da Antonio Jacolina | Ott 18, 2024
(19a FESTA del CINEMA di ROMA 2024)
J.Y. Machond (B. Poelvoorde) è un modesto e velleitario pittore “concettuale” che vive e lavora a Bruxelles. Insoddisfatto della sua vita artistica e personale è ad un punto critico. Quale migliore soluzione allora che stabilirsi nel luogo simbolo degli impressionisti, a Etretat in Normandia. Lì potrà avere i giusti stimoli ed ispirazioni atte a rigenerarlo come uomo e come artista e dipingere finalmente il capolavoro che gli darà l’auspicata fama e gli cambierà la vita. I luoghi, le scogliere, i panorami e gli incontri soprattutto quello con un pittore figurativo locale e con Cécile (C. Cottin) gallerista bella, intrigante e manipolatrice, gli faranno scoprire non la via per l’Arte ed il successo ma quella “molto più semplice” per la Felicità…
I cineasti francesi e con loro anche i belgi, non è nemmeno più una notizia ma solo l’ennesima conferma, sono divenuti ormai dei veri maestri nella capacità di proporre, scrivere, interpretare e realizzare commedie. Commedie di volta in volta divertenti, tenere, brillanti o anche agrodolci ma sempre eleganti, ben fatte e garbate. Film che sono spesso anche dei piccoli gioiellini cinematografici capaci di affrontare con coraggio e sensibilità anche temi seri e di mettere d’accordo il diavolo e l’acqua santa cioè Botteghino e Critica. Scoperte sempre gradite ed apprezzate, divenute quasi consuetudine qui alla Festa del Cinema di Roma.
Liberski, artista multiforme – regista, scrittore e sceneggiatore – è il primo a presentarsi al pubblico della Festa con questa sua piccola commedia con cui torna a dirigere dopo 10 anni. Affronta con garbo, empatia, ironia e leggerezza un tema non banale e certamente non da poco: come essere felici e come cogliere i veri valori della Vita. Il suo film ed il suo protagonista richiamano subito alla mente Jacques Tatì ne Le vacanze di Monsieur Hulot ed un non lontano film di successo: Emotivi Anonimi (2011). Anche oggi come allora al centro della vicenda ci sono personaggi candidi, teneri e fragili, quasi surreali, che la vita ha costretto ai margini e che hanno difficoltà ad esprimere i loro veri talenti. Personaggi onesti ed impacciati in cui ancora una volta lo spettatore potrà riconoscersi e sentirsi poi partecipe dei loro sforzi nel susseguirsi di situazioni sia divertenti che toccanti.
Come sempre dietro questi piacevoli risultati c’è un’ottima sceneggiatura, ben scritta, ben costruita in ogni suo elemento dall’inizio alla fine senza mai una caduta di tono. La messa in scena nella splendida Normandia è curata. Il ritmo è molto sostenuto e vivace. Il montaggio è serrato e non lascia tempi morti. I dialoghi poi sono sempre eccellenti, più che mai cesellati al dettaglio, veri e credibili e soprattutto coerenti con i personaggi. Al centro ovviamente i due protagonisti bravi a dar vita e corpo ai loro ruoli, perfetti nei tempi comici e capaci di esprimere con finezza, realismo e profondità interpretativa la girandola di sentimenti ed emozioni, la vulnerabilità e lo spaesamento. Oltre al perfetto stuolo di secondi ruoli concorre a dar manforte alla coppia anche F. Damiens splendido comprimario nei panni del pittore e bon vivant locale.
L’Art d’etre heureux è dunque una gradevole opportunità per andare al cinema e godersi una commedia tenera, profonda, ben scritta, ben diretta e ben interpretata. Un film che ci farà sorridere in modo intelligente ed anche riflettere, impartendoci anche una lezione di saggezza e di filosofia di Vita. Non poco e, soprattutto, non da tutti.
data di pubblicazione:18/10/2024
da Antonio Jacolina | Ott 18, 2024
(19a FESTA del CINEMA di ROMA 2024)
Thibault (B. Lavernhe) è un apprezzato direttore d’orchestra a livello internazionale. Gli è stata diagnosticata la leucemia e deve fare delle indagini mediche per un possibile trapianto di midollo. Scopre di essere stato adottato e di avere un fratello di sangue anche lui adottato. Jimmy (P. Lottin) vive in un villaggio vicino a Lille nel Nord della Francia. Sono stati adottati a pochi mesi, uno da una famiglia dell’alta borghesia, l’altro da una famiglia operaia. Anche il secondo ama la musica. Suona però il trombone in una banda di paese che è alla ricerca di un capobanda. Diversi per esperienze di vita, estrazione sociale, livelli culturali e per carattere i due fratelli impareranno a conoscersi e…
Prima della Festa di Roma, En Fanfare è stato presentato con buoni giudizi, nella sezione Première a Cannes 2024. Questo quarto lungometraggio di Courcol che lo ha scritto, diretto ed interpretato, va detto subito, è senz’altro un buon lavoro! L’autore conosce bene il suo mestiere, sa come scrivere, dirigere e come e quando toccare con levità il cuore degli spettatori. Conosce i tempi comici e gli equilibri fra il dolce e l’amaro. In modo particolare, sa circondarsi anche di attori di talento.
Il film ha l’intelligenza di non prendersi troppo sul serio pur essendo confezionato alla perfezione per cogliere la sensibilità del pubblico. A parte lo spunto drammatico iniziale, al suo centro ci sono soprattutto l’amore fra fratelli, le identità familiari e le adozioni, il determinismo sociale, il conflitto e le disparità economiche e culturali ed infine la Musica. La bellezza e la forza della Musica.
Senza mai eccedere né in seriosità né in banalizzazioni la grazia di En Fanfare è proprio nella capacità del regista e dei suoi interpreti di restare in equilibrio sulle varie sfaccettature della vicenda narrata senza mai privilegiare un tema rispetto ad un altro. Tutto un abile gioco di dettagli e sfumature che consente di mettere gioia ed humour nei momenti difficili e mantenere un tono brioso e leggero anche nei momenti seri.
Un buon film senza grandi pretese che non si pone in cattedra né tantomeno scivola nel melodramma o nei tanti possibili cliché. La chiave di tutto è ovviamente una sceneggiatura attenta e dettagliata coerente con dialoghi ben scritti e reali. I ritmi sono incalzanti in una giusta alternanza fra momenti seri e spazi comici. La musica è ovviamente al centro di tutto e quindi la colonna sonora non può che essere complice e sublime fino al magnifico finale. Il cast tutto, compresi i secondi ruoli, è in stato di grazia, vivace, convincente e mai esagerato.
En Fanfare è quindi una piccola emozionante commedia di caratteri che ha quel piccolo buon sapore rassicurante delle cose già viste e conosciute. Ci seduce con la sua grazia, la sua sincerità e la sua tenera semplicità. Buon vecchio cinema popolare nel senso più nobile del termine. Un simpatico ed intelligente feel good movie che farà passare buoni momenti con sorrisi, risate ed anche qualche lacrima. Ciò che ci si attenderebbe dal cinema “sotto casa” e che alla Festa è stato a lungo applaudito.
data di pubblicazione:18/10/2024
da Antonio Jacolina | Ott 18, 2024
Un futuro lontano e distopico. Una città, cuore dell’Impero, che sembra ed è New York ma si chiama New Rome… Cesare Catilina (A. Driver) è un geniale architetto ed ingegnere che ha la capacità di fermare il Tempo. Utopisticamente intende rifondare la Città e lo Stato su nuovi modelli e valori. Il suo progetto prevede la demolizione di parte dell’esistente e la riedificazione con l’utilizzo di un materiale da lui inventato. Il MEGALON (da cui il titolo) ecologico ed inalterabile. Gli si oppongono l’establishment ed i centri di Potere. In primis Cicero (G.Carlo Esposito) il sindaco conservatore, colluso e corrotto e la ricca famiglia dei Crasso (J. Voight e S. LaBoeuf). Sullo sfondo amori contrastati, matrimoni, feste ed orge, intrighi, lotte di Potere, congiure, tentati omicidi ed una nascita salvifica frutto dell’Amore…
La decadenza di New York e, per traslato, la decadenza dell’Impero Americano e della Civiltà Occidentale paragonata al declino ed alla caduta di Roma e del suo Impero sotto il peso delle lotte di Potere, della cupidigia e degli interessi personali di pochi privilegiati politici.
Dopo 13 anni F. F. Coppola torna dietro la cinepresa e lo fa con un’opera ambiziosa e visionaria che fonde in sé più generi, dal dramma fino alla fantascienza… e… forse ne crea anche uno nuovo. Una favola futurista trattata come fosse una tragedia shakespeariana. Una realizzazione grandiosa, geniale ed eccessiva. Una messa in scena ricca, strabordante e barocca. Un taglio che più che satirico è quasi farsesco. Interpretazioni attoriali ridondanti ed enfatiche. Una scommessa ambiziosa tanto folle quanto provocatoria ma pur sempre geniale.
Coppola, si sa, ha già rivoluzionato la Storia del Cinema con i suoi capolavori: Il Padrino, La Conversazione, Apocalypse Now e Dracula. Certamente non ha più nulla da dimostrare a sé o agli altri. Dal suo alto scranno dà quindi libero sfogo alla propria smisurata fantasia ed ambizione, alla caotica libertà dei suoi sogni ed ai suoi eccessi creativi. Fa quello che vuole! Ad 85 anni si regala il più costoso giocattolo e svago personale pagandoselo di tasca propria. Ben 120 milioni di dollari per finanziarsi un sogno inseguito per oltre 40 anni, scritto e riscritto oltre 300 volte! Un film sperimentale con cui continua a giocare con la sostanza e la forma. Probabilmente un modo nuovo di raccontare che sottende però anche la necessità assoluta di un diverso modo di gustare ed apprezzare un film da parte del pubblico. Una modalità che rifugge da ogni precedente convenzione. Secondo il regista ”C’è un solo vero critico cinematografico al di sopra di gusti, invidie e rancori: il Tempo!” Il test del Tempo gli ha già dato ragione quasi mezzo secolo fa con Apocalypse Now. Vedremo questa volta. Difficile rifare il bis? Si vedrà.
Ben attenti, per convinzione personale e per serietà, a non accodarci all’onda modaiola, conformista e supponente delle stroncature e critiche negative e derisorie, dobbiamo dire che Megalopolis è un film che non si può valutare, osannare o anche condannare dopo una sola prima visione. Ce ne vorrebbero non due o tre, ma forse una decina prima di poter trovare la chiave di lettura e di giudizio all’interno del Caos onirico, della ridondanza barocca, delle innovazioni, delle provocazioni e della indubbia genialità. Al momento occorre solo che lo spettatore si immerga nello spettacolo, si affidi e si lasci travolgere, senza domande, dal flusso di un’opera dall’energia e dall’inventiva visuale impressionanti anche quando sembra che tutto giri a vuoto. E… lo sembra spesso! L’ispirazione è il Caos stesso e dentro c’è di tutto e di più: citazioni di altri Maestri da Godard a Malick, da Fellini a Nolan, satira, farsa, storie d’amore lagrimevoli, il Kitsch, il Trash, superpoteri, citazioni filosofiche di poeti ed imperatori, dialoghi risibili, riferimenti shakespeariani, metafore elementari, giochi circensi, veli trasparenti, pepli, fumetti, Opera, Teatro, un pizzico di Storia Romana ed un po’ di latino quanto basta. Il film sembra nutrirsi schizofrenicamente di tutto questo eccesso per poi provvedere a restituirlo allo spettatore che ne sarà o irritato e disgustato oppure coinvolto ed affascinato. Nulla è prevedibile. Tutto potrà avvenire. Ognuno dovrà ben valutare se cimentarsi o meno con il rischio!
La messa in scena, si è detto, è spettacolare. La sceneggiatura è ondivaga. Il montaggio lascia talora sconcertati. Il ritmo narrativo è irregolare. La recitazione del cast stellare è scientemente enfatica e quasi caricaturale. I dialoghi sono teatrali e bizzarri. Il tocco cui ci aveva abituati il Maestro si riconosce solo a tratti.
Megalopolis di certo è un film che conferma quanto Coppola sia bravo nel creare. Però conferma anche quanto il suo sguardo cinematografico ed i suoi parametri siano fermi agli anni 80 e 90 del secolo scorso Quanto anche le sue riflessioni siano superate e datate.
Cosa è allora Megalopolis? Difficile dire. Un esercizio di stile? Una innovazione? Una provocazione? Uno scherzo di un megalomane ormai libero da ogni logica rappresentativa? Una semplice raccolta di immagini superflue e scoordinate? Un futuro capolavoro o un attuale obbrobrio? Alla fine della proiezione- ribadiamo- lo spettatore potrà sentirsi tanto disgustato e sconcertato quanto invece affascinato e sorpreso. Comunque sia si chiederà: ”Ma se non sapessi già che è un film di Coppola cosa ne penserei davvero?”
Sicuramente Megalopolis è spettacolo, per il resto ad ognuno la prova con coraggio e passione. D’altra parte bisogna fare come diceva Lino Ventura: “…i film li scelgo, come scelgo un Amore, correndo dei rischi!”.
data di pubblicazione:18/10/2024
Scopri con un click il nostro voto:
da Daniele Poto | Ott 18, 2024
regia di Massimo Navone
(Teatro De’ Servi – Roma, 15/18 ottobre 2024)
Auto-ironica esposizione impudica della comica cinquantenne che cerca collocazione con umiltà sul palcoscenico di un teatro che di questo repertorio fa il suo punto di forza. Lei dissimula l’atteggiamento mostrandosi Dio. Un Dio al femminile, trasformazione che già fa scalpore. Divinità che si lamenta degli uomini e del triste andazzo del pianeta, fatto di guerre e di sordi rancori oltre a patire gli sconvolgimenti del cambiamento climatico..
Sintonizzata su un trend che a tratti ricorda Franca Valeri, a tratti Francesca Reggiani, Grimalda si auto-gestisce supportata da una regia discreta ma efficiente (pochi effetti e non speciali) per un pubblico di netta maggioranza femminile. Il suo impegno e la sua recitazione sono mediamente superiori alla qualità del testo che fa spendere più spesso sorrisi che franche risate. Ma l’attrice tiene con disinvoltura la scena abbandonando nella parte centrale l’impegnativo ruolo di Dio per una serie di sketch di varia natura dove è essa stessa ma diversa con una piccola trasformazione nella mise e nella gestione del corpo. Non una stand up comedy ma quasi tutto il meglio di Emanuela Grimalda, comica outsider e underdog che raramente delude e che, per la difficoltà di trovare un inserimento coerente con la sua comicità in una compagnia stabile, ha deciso di fare tutto da sola. I personaggi evocati sono cinque e, tutti matti e disperatissimi, cercano una improbabile via d’uscita per svoltare nella vita. E il Dio è originale, in grado di cambiare galassie e di preparare ottimi tiramisù. Domanda non retorica d’obbligo: ma se il Diavolo veste Prada, Dio cosa si deve mettere addosso? Risate che mirano alla testa più che alla pancia del pubblico. Difatti qualcuna giunge a segno con ritardo.
data di pubblicazione:18/10/2024
Il nostro voto:
da Rossano Giuppa | Ott 18, 2024
(ALICE NELLA CITTÁ – 16/27 ottobre 2024)
Grande apertura di Alice nella Città, lo scorso 16 ottobre all’Auditorium Conciliazione, con Nickel Boys del regista RaMell Ross, film rivelazione del festival di New York, in odore di possibili nomination agli Oscar. Nickel Boys è il particolarissimo adattamento cinematografico di I ragazzi della Nickel dello scrittore afroamericano Colson Whitehead premio Pulitzer 2020. Elwood Curtis, giovane ragazzo afroamericano, viene con la forza trasferito alla rigida Nickel Academy dopo essere stato falsamente accusato di un crimine. Qui stringe amicizia con un ragazzo di nome Turner e insieme cercano di sopravvivere agli orrori della scuola e ai suoi amministratori corrotti.
Siamo in Florida nell’anno 1962. Elwood Curtis è un ottimo studente liceale che vive solo con la nonna, una donna forte che gli ha trasmesso ideali e valori. Mentre si reca ad un college che lo ha selezionato per una borsa di studio, accetta un passaggio da uno sconosciuto che si rivela un ladro d’auto e viene fermato dalla polizia. Siccome è un ragazzo di colore non gli viene dato modo di fornire alcuna spiegazione e viene spedito alla Nickel Academy, un riformatorio dove i metodi educativi si basano su torture e sevizie a chiunque non si sottometta alle regole del direttore. Elwood fa amicizia con Turner, un ragazzo di strada disilluso e realista, che insegna ad Elwood come poter sopravvivere. Dopo terribili vicissitudini riescono a fuggire, ma solo uno dei due sopravviverà come parte uno dell’altro, nel segno di una profonda simbiosi spirituale.
Il regista e sceneggiatore RaMell Ross compie continue scelte narrative e artistiche che mettono insieme l’immaginario di Terence Malick, l’arte figurativa ed il suo background documentaristico. Sceglie un’alternanza di soggettive che scandiscono il racconto nell’ottica dei due protagonisti, la violenza è solo evocata da inquadrature pittoriche e pillole di videoarte, mentre sullo sfondo scorre la storia di quegli anni da JFK, a Martin Luther King, la marcia su Washington, Harry Belafonte e Sidney Poitier, ed i ragazzi della Dozier School for Boys, il vero riformatorio dell’orrore che ha ispirato il racconto ed il film.
Ross riesce a sublimare il dolore in poesia, il male in arte, senza pietismi o inutili sadismi, con sapiente esercizio di stile ed ampiezza di dettagli, certamente raffinati ma talvolta eccessivi.
Menzione speciale per i due giovanissimi attori Ethan Herisse e Brandon Wilson e per l’attrice Aunjanue Ellis-Taylor, presenti in sala, insieme al regista, la sera della premiere.
data di pubblicazione:18/10/2024
da Maria Letizia Panerai | Ott 17, 2024
(19a FESTA del CINEMA di ROMA 2024)
Fabrizio Corallo, giornalista e autore televisivo nonché sceneggiatore e regista di documentari, in collaborazione con Silvia Scola ci restituisce un’immagine inedita di Mastroianni, molto lontana dal “divo Marcello”, ma ancora oggi a cento anni dalla nascita vivissima nell’immaginario collettivo.
Dalla visione di Ciao Marcello. Mastroianni l’antidivo possiamo desumere che Mastroianni non può essere sintetizzato in un’unica definizione perché ne emerge una figura ricca di sfaccettature, che ha attraversato il suo tempo e attraversa ancora il nostro grazie ad un fascino intramontabile, non alimentato semplicemente dalla sua bellezza e dalla sua indiscutibile bravura. Secondo quanto emerge da questo docufilm presentato alla Festa del Cinema di Roma, c’era in lui qualcosa di molto profondo che arrivava alla gente: l’amore, declinato in tante forme. L’amore per il suo lavoro fatto di tanto cinema ma anche di teatro e televisione, per gli amici, per i registi e i colleghi con cui ha lavorato, per le sue origini semplici, per sua madre e suo fratello, per le donne che ha amato e che non hanno mai smesso di amarlo.
Il documentario, grazie a filmati di repertorio relativi ai set dei film ai quali Mastroianni ha partecipato, a interviste di familiari, amici, consorte e compagne di vita, figlie, riesce a mettere in luce la profonda umanità di quest’uomo. Di questa umanità e semplicità ne sono testimoni Fellini, Scola, Monicelli, De Sica, Visconti, Germi, Petri, Ferreri, Risi, Magni. La sua innata indolenza lo portava ad abbandonarsi sul set, lasciandosi portare per mano dai registi con i quali ha collaborato e stretto forti legami di amicizia, primo su tutti Fellini. Ha fatto scelte di carriera anche bizzarre, recitando in ruoli scomodi per quell’epoca, nella consapevolezza di fare un lavoro che era innanzitutto un gioco. Ha sempre ricusato l’etichetta di latin lover dopo il grande successo de La dolce vita, quando per tutto il mondo divenne semplicemente “Marcello”.
Sicuramente Mastroianni è anche Marcello, un divo ma anche un antidivo, un uomo ricco di sfumature, a cui non fa difetto la contemporaneità.
data di pubblicazione:17/10/2024
da Salvatore Cusimano | Ott 17, 2024
(19a FESTA del CINEMA di ROMA 2024)
Il film, una vera e propria fiaba calcistica, è ambientato a Palmi, in Calabria, dove Don Vincenzo (Rocco Papaleo), geniale agricoltore in pensione, ha un’idea pazza per rialzare la squadra di calcio locale: organizzare una singolare raccolta fondi per ingaggiare Etienne Morville (Blaise Afonso), giocatore di Serie A dal pessimo carattere ma tra i più forti al mondo. Seppure malvolentieri, Morville lascerà Milano per trasferirsi a Palmi per provare a rimettere in sesto la sua immagine.
I fratelli registi Marco e Antonio Manetti, in arte Manetti Bros, dopo Ammore e malavita, tornano al Sud e mettono in scena una gradevole commedia sul filone ‘film di genere’- in particolare calcistico – mischiando la passione per lo sport con una serie di trovate tipiche del loro genio cinematografico. In ciò vengono aiutati dalle colorate interpretazioni di un Rocco Papaleo in stato di grazia e da una serie di personaggi, primi fra tutti lo spassoso mister interpretato da Max Mazzotta, un coacervo di simpatia e di espressività tipica calabrese. Menzione d’onore va anche alla poetessa interpretata da una splendida Claudia Gerini, che si mette in gioco in un ruolo divertentissimo cucito apposta su di lei. Alcuni sono riferimenti cinematografici – televisivi volutamente presenti, a partire da Fuga per la vittoria per arrivare al cartone Holly e Benji.
Il riferimento neanche troppo velato è alla carriera di Mario Balotelli, in un’opera che vuole sicuramente raccontare un altro Sud, poco visto sul grande schermo, lontano dagli stereotipi tipici del meridione, mostrandolo come un posto stupendo e anche lontano dai canoni di bellezza turistici, sovente in primo piano in molte altre opere televisivo/cinematografiche.
Si esce dalla visione con tanti buoni sentimenti e (perché no) anche divertiti, in un panorama di film fatti bene ma intrisi di molta cupezza e a volte di poca originalità.
data di pubblicazione:17/10/2024
da Giovanni M. Ripoli | Ott 17, 2024
(19a FESTA del CINEMA di ROMA 2024)
Incentrato su alcuni momenti salienti della vita di Enrico Berlinguer, storico leader del PCI. In particolare, si fa riferimento al lungo e difficile cammino che avrebbe potuto portare il Partito Comunista Italiano, primo in Europa, a guidare il Paese, attraverso un dialogo con la Democrazia Cristiana, in quello che fu chiamato Compromesso Storico, ovvero il tentativo di costruire il socialismo nella democrazia. I fatti racconteranno un’altra storia!
Dopo, Andreotti (Il Divo, diretto da Paolo Sorrentino), Berlusconi (Loro, ancora di Sorrentino) e Craxi (Hammamet di Gianni Amelio), tocca ad Enrico Berlinguer, peraltro già omaggiato in diversi film-documentario, sin dal lontano 1984, anno dell’addio a Enrico Berlinguer di Bernardo Bertolucci, l’onore di una importante produzione cinematografica per la regia di Andrea Segre. Che il personaggio, uomo e politico sia stato importante, amato e comunque rispettato anche dagli antagonisti lo dimostrano, per restare nel mero segmento cinematografico, i tantissimi tributi (film, docu-film, trasmissioni tv) a lui riservati negli anni dai vari Minoli, Mellara, Samuele Rossi, l’immancabile Veltroni (Quando C’era Berlinguer) solo per citare i più noti.
In questi casi, ovvero pellicole su personaggi, specie se politici, molto amati o molto divisivi, il rischio che si corre è quello di farne dei “santini” o dei “mostri”. Il film del bravo Segre cerca in qualche misura di superare questi schemi. Parte dal titolo con l’incipit di Antonio Gramsci :” Di solito si vede la lotta delle piccole ambizioni, legate a singoli fini privati, contro la grande ambizione che è indissolubile dal bene collettivo”. Chiarendo in primis che è al bene fatto popolo che guardava il giovane segretario del più forte partito comunista d’Europa nei difficili anni Settanta.
Anni in cui alle difficoltà interne, salari, occupazione, sanità (non è che Segre fa parlare il suo Berlinguer di quello che succede oggi?) si aggiungono le forti divergenze con l’URSS di Breznev. La linea tracciata da Berlinguer e chiaramente non gradita a Mosca, sarà quella di muoversi nell’alveo di un socialismo che si allinea alle regole democratiche. L’episodio dell’incidente stradale in Bulgaria, nel quale il leader italiano rimase leggermente ferito, racconta di come le sue posizioni non fossero molto in sintonia con quelle sovietiche. L’iter della pellicola per rimanere al Berlinguer- politico continua con le costanti clamorose vittorie elettorali del PCI (ma anche il Golpe in Cile, la vittoria nel referendum per il divorzio) e al contempo gli incontri con gli omologhi leader democristiani nell’ ambizioso tentativo di governare insieme il Paese. Ambizione che si tradurrà in illusione con la morte di Aldo Moro da parte delle cd Brigate Rosse. Ma, rispetto a una storia politica, già molte volte narrata e purtroppo nota, il film di Segre si distingue per la ricostruzione del privato di Enrico Berlinguer. Minuziosa e credibile è la fotografia del vissuto familiare come della coralità che ruota intorno al politico sassarese. Qui il plauso va esteso agli ottimi interpreti dal solito, per bravura riconosciuta, Elio Germano, un Berlinguer non imitato ma fedele, alla dolce Elena Radonicich nel ruolo della moglie Letizia. Ma sorprende in positivo Paolo Pierobon, persino migliore a mio parere dell’Andreotti di Servillo. Tutto il cast in ogni caso si è perfettamente calato nei rispettivi ruoli e stiamo parlando di alcuni dei migliori attori di casa nostra: Roberto Citran, Paolo Calabresi, Giorgio Tirabassi, Francesco Acquaroli, etc
A completare la buona impressione che il riuscito film di Segre ha destato, regista a parte, sono i meriti da ascrivere al co-sceneggiatore Marco Pettenello, all’autore del montaggio Jacopo Quadri e alle musiche originali di Iosonouncane.
data di pubblicazione:17/10/2024
da Daniele Poto | Ott 16, 2024
Le scaturigini dell’imprevedibile candidato alla Casa Bianca. Così fedele da apparire quasi un docufilm. La contropartita è la mancanza di profondità estetica del regista iraniano convertito a un prodotto di largo consumo e di probabile successo. Girato con ritmo adrenalinico di stampo americano. All’inizio della parabola Trump è una via di mezzo tra Robert Redford e Van Morrison. Molti trapianti fa.
Il film punta sul rapporto funzionale e ambiguo tra il tycoon e l’avvocato Roy Marcus Kohn, artefice delle più spregiudicate e borderline operazioni di accreditamento del magnate nella high society americana. L’ingenuo imprenditore si fa progressivamente più furbo e, sulla base dell’enorme impero del padre, comincia a costruire tasselli dell’impero attuale. Il maxi-albergo restaurato da 1.600 camere e poi la diversione sull’industria del gioco ad Atlantic City. Il legame con Ivana-Ivanka che progressivamente diventa solo un viso e un corpo da esibire nelle grandi occasioni. Delle successive e numerosi mogli non si parla. Ma il focus sta nel tattico e strategico distacco da Kohn, l’uomo che fece condannare i Rosenberg alla sedia elettrica e che prestò il fianco in tribunale alla crociata anticomunista del senatore McCarthy. Trump fa i conti con i debiti, evita come la peste le tasse. Impone quella che definisce la legge del killer (mors tua vita mea), fa della bugia la cifra dialettica della propria esistenza e non ammette mai la sconfitta anche quando questa si presenta clamorosa nella propria evidenza. E mette all’angolo Kohn quando questi non gli servirà più. Perché Kohn è radiato dall’albo degli avvocati, è omosessuale e morirà di Aids che in quegli anni falcidia una generazione senza protezione. L’opera è uno specchio sull’America e sulle sue contraddizioni e degenerazioni. Senza moralismi e puerili giustificazioni.
data di pubblicazione:16/10/2024
Scopri con un click il nostro voto:
da Daniele Poto | Ott 14, 2024
Non suoni auto-ironico il titolo. L’inganno non è portato al cuore e alle emozioni degli utenti per una delle rarissima produzioni Netflix in versione italiana. Classificata al rango n. 2 tra le serie più viste, esportata massicciamente all’estero per il probabile raccapriccio di Nanni Moretti, incentra il focus sulla figura di Guerritore nei panni di una sessantenne.
Le telenovele sono fatte di ingredienti. Quelli che su cui il Trio esercitava le sue riletture. L’input di partenza appare stimolante: l’amore (interessato, pare) tra un trentenne e una sessantenne. Guerritore non esita a esporre impudicamente il suo corpo che appare in condizioni migliori del viso tormentato. Si spoglia a profusione senza nascondere nulla e senza ricorrere alla controfigura. Il valore della recitazione corale si appoggia tutto su di lei perché il resto del cast, regia compresa, assolve un compitino striminzito. Ma a lungo andare l’esuberanza dei personaggi, il ricorso alle cartoline campane (Cilento e Amalfi) è il troppo che stroppia e che fa prendere alla serie l’andamento già adombrato di una telenovela. Non manca nulla: le storie gay, la donna incinta con un padre riluttante, i tradimenti assortiti (non drammatizziamo, è solo questione di corna, banalizzando Truffaut). Allungando il brodo alla fine si perviene all’happy end e alla completa riconciliazione familiare. Personaggi che si odiavano si abbracciano ed è tutto risolto con buona pace dei Tribunali e della Polizia nel virtuale omaggio ai valori della famiglia. Nel montaggio particolari inspiegabili. Quando il trentenne amante dal fisico culturista parte in missione con la barca nessuno spiega il motivo del suo inopinato ritorno. Non bisogna farsi troppe domande per un prodotto seriale che piace. Del resto se Temptation’s Island è in testa agli indici di ascolto un motivo esiziale nel gusto degli italiani sarà pure possibile trovarlo. La location di un lussuoso albergo ammortizza i costi.
data di pubblicazione:14/10/2024
Gli ultimi commenti…