di nuovo; tuttavia merito indiscusso del film è quello di divertirci con leggerezza, lasciando spazio alla riflessione su questo modus operandi tipico italiano e al quale ci siamo alquanto assuefatti. Se la storia raccontata è tutta Made in Sicily, per estensione il problema della mala istruzione universitaria riguarda però un po’ tutto il nostro “bel paese”, sino alle estreme propaggini del nord. Ecco quindi che la storia di Roberto si può senz’altro esportare in un sistema nazionale dove per essere promossi una spintarella risulta quanto mai opportuna, se non a volte necessaria, per superare il fatidico esame. Il giovane protagonista è interpretato da Roberto Lipari, comico palermitano a cui si deve in gran parte la stesura della sceneggiatura, molto noto al pubblico televisivo per aver trionfato qualche anno fa nel talent show di La7 Eccezionale Veramente, oltre che come cabarettista nel cast fisso di Colorado su Italia Uno. Lipari, che nella conferenza stampa di presentazione del film ha ammesso quanto la storia sia stata ispirata da fatti di corruzione realmente accaduti presso alcuni atenei italiani e da esperienze personali vissute quando era studente universitario, è un umorista che riesce a portare fuori la sua indiscussa sicilianità con un intrattenimento intelligente e divertente senza mai scivolare nella volgarità. Inutile negare che il film si base su un plot molto naif, con la sola pretesa di voler divertire raccontando in maniera sottile una realtà amara che, a volte, supera di gran lunga la fantasia. Il regista, qui al suo secondo lungometraggio dopo la commedia Ravanello Pallido, ha chiamato a impersonare la figura del “magnifico” Rettore Luca Zingaretti, oramai siculo di adozione, che riesce a dare ad un personaggio decisamente rigido quel necessario tocco di grottesco.

Film semplice, con un budget di produzione molto basso, che non aspira assolutamente ad essere inserito tra le pagine importanti del nostro cinema, ma che proprio per questo ben predispone lo spettatore riuscendo a procurargli 90 minuti di puro divertimento.

data di pubblicazione:02/10/2019


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ROMA EUROPA FESTIVAL The Valley (an apocalypse) – Hans Op de Beeck, Eric Sleichim, Bl!ndman Ensemble

ROMA EUROPA FESTIVAL The Valley (an apocalypse) – Hans Op de Beeck, Eric Sleichim, Bl!ndman Ensemble

(Teatro 1 Mattatoio – Roma, 26/27 settembre 2019)

È un’opera di teatro musicale il nuovo lavoro di Hans Op de Beeck, in collaborazione con Eric Sleichim e la sua Bl!ndman Ensemble, per la drammaturgia di Tobias Kokkelmans. The Valley (an apocalypse) è stato presentato il 26 e 27 settembre con grande successo al Teatro 1 del Mattatoio.

Un uomo (l’attore Dirh Roofthooft) è seduto ai piedi di una piccola arena e racconta la sua incredibile storia. È circondato da musicisti che accompagnano il tragico racconto mentre tra di loro si aggira una donna con le ali nere (il soprano Lore Binon). E’ forse il suo angelo custode o la figlia consegnata all’acqua o la sua anima.

 

The Valley (an apocalypse) è un’opera coraggiosa in un viaggio nella memoria e nell’intimità forse anche nel solo immaginato, in uno spazio simbolico fatto di sassofoni, di una fisarmonica che suona in autonomia e di un rettangolo d’acqua.

L’artista visivo Hans Op de Beeck che vive e lavora a Bruxelles ci porta in un mondo fatto di ombre che sembra abitare al di sotto della superficie terrestre per narrarci delle storie, fatte di odori e sensazioni, di ricordi. Una narrazione tragica che parla anche di bellezza, di canto ancestrale, di vibrazioni, di incontri, di desideri, capace di far entrare lo spettatore in un sogno tanto esteriore quanto interiore, grazie alla cura della parola ed alla magia del disposto scenico.

Il protagonista è seduto a occhi chiusi, drammaticamente solo e incapace di dare direzione a una vita che lo coinvolge e lo sovrasta senza che lui possa realmente decidere da che parte e soprattutto verso dove andare.

Prima guidato da un eremita in una valle dove non c’è la luce del giorno e il livello dell’acqua cresce annunciando la catastrofe a venire, poi coinvolto nella relazione erotica con Jara, l’uomo appare sempre in bilico tra ciò che trova quasi per puro caso e ciò che inevitabilmente perderà, dalla valle all’amore della sua vita. La nascita di una bambina, dunque la famiglia, diventa alla fine l’ennesimo disperato tentativo dell’essere umano di emergere dall’abisso della propria esistenza e spezzare il ciclico e spietato reiterare di vita e morte.

Un’apocalisse poetica esistenziale nel ciclo dell’acqua che toglie e regala.

data di pubblicazione:1/10/2019