ACCATTONE di Pier Paolo Pasolini, adattamento e regia di Enrico Maria Carraro Moda

ACCATTONE di Pier Paolo Pasolini, adattamento e regia di Enrico Maria Carraro Moda

(Teatro Trastevere – Roma, 7/12 maggio 2019)
La storia del borgataro romano, ladro e pappone per professione, torbido e spavaldo sbeffeggiatore della vita tanto quanto della morte, rivive in una eccellente trasposizione teatrale.

Prima di essere impressa su pellicola, la storia di Accattone era già stata annunciata nella letteratura pasoliniana. Il passo era quasi obbligato vista la portata cinematografica del suo modo di raccontare. La decisione di farne una traduzione teatrale appare come una rischiosa novità, ma non fuori luogo per un personaggio dai caratteri fortemente drammaturgici come Vittorio Cataldi. Ottimo e riuscito nella sua originalità l’esperimento tentato dalla compagnia dell’Associazione Culturale I Nani inani diretta da Enrico Maria Carraro Moda, nei panni del protagonista.
La regia è affrontata secondo il linguaggio del teatro epico. Un display elettronico attivato in scena dagli attori attraverso un telecomando elenca in forma di capitolo i vari episodi di cui la storia è costruita. Lo spettatore è costantemente avvertito e invitato a prendere coscienza dello scandalo di cui i personaggi si fanno veicolo. L’attenzione è mantenuta viva, diventa partecipazione di fronte alle provocazioni insolenti di Accattone, che chiama il pubblico a farsi giudice della vita e della morte. La sala intera diventa lo spazio scenico nel quale si svolge l’azione. Il teatro si trasforma ipoteticamente nella periferia romana, ma delle sue baracche percorse da strade polverose e accecanti non rimane nulla in termini visivi. La borgata è ora una condizione dell’animo, un suggerimento dato dalle luci fortemente espressive. Lo stesso fiume Tevere è poca acqua contenuta in un bidone della spazzatura, nel quale si tuffa e riemerge arrogante e spavaldo Accattone.
Uno spettacolo da non perdere, in scena fino a domenica al Teatro Trastevere.

data di pubblicazione:10/05/2019


Il nostro voto:

SARAH & SALEEM – Là dove nulla è possibile di Muayad Alayan, 2019

SARAH & SALEEM – Là dove nulla è possibile di Muayad Alayan, 2019

Il sottotitolo con cui questo film è arrivato nelle nostre sale dice molto, forse tutto, di ciò che “non può accadere” in una terra dilaniata da un clima di costante tensione, come quello che caratterizza i rapporti tra Israele e Palestina.

 

L’israeliana Sarah è sposata con un ufficiale dell’esercito e gestisce un bar a Gerusalemme Ovest; Saleem, anche lui sposato e prossimo padre, è palestinese e vive a Gerusalemme Est dove fa il fattorino per un panificio. I due, pur non trascurando le rispettive famiglie, hanno una relazione che di fatto si limita a fugaci rapporti sessuali consumati all’interno del furgoncino che l’uomo usa per il suo lavoro. Sarah e Saleem sono due persone che “politicamente” parlando non dovrebbero stare insieme ma che invece non considerano affatto questo aspetto delle loro vite: il loro “tradimento” privato si trasformerà incredibilmente in un caso politico e sociale di dimensioni inimmaginabili.

Palestinese doc, ma con una formazione cinematografica americana, Muayad Alayan con Sarah & Saleem realizza un piccolo capolavoro costruito su una sceneggiatura, curata da suo fratello Rami, perfetta, che non cade nei soliti cliché della storia d’amore impossibile, sullo sfondo degli attriti sanguinosi tra israeliani e palestinesi. Ma ciò che affascina e appassiona di più, di questo vero e proprio gioiello cinematografico, è il peso delle circostanze casuali che trasformano una semplice infedeltà coniugale in qualcosa che sfugge a qualunque controllo, in un meccanismo dove i tasselli della storia sembrano incastrarsi alla perfezione per arrivare ad un risultato quanto mai imprevedibile e per dimostrare, ancora una volta, come in questa terra massacrata nulla sia veramente possibile.

Lo scontro titanico tra le due donne coinvolte, Sarah e Bisa, la giovane moglie di Saleem in attesa del loro primo figlio, rappresenta il fulcro del film: sono loro le vere protagoniste della storia e saranno loro a trovare una soluzione non banale, e di certo non priva di sofferenza, mentre agli uomini non rimarrà che scontrarsi per fomentare un odio che non sembra avere soluzione di continuità.

Il film trova ispirazione da una storia vera e riesce a tratteggiare, in un’ambientazione dove ogni singola scena ci parla di conflitto razziale e di soprusi, il ritratto di due donne molto diverse, rivali in amore ma entrambe vittime, che hanno tuttavia il coraggio di lottare insieme per far emergere la verità, sfidando ogni possibile conseguenza.

Presentato in anteprima italiana al Bari International Film Festival, il film ha già riscosso importanti premi con ampi consensi di critica e di pubblico. Da non perdere.

data di pubblicazione:08/05/2019


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È COSA BUONA E GIUSTA  di Michele Benniceli e Michele La Ginestra, regia di Andrea Paolotto

È COSA BUONA E GIUSTA di Michele Benniceli e Michele La Ginestra, regia di Andrea Paolotto

(Teatro di Carbognano, 5 maggio 2019; Teatro Sistina – Roma 10/19 maggio 2019)

Il mood di La Ginestra funziona ancora. One man show condito dall’apprezzabile professionalità dei ragazzi dell’Accademia di Teatro del Sistina.

Efficace il pretesto di insegnare la vita e i primi rudimenti del teatro ai giovani per un’immersione autobiografica nel mondo di Michele la Ginestra. Dove tutto può apparire vero e contemporaneamente finto. Perché sempre di teatro parliamo. Però l’operazione funziona e confonde perché miscela meravigliosamente realtà e fantasia. Il vissuto dell’attore solista e dei suoi primordi con l’ingenuità e le domande dei ragazzi di diversa personalità che si abbeverano alla fonte della sua esperienza. Lo spettacolo ha toni leggeri ma attinge a un lirismo profondo nella rievocazione del distacco mortale dal padre. La Ginestra non scorda la lezione del Sistina perché lo spettacolo attinge a brani popolari (De Gregori anche) con le cadenze di un music hall in cui occorre saper cantare (in coro anche), ballare, gestire l’interazione con il protagonista principale. E l’interprete si offre con generosità attraverso una doppia replica che gli concede solo 45’ d’intervallo, dandosi senza respiro a un pubblico ricettivo di provincia, certo diverso da quello del Sistina che nelle repliche lo attendono dopo un’anteprima rodante. Il laureato in legge è enormemente a suo agio nell’arte dell’intrattenimento. Ironizza su sé stesso quando lo includono nella top fine degli interpreti del Rugantino che poi sono stati cinque in tutto. Allude al momento del definitivo lancio nella hit parade dei grandi interpreti leggeri. Una popolarità che è stata corroborata dalla pubblicità per una nota marca alimentare e dalle apparizioni felici in programmi di intrattenimento gastronomico. Feroce la critica al mondo virtuale dello smartphone che ha fatto perdete l’immediatezza e la spontaneità giovanile a un’intera generazione. Ma non è mai troppo tardi per ravvedersi anche attraverso la leggerezza di uno spettacolo che fa riflettere sorridendo. Come nelle corde del protagonista che ti fa immergere nelle pieghe di un convincente ragionamento espresso con grande empatia.

data di pubblicazione:06/05/2019


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DIARIO DI BORDO DI UNO SCRITTORE di Bjorn Larsson- Iperborea, ultima edizione 2019

DIARIO DI BORDO DI UNO SCRITTORE di Bjorn Larsson- Iperborea, ultima edizione 2019

Quando uno scrittore ha raggiunto una fama internazionale può obbedire anche a una richiesta contrattuale. In questo caso da parte della indiscutibile regina editoriale della letteratura nordica. Dunque la narrativa consacrata di La vera storia del pirata Long John Silver o ne I poeti morti non scrivono gialli viene accantonata in favore di un racconto autobiografico in cui c’è anche molta Italia oltre alle molte curve e svolte della vita dell’autore. Che non aveva sicuramente nel Dna quello di diventare un autore di best seller nel procelloso mare della vita. Il libro ha molte possibili vie di comprensione per il lettore. Si può leggere come un manuale di scrittura, un prezioso zibaldone di aneddoti, un tesoretto di ispirazioni. Uno scrittore non può mancare di curiosità. Sembra essere questo l’elemento fondamentale estraibile dalle variegate esperienze dell’autore. Che destruttura anche l’ammirevole welfare del Paese che gli ha dato i natali per descriverci una realtà più complessa e contradditoria anche nel confronto esistenziale con le nazioni che ama e che gli hanno offerto adozione. C’è un po’ del pirata anche nei capitoli che raccontano gli alterni rapporti con le case editrici, i primi insuccessi, la gavetta, l’esercizio paziente della perseveranza per approdare poi a una professione abbracciata con entusiasmo. Il vero scrittore è quello che non si ripete. E dunque Larsson ha bordeggiato da romanzi di assoluta fiction, a trame di impostazione scientifica, sperimentando anche il giallo e il noir che sembravano temi fuori dai propri confini. Se alcune vite sono come un romanzo questo libro ha una sua indispensabilità. Gli aspiranti scrittori vi ritroveranno un po’ di stessi con dubbi e incertezze su un’attività che regala più delusioni che soddisfazioni. Perché, soprattutto in Italia, quasi tutti scrivono ma pochissimi leggono. E dunque si agisce in un contesto quasi desertificato che promette di godere di un modesto sviluppo futuro.

data di pubblicazione:06/05/2019

CHE AMAREZZA di e con Antonello Fassari

CHE AMAREZZA di e con Antonello Fassari

(Teatro Petrolini – Ronciglione, 4 maggio 2019 fine tournée)

Un bilancio di carriera. Un po’ mesto e tristanzuolo, guardando a personaggi un po’ corrosi dal tempo ma con vette comiche indimenticabili, scolpite nella piccola storia televisiva…

Va di moda l’auto-fiction anche a teatro. Così Antonello Fassari culmina sette mesi in giro per l’Italia con un’ultima esibizione in Tuscia, nel Paese di Marco Mengoni, davanti a un pubblico ben disposto e attirato dal suo nome e dalle sue proposte comiche. Non c’è nulla che già non si sappia dei personaggi istruiti da Fassari in questi 70’ di spettacolo. Il tempo non lavora per l’attualità dei personaggi di Avanzi. Lo smemorato che non ritrova più il suo comunismo oggi suona come un ricordo d’antan, come il giornalista prono a ogni potere. Perché in questo campo la realtà ha nettamente superato la più spericolata fantasia teatrale. Apprezzabile la scenografia che mette a disposizione manichini, travestimenti e parrucche che, unitamente a una colonna sonora adeguata, contribuiscono ad alleggerire il fardello presenza scenica univoca del protagonista. Non è in discussione la capacità attoriale del comico quanto l’allestimento coerente del tutto. La voce fuori campo è quella del personaggio di maggior successo che lo incalza e in un certo modo lo perseguita. Per l’Italia tutta Fassari è Cesaroni, un personaggio da cui cercano invano di prendere le distanze. Il refrain distilla amarezza, il sostantivo simbolo, un tormentone che funziona. Nel viaggio personalissimo condito con molte tappe si passa dalla rievocazione del mito di Sisifo a Eduardo De Filippo con uno sguardo attoriale malinconico e pieno di nostalgia. E forse non tutti sanno che gli inizi di Fassari sono nel segno della canzone rap di cui offre un eloquente saggio. Emerge alla fine il ritratto di un uomo contemporaneo perennemente insoddisfatto che è un po’ lo specchio dei tempi in cui viviamo. Con poche vie di fuga e tra queste il teatro.

data di pubblicazione:06/05/2019


Il nostro voto:

MACBETTU tratto da Macbeth di William Shakespeare, regia di Alessandro Serra

MACBETTU tratto da Macbeth di William Shakespeare, regia di Alessandro Serra

(Teatro Argentina – Roma, 2/5 maggio 2019)

Una sfida complessa, il Macbeth di Shakespeare recitato in sardo e, come nella tradizione elisabettiana, interpretato da soli uomini, vestiti nei completi tradizionali isolani, con la Sardegna che anima con propri suoni, usi e costumi le figure e le atmosfere shakespeariane. Un progetto e un risultato straordinario il Macbettu di Alessandro Serra, regista e fondatore della compagnia Teatropersona, che ha allestito la tragedia per Sardegna Teatro. Uno spettacolo tornato a Roma dopo aver fatto il giro del mondo ed avere raccolto premi e consensi, dal 2 al 5 maggio 2019 al Teatro Argentina, che già lo aveva ospitato lo scorso anno.

 

Emergono sorprendenti e forti analogie tra la tragedia scozzese e i riti e le maschere della Sardegna: i suoni cupi prodotti da campanacci e lamiere, le pelli e le maschere e poi il sangue, il vino, la terra, tutto in una dimensione materica ancestrale.

La riscrittura in lingua sarda da Giovanni Carroni, trasforma anzi l’originale in canto arcaico e potente, che risuona in uno spazio scenico vuoto, attraversato di continuo dai corpi e dalle voci degli attori che interagiscono e si amalgamano a pietre, terra, ferro, pane carasau, coltelli. La scelta poi di porre solo figure maschili in scena, comprese le streghe ripensate nella tradizione contadina della Barbagia e Lady Macbeth, sembra coerente con questo scopo. Lady Macbeth mantiene la virilità dell’attore ma con una sete di potere ed una presenza scenica incredibilmente femminile. Così come le streghe che si prendono in giro, si sputano e si rincorrono, sempre presenti perché il gioco è nelle loro mani.

Nell’assoluto buio una parete di ferro avanza tra la polvere e da tale struttura come insetti famelici iniziano a discendere losche figure; e quella parete nel corso della narrazione si smembrerà diventando tavoli dove banchettare e celebrare il potere, letti dove dormire. Una parete metallica che alla fine di tutto propagherà un rumore che ben presto si trasforma in rombo assordante.

Appare Macbettu (lo straordinario Leonardo Capuano), che non conosce, fino a quel momento, desideri o invidia, al servizio del buon re Duncan ma che esce piuttosto inquieto e tormentato dall’incontro con le streghe: è l’inizio del suo destino, della sua debolezza di fronte al proprio desiderio di potere. E così il male inizia a diffondersi.

Lavoro splendido, completo, leggero e gravoso, rigoroso e tagliente, geniale per le intuizioni registiche, la forza dei movimenti, l’efficacia di luci e ombre. Un teatro essenziale ricco di idee, pieno di allucinazioni e apparizioni,  un incubo pieno di insegnamenti.

data di pubblicazione:06/05/2019


Il nostro voto:

GIACOMO BALLA – Dal Futurismo astratto al Futurismo iconico, a cura di Fabio Benzi

GIACOMO BALLA – Dal Futurismo astratto al Futurismo iconico, a cura di Fabio Benzi

(Palazzo Merulana – Roma, 21 marzo/17 giugno 2019)

Dopo 5 anni di radicali interventi di ristrutturazione di ciò che era il vecchio Ufficio di Igiene, dal 2014 Palazzo Merulana è sede della Fondazione Elena e Claudio Cerasi che insieme a CoopCulture cura una ricca collezione d’arte essenzialmente riservata alle opere di artisti italiani del Novecento. Il tutto ha inizio nel 1985 con l’acquisto del quadro Piccoli Saltimbanchi di Antonio Donghi per poi proseguire con lavori della così detta “pittura tonale” degli anni Trenta sino alla corrente realista e espressionista che comprende Capogrossi, Mafai, Scipione, Trombadori, Pirandello e tanti altri ancora fino a completarsi con opere del primo Novecento da Balla a Sironi, da Campigli a Severini fino a Giorgio de Chirico divenuto il centro assoluto di interesse in particolare per una delle sue serie più significative: I bagni misteriosi. Accanto a questi artisti che costituiscono il fulcro dell’arte italiana del secolo scorso, in questi giorni e sino al 17 giugno, è in esposizione una serie di opere di Giacomo Balla del periodo futurista e post-futurista in cui trova rilievo il ritratto del pugile Primo Carnera, campione del mondo nel 1933. Il quadro venne dipinto sui due lati: da una parte è rappresentato un soggetto tipicamente futurista, Vaprofumo del 1926, attraverso quelle forme chiare che intendono suscitare le sensazioni olfattive di un flacone di profumo spezzando così la forma tradizionale ed il concetto stesso di dipinto e ampliando la percezione visiva attraverso un’altra dimensione; pochi anni dopo sul retro l’artista dipingeva un soggetto completamente diverso, vale a dire il ritratto di Carnera. Questo dipinto era ispirato ad una foto di Elio Luxardo pubblicata sulla Gazzetta dello Sport quando il pugile era diventato campione del mondo e la sua particolarità sta nella tecnica usata dall’artista consistente nell’applicare sul fondo della tela una rete metallica su cui poi egli dipinse, creando così un effetto di retinatura che ricorda quello prodotto dalle immagini a stampa dei giornali. Questa tecnica, che fu poi ripresa ad esempio dalla pop art americana (da Warhol a Lichtenstein), aprirà a Balla nuove prospettive ponendo le basi di una sorta di “avanguardia di massa” che, nata all’interno del futurismo, andrà poi oltre per sperimentare immagini che spesso si rifanno a soggetti della moda e del cinema di quel periodo. Il percorso riguarda quindi dipinti futuristi e quelli del periodo successivo mettendoli a raffronto con le immagini dei divi eseguite da grandi fotografi come Anton Giulio Bragaglia e Arturo Ghergo.

Mostra sicuramente da visitare anche per scoprire questo nuovo spazio museale romano il cui restauro, pur realizzato in una struttura antica, ha creato una serie di ambienti moderni e nello stesso tempo funzionali.

data di pubblicazione:05/05/2019

IL CAMPIONE di Leonardo D’agostini, 2019

IL CAMPIONE di Leonardo D’agostini, 2019

Matteo Rovere e Sydney Sibilla con i loro film hanno contribuito a delineare una nuova e brillante corrente nel panorama del cinema italiano: basti pensare a Veloce come il Vento e a Smetto quando voglio. Questa volta, con la loro casa di produzione Groenlandia, in veste di produttori, hanno dato la possibilità all’esordiente Leonardo D’agostini di portare sugli schermi, e con successo, una pellicola commerciale ma di qualità, che riesce ad abbracciare il gusto di una vasta platea di spettatori senza distinzione di genere, seppur ambientata in ambiente calcistico, concorrendo un po’ a risollevare le sorti del cinema di casa nostra in perenne crisi creativa ed esistenziale.

 

Christian Ferro (e non poteva che chiamarsi così!) è un asso del pallone del nuovo millennio: una vera e propria pop star, con ingaggi plurimilionari non solo in veste di campione dell’A.S. Roma, ma anche come immagine di spicco di pubblicità e sponsorizzazioni di ogni genere. Christian (figura quasi “mitologica” dalle fattezze, gli atteggiamenti ed il talento di Cassano, Totti, Ronaldo e Balotelli messi assieme) è del Trullo, un quartiere popolare di Roma. Orfano di madre e con un padre nullafacente a carico, Christian è circondato da un insieme di amici veri e no, che gli ruotano attorno come pescecani pronti ad azzannare le briciole (e anche più) di ciò che riesce a divorare nella sua giovane esistenza di ventenne: dalle Lamborghini di ogni foggia e colore con cui spesso fa dei clamorosi incidenti, agli abiti firmati, dalla villa hollywoodiana con piscina, alle frotte di ragazze immagine adoranti e ai ristoranti penta stellati. Il suo talento, al pari della sua spavalderia, lo identificano ovunque lui vada, e quando uno dei suoi amici d’infanzia lo apostrofa con un “te sei ripulito”, il suo onore ferito da ex ragazzo romano di periferia lo induce a commettere l’ennesima bravata che il Presidente della sua squadra (interpretato dal grande Massimo Propolizio) non potrà perdonargli. Dimostrerà di mettere la testa a posto studiando per prendere (e si spera anche raggiungere) la maturità o verrà punito con la tribuna a vita?

Christian Ferro è incarnato da Andrea Capenzano (classe 1995) che, dopo Tutto quello che vuoi e La terra dell’abbastanza, conferma la sua stupefacente bravura; mentre un maturo Stefano Accorsi, misurato e generoso nei panni di Valerio Fioretti ex professore di liceo squattrinato e tormentato da un passato ingombrante, è colui che si assumerà l’onere e l’onore di insegnargli ad apprezzare le materie scolastiche, al pari di quanto nel “Ferro fenomeno” ci sia ancora tanto di quel ragazzo del Trullo che ha più paura di restare solo che di perdere soldi e notorietà.

I personaggi di Valerio e Christian non sono certo originali cinematograficamente parlando, ma la complicità tra questi due attori sono la vera forza del film: entrambi non sconfinano, non prevaricano, ma si compenetrano, in una perfetta sinergia che fanno di questo film, dalla trama semplice e forse un po’ scontata, una pellicola sulla maturità e sull’amicizia da vedere ed apprezzare, una vera sorpresa anche per chi, come chi scrive, di calcio non se ne intende affatto.

data di pubblicazione:04/05/2019


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AUTOBIOGRAFIA EROTICA di Domenico Starnone, regia di Andrea De Rosa

AUTOBIOGRAFIA EROTICA di Domenico Starnone, regia di Andrea De Rosa

(Teatro Piccolo Eliseo – Roma, 3/12 maggio 2019)

Aristide e Mariella si rivedono, su invito di lei, per rievocare il loro incontro di vent’anni prima a Ferrara e durato appena poche ore. Lui, che allora lavorava per una casa editrice, era andato a conoscere uno scrittore del quale Mariella, appena diciottenne, era la segretaria. Da quell’incontro occasionale i due, in preda ad una irrefrenabile attrazione, avevano consumato un rapporto sessuale vissuto ognuno in maniera del tutto diversa: Aristide lo aveva subito rimosso, anche perché era già sposato ed in procinto di diventare padre, mentre la giovane Mariella aveva fissato ogni minimo dettaglio essendo alla sua prima esperienza. Ma perché, questo nuovo incontro dopo tanto tempo? Un gioco erotico o un pretesto per far affiorare una realtà tenuta nascosta per tanti anni?

  

 

Sono passati vent’anni da quel fugace incontro ma Aristide e Mariella (Pier Giorgio Bellocchio e Vanessa Scalera) non hanno smesso di piacersi e le parole ora usate, senza tanti preamboli per rievocare quanto accaduto, sembrano giocare un ruolo determinante per risvegliare in loro quella passione imbarazzante, ma pur sempre vera, che li aveva travolti durante quel breve e unico rapporto sessuale. La scena è nuda e buia, ridotta all’essenziale, per far emergere le figure dei due: un uomo e una donna ed il loro vissuto che via via affiora dando spazio ad una realtà che si è cercato sino ad allora di nascondere e che ora prepotentemente vuole venir fuori.

Andrea De Rosa porta in scena il romanzo Autobiografia erotica di Aristide Gambìa, scritto da Domenico Starnone che ne ha curato anche l’adattamento per il teatro. I dialoghi tra i due protagonisti sono serrati, schietti e pregni di un linguaggio erotico, a tratti quasi osceno, da sbattere con violenza in faccia al pubblico per rivelare la natura di due esistenze a partire dalla loro età adolescenziale. Un rimbalzo di confessioni mai confessate, di sensazioni mai provate per ricomporre un’intimità consumata di fretta vent’anni prima, senza il tempo di gustare appieno il dopo.

Bellocchio mantiene sulla scena una interpretazione equilibrata ma al tempo stesso carica di sofferenza, dalla quale emerge un passato forse da dimenticare ma che ora si trasforma in una nuova passione nei confronti di questa donna che, appena conosciuta, aveva subito resuscitato in lui irrefrenabili tensioni erotiche. La Scalera di contro sembra mostrare più spregiudicatezza nell’utilizzo di espressioni decise che danno il giusto nome alle cose, senza ricorso ad alcuna ambiguità o falso pudore. Un duetto che funziona bene e non lascia tempo a tentennamenti o riflessioni superflue, per arrivare ad un finale privo di qualsiasi conclusione, semmai aperto ad ogni possibile soluzione, a cominciare dalla casa romana dove i due si incontrano: non è vuota ma segnala la presenza di una terza persona attraverso suoni inarticolati fuori campo, un sospiro o un lamento di una donna di cui nulla si sa e sulla quale si possono fare mille congetture…

data di pubblicazione:04/05/2019


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I FRATELLI SISTERS di Jacques Audiard, 2019

I FRATELLI SISTERS di Jacques Audiard, 2019

Il titolo di questo film, presentato in concorso al Festival di Venezia dello scorso anno, non è un ossimoro. Sisters è il cognome di Charlie e Eli, fratelli nella vita ma anche soci in affari. Ingaggiati dal Commodoro per scovare un uomo e eliminarlo, i due non si faranno troppi scrupoli ad uccidere chiunque voglia fermarli nel loro viaggio che dall’Oregon li porterà sino in California, sulle tracce di colui che pare abbia la formula chimica, o forse magica, per individuare i filoni d’oro.

 

Rimescolando gli stereotipi dei western di una volta, senza espresso riferimento né a quelli americani né tantomeno a quelli italiani portati al successo internazionale da Sergio Leone, il regista e sceneggiatore francese Jacques Audiard confeziona un film che è una vera e propria babele: tratto da un romanzo del canadese Patrick DeWitt ed ambientato nel 1850 in Oregon, ma girato in Spagna e Romania, è interpretato da attori americani del calibro di John C. Reilly, Joaquin Phoenix e Jake Gyllenhaal, nonché dal rapper britannico di origini pakistane Riz Ahmed; a tutto ciò si aggiunge l’impareggiabile tocco italiano della costumista Milena Canonero. Tutti ingredienti eterogenei che contribuiscono a creare alla perfezione una storia turbolenta di pistoleros senza scrupoli che, pur portando a termine una carneficina dietro l’altra, mantengono paradossalmente uno spirito profondamente umano.

Il regista ha dichiarato di non aver voluto realizzare un vero e proprio western, genere a lui più ostico che sconosciuto, quanto uno studio profondo sulle figure dei due fratelli ed il legame indissolubile che li unisce in ogni impresa. Se lo si vuole considerare come una metafora sulla disillusione dell’amore, in senso lato, forse un accostamento lo si potrebbe fare con il film The Missouri Breaks di Arthur Penn con Marlon Brando e Jack Nicholson, film crudo e sufficientemente cinico che non esalta gli eroi né si schiera favorevolmente con coloro che si pongono come difensori dell’ordine. I fratelli Sisters, nonostante le divergenze che portano Charlie a voler uccidere il Commodoro per impadronirsi del suo potere ed Eli a pensare ad una vita romantica, creandosi una famiglia ed aprire un negozio, non riusciranno mai a separarsi.

Il pluripremiato Jacques Audiard (Il profetaUn sapore di ruggine e ossaDheepan con cui vinse la Palma d’Oro a Cannes nel 2015) ci regala un western diverso, pieno di contraddizioni ma di tanto sentimento, quasi a dimostrarci che anche il più spietato dei cowboy ha un animo di tutto rispetto.

Premiato a Venezia con il Leone d’Argento per la Miglior Regia, il film ha riscosso enorme successo di pubblico e di critica riuscendo ad ottenere ben 9 candidature ai Cesar 2019 di cui 3 andate a segno: Miglior Regia, Miglior Fotografia e Miglior Scenografia.

data di pubblicazione:03/05/2019


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