MISTERO BUFFO di Dario Fo, con Mario Pirovano

MISTERO BUFFO di Dario Fo, con Mario Pirovano

(Sala Umberto – Roma, 21 ottobre 2019)

Sono passati 50 anni dalla prima volta che Mistero buffo andò in scena tra gli studenti dell’università di Milano; 20 dall’ultima volta che Pirovano è stato a Roma, in cui ritorna con una selezione di cinque giullarate del grande artista per tre ore di spettacolo. Roma celebra Fo.

 

 

La giornata di studi su Mistero buffo

La rassegna Roma per Fo inizia già nel pomeriggio alla Sala Umberto, nel foyer del teatro. Raccolto intorno ai relatori c’è un piccolo pubblico di interessati, l’atmosfera è accogliente. La giornata di studi intorno a Mistero buffo è moderata da Mattea Fo che da subito la parola a Felice Cappa, autore, regista e amico di Dario e Franca. Con i loro nomi propri vengono chiamati i due artisti, a testimoniare la familiarità e l’amicizia che li legava ai loro collaboratori. L’argomento di questo primo intervento è rivolto alle immagini, le tante immagini raccolte da Fo per dare vita alle sue giullarate e quelle che egli stesso realizzò per i suoi spettacoli – le famose lastrine, diapositive su vetro proiettate per presentare i testi recitati. La cultura visiva è la fonte primaria delle opere di Dario insieme alla trasmissione orale degli innumerevoli racconti popolari. Il tema è unico: la storia dell’eterno conflitto tra il popolo oppresso e povero – Dario non amava gli eroi – e il potere che lo dominava, risolto sempre con un registro ironico e satirico.

L’intervento di Maria Teresa Pizza (curatrice dell’archivio Fo/Rame) illustra invece come si muove la macchina teatrale creata dalla formidabile coppia, che del rapporto con il pubblico, e quindi dall’accoglienza nello spazio teatrale e nel saluto fino al dibattito dopo ogni spettacolo, si nutre e prende ispirazione. Il loro non era solo un mestiere, ma anche un’etica: il teatro che proponevano si nutriva di quello che accadeva nelle piazze tra la gente. Era il loro modo di fare politica. Inutile dire quanto questa attenzione al popolo abbia reso Dario Fo anche un ottimo storico, ricercatore e scopritore di piccoli fatti nascosti nelle carte di archivio che talvolta sono serviti a leggere meglio diverse vicende umane.

L’incontro si chiude con una notizia sul numero delle regie dei testi di Fo e Rame che sono in giro per il mondo in questo momento, ben 7500 quelle censite. Testimonianza del successo ma anche della capacità di queste opere di dare ancora senso alla situazione degli oppressi a ogni latitudine. Saluta infine Mario Pirovano che presto, è quasi ora di cena ormai, sarà sul palco con Mistero buffo.

Lo spettacolo

È in perfetta sintonia con la tradizione teatrale dettata da Dario Fo che Mario Pirovano imposta la sua interpretazione, fedele soprattutto del testo. Si incontrano casualmente a Londra all’inizio degli anni ’80 e tra loro comincia un viaggio i cui frutti si raccolgono sul palco ancora oggi. Pirovano viveva in Inghilterra, ma la conoscenza di Dario e Franca determina per lui un cambiamento. Viene invitato a tornare in Italia per lavorare nella compagnia come attrezzista, autista, elettricista ecc. Attore lo diventa per caso. Mentre si trovava a sedare una lite tra alcuni ragazzini improvvisa per loro il racconto de Il primo miracolo di Gesù bambino e subito si accorge di avere tutto il testo già dentro, ingoiato e digerito per bene, senza saperlo.

A oggi è uno degli interpreti più straordinari del repertorio Fo/Rame: vederlo a teatro è una grande fortuna. La fedeltà al testo e alla mimica di Dario, nonché una certa vaga somiglianza tra i due, aggiunge all’evento un ché di miracoloso. Tuttavia è dalla sua personale esperienza e dalla sua storia – che inizia in un paesino nel novarese – che prende ispirazione per le voci dei personaggi e per le movenze a loro collegate.

Da subito Pirovano stabilisce un contatto con il pubblico, le luci che rimangono accese in sala quando appare in scena ne sono il segno. Il popolo è il protagonista di Mistero buffo, ne è l’anima. Per questo le giullarate che contiene e quelle che vengono scelte per essere rappresentate vanno costantemente ricontestualizzate. Così se alla fine del 1969 la strage di Piazza Fontana fece guardare il brano dedicato a Bonifacio VIII da una certa prospettiva, oggi questa stessa giullarata non può che ricordare il grottesco di alcuni personaggi della nostra politica – qualcuno dal pubblico urla “Salvini”. Gli esempi e le connessioni si moltiplicano via via che lo spettacolo va avanti. Il prologo a ogni brano è un momento di scambio e una lezione. Interpretare La fame dello Zanni o La nascita del giullare (che insieme al già citato Bonifacio VIII e a Il miracolo di Lazzaro e a Il primo miracolo di Gesù bambino sono la scelta di questa serata) con l’occhio puntato al presente storico in cui viviamo è una necessità per questo classico che è Mistero buffo. I testi in esso contenuti si nutrono della linfa della storia da cui provengono e di quella a cui vengono rappresentati. La rielaborazione dei testi in questo senso è una caratteristica che Pirovano non manca di rispettare.

Il momento creativo e teatrale, che nasce dal dialogo dell’attore con la platea, è di nuovo ripetuto. Forse meno azzeccato il luogo sociale in cui esso è presentato: paradossalmente i teatri sono i luoghi meno adatti per questa rappresentazione. Tuttavia speriamo solo di non dover passare tanto tempo prima di rivedere in scena da qualche parte a Roma Mario Pirovano.

data di pubblicazione:22/10/2019


Il nostro voto:

TROIS JOURS ET UNE VIE di Nicolas Boukhrief, 2019

TROIS JOURS ET UNE VIE di Nicolas Boukhrief, 2019

(FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 17/27 ottobre 2019)

Antivigilia di Natale del 1999 in un piccolo villaggio delle Ardenne Belghe, un bambino scompare nella foresta. L’inchiesta arranca ed i sospetti dilaniano la piccola comunità. Eventi inattesi e devastanti, prima nell’immediato e, poi 15 anni dopo, modificano ed avvelenano vite intere.

 

Suspense, segreti, rancori, ambientazione plumbea, una foresta incombente, silenzi pesanti, una piccola comunità ripiegata su se stessa, una piatta quotidianità di provincia ed i giochi del Destino ci portano fin da subito in un’atmosfera degna del miglior Simenon o in un classico ritratto dei peccati occulti di provincia degno del miglior Chabrol. Boukhrief sceneggiatore, attore e regista francese attivo da oltre venti anni è un regista colto che trova spesso ispirazione per i suoi film nel cinema popolare francese degli anni ‘50 e ’60. Molto legato ai drammi psicologici ed al genere noir, ai suoi codici, alle sue situazioni tipiche, ne ha rinnovato però gli schemi ed i valori. Questa volta l’autore, prendendo spunto dall’omonimo romanzo poliziesco di P. Lemaitre edito nel 2016 realizza un film efficace ed incisivo che gioca, non tanto sul mistero o sull’intrigo della scomparsa del ragazzino, ma piuttosto sulle atmosfere di cui abbiamo accennato, sugli sconvolgimenti sul piccolo mondo del villaggio e soprattutto su alcuni interrogativi di fondo.

Il regista prende infatti lo spettatore e lo porta ad interrogarsi sulle vere frontiere fra il bene ed il male, la verità e la menzogna, l’innocenza e la colpevolezza. L’innocenza forse non esiste affatto, tante verità si intrecciano e nascondono dietro la scomparsa, silenzi e verità taciute, segreti con cui si è vissuto, si vive e si vivrà. Si può quindi vivere o sopravvivere con un peso sulla coscienza? In una parola, un microcosmo quello preso in esame dal regista in cui si condensano i misteri, i drammi dell’animo umano: sentimenti, onestà, ipocrisia, falsità, punti di vista individuali, ma, soprattutto la molteplicità delle verità di ognuno, e infine … su tutto e tutti … il Destino.

Sull’insieme di queste domande il regista costruisce una suspense ed una tensione progressiva moltiplicando gli echi della vera domanda principale: come sopravvivere con il peso della colpa o di un segreto.

Il risultato è alla fine un buon “poliziesco/noir” nell’alveo della grande tradizione del genere, con una messa in scena efficacissima ed un supporto di attori tutti impeccabili e convincenti nelle loro caratterizzazioni, fra tutti emerge Sandrine Bonnaire in un ruolo assai complesso. Si può criticare forse una mancanza di energia ed un ritmo troppo lento, ma sono mancanze che si perdonano facilmente e forse una certa lentezza è anche voluta e ricercata.

Trois jours et une vie è dunque un buon dramma psicologico intenso ed intimo, un film semplice di buona fattura ed efficace, un film di atmosfere che, di sicuro, non esce dall’ordinario, un film senza effetti speciali, ritmi incalzanti né virtuosità stilistiche, che, ciò non di meno, è ben diretto e si vede volentieri e si fa apprezzare nella piena tradizione dei noir francesi.

data di pubblicazione:21/10/2019








LA BELLE ÈPOQUE  di Nicolas Bedos, 2019

LA BELLE ÈPOQUE di Nicolas Bedos, 2019

(FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 17/27 ottobre 2019)

Victor (Daniel Auteuil) un sessantenne disilluso ed annoiato dalla vita e dal mondo tecnologico che lo circonda, è sbattuto fuori casa dalla moglie Marianne (Fanny Ardant) che, per quanto coetanea, vuole invece vivere intensamente la sua età e lo tradisce. Victor coglie allora l’opportunità (tramite un’agenzia che usando perfette ricostruzioni cinematografiche ricrea il passato che i suoi clienti decidono di rivivere) di tornare nel 1974 quando incontrò proprio Marianne. La splendida Margot (Doria Tillier) è l’attrice che impersona il suo amore di allora … ma l’Amore non ha età …

 

”Et voilà du veritable Cinéma!”… ecco questo è buon Cinema! Se per Cinema si intende spettacolo, divertimento, tenerezza, fantasia e capacità di far sognare e commuovere. Non c’è quindi solo Hollywood, talora ci riescono bene anche i francesi, e … perché noi no? Bastava vedere il film italiano in programmazione oggi subito dopo, per darsi una risposta: mancanza di soggetti, di storie, di fantasia, di sceneggiature, di produzioni, di soldi, di narratori, di talenti e di idee che non si brucino ed esauriscano nello spazio di pochi minuti.

Nicolas Bedos, figlio d’arte, talentuoso sceneggiatore, drammaturgo ed attore nonché anche compagno della splendida D. Tillier, dopo il discreto successo di Un Amore sopra le righe suo debutto nella regia nel 2017, torna di nuovo dietro la cinepresa con questa sua opera seconda regalandoci una pregevole commedia dal respiro romantico, passionale ed armoniosa.

Un elogio della nostalgia e della fuga, ma, soprattutto un elogio dell’Amore. L’autore si interroga infatti con garbo, ironia e leggerezza sulla vita che scorre, sul tempo che passa e che è passato e su ciò che rimane ancora, ed anche del futuro, e, lo fa traendo brillantemente spunto dall’incredibile opportunità del suo protagonista di poter “rivivere” e “vivere” momenti ed emozioni del passato.

La fluidità della sceneggiatura, della regia e del montaggio fanno sì che la storia fluisca armoniosamente senza che lo spettatore si perda fra il presente ed il falso passato, fra commedia e dramma, e, soprattutto fanno anche sì che le due realtà si fondano e corrispondano costantemente. La capacità e l’abilità del direttore è proprio nel non scivolare nella trappola dell’elogio amaro del buon tempo passato o della giovinezza o nel patetico amor senile. Qui Bedos è veramente bravo a giocare sempre sui vari livelli di lettura restando pur sempre padrone della storia grazie alla dinamicità della sua regia capace di toccare il tasto delle emozioni sapendo però come lasciarle un attimo prima che esse ci sommergano.

Come detto la sceneggiatura è perfetta, i dialoghi sono ottimi con battute precise, calibrate e cesellate che danno anima vera ai personaggi, il montaggio poi,va ribadito, è così sopraffino che il passaggio fra le varie epoche avviene sovrapponendo parole e sequenze in un gioco talentuoso di elissi continue. I personaggi infine incarnano veramente la vita e, come nella vita, si attraggono e si respingono con un tocco di ironia onnipresente e Bedos dirige magnificamente gli attori che li interpretano. E che attori! Alcune icone del cinema francese e nuove leve in stato di grazia. Su tutti: D. Auteuil da tempo lontano da un ruolo così giusto e così ben recitato, poi F. Ardant brava, fascinosa ed autoironica ed infine la bellissima e dotata D. Tillier, la musa del regista, che illumina lo schermo dando personificazione reale ad un ideale femminile davanti al quale si può restare estasiati.

La belle époque è la conferma della vitalità della cinematografia francese ed è un piacere vederlo, un film pregevole, tenero e vivace da non perdere. Una dolce love-story, romantica, divertente e ricca di ironia pungente e di emozioni.

data di pubblicazione:21/10/2019








DOWTON ABBEY di Michael Engler, 2019

DOWTON ABBEY di Michael Engler, 2019

(FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 17/27 ottobre 2019)

Inghilterra 1927, il re Giorgio V e la regina Mary saranno ospiti per una notte nella dimora aristocratica di Lord Grantham, a Dowton Abbey. L’evento destabilizza gli equilibri e gli ordini gerarchici ed i ruoli di ciascuno, soprattutto fra la servitù….

 

Dowton Abbey è stata una delle serie televisive di maggior successo degli ultimi anni. La serie è andata in onda per ben 6 stagioni consecutive a partire dal 2010 e raccontava la saga dell’aristocratica famiglia di lord Grantham, signore di Dowton Abbey nello Yorkshire e, tramite le sue vicende, le dinamiche di classe del “buon tempo andato”, gli anni gloriosi dell’Inghilterra dei primi decenni del secolo scorso. Un’acuta descrizione del mondo aristocratico al suo massimo fulgore ma, tuttavia, già costretto ad affrontare i nuovi venti di cambiamento. Una riflessione ironica e pungente sulla Società Britannica, sulle rigide distinzioni fra classi sociali e sulle interazioni ed i rapporti fra i vari ceti: fra i “piani superiori” quelli dei nobili e dei padroni ed i “piani inferiori” quelli della servitù, dei domestici, cuochi, valletti, maggiordomi e governanti. La serie è stata ideata dallo scrittore e sceneggiatore J. Fellowes (Oscar per la sceneggiatura del meraviglioso Gosford Park di Altman 2001). Fellowes stesso ha curato anche la sceneggiatura della versione cinematografica con cui l’autore ridà vita ai suoi personaggi e che è stata presentata alla Festa del Cinema di Roma. Il film dell’americano M. Engler (apprezzato regista televisivo che aveva diretto anche 4 episodi dell’ultima stagione) qui al suo secondo lungometraggio, riprende la storia là dove la serie televisiva si era interrotta.

La narrazione e con lei la cinepresa, segue i vari avvenimenti passando dai “piani alti” giù fino ai “piani bassi” abitati da uno stuolo di solerti domestici, governati tutti dagli stessi meccanismi di Potere dei loro padroni. Così facendo, lo sguardo dello spettatore si muove anch’esso da un piano all’altro della nobile magione, catturando conversazioni, vizi, progetti, gelosie intrighi e storie in un ritratto d’insieme delle classi sociali e delle varie gerarchie in un’analisi profonda delle relazioni umane e dei pregiudizi della società inglese dell’epoca, ma, se vogliamo, anche un quadro riflesso dei cambiamenti culturali, sociali e delle vicissitudini dei nostri giorni.

La sensazione, per chi ha già seguito la serie, è quella di stare ad assistere ad un nuovo lungo episodio, solo più stupefacente e più attento al dettaglio, vista la destinazione al grande schermo. In effetti le inquadrature sono spesso le stesse, le situazioni sembrano riproporsi, si rincontrano gli stessi personaggi, lo spirito è identico, ma non poteva che essere così vista la logica della stessa trasposizione cinematografica.

Il risultato è comunque un film rapido ed elegante, ironico ed avvincente, la messa in scena è efficace, la regia è dinamica e mantiene sempre un ritmo sostenutissimo. I dialoghi sono raffinati ed accurati. Il fasto della grande dimora, la bellezza dei costumi, gli oggetti di scena tutti perfetti e giusti, riempiono meravigliosamente lo schermo. Una giusta alternanza di dramma e tensione con commedia ed ironia diverte e coinvolge subito lo spettatore. Il cast ottimo, ripropone tutti i personaggi ed attori che li interpretavano, e, come ieri così anche oggi, sono tutti perfetti e bravi. Su tutti emerge la magnifica Maggie Smith, un gioiello di recitazione, di sottintesi, di pungente arguzia ad ogni sua battuta. Direi che come in un’orchestra ogni elemento ha la sua dignità propria ma tutti insieme fanno l’orchestra che suona alla perfezione, così qui nel film ogni elemento ha la sua importanza, ma tutti insieme fanno un film veramente gradevole e sontuoso.

A voler trovare dei difetti, segnalerei solo un eccesso narrativo con troppi personaggi che spesso sono soltanto delle mere presenze, alcune situazioni poi sono un po’ convenzionali o criptiche per chi non ha conoscenza della serie tv. Forse manca un vero soffio di virtuosità corale come in Gosford Park, ma che volete? quello era Altman!

data di pubblicazione:20/10/2019








MILITARY WIVES di Peter Cattaneo, 2019

MILITARY WIVES di Peter Cattaneo, 2019

(FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 17/27 ottobre 2019)

Basata su eventi reali, è la storia di un gruppo di mogli di militari inglesi in missione in Afghanistan e, più in particolare, di Kate (Kristin Scott Thomas) moglie di un alto ufficiale e di Lisa (Sharon Horgan) moglie di un sottufficiale. Due caratteri, due origini e personalità che più opposte non si può immaginare, eppure entrambe, ciascuna a modo suo, impegnate a cercare di trovare soluzioni alle ansie ed alle paure dell’attesa … e la soluzione sembra essere formare un coro vocale ….

 

Dopo il grandissimo successo nel 1997 di Full Monty, di Peter Cattaneo, regista inglese di origini italiane, si sono praticamente perse le tracce, i non tanti film diretti in questi venti anni non hanno lasciato alcun segno. Quest’ultimo lavoro può forse essere l’occasione di tornare a bissare un grande successo? Non credo. L’appuntamento con il successo è rimandato ancora.

Intendiamoci, il film di oggi è discreto e si pone più che dignitosamente nel filone della Commedia Inglese, nel sottogenere della “Dramedy”. Military Wives è infatti una onesta e discreta “commedia/dramma” di buoni sentimenti, quello che, per l’appunto, gli americani chiamano “a feel good movie”. La formula funziona sempre, se attuato il giusto dosaggio di ansie e paure, di sfortuna e volontà di reagire, di ironia e lacrime, sorrisi, risate e cameratismo. In una parola: drammi e humour. Ma, anche se il tocco originale del regista c’è sempre, sembra però che Cattaneo abbia perso il guizzo, la capacità di sviluppare tutta la propria originalità con convinzione, andando oltre il normale mestiere.

La storia si centra sulla descrizione del macigno che devono sopportare le mogli dei militari: vivere nella paura che ogni telefonata, messaggio o notizia possa portare novità devastanti. Un contesto il loro ove si presume che le donne e, con esse le famiglie, debbano avere la forza, la dirittura ed il coraggio morale e materiale di mantenere una “facciata” equilibrata continuando a fare la normale vita di sempre. L’analisi non va però oltre la mera superficie e non entra nella profondità di questo duplice e difficile ruolo, pur catturando e cogliendo che è nella routine del vivere quotidiano che queste mogli e madri esorcizzano l’ansia, la paura e l’assenza.

Cattaneo gioca molto sui conflitti di carattere e di cultura fra le due protagoniste, traendo dai loro diversi approcci nella direzione del coro e nell’affrontare la vita, spunti ironici a tratti anche esilaranti, ed è allora che il film prende il volo, ma, purtroppo non sempre sostenuto da adeguata sceneggiatura non pochi sono anche i momenti di stanca in cui la miscela non regge, ed allora il film scricchiola un bel po’. A soccorrerlo entrano però in gioco la bravura delle due protagoniste, entrambe ottime nel recitare con il giusto equilibrio di humour e di emozioni, dando così un vero spessore ai loro personaggi, salvandoli dalla mera rappresentazione di genere.

Military Wives è dunque un discreto prodotto di genere che non aspira, in realtà, ad essere altro che ciò che è: un mix di pathos, sorrisi, ironia e, ovviamente, musica. Una piccola commedia inglese in cui non c’è nulla di nuovo o che non si sia già visto ed apprezzato. Ciò non di meno, il film ricorda tanto quelle musichette accattivanti che continuano a risonarci piacevolmente dentro ancora per un po’ anche se tanto semplici e tanto banali.

data di pubblicazione:19/10/2019







ANTIGONE di Sophie Deraspe, 2019

ANTIGONE di Sophie Deraspe, 2019

(FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 17/27 ottobre 2019)

Antigone, della quarantenne regista canadese Sophie Deraspe, che ne ha curato anche la sceneggiatura, la fotografia, co-partecipando altresì al montaggio, è un film potente, contemporaneo, portatore di un messaggio universale di umanità, amore e coraggio tutto al femminile, sicuramente di antica matrice come la tragedia di Sofocle che lo ha ispirato, ma anche di attualissima illuminazione, che va ad onorare figure di eroine dei nostri giorni.

 

La piccola Antigone di appena 3 anni, dopo aver assistito all’assassinio dei suoi genitori in Algeria, arriva a Montreal come rifugiata assieme alla sorella maggiore Ismène, e ai fratelli Ètéocle e Polynice, quest’ultimo di poco più grande di lei, e alla nonna Ménécée che fa loro da tutore. Insieme riescono a ricostruirsi una vita tranquilla, in un quartiere popolare. A sedici anni Antigone è già una studentessa modello, vincitrice di borse di studio ed è anche colei che rappresenta una specie di faro per tutta la famiglia, nonna compresa. Un giorno la polizia, in seguito ad una colluttazione con dei ragazzi del quartiere in cui vengono coinvolti i fratelli della ragazza, nell’arrestare Polynice, spara in maniera apparentemente immotivata contro Ètéocle, uccidendolo. Si scoprirà che i due fratelli erano controllati già da tempo perché schedati come spacciatori. Antigone, addolorata per la morte del fratello maggiore e per evitare il rimpatrio sicuro di Polynice in Algeria, decide per amore della sua famiglia di “immolarsi” con tutta la forza interiore di cui è dotata. Motivata da un forte senso del dovere e nel ricordo continuo dei genitori defunti, la giovane decide razionalmente di sostituire la legge degli uomini con un proprio senso di giustizia, basato esclusivamente sull’amore e sulla solidarietà, mettendo a repentaglio il suo futuro di esiliata in Canada.

Folgorata a vent’anni dalla tragedia di Sofocle, che ne ha oltre duemila, la regista Sophie Deraspe crea un’eroina del ventunesimo secolo, dalla corporatura esile ma con una potentissima forza interiore, dallo sguardo che penetra, intelligente e volitivo, alla ricerca di una giustizia più forte di quella degli uomini, perché basata sull’amore con il quale è stata cresciuta dalla sua famiglia e che lei generosamente restituisce. Questa forza di cui è dotata la rende eroica agli occhi di tutti e lei si muove sulla scena come una persona investita di un dovere più grande di lei, che tuttavia non può non onorare: la sua famiglia, o ciò che rimane di essa, è tutto ciò che lei ha, o meglio, è tutto ciò per cui lei è quella che è diventata, e la sua giovane mente non può non considerare questo un fatto insormontabile, che la porta ad opporre un nuovo senso di giustizia, il suo, alla giustizia creata dagli uomini che vogliono sottrarle quegli affetti senza i quali non potrebbe vivere.

Gli attori sono bravissimi, tutti, ma Nahèma Ricci-Antigone è superba, perché dona tutta la sua anima ed il suo esile corpo alla sua eroina.

Vincitore come miglior film canadese al Toronto International Film Festival Award, Antigone è stato selezionato per rappresentare il suo paese agli Oscar 2020.

Film originale, che lascia il segno. Da non perdere.

data di pubblicazione:19/10/2019








ADORATION di Fabrice Du Weltz, 2019

ADORATION di Fabrice Du Weltz, 2019

(FESTA DEL CINEMA DI ROMA – Alice nella città, 17-27 ottobre 2019)

Gloria viene ricoverata forzatamente in un istituto psichiatrico dove è sottoposta a delle pesanti terapie per curare i suoi disturbi mentali: in particolare soffre di disfunzioni della personalità. Nei boschi in cui è immersa la clinica, la giovanissima paziente incontra Paul, appena adolescente, che vive lì con la madre impiegata presso la struttura. Tra i due nasce subito un’intesa profonda che li porterà a fuggire per sottrarsi alle rigide regole imposte dal mondo dei grandi, percepito dai due giovani come ostile al loro desiderio di libertà.

 

La Sezione Alice nella città, nell’ambito di questa 14ma edizione della Festa del Cinema di Roma, anche quest’anno offre un programma molto interessante e ambizioso. Tra i film sinora presentati sicuramente emerge Adoration, settimo lungometraggio del regista e sceneggiatore belga Fabrice du Weltz, la cui storia è stata definita da lui stesso intrisa di un realismo poetico, con il quale si chiude una trilogia i cui capitoli precedenti sono stati Calvaire del 2004 e Alleluia del 2014. I due giovani protagonisti Paul e Gloria, interpretati rispettivamente da Thomas Gioria e Fantine Harduin, sono uniti l’uno all’altra in maniera indissolubile nonostante la differenza di carattere: Paul più ritroso e solitario, Gloria più esuberante, affetta da disturbi della personalità che rasentano la schizofrenia pura. Tali profonde diversità non sembrano però aver peso né minimamente intaccare il sentimento che li unisce e che li porterà alla fuga da una realtà fatta di limitazioni e di proibizioni. Un viaggio per evadere da quelle convenzioni sociali dove gli adulti vengono esclusi perché percepiti come coloro che si oppongono al loro desiderio di emancipazione.

Ancora una volta si affronta il tema dell’amore tra due adolescenti, un sentimento incontaminato come la natura che li circonda, e dove Paul, il buono, si troverà a dover gestire situazioni più grandi di lui pur di proteggere la sua bella Gloria dalle insidie, vere o inventate, di cui lei stessa si ritiene vittima. Merito del regista è quello di affrontare la storia in maniera semplice e viscerale al tempo stesso: i due giovani devono assecondare situazioni molto impegnative e dalle quali però abilmente ne verranno sempre fuori. Il sentimento d’amore totale, nel quale si perdono, è qualcosa che sfugge ad ogni limite temporale, è una promessa che si scambiano affinché duri per sempre e che a nessuno è permesso di insidiare. Ecco che le scene drammatiche inficiano poco il risultato finale che è quello di dare al pubblico qualcosa che sa di astratto ma che, nello stesso tempo, rasenta la mera fisicità. Con un uso forse eccessivo dello zoom il regista sembra voler fissare il volto dei due adolescenti, quasi metterne in risalto ogni loro sfumatura caratteriale e affettiva. Obiettivo sicuramente centrato soprattutto grazie all’abilità recitativa dei due giovani attori, dodicenne l’uno e quattordicenne l’altra, la cui bravura è già stata notata in occasione dell’ultima edizione del Locarno Film Festival dove il film è stato presentato.

data di pubblicazione:19/10/2019








TREND – NUOVE FRONTIERE DELLA SCENA BRITANNICA – XVIII EDIZIONE

TREND – NUOVE FRONTIERE DELLA SCENA BRITANNICA – XVIII EDIZIONE


(Teatro Belli – Roma, 17 ottobre/21 dicembre 2019)

Ciclo di 18 spettacoli in scena al Teatro Belli di Trastevere, direttamente a Roma dalla scena britannica del Royal Court Theatre di Londra – il teatro degli scrittori sconosciuti, emergenti o già affermati. Alla fine di questo articolo tutti gli appuntamenti che noi di Accreditati seguiremo.

 

Iniziato il 17 ottobre – in felice concomitanza con la Festa del cinema di Roma, TREND- nuove frontiere della scena britannica, rassegna di testi o proposte monografiche di testi – come indicato dal direttore del Festival Rodolfo Di Giammarco – è arrivato ormai alla sua diciottesima edizione, sempre sul palcoscenico del teatro Belli di Trastevere con il sostegno del Ministero dei Beni Culturali e della Regione Lazio. Diciotto è anche il numero degli spettacoli in cartellone fino a dicembre prossimo e ancora diciotto è il numero delle nuove produzioni annunciate dal Royal Court Theatre di Londra da settembre di quest’anno fino ad agosto dell’anno prossimo. Uno scambio di autori e testi tra i teatri delle due grandi città, con la promessa di poter vedere prossimamente a Roma spettacoli in scena al Royal Court.

I temi trattati negli spettacoli spazieranno dall’esame della crisi dalle condizioni umane, intime e/o familiari a un approfondimento dei concetti di perdita, alienazione, vecchiaia e morte. Due testi si concentreranno sul nonsenso delle scacchiere elettroniche e geopolitiche attuali.

I lavori sono stati realizzati e adattati da un folto gruppo di eccellenti artisti italiani: Valter Malosti, Francesco Bonomo, Massimiliano Farau, Carlo Sciaccaluga, Luca Torraca, Giorgina Pi, Lorenzo Lavia, Fabrizio Arcuri, Silvio Peroni, Maurizio Mario Pepe, Massimo Di Michele, Carlo Emilio Lerici, Marco M. Casazza, Eleonora D’Urso, Erika Z. Galli e Martina Ruggeri, Niccolò Matcovich, Stefano Patti, Enrico Frattaroli.

Di seguito il calendario completo e le date degli spettacoli:

17 / 18 / 19 ottobre
CIARA
di David Harrower
con Roberta Caronia
reading a cura di Valter Malosti
produzione TPE – Teatro Piemonte Europa


21 / 22 / 23 ottobre
GOD OF CHAOS
di Phil Porter
con Daniel Dwerryhouse, Agnese Fois, Noemi Medas e Michael Habibi Ndiaye
regia Francesco Bonomo
produzione Sardegna Teatro,
Bonomo/Dwerryhouse


25 / 26 / 27 ottobre
LOVEPLAY
di Moira Buffini
con gli allievi attori e attrici del primo anno dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”
mise en espace a cura di
Massimiliano Farau
in collaborazione con il Dipartimento di Studi Europei, Americani e Interculturali (SEAI) della Sapienza Università di Roma e l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”


29 / 30 / 31 ottobre
FLY ME TO THE MOON
di Marie Jones
con Alice Arcuri e Eva Cambiale
regia Carlo Sciaccaluga
produzione ariaTeatro


1 / 2 novembre
PROGETTO ALAN BENNETT
Una patatina nello zucchero / Aspettando il telegramma
due spettacoli di e con Luca Toracca
produzione Teatro dell’Elfo


5 / 6 novembre
BOX CLEVER
di Monsay Whitney
con Gaia Insenga
regia Giorgina Pi
produzione Angelo Mai/Bluemotion


8 / 9 / 10 novembre
THE GARDEN
di Zinnie Harris
con Lorenzo Lavia e Arianna Mattioli
regia Lorenzo Lavia
produzione La Compagnia dei Masnadieri


11 / 12 / 13 novembre
AN INTERVENTION / UN INTERVENTO
di Mike Bartlett
con Gabriele Benedetti e Rita Maffei
regia Fabrizio Arcuri
produzione CSS Teatro stabile di innovazione del FVG


15 / 16 / 17 novembre
STRAIGHT
di D.C. Moore
con Daniele Marmi, Giovanni Anzaldo, Giulia Rupi e Eleonora Angioletti
regia Silvio Peroni
produzione Khora Teatro in collaborazione con l’Ass. Cult. La Filostoccola


dal 19 al 23 novembre
FURNITURE
di Sonya Kelly
con Cecilia Di Giuli, Valeria Flore Edoardo Purgatori, Nicola Civinini e Maurizio Mario Pepe
regia Maurizio Mario Pepe
messa in scena Compagnia “La Forma dell’Acqua” / produzione Khora Teatro


25 / 26 novembre
JUDITH “Un distacco dal corpo”
di Howard Barker
con Federica Rosellini, Aurora Cimino e Giuseppe Sartori
regia Massimo Di Michele
produzione SmartIt


dal 28 novembre al 1 dicembre

PROGETTO MCGUINNESS

THE MATCH BOX / BAGLADY
di Frank McGuinness
con Francesca Bianco / Barbara Lerici
regia Carlo Emilio Lerici
produzione Teatro Belli


3 / 4 / 5 dicembre
FOR ONCE
di Tim Prince
con Selvaggia Quattrini, Marco M. Casazza e Michele Dirodi
regia Marco M. Casazza
produzione Centro Teatrale Bresciano


7 / 8 dicembre
I’M A MINGER / SONO UNA FRANA
di Alex Jones
con Eleonora D’Urso
adattamento e regia Eleonora D’Urso
produzione Interno19


10 / 11 / 12 dicembre
STRIPPED
di Stephen Clark
con Francesco La Mantia e Alice Torriani
regia Erika Z. Galli e Martina Ruggeri
produzione Industria Indipendente


14 / 15 dicembre
OUT OF LOVE
di Elinor Cook
con Livia Antonelli, Chiara Aquaro, Riccardo Pieretti
regia Niccolò Matcovich
produzione Compagnia Habitas


17 / 18 dicembre
DIARY OF A MADMAN
di Al Smith, dopo Gogol
con Marco Quaglia, Sarah Sammartino, Federico Tolardo, Maria Vittoria Argenti e Arianna Pozzoli
regia Stefano Patti
produzione 369gradi


20 / 21 dicembre
4.48 PSYCHOSIS
di Sarah Kane
con Mariateresa Pascale
regia Enrico Frattaroli
produzione Frattaroli – Pascale
in collaborazione con Florian Metateatro – Centro di Produzione Teatrale


In calendario anche un ciclo di proiezioni per il giorno 3 novembre

ore 15.00 – THE CONTAINER regia Carlo Emilio Lerici
ore 17.00 – IFIGENIA IN CARDIFF regia Valter Malosti
ore 19.00 – LOVESONG regia Carlo Emilio Lerici

data di pubblicazione:18/10/2019

MATERNAL di Maura Delpero, 2019

MATERNAL di Maura Delpero, 2019

(FESTA DEL CINEMA DI ROMA – Alice nella città, 17/27 ottobre 2019)

Buenos Aires oggi. Esistono delle case famiglia religiose per ragazze madri di estrazione sociale bassa in cui le giovani, spesso minorenni, vengono accolte per essere assistite durante la gravidanza ed anche in via successiva se non hanno un lavoro ed una casa dove andare. Maternal racconta l’esistenza di madri adolescenti che vivono li. In particolare Lu è divisa tra il crescere la sua dolcissima bambina e il desiderio di scappare dall’istituto per stare con il compagno violento. Fatima è più accomodante e rassegnata, non sente di avere prospettive fuori da quelle mura. Nonostante le loro diverse personalità, l’esperienza condivisa della maternità adolescenziale porta le due donne a stare vicine. Dall’Italia arriva Suor Paola, una suora sui generis, giovane e bella, in procinto di prendere i voti perpetui, sensuale e pura allo stesso tempo, differente da ogni altra. Le tre esistenze si sfiorano e si contagiano, rompendo alcuni schemi e ricomponendone altri.

La regista Maura Delpero ha lavorato proprio in quel luogo per quattro anni e quanto raccontato è l’elaborazione di quanto respirato e vissuto.

Un film costruito sui silenzi e sugli occhi di tutte le protagoniste. La regista ha volutamente scritturato delle attrici non professioniste come le due ragazze madri al centro della vicenda ed entrambe sono superbe. Denise Carrizo interpreta Fatima, una timida ragazza incinta che è la migliore amica nonché convivente di Lu, la ribelle interpretata da Agustina Malala.

Ma nel modello di vita e di famiglia predicata nel convento manca assolutamente la figura maschile, esterno anche alla conflitto che ciascuna delle donne presenti nell’Hogar (è il nome argentino di queste case famiglia nonché il titolo originale del film), religiose o non, deve prima risolvere .

Tutta l’azione si svolge all’interno dell’istituto e con un solo terrazzo che tange l’esterno, ma non è un film claustrofobico. Un film essenziale ed ascetico per certi versi, che vive sul contrasto tra i dogmi religiosi e l’ora et labora predicato dalle vecchie suore ed il mondo esterno cui appartengono le giovani madri, fatto di smalti e violenze, di desiderio di vita e di futuro che non sembra possa però essere loro riservato.

L’unica suora a cavallo dei due emisferi è Paola, interpretata da Lidiya Liberman, arrivata dall’Italia per terminare il suo noviziato e prendere gli ultimi voti, in un periodo che anche per lei è di grande confusione. Paola si lega a Fatima e quando Lu scappa improvvisamente dal convento, inizia a prendersi cura della sua adorabile bambina Nina (Isabella Cilia). Il rapporto con la piccola fa vacillare la sua devozione all’abito che indossa e questa crisi viene raccontata attraverso piccoli dettagli significanti, tocchi sapienti Un legame che quasi mette in crisi la relazione che Paola ha con il proprio destino.

È un film d’esordio straordinario, un’opera prima intensa e rigorosa, in cui la regista dimostra di amare e rispettare tutte le sue protagoniste, raccontandole nella propria intimità, nel proprio modo di essere madre e donna, senza stereotipi e con tanta bellezza.

data di pubblicazione:18/10/2019








LOLA di Laurent Micheli, 2019

LOLA di Laurent Micheli, 2019

(FESTA DEL CINEMA DI ROMA – Alice nella città, 17/27 ottobre 2019)

Lola, il secondo lungometraggio del regista belga Laurent Micheli, apre nell’ambito della Festa del Cinema di Roma il concorso di Alice nella città, kermesse dedicata al dialogo con le nuove generazioni. Intenso nella sua semplicità, il film affronta le difficoltà che un padre e una figlia devono affrontare per tentare di accorciare le distanze che impediscono ad entrambi una civile convivenza.

  

Lola vive in una casa famiglia e divide la sua stanza con “l’arabo” Samir: lei solitaria e silenziosa, lui solare ed accogliente, entrambi con disagi familiari sulle loro giovani spalle. La morte della madre costringe la ragazza ad incontrare suo padre, uomo ruvido e rancoroso che due anni prima, quando Lola era ancora Lionel, l’aveva cacciata di casa a causa dei suoi comportamenti stravaganti. La decisione del genitore di non informarla per tempo della cerimonia funebre allo scopo di evitare ulteriori disagi, scatena una reazione rabbiosa nella ragazza che decide di rubare l’urna contenente le ceneri della madre: questo gesto porterà padre e figlia ad intraprendere un viaggio per raggiungere la villetta di famiglia sul mare, dove Lionel-Lola era cresciuto tra mille sofferenze, per esaudire il desiderio della defunta di disperdere lì le sue ceneri.

Il film affronta la tematica transgender in maniera non certo originale, ma da classico road movie, legando il viaggio reale per esaudire l’ultimo desiderio di una persona cara che non c’è più, a quello interiore di accettazione della diversità da parte di un genitore che rifiuta l’idea di non avere più un figlio ma una figlia, in uno scontro-incontro che porterà due mondi lontani ad avvicinarsi.

Ciò nonostante il film è lieve, intenso, facendo emergere qua e là, tra l’ottusità di un certo tessuto sociale e familiare, una calda umanità di cui certe persone sono portatrici in maniera del tutto inaspettata.

Philip, il padre di Lionel, è interpretato da un bravissimo Benoît Magimel (La pianista, Piccole bugie tra amici); altrettanto brava e molto centrata è Mya Bollaers-Lola, attrice transgender al suo primo ruolo che riesce a trasmettere la rabbiosa determinazione di chi ha sofferto molto per affermare sé stessa, in contrappunto ad un padre visibilmente imbarazzato per non essere riuscito a tutelare il suo nucleo familiare, ma con la complicità di una madre che ha al contrario sempre accettato le sue scelte di vita non convenzionali.

I dialoghi non sono mai banali e la tensione che i due attori trasmettono è costruttiva, lasciando una bella sensazione sul finale. Un piccolo gioiello da non perdere. Ottima la scelta del brano Ordinary people.

data di pubblicazione:18/10/2019