SESSANTOTTO, L’ANNO DEL NON RITORNO di Carlo Santi- Infinito edizioni, 2019

SESSANTOTTO, L’ANNO DEL NON RITORNO di Carlo Santi- Infinito edizioni, 2019

Tempi di anniversari e di ricordi. Per un 1968 che in Italia è stato soprattutto 1969, data di presunte rivoluzioni di lutti, di cambiamenti tellurici della società. Carlo Santi, non tradendo le proprie origini di cronista sportivo, ci consegna questo instant book che è una realistica fotografia di uno spaccato generazionale di cinquanta anni fa. Non è un caso che in copertina svetti il traumatico gesto di Smith e Carlos, un pugno guantato di nero, esibito durante la cerimonia di premiazione della finale dei 200 metri piani a Città del Messico, a esplicitare quella discriminazione razziale, così viva e cogente negli Stati Uniti. Ma naturalmente quel biennio ha molte altre valenze e significati. I Giochi Olimpici del 1968 furono funestati dal massacro degli studenti che nella calma ovattata delle gare fu quasi ignorato, secondo le testimonianze qui riprodotte di molti italiani medagliati. Quello fu l’anno in cui i calciatori presero coscienza di non dover essere più dei pacchi postali spediti da una società all’altra, varando l’Associazione sindacale di cui fu immarcescibile presidente Sergio Campana. Il 1969 fu anche l’anno dei Giochi della Gioventù, una scossa per dare al Paese un imprinting sportivo, un’innovazione che gli anni hanno provveduto a cancellare e dalle cui leve uscirono comunque atleti come la Dorio o Ortis. Nel 1968 morirono Robert Kennedy e Martin Luther King facendo evaporare un altro pezzetto del sogno americano. Il 1968 fu l’anno in cui la nazionale azzurra di calcio vinse il campionato europeo. Fu l’anno dell’altitudine miracolosa per battere record in quota, del salto in alto reinventato da Fosbury, da mille parabole che, come un sogno infranto d’infanzia, si arrestarono su quel 1968 fatidico. Libro della nostalgia che non dimentica il Vietnam, il clima da guerra fredda, lo sbarco sulla luna con la conflittuale e dispendiosa concorrenza tra Usa e Urss. Quando Nato e Patto di Varsavia erano realtà solide oltre che punti di riferimento della politica mondiale. Erano le stagioni in cui si voleva cambiare il mondo prima che il mondo cambiasse noi.

data di pubblicazione:19/11/2019

STRAIGHT di D.C. Moore, regia di Silvio Peroni

STRAIGHT di D.C. Moore, regia di Silvio Peroni

(Teatro Belli – Roma, 15/17 novembre 2019)

Due vecchi amici dell’università – uno l’opposto dell’altro – si ritrovano dopo anni. Un po’ per gioco e un po’ perché la vita è bizzarra progettano di realizzare un film porno.

 

 

Lewis (Daniele Marmi) è felicemente sposato con Morgan (Giulia Rupi). La sua è una vita ordinaria, fatta di lavoro e progetti, di sicurezze incrollabili: la splendida moglie, donna in carriera molto sicura di sé, la casa di proprietà, anche se piccola, la voglia di fare un bambino. Ma il suo desiderio nevrotico di compiacere a tutti i costi la donna e la sua fin troppo evidente insicurezza, nascondono una certa, seppur tenera, debolezza. Improvvisamente arriva Waldorf (Giovanni Anzaldo), un vecchio amico dell’università di Lewis, lo scassinatore che trova la chiave giusta per entrare nel loro spazio fin troppo regolare e scuotere il loro apparente equilibrio. La differenza che corre tra i due amici è abissale. Il nuovo arrivato è tornato in città dopo un lungo girovagare per il mondo – la lista dei posti visitati è lunghissima, come le avventure amorose collezionate –, tutto l’opposto dell’altro. L’aspetto comico della vicenda si manifesta in questo contrasto, condito da battute intelligenti e ben calibrate nei tempi. Ma anche nel fenomeno di ribaltamento, stavolta del titolo: Straight ovvero eterosessuale, che bisognerebbe punteggiare con un punto di domanda. È l’imprevista entrata in scena di Steph (Eleonora Angioletti), una giovane attrice di film porno, e una bevuta di troppo a far nascere nei due l’idea di registrare un video gay, dove reciteranno da protagonisti. Cosa vorrà alla fine Lewis, indiscusso personaggio cardine di questa vicenda? Vorrà ancora un figlio con la donna che ama o vorrà approfondire questa sua latente inclinazione?

La commedia è spassosa e gli attori funzionano tra loro alla perfezione. La regia riduce all’essenziale la scenografia, a un doppio schermo, uno verticale che fa da fondale e uno orizzontale che fa da spazio della recitazione – sembra di rivedere il contrasto della realtà vista frontalmente da un telefonino e quella reale – orizzontale – nella quale ci muoviamo. Non ci sono oggetti in scena né attrezzature: una scelta azzeccata per un testo che da solo vale la ricchezza di questo spettacolo. Tutto è concentrato sul lavoro degli attori e sul contenuto dei dialoghi, dal quale nascono riflessioni e incastri di raffinata comicità. Uno spettacolo davvero ben fatto.

data di pubblicazione:16/11/2019


Il nostro voto:

PEZZI regia e drammaturgia di Laura Nardinocchi

PEZZI regia e drammaturgia di Laura Nardinocchi

(Teatro Vascello – Roma, 12 novembre 2019)

Una madre sola con due figlie. Un lutto da rielaborare. Un albero da addobbare e un Natale da festeggiare. Pezzi di una vita frantumata da tenere insieme per continuare a vivere.

 

Mentre il pubblico prende posto in sala le tre protagoniste di Pezzi stanno già recitando la parte sul palco. I caratteri dei loro personaggi sono appena abbozzati in questa danza frenetica che le vede correre da una parte all’altra dello spazio scenico. Sembra di assistere a una performance di arte contemporanea. Il linguaggio è onirico, sgrammaticato, inaccessibile. Ma la storia si fa chiara man mano che le scene si susseguono.

Pezzi è lo spettacolo vincitore del Roma Fringe Festival 2019 ed è il risultato di un lungo lavoro che la regista, Laura Nardocchi, ha portato a compimento insieme alle attrici Ilaria Giorgi, Claudia Guidi e Ilaria Fantozzi. Un lavoro magnifico tutto al femminile che merita ben più di un premio e sicuramente di essere portato in scena ancora per molto.

Il racconto gira intorno al dolore generato da un’assenza. Una madre, semplice e verace come una donna di paese può essere, perde il marito e padre delle sue due figlie. Da quel momento la vita di questo nucleo familiare esplode. Il sottotitolo recita Si vive per imparare a restare morti tanto tempo, e per cercare di dare un senso alle cose diremo noi. Come una nuova Madre Coraggio, questa donna si prende cura delle sue due figlie tra non poche preoccupazioni. Marina, la più grande, è delle due quella che deve capire e sopportare tutto, costretta a crescere in fretta. Maria, la più piccola, è una bimba fragile che va protetta e difesa. Incomprensioni, litigi, frustrazioni nascono dal non aver accettato il lutto e separano le donne perse nella loro solitudine e sofferenza. La serenità può tornare solo dopo aver preso coscienza e consapevolezza del proprio vuoto.

Pezzi è un dramma struggente, fisico, commovente. È una danza di gesti e una sinfonia di suoni espressi con sublime poesia. È un monumento, una fotografia reale di un male intimo e devastante. Un semplice racconto, sebbene articolato nella costruzione. Un’opera d’arte molto vicina al vero di tante esistenze.

data di pubblicazione:13/11/2019

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STRAIGHT di D.C. Moore, regia di Silvio Peroni

AN INTERVENTION di Mike Bartlett, regia di Fabrizio Arcuri

(Teatro Belli – Roma, 11/13 novembre 2019)

Una coppia di personaggi uno il migliore amico dell’altra. Si danno consigli e si scambiano opinioni, tra rimproveri e carezze. La vita va avanti e il loro legame rimane saldo, anche se è passato tempo dall’ultima volta che si sono visti.

 

 

Per convenzione si chiamano A e B, poiché potrebbero essere chiunque. Di loro sappiamo che sono buoni amici da qualche anno e questo è evidente fin dalle prime battute. Rita Maffei è A, una donna che ha problemi con l’alcol, ma dal temperamento energico e divertente. Gabriele Benedetti è B, molto più pacato e razionale, che si fidanza con la donna sbagliata che A non gradisce. Sullo sfondo l’imminente intervento militare del Regno Unito in una guerra lontana. Il contestato Tony Blair, che vestì anche i panni di inviato per la pace in Medio Oriente oltre a quelli di Primo Ministro britannico, compare sorridente in una foto con alle spalle il fumo di un palazzo appena esploso per una bomba. Proprio la guerra è argomento di discussione tra i due amici, come lo è la dipendenza di A e la nuova fidanzata di B: forze distruttive che accendono continui diverbi tra i due. B è a favore di un intervento nel conflitto, A invece lo vede come l’ennesimo atto di terrorismo coloniale autorizzato dal Governo. B rimprovera A, mentre A attacca di continuo B. Volano frasi sarcastiche, tra ammiccamenti costanti al pubblico, le cui risate sembrano inserite apposta nella drammaturgia.

I quadri che si susseguono sono cinque. Ogni volta che i due amici si rivedono capiamo che è passato un po’ di tempo, durante il quale le loro vite sono andate avanti e si sono arricchite di episodi da raccontare: “Non ci vediamo più da quella sera” è la frase che ricorre. Per ogni atto un cambio di costume, abiti diversi confezionati però con la stessa stoffa. Pur avendo divergenza di opinioni su tutto, c’è qualcosa in fondo che li tiene legati.

Lo spettacolo è divertente, a tratti esilarante. In perfetto stile inglese A e B si rivolgono tra loro con una sincerità educatamente spietata, quella che maschera battute taglienti con il vestito delle buone maniere. L’esito è divertentissimo e ci ricorda che un intervento – non quello militare stavolta – è sempre necessario quando si tratta di stare accanto a un amico.

data di pubblicazione:12/11/2019


Il nostro voto:

BAARÌA di Giuseppe Tornatore, 2009

BAARÌA di Giuseppe Tornatore, 2009

Il film racconta la storia di Peppino Torrenuova di Bagheria, città della provincia di Palermo, che negli anni trenta, ancora bambino, fu costretto a lasciare la scuola e a lavorare come pastore per aiutare la famiglia in gravi difficoltà economiche. Diventato adulto, si iscrive e milita con convinzione nel Partito Comunista Italiano; si innamora anche della bella Mannina costretta però dalla famiglia a fidanzarsi con un altro uomo che lei ovviamente non ama. I due, nonostante le avversità, si ameranno in segreto fino a quando decideranno di fare la classica “fuitina” e nessuno a quel punto potrà più opporsi alla loro unione, mentre intorno la vita prosegue tra varie vicende sociali come la repressione del regime fascista e la corruzione di cosa nostra.

Nonostante la colossale produzione che comportò la ricostruzione quasi totale di Bagheria in una periferia di Tunisi e nonostante l’impegno dei due protagonisti Francesco Scianna e Margareth Madé, affiancati da un cast di tanti bravi attori, il film fu al centro di vaste polemiche e la critica fu molto spietata verso il regista. Presentato in apertura alla 66esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia come evento e pur avendo ottenuto successivamente diverse nomination al Golden Globe, David di Donatello e Nastri d’Argento, il film non riscosse il successo aspettato tra il pubblico: gli incassi si limitarono a circa 10 milioni di dollari contro i 28 spesi per realizzarlo, e Tornatore dovette anche affrontare diverse vicende giudiziarie intentate anche dagli animalisti per alcune scene girate dal vero in un mattatoio. Premio Oscar nel 1996 per Nuovo Cinema Paradiso, Tornatore con Baarìa ha comunque tratteggiato un ritratto della sua città natìa che comunque difficilmente potrà essere dimenticato.

Il film ci suggerisce questa ricetta tipica del luogo: lo sfincione bagherese.

INGREDIENTI: per quattro persone sono sufficienti 500 grammi di farina, 50 grammi di lievito, 50 grammi di strutto, 250 dl circa di latte, 300 grammi ricotta fresca, 1 kg di cipolle bianche, 5 filetti di alici, 100 grammi di formaggio pecorino romano, 50 grammi circa di pan grattato, olio d’oliva, sale e pepe q.b.

PROCEDIMENTO: Per prima cosa bisognerà preparate l’impasto aggiungendo alla farina il latte appena caldo dove è stato sciolto lo strutto e il lievito di birra oltre un pizzico di sale e uno di zucchero. Una volta preparata la pasta lasciare riposare al coperto per diverse ore. Intanto si può preparare la cipollata facendo imbiondire le cipolle in abbondante olio d’oliva (se si preferisce le cipolle possono essere prima lasciate bollire in acqua salata per una decina di minuti prima di ripassarle in padella). Alle cipolle vanno aggiunte le alici sott’olio che andranno sciolte nella padella insieme alle cipolle. Una volta che la pasta è ben lievitata si dovrà riprendere e impastare con un poco di olio e riporla nella teglia anch’essa ben unta di olio e lasciare riposare per altre due ore. Infine coprire l’impasto con fettine di ricotta fresca e sopra ancora la cipollata coprendo poi il tutto con il pecorino, il pan grattato e del pepe.

Spargere infine su tutto un poco di olio e infornare a 180 gradi per circa un’ora.

Lo sfincione va servito tiepido.

data di pubblicazione:11/11/2019

STRAIGHT di D.C. Moore, regia di Silvio Peroni

THE GARDEN di Zinnie Harris, regia di Lorenzo Lavia

(Teatro Belli – Roma, 8/10 novembre 2019)

Chiusi nel loro appartamento al quinto piano, Jane e Mac fanno i conti con il disastro causato dal cambiamento climatico ormai diventato irreversibile. La visione di un melo che nasce dal pavimento potrebbe riaccendere la speranza in qualcosa di bello.

 

 

È una serata particolare al teatro Belli di Trastevere, la sala si riempie in fretta e si ascolta un cicaleccio continuo ma disciplinato. Prendono posto in poltrona decine di ragazzi di un liceo romano, lo spettacolo è sul palco e in platea. Non capita spesso infatti – ma capita – di vedere tanti giovani a teatro tutti in una volta. Il tema della serata deve interessarli molto se sono qui, e se coinvolge loro coinvolge anche noi. Come in un immaginario prolungamento di una delle piazze che vediamo animate ultimamente in tutto il mondo dal movimento di protesta per il cambiamento climatico Fridays for Future, ci accorgiamo che The garden è in sintonia con la loro battaglia. Ed è anche venerdì sera.

La scena si svolge all’interno di un appartamento tutto grigio. Dello stesso colore sono vestiti i due protagonisti. L’atmosfera è triste, pesante. Jane (Arianna Mattioli) è seduta a terra davanti a un televisore che ininterrottamente trasmette il discorso di Greta Thumberg del Summit sul clima all’ONU dello scorso 23 settembre. È depressa e non esce di casa, parla poco avvolta nella sua vestaglia pesante, che la protegge dal mondo. Suo marito Mac (Lorenzo Lavia) da poco è stato preso a far parte di una sottocommissione che dovrebbe occuparsi di risolvere il disastro climatico in atto. Il problema è che non ci sono soluzioni al problema: ogni tentativo è un vuoto esercizio. I due non hanno figli, non hanno speranza. Per loro solo il palliativo delle pillole antidepressive e del vino, tanto vino, unico corroborante.

All’improvviso appare un bozzo dal pavimento di linoleum. È il germoglio di albero di melo spuntato per caso dal nulla o una visione connessa con la malattia mentale della donna? Di sicuro un pallido tentativo dell’immaginazione di sforzarsi di vedere il bello dove ormai non è più. L’azione si blocca davanti a questa verità: la mano dell’uomo ha distrutto ogni cosa vivente e non c’è possibilità per un nuovo Eden/giardino/speranza di poter crescere.

La coppia Mattioli/Lavia dimostra complicità sul palco pur manifestando una certa diversità nello stile di recitazione: silenziosa e intima lei, agitato e nervoso lui. Uno sbilanciamento forse dettato anche dal testo, che tuttavia offre spunto per riflettere sulla condizione del nostro pianeta e sulla posizione che dovremmo prendere rispetto alla crisi che ci sta investendo.

data di pubblicazione:09/11/2019


Il nostro voto:

SUBLIMI ANATOMIE

SUBLIMI ANATOMIE

(Palazzo delle Esposizioni – Roma, 22 ottobre 2019/6 gennaio 2020)

Per coloro che sono alla ricerca di qualcosa di sensazionale, al di fuori dai tradizionali circuiti museali della Capitale, si consiglia vivamente di visitare il Palazzo delle Esposizioni dove è in corso la mostra Sublimi Anatomie, un vero e proprio viaggio che dal passato ci porta al presente attraverso l’osservazione del corpo umano, mediante la presentazione di oggetti che costituiscono un mix di elementi scientifici e artistici al tempo stesso. Partendo dall’antichità, il percorso ci guida attraverso lo studio dell’anatomia umana: il corpo viene osservato non solo in superficie ma anche dissezionato nelle parti più intime diventando così oggetto strabiliante di studio sia per la medicina tradizionale che per gli artisti e i filosofi che lo hanno sempre considerato come elemento unico in natura proprio per la sua perfezione. Ecco così che nasce il concetto di Sublime, associato a quello più scientifico di Anatomia, che accomuna arte e scienza nella ricerca costante del sé e che trova particolare espressione nel Rinascimento quando, dalla contemplazione del corpo umano, si tendeva ad approdare a sfere completamente diverse che includono il concetto astratto del Bello e dell’Assoluto. Tra opere di artisti contemporanei quali Berlinde De Bruyckere, Chen Zhen, Dany Danino, Luca Francesconi, Marc Quinn solo per citarne alcuni, il visitatore potrà incontrare testimonianze di grande valore scientifico come i manichini anatomici ottocenteschi di Louis Thomas Jerome Auzoux, le tavole di studio di Jacques-Fabien Gautier d’Agoty nonché alcuni rari esemplari di cere anatomiche settecentesche facenti parte della collezione La Specola e gelosamente custodite presso il Museo di Storia Naturale di Firenze. Nella sala centrale del Palazzo è stato poi realizzato un vero e proprio teatro anatomico che costituisce un punto focale non solo per una serie di dibattiti sull’immagine del corpo ma che diventa anche un atelier di disegno per gli studenti dell’Accademia di Belle arti che posso avere così l’opportunità di esibirsi in performances creative prendendo come modelli sia le opere esposte che soggetti viventi. Questa iniziativa pone i visitatori in simbiosi con l’oggetto esposto, in una ricerca continua di qualcosa che va al di là della pura estetica e li introduce in un mondo più interiore che lascia sorpresi e affascinati.

La mostra è stata promossa da Roma Capitale – Assessorato alla Crescita culturale e organizzata da Azienda Speciale Palaexpo con la collaborazione dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e il Polo museale dell’Università di Roma. Da non perdere.

data di pubblicazione:08/11/2019

dEVERSIVO scritto, diretto e interpretato da Eleonora Danco

dEVERSIVO scritto, diretto e interpretato da Eleonora Danco

(Teatro India – Roma 5/10 novembre 2019)

Il folgorante memoir di una one woman show. Meno aggressiva del solito, più lirica, più ripiegata su stessa.

La Danco rappresenta un esempio probabilmente unico nell’attualità teatrale nazionale. Fabbrica da sé i propri spettacoli, arrampicandosi su un testo ulceroso, autobiografico ma non del tutto, riassumendo nei suoi umori sconnessi il degrado di Roma e la confusione personale. Tanto tempo è passato dalle particine in film o fiction che non le appartenevano, La sua vera essenza sprigiona a teatro in una scena vasta che lei anima con movimenti suggeriti dal cambio di luci. Domina il testo fluviale, distribuito in un’ora di esibizione con la sola rutilante esibizione di rabbia con un lancio di sedie. L’attrice racconta la sconnessione di Roma con un viaggio nei quartieri raccontando la propria precarietà di attrice con siparietti comici particolari riassunti nell’incontro con impresari balzani e inaffidabili. E’ una storia del teatro raccontata attraverso metafore che testimoniano la dura coesistenza dell’arte (o del tentativo di essa) con le necessità materiali dell’esistenza. Dunque la scena è un modo per esorcizzare nevrosi, tic, ipocondrie con un cammino dal basso, condito di cammei, di dialetto romanesco, di qualche più o meno necessario turpiloquio. L’età ha temperato qualche spunto più radicale e nella sua drammaturgia circolano, inaspettati, persino momenti di lirismo, temperato dal gioco dell’ironia. Il segreto, anche nella recitazione, è non prendersi troppo sul serio. E la scommessa continua a funzionare visto la grande presenza di un pubblico insospettatamente inter-generazionale. La Danco viaggia sul suo singolarissimo tappeto volante, consapevole inventrice di un nuovo genere. Insieme autrice, regista, performer, la trinità che riassume con la sua personalità. Efficace nelle sue rituali conquiste, nel raccontare nuovi pezzi di vita. Puntualmente, ogni due/tre anni. Aggiungiamo che il tutto è ispirato all’opera di Robert Rauschenberg.

data di pubblicazione:08/11/2019


Il nostro voto:

PARASITE di Bong Joon-ho, 2019

PARASITE di Bong Joon-ho, 2019

Parasite di Bong Joon-ho vincitore della Palma d’oro al 72° Festival di Cannes è un film straordinariamente interessante e spiazzante. Una storia basata sullo scontro-incontro tra classi sociali ambientata a Seul, una commedia sociale nera con due famiglie protagoniste, una poverissima ma astuta e l’altra ricchissima e più ingenua, le cui vicende finiscono per intrecciarsi, secondo una serie inarrestabile di accadimenti ed imprevisti che toccano più tematiche e più generi, generando un affresco grottesco ed armonico al tempo stesso, perfettamente unico, dove ogni tassello ha un senso ed una identità. Straordinaria la colonna sonora del giovanissimo compositore Jung Jaeil in grado di enfatizzare le varie anime di questo capolavoro.

 

 

Ki-woo vive in un angusto appartamento sotto il livello della strada con i suoi genitori, Ki-taek e Chung-sook, e la sorella Ki-jung, sono molto uniti ma vivono di espedienti. Improvvisamente arriva l’opportunità: un amico gli offre la possibilità di sostituirlo come insegnante d’inglese a domicilio per la figlia di una ricca famiglia. E’ un lavoro ben pagato, in una villa meravigliosa e così improvvisamente il ragazzo entra in contatto con ricchezza e benessere. Ki-woo ne è talmente entusiasta che, scaltramente riesce a far entrare all’interno della villa tutti i suoi familiari con false identità, dapprima la sorella come insegnante di educazione artistica per il figlio più piccolo, poi il padre come autista e poi la madre come domestica insinuandosi ancor più in profondità nella vita della famiglia benestante. Le due famiglie non sanno, però, che questo incontro è solo l’inizio di una storia drammatica, che porterà i Kim a introdursi sempre più nella routine dei Park, come un parassita fa con un organismo estraneo. Le due famiglie e le due realtà entreranno in una strana commistione che produrrà effetti inaspettati e devastanti.

Nell’era delle esasperazioni dei contrasti sociali, Parasite è un’eccellente lettura del nostro tempo, che Bong Joon-racconta in forma allegorica, alternando commedia, tensione e melodramma, attraverso un appagante cocktail di generi che va dalla commedia nera al dramma sociale, passando per il thriller ed il sentimentalismo. Il tutto in continuo divenire, attraverso salti e citazioni, densità e leggerezza, estetismo e splatter, senza tregua. Una vicenda apparentemente grottesca, originalissima ed efficace, in grado di descrivere con eccellente verosimiglianza le tristi dinamiche dell’ultima fase del capitalismo contemporaneo.

Parasite è in fondo una commedia senza risate, una tragedia senza veri cattivi, dove tutto porta ad un precipizio di violenza; ma quelle scale che scendono verso il baratro diventano poi anche simbolo di risalita ed espiazione cosi come la mistica inondazione che arriva improvvisa, trascinando e devastando, ma alla fine anche purificando da ogni scoria.

A Cannes il film ha vinto la Palma d’oro, mettendo d’accordo tutti i nove giurati guidati da Alejandro González Iñárritu.

Parasite è uscito all’inizio di giugno nelle sale coreane ottenendo risultati straordinari che si stanno ripetendo un po’ dovunque nel mondo. Da vedere il prima possibile.

data di pubblicazione:07/11/2019


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LA BELLE ÈPOQUE di Nicolas Bedos, 2019

LA BELLE ÈPOQUE di Nicolas Bedos, 2019

Victor (Daniel Auteuil) un sessantenne disilluso ed annoiato dalla vita e dal mondo tecnologico che lo circonda, è sbattuto fuori casa dalla moglie Marianne (Fanny Ardant) che, per quanto coetanea, vuole invece vivere intensamente la sua età e lo tradisce. Victor coglie allora l’opportunità (tramite un’agenzia che usando perfette ricostruzioni cinematografiche ricrea il passato che i suoi clienti decidono di rivivere) di tornare nel 1974 quando incontrò proprio Marianne. La splendida Margot (Doria Tillier) è l’attrice che impersona il suo amore di allora … ma l’Amore non ha età …

 

Et voilà du veritable Cinéma!”… ecco questo è buon Cinema! Se per Cinema si intende spettacolo, divertimento, tenerezza, fantasia e capacità di far sognare e commuovere. Non c’è quindi solo Hollywood, talora ci riescono bene anche i francesi, e … perché noi no?

Nicolas Bedos, figlio d’arte, talentuoso sceneggiatore, drammaturgo ed attore nonché anche compagno della splendida D. Tillier, dopo il discreto successo di Un Amore sopra le righe suo debutto nella regia nel 2017, torna di nuovo dietro la cinepresa con questa sua opera seconda regalandoci una pregevole commedia dal respiro romantico, passionale ed armoniosa.

Un elogio della nostalgia e della fuga, ma, soprattutto un elogio dell’Amore. L’autore si interroga infatti con garbo, ironia e leggerezza sulla vita che scorre, sul tempo che passa e che è passato e su ciò che rimane ancora, ed anche del futuro, e, lo fa traendo brillantemente spunto dall’incredibile opportunità del suo protagonista di poter “rivivere” e “vivere” momenti ed emozioni del passato.

La fluidità della sceneggiatura, della regia e del montaggio fanno sì che la storia fluisca armoniosamente senza che lo spettatore si perda fra il presente ed il falso passato, fra commedia e dramma, e, soprattutto fanno anche sì che le due realtà si fondano e corrispondano costantemente. La capacità e l’abilità del direttore è proprio nel non scivolare nella trappola dell’elogio amaro del buon tempo passato o della giovinezza o nel patetico amor senile. Qui Bedos è veramente bravo a giocare sempre sui vari livelli di lettura restando pur sempre padrone della storia grazie alla dinamicità della sua regia capace di toccare il tasto delle emozioni sapendo però come lasciarle un attimo prima che esse ci sommergano.

Come detto la sceneggiatura è perfetta, i dialoghi sono ottimi con battute precise, calibrate e cesellate che danno anima vera ai personaggi, il montaggio poi,va ribadito, è così sopraffino che il passaggio fra le varie epoche avviene sovrapponendo parole e sequenze in un gioco talentuoso di elissi continue. I personaggi infine incarnano veramente la vita e, come nella vita, si attraggono e si respingono con un tocco di ironia onnipresente e Bedos dirige magnificamente gli attori che li interpretano. E che attori! Alcune icone del cinema francese e nuove leve in stato di grazia. Su tutti: D. Auteuil da tempo lontano da un ruolo così giusto e così ben recitato, poi F. Ardant brava, fascinosa ed autoironica ed infine la bellissima e dotata D. Tillier, la musa del regista, che illumina lo schermo dando personificazione reale ad un ideale femminile davanti al quale si può restare estasiati.

La belle époque è la conferma della vitalità della cinematografia francese ed è un piacere vederlo, un film pregevole, tenero e vivace da non perdere. Una dolce love-story, romantica, divertente e ricca di ironia pungente e di emozioni.

data di pubblicazione:07/11/2019


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