da Giovanni M. Ripoli | Apr 13, 2020
Pensate a uno scrittore che da 67, diconsi 67 anni, venda solo negli USA oltre 400 mila copie del suo primo romanzo e pensate allo stesso scrittore che all’apice di un successo planetario si segrega per sua scelta a Cornish nel New Hampshire dove vive fino alla sua morte. Niente contatti con la stampa, l’editoria, la TV (l’esatto contrario dei nostri Carofiglio, Scurati, Sgarbi et similia…), nessuna stramaledetta voglia di pubblicità, né di avere
una vita pubblica, soltanto la legittima aspirazione ad essere lasciato in pace e a scrivere regolarmente per sé stesso, per il suo esclusivo piacere.
Questo scrittore era Jerome David Salinger che, nel 1951 a seguito della pubblicazione di The Catcher in the Rye, era divenuto il più popolare autore statunitense grazie al suo romanzo dal titolo intraducibile (alla lettera suonerebbe come “ il coglitore nella segale”(?)o, liberamente pensando alla figura del “catcher” nel baseball” il prenditore nel whiskey”). Da noi fu, direi opportunamente, reintitolato Il Giovane Holden, dal nome del protagonista Holden Caufield: il libro presto divenne quasi una Bibbia prima per le giovani generazioni americane e poi per quelli di tutto il mondo, incluso, modestamente, lo scribente. Molti sanno che al momento del suo arresto, l’assassino di John Lennon aveva in tasca una copia del romanzo. Pochi mesi prima, uscendo per un attimo dal suo ostinato isolamento, Salinger aveva dichiarato: “Holden non è che un istante congelato nel tempo”, in buona sostanza prendendo le distanze dall’eroe del suo romanzo.
La singolarità dell’uomo, agli occhi dei media, sostanzialmente un asociale, rischia di far passare in secondo piano la sincerità e la modernità del suo libro (per quello che risulta ad oggi, la sua completa carriera di esaurisce in altre tre opere, in verità meno esaltanti) “ Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e come è stata la mia infanzia schifa…e tutte quelle baggianate alla David Copperfield , ma a me non va proprio di parlarne” Così si presenta al mondo (ad oggi si contano traduzioni in 23 lingue) quel giovane studente del Pencey di Agerstown in Pennsylvenia, un tipetto da prendere con le molle, certamente l’opposto dello studente-medio dei “collage” americani ante ’68. “L’aria era fredda come i capezzoli di una strega”(che fantasia!), allorché il nostro eroe sta per tornarsene a casa (New York) con il fardello di 4 bocciature su cinque; in testa ha il suo “dannato” berretto rosso. Ha salutato amici e nemici, ha preso il treno, non senza aver attaccato bottone con la graziosa madre di un suo odiato compagno di scuola, è sceso alla Penn station, ma, invece che a casa decide di farsi accompagnare all’Hotel Edmont… Non avendo voglia di dormire, scende nel night dell’albergo (la sala Lilla) e a seguire compie piccoli innumerevoli viaggi in taxi… avventure che oggi farebbero sorridere i parroci della Valsugana, ma che colpiscono l’immaginario del tempo.
Tutto quello che fa Holden a New York in una giornata (Dimenticatevi l’Ulisse di Joyce, per carità!) per ammazzare il tempo in attesa di andare a sbattere la faccia contro i suoi è quanto di più faceto – non senza qualche frecciatina di morale – si possa leggere da Twain in poi nella letteratura americana. Oltre la storia, un mero pretesto, Giovane Holden è (o forse dovrei precisare “era”) un campionario di trovate e soluzioni solo apparentemente giovaniliste: un romanzo che rompe e in modo drastico con un certo frustro sentimentalismo, ancora in auge nella letteratura yankee del tempo, di cui Salinger non sa che farsene, spinto com’è dalla molla di una sempre più caustica ironia. Ma non è solo nell’ironia e nello stile che riproduce in larga misura lo slang dei giovani newyorchesi dei primi anni ’50, le ragioni del successo, che sfociano invece negli indefiniti confini del modo stesso di pensare, essere (o desiderare di essere) di molti americani. Holden dà un calcio all’”American Way of Life”, non prende decisioni, non s’impegna, rifiuta le proprie responsabilità, finendo col divenire una sorta di “dropout”, di “tramp” che va per il solo gusto di andare, anticipando o riprendendo, a seconda dei casi, vecchie storie di vagabondaggi, dagli “hobos” agli eroi di London prima e di Keruac poi.
Holden /Salinger, non ha illusioni né reticenze, non è negativo, ma non ha gli entusiasmi tipici del buon americano, non ama nessuno (tranne la simpatica sorellina Phoebe, una sorta di antesignana di Lucy dei Peanuts…), persino nelle peregrinazioni notturne non ha mete precise. A lui basta andare oziando, mantenendo dentro di sé un sano atteggiamento critico, verso il mondo degli adulti che lo circonda. Quasi scusandosi coi lettori che lo hanno seguito nella storia che ha narrato in prima persona, conclude con un malinconico finale. “…non raccontate mai niente a nessuno. Se lo fate, finisce che sentite la mancanza di tutti!”
Inevitabilmente, la conclusione ci riporta alla mente, J.D.Salinger, grande scrittore triste e schivo che, relegato da solo a Cornish non riuscì comunque mai a farsi dimenticare.
data di pubblicazione:13/04/2020
da Daniele Poto | Apr 11, 2020
Ripeschiamo dagli inferi della memoria un libro che per collocazione, interesse e stile può avere un deciso seguito nelle settimane (mesi?) del coronavirus per il riferimento esplicito all’ozio, al gusto di girovagare attorno alle parole nei momenti di tempo libero. Una pratica che potrebbe avere una sua attualità in tempi attuali. Il testo originale è del 1886 e noi abbiamo preferito leggerlo nell’edizione del 1953, tradotta da Ida Omboni, partner abituale in vita di Paolo Poli e sodale della di lui sorella. Jerome è più che altro noto per Tre uomini in barca. Fine umorista che provoca sorrisi più che un riso aperto. Livre de chevet diviso per argomenti, che sembrano trovati un po’ per caso ma in realtà sono frutto di una precisa scelta di campo. Per divagazioni saggistiche molto libere. La tautologia dell’ozio è ribadita ironicamente anche nel sottotitolo “libro per una vacanza oziosa” di modo che non si possa immaginare di evadere da questa prospettiva. Non è l’ozio di Lafargue ma è comunque un ozio di sani nutrimenti intellettuali, di divagazioni leggere sul gusto della vita e sull’esistenza, paradossi compresi. Un libro da cui è facile pescare citazioni a profusione ma che conserva una sua validità complessiva, una tenuta più che secolare senza scomodare riferimenti a un potenziale capolavoro. La gradevolezza è la sua qualità migliore. Jerome ribadisce una filosofia del buon vivere che potrebbe essere, mutatis mutandis, quella di un De Crescenzo di altra era. Si parla di gatti, cani, dello scorrere del tempo, della pigrizia dell’uomo, del mangiare e del bere, degli abiti e del portamento, della vanità, del riuscire nel mondo con lepidezza e disincanto. E non è un caso che il libro si chiuda nel segno della memoria, il carattere distintivo dell’uomo ed anche quello che gli ha permesso di riemergere dalle nebbie della preistoria per diventare sapiens ma anche ludens.
data di pubblicazione:11/04/2020
da Daniele Poto | Apr 10, 2020
L’Europa perennemente in cerca di padri dopo che quelli, recenti, sono stati dimenticati (Adenauer, De Gasperi tra gli altri) ha bisogno di riferimenti nella storia e andando a ritroso nel Basso Medioevo riconosce una radice fermentante in Carlo Magno che fu imperatore occidentale, cristiano e cattolico e dunque ha imprinting considerevole, pur essendo Franco, per essere inglobato nella nostra storia, della nostra cultura e nella nostra religione. Il prof. Barbero, abilissimo affabulatore, quanto mai gettonato ora youtube nei giorni del coronavirus ha dato alle stampe questo compendio che riassume un’opera di ben diverso impegno. Un agile pamphlet riassuntivo anche a portata di studenti che riassume con una lettura veloce la personalità di un sovrano che ha fatto giurisprudenza e storia e che ha regnato per quasi mezzo secolo anche se solo per quattordici anni con l’etichetta di imperatore, salvando un Papa, riabilitando un rilancio culturale a cui si è dato con generosità pur essendo parzialmente analfabeta. Carlo Magno ha creato più di dodici secoli fa uno spazio politico che prima non esisteva e che da quel momento, attraverso varie crisi e mutazioni, ha continuato ad esistere fino a adesso. Un discusso concetto di Europa si agita ora per il vecchio continente. Con il complesso di non essere riusciti fino in fondo il suo insegnamento. L’Europa dei popoli infatti non ha un minimo comune denominatore giurisprudenziale e soprattutto etico con una bussola incerta che ha un percorso ispirato solo dall’economia. Glaciale sovrana di ogni scelta anche nei tempi dell’emergenza. Paragone impossibile ma Carlo Magno fiutava l’esistenza di uno spazio europeo ed ha saputo occuparlo e considerarlo nonostante che guerre e tensioni fossero all’ordine del giorno durante il suo impero. Sono gli anni dell’arte, della Chanson de Roland, che ispirò Aristo e il Boiardo sulla scia della mitica battaglia di Ronsisvalle. Eginardo, lo storico del tempo, ci racconta Carlo Magno in presa diretta in alcune pagine di questo funzionale volumetto.
data di pubblicazione:10/04/2020
da Giovanni M. Ripoli | Apr 8, 2020
Occasione ghiotta la concomitanza di tre fattori: il primo, l’isolamento forzato in casa, il secondo, l’arrivo della primavera e dei primi caldi, il terzo, il tanto tempo libero a disposizione (almeno per molti), per godere di letture o film. Mettiamo allora insieme questi tre elementi e nell’ordine, riguardiamoci il film di Almodovar, Donne sull’orlo di una crisi di nervi (1988), con la bravissima Carmen Maura, compriamoci pomodori e altre verdure rigorosamente di stagione e prepariamoci un buon gazpacho seguendo le istruzioni della stessa protagonista del film. Prima, però, qualcosa sul film, facilmente recuperabile su molte piattaforme, non faccio nomi, Netflix, per esempio…Madrid, quartiere borghese, Pepa (Carmen Maura) si è da poco lasciata col grande amore della sua vita, un collega di lavoro e cerca in ogni modo di ricontattarlo. Ci prova in tutti i modi coinvolgendo amici, amiche, poliziotti alla ricerca di terroristi, presunti terroristi, mogli e figli dell’amante, insomma di tutto di più, in una girandola esplosiva che-come da titolo- mette a dura prova i suoi fragili nervi. Occorre dire che a suo tempo la pellicola servì a lanciare nella sfera dei grandi cineasti Pedro Almodovar e fu un grande successo, oggi, appare, invero, un po’ datata, ma ha comunque un buon impatto, in virtù degli straordinari interpreti, classiche maschere almodovariane che la animano. Veniamo, quindi, alla ragione della rubrica, la “simpatica” ricetta di uno dei più tipici prodotti della cucina spagnola: il gazpacho, piatto di origini contadine, in parole povere, un frullato di verdure, che gli spagnoli, specie in Andalusia (Cordoba, Malaga, Siviglia, etc) consumano, in differenti versioni, tutto l’anno.
INGREDIENTI (come spiega la stessa Maura): – pomodori – cetrioli – cipolla – peperoni rossi e gialli – mollica di pane (o pane tostato) – aceto e olio q.b..
PROCEDIMENTO: Frullate tutti gli ingredienti e servite il gazpacho freddo. A piacere, si possono aggiungere cubetti di ghiaccio e gli stessi ingredienti prima centrifugati, a cubetti. Qualcuno (sono n le varianti) ci aggiunge l’uovo sodo. Facile da fare, gustoso e sapido al palato, il gazpacho con la sua variante salmorejo (senza peperoni), è divenuto nel tempo, grazie al turismo di massa, un simbolo della Spagna tutta, come il Flamenco o il…Real Madrid (o il Barca). Non vi resta che provarlo!
da Giovanni M. Ripoli | Apr 8, 2020
Chissà quanto si è divertito, Javier Marais, a scrivere il suo Vite Scritte. Certamente tanto se pensiamo ai precedenti lavori di uno dei massimi scrittori di lingua spagnola contemporanei (Madrid,1951). Di lui ricordiamo, tra gli altri, Domani nella battaglia pensa a me, Un cuore così bianco, Veleno e ombra e addio, tutti romanzi per così dire di un certo spessore e tutti irrimediabilmente oggetto di culto da parte del pubblico e spesso insigniti di importanti riconoscimenti. Ecco perché la lettura di Vite Scritte rappresenta quasi una pausa per lo scrittore madrileno, un divertissement che si è voluto concedere per il suo e il nostro piacere. Sì, perché il gioco pur sempre letterario, scorre piacevole fra le sapienti e divertite pagine dell’autore-che-parla-di-altri-scrittori. In un calderone che vede alcune delle autrici più significative e alcuni dei massimi scrittori, ridotti a rango di personaggi, sovente, denudati del loro glamour artistico, e visti solo come persone. Quindi con i difetti di noi tutti e, a volte, anche peggio. Tranquilli, però, non siamo in una sorta di Hollywood Babilonia in salsa letteraria, Marais, assicura, comunque un rigore e una scrittura di pregio e anche quando cita o si sofferma su vizi e vizietti degli importanti protagonisti, lo fa senza scandalismi o pruderie. Per lo stesso autore – che lo dichiara in prefazione – si è trattato di una sfida: scegliere una ventina di autori da lui amati e trattarli come personaggi letterari, rivelandone i particolari più curiosi delle loro vite, di solito, giustamente trascurate a vantaggio delle loro opere. Incontriamo, allora, Faulkner che scrive per potersi comprare dei cavalli, Karen Blixen che seduce giovani poeti, ma veniamo a conoscere anche l’attività scatologica del grande Joyce, l’arte del “sapersi annoiare” del nostro Tomasi di Lampedusa, la vita su terraferma del Conrad “marinaio”, tanto per citare solo alcuni tra i venti autori prescelti. Correda il testo una serie delle foto e immagini più celebri degli artisti “collezionati” da Marais. In tempi di pandemia, questo insolito viaggio su scrittori noti, è certamente il consiglio adatto per una lettura rilassante, e per fare un po’ di gossip letterario di qualità.
data di pubblicazione:08/04/2020
da Antonio Jacolina | Apr 8, 2020
C’era una volta … tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana … un mondo i cui abitanti amavano il contatto sociale, condividevano emozioni e sensazioni psico-fisiche stando quanto più possibile insieme in gruppi e addirittura si riunivano spesso in sale buie, seduti vicini fra loro, a stretto contatto di gomito, per guardare attoniti, per ore, come in uno stato di trance collettivo … uno schermo luminoso! L’incipit questo di una storia distopica a firma di George Lucas che sarebbe potuta scorrere sugli schermi di una sala cinematografica fino a qualche mese fa; ora invece questa storia è realtà ed è non sugli schermi ma in sala, fra noi.
C’era una volta un mondo in cui i grandi Studios spendevano miliardi per realizzare, commercializzare e distribuire nei cinema di tutto il mondo i loro film. All’inizio c’era solo il cinema, poi ci fu la Tv, poi la prima rivoluzione dei film da noleggiare e portare a casa con le cassette VHS, poi con i DVD poi infine sul computer. Il cinema era ormai arrivato a casa! Poi ancora l’ultimo grande sconvolgimento: lo streaming on demand con le varie piattaforme on line. Si era così compiuto, così sembrava, il ciclo di trasformazione del modo con cui si fruivano e guardavano i film. Se il Futuro era senza dubbi lo Streaming, si prospettava comunque una fase lunga di convivenza agguerrita fra le due realtà: le sale e le piattaforme. I cinema avrebbero sempre offerto quel qualcosa di magico che era il condividere insieme certe esperienze ed inoltre anche tutte quelle opportunità che non si potevano cogliere a casa; grandi schermi, effetti sonori speciali, alta qualità visiva e fattori collaterali imponderabili come il sottile piacere di vedere subito un film e non dovere aspettare i previsti tre mesi dalla sua prima uscita in sala. Ma … Ma il Coronavirus ha avuto un impatto violento sul nostro stare insieme, ci toglie il contatto umano, impone distanze da amici, figli ed amori, ci impone guanti e mascherine. Pur non volendoci nascondere la drammaticità del momento e facendo ricorso all’ottimismo della volontà, il pensiero va già al Dopo, quando il peggio sarà passato o quasi, quando lentamente, con prudenza e non dichiarata paura dovremo e potremo riappropriarci di quel che era la nostra vita e riprendere le nostre abitudini sociali. Limitandoci strettamente al solo mondo del cinema, gli affezionati al rituale della sala buia e del grande schermo troveranno mai più il coraggio e la voglia di tornare in sala? E, nel caso, quali condizionamenti potranno accettare? Quanto diverso sarà andare al cinema e quale sarà la soglia di accettazione dei limiti imposti? Dopo il Coronavirus sarà tutto da ricostruire o da costruire ex novo?
Ogni grande catastrofe ha sempre inciso sulle interazioni umane ed ha generato nuovi modi di stare in contatto modificando radicalmente le culture sociali. Probabilmente la frequentazione delle sale cinematografiche, in assenza di un vaccino che ci immunizzi tutti, non tornerà più ai livelli “antevirus”! Non vedremo più il Cinema con gli stessi occhi. Come si può immaginare il Cinema senza la folla e la presenza fisica? Può essere senz’altro l’inizio accelerato di una “Nuova Era”, vedremo i film in casa con i nostri fidati amici piuttosto che fra sconosciuti, sceglieremo ciascuno di noi il proprio film on demand mentre le sale resteranno vuote. Del resto i giovani sono già su questo trend, sono svincolati dal luogo di fruizione e sono abituati ad avere i film “a portata di clic” e guardarseli quando, come e dove vogliono ed è probabile che anche gli spettatori più maturi, anche per i possibili condizionamenti economici, si porranno nella scia di questa tendenza ormai irreversibile. Ciò che fino a ieri appariva forse ineluttabile ma ancora molto lontano è invece ciò cui stiamo assistendo e che stiamo subendo partecipi passivi alla distruzione di un mondo quale era quello della vecchia e cara sala cinematografica ove lo spettatore si “rifugiava” per poter stare un paio d’ore a sognare e fantasticare lontano dai problemi che lo aspettavano a casa. Un divertimento immersivo totale, un’esperienza assoluta non certo replicabile a casa.
Dunque …”Morti i cinema, Viva il Cinema!”… La domanda quindi è: il Futuro PostPandemico inciderà come e quanto sul luogo di fruizione dei film e sul modo di vederli? Ricorderemo e rimpiangeremo l’esperienza ineguagliabile delle sale? O sarà solo un vezzo di pochi nostalgici che evocano antichi ricordi ed emozioni? Avremo superato il “punto di non ritorno”? oppure la natura sociale dell’essere umano tornerà a prevalere? E’ forse arrivato il momento di accendere un dibattito…
data di pubblicazione:08/04/2020
da Daniele Poto | Apr 6, 2020
Come si riflette nell’immaginario collettivo l’industria della mafia? La rappresentazione avviene attraverso il mondo dello spettacolo e con un’attenta analisi sociologica e statistica l’autore, specialista del ramo, va a destrutturare i meccanismi descrittivi sul fenomeno. Cinema, letteratura e personaggi più che il teatro sono i privilegiati punti d’osservazione per un saccheggio di spunti che spesso prende spunto dalla realtà delle vittime e dei miti sacrificali (su tutti la potente icona di Falcone e Borsellino), a volte con vicende di completa fantasia che pure incidono profondamente nella percezione collettiva. Il classico esempio è quello de La Piovra o del grande successo di Gomorra. Opere che hanno creato un mainstream, un fiume lungo di imitazioni più o meno riuscite. La mafia di Cosa Nostra è nettamente in pole position in questa graduatoria di uso e gradimento mentre gravemente sottovalutato è la ‘ndrangheta che nei fatti ha schiacciato come volumi di affari la mafia siciliana. La camorra ha un forte radicamento nella tradizione campana (basti seguire il discusso fenomeno dei neo melodici) mentre sporadici tentativi di appropriazione spettacolare hanno riguardato la Sacra Corona Unita pure se Sergio Rubini, non a caso pugliese, si è speso in merito. Evidentemente ci sono personaggi che colpiscono di più registi e pubblico. Come le storie caratterizzate di Romanzo Criminale e Suburra in ambito capitolino o il sapiente uso del personaggio-Buscetta ne Il traditore di Bellocchio. Meno utilizzabili Riina e Provenzano, prosaici, rozzi e incolti. La società estetica di massa comunque si è appropriata di questa occasione finendo con il venire criticata da chi sosteneva (Berlusconi) che così si offriva una pessima immagine dell’Italia all’estero. Ma non c’è esercizio di auto-denigrazione né di compiacimento. Ammirevole il cinema che prende spunto dalla realtà senza esaltare una situazione di predominio mafioso che è sotto gli occhi di tutti. Attitudine non solo italiana. Basti pensare a Il Padrino di Puzo, portato al cinema da Francis Ford Coppola o le storie seriali di mafiosi filmate da Martin Scorsese.
data di pubblicazione:06/04/2020
da Rossano Giuppa | Apr 5, 2020
È proseguita la scena virtuale del Teatro di Roma nella settimana dal 31 marzo al 5 aprile, su tutti i suoi canali social (Facebook, Instagram e YouTube), con un palinsesto digital che ha previsto oltre all’avvio di una inedita stazione radio, letture, interviste, contributi, tra cui meritano una menzione speciale la lettura dell’Infinito di Leopardi da parte di Massimo Popolizio e l’incontro di Giorgio Barberio Corsetti con Emma Dante.
Martedì 31 marzo alle ore 16 abbiamo assistito al talk che ha riproposto la registrazione dell’incontro con la scrittrice Helena Janeczek e la coppia di artisti Bartolini/Baronio, un dialogo su due figure femminili della fotografia del Novecento, molto diverse, ma accomunate dallo stesso bisogno di esprimere se stesse: Vivian Maier, talento della street photography mai riconosciuto in vita, e Gerda Taro, pioniera della fotografia di guerra.
Mercoledì 1 aprile alle ore 12 Claudio Morici ha proposto due brevi monologhi, Nuovi mestieri e Il teatro del futuro: una lettura tragicomica sulle preoccupazioni del mondo del teatro e un elenco di nuovi lavori che si sono venuti a creare a causa dell’emergenza.
Toccante l’appuntamento giovedì 2 alle ore 12 con la voce e l’intensità di Massimo Popolizio che ci ha condotto dentro L’Infinito di Giacomo Leopardi, per riscoprirne la bellezza e il valore universale, riascoltando un classico in endecasillabi che ci ricorda come sia il limite del nostro sguardo a spalancare la visione dell’assoluto; mentre l’attice e regista Monica Demuru alle ore 16, dopo aver letto La Cornice del Decamerone, ha aperto un ciclo di letture tratte da Historiae della poetessa Antonella Anedda, una raccolta di paesaggi e destini collettivi e individuali, tra disordine, crudeltà e inganni.
Per la sezione #talk&dialoghi, sabato 4 alle ore 21, Giorgio Barberio Corsetti ha incontrato la regista Emma Dante per un confronto sul teatro e sul tempo presente.
Un dialogo profondo e naturale che non poteva non partire dall’oggi e dal durante, una riflessione sulla condizione del presente, in cui nonostante tutto ci si trova in una situazione privilegiata rispetto ad altri. Si è poi affrontato il tempo sospeso di Misericordia, il nuovo spettacolo della regista che ha incontrato al suo debutto per un mese al teatro Piccolo la Milano del preCovid ed ora in programmazione al Teatro Argentina con l’incertezza del quando (in calendario in aprile) ma non del se. Spettacolo attesissimo in cui il dramma del giovane Arturo che vive in un corpo malato ma che è capace di volare e l’amore delle tre prostitute sue mamme adottive aprirà certamente a ulteriori riflessioni e forse a nuovi scenari per la stessa regista, che dovrà certamente confrontarsi con una nuova realtà, differenti modalità di relazione, ma con un teatro che dovrà mantenere la propria simbiosi/interazione con la scena e con il pubblico.
Si è parlato quindi relazione con gli attori e con i personaggi dei suoi drammi. Emma Dante ha raccontato la fisicità della sua costruzione drammaturgica che parte dalla camminata, ripetuta infinitamente ed arricchita progressivamente dalla lettura personale da parte degli attori, personaggi del racconto sin dal primo istante a partire dalle scarpe, comode o scomode che siano, grandi o piccole, con tacco o senza. Il cammino è l’elemento che riconduce alla verginità del personaggio ed alla sua interiorità e ingenuità. La scrittura è il passo successivo e conseguente del lavoro, un lavoro faticoso e certamente doloroso, che plasma il personaggio e l’ordito del tessuto drammaturgico. Il ruolo del regista è difficile e pieno di responsabilità, una materia sottile fatta di percezioni e decisioni, di ascolto.
Cosa aspetta Emma Dante dopo l’apocalisse? Questa l’ultima riflessione richiesta da Giorgio Barberio Corsetti: forse il giardinaggio, sua grande passione, ma anche la speranza di trovare nuove strade di solidarietà, imparando ad essere misericordiosi. L’Italia è il paese dell’accoglienza e dei pensatori, un paese aperto, che ha radici forti e che sta imparando a ritrovarsi nella collettività e nel sentimento e che il teatro può ancora di più aiutare ancora di più a cementare.
Domenica 5 alle ore 16 con Marco Cavalcoli, in esclusiva per il Teatro di Roma, ha preso il via un ciclo di piccole lezioni di economia, Scrooge’s digest, per riflettere sul denaro, il suo immaginario e la sua illusione, attraverso la figura del più arcigno e letterario dei capitalisti, Ebenezer Scrooge.
Tra le proposte inedite di questa settimana, da venerdì 3, la nascita di Radio India, la stazione radiofonica giornaliera ideata dalle cinque compagnie di Oceano Indiano residenti al Teatro India – DOM-, Fabio Condemi, Industria Indipendente, MK, Muta Imago, alle quali si aggiunge per l’occasione la collaborazione di Daria Deflorian. Una striscia radiofonica con un palinsesto quotidiano in diretta streaming su www.spreaker.it tutti i giorni dalle ore 17 alle ore 20.
Per le giovani generazioni infine le favole serali per i piccoli, Fiabe della buonanotte di teatrodelleapparizioni, mercoledì 1, venerdì 3 e domenica 5 alle ore 21 e il programma di giochi di teatro e il tutorial del Laboratorio Integrato Piero Gabrielli per la creazione condivisa di una canzone e video clip, domenica 5 alle ore 11.
data di pubblicazione:05/04/2020
da Antonio Jacolina | Apr 3, 2020
In un’epoca in cui un Virus che non conosce confini geografici né politici sta velocemente sconvolgendo il Mondo così come lo conoscevamo solo fino a poche settimane fa, in un’epoca in cui lo stesso concetto di Globalizzazione sarà probabilmente rimesso in discussione, in un’epoca in cui ci si domanda quali potranno essere i futuri assetti economici e politici, ha senso parlare e leggere di mappe geografiche che spiegano il Mondo? Assolutamente sì! Sì perché, come era ovvio nel passato così anche nel futuro le situazioni geografiche continueranno ad influenzare le decisioni e le azioni politiche ed economiche di molti paesi di rilevanza strategica mondiale. Il saggio di Tim Marshall sebbene sia stato pubblicato un paio di anni fa è ancora una lettura di estrema e stupefacente attualità ed assai utile per riflettere sui condizionamenti che ci porteremo dietro anche nel Futuro Prossimo Venturo. Siamo e resteremo “Prigionieri della Geografia” sostiene l’autore e, proprio questo immutabile condizionamento spiega perché, “ineluttabilmente”, tanto per il passato quanto per l’avvenire certe aree del Mondo e quindi certi Stati operino ed opereranno politicamente, commercialmente e militarmente in un certo modo e con certi fini. Marshall, esperto di relazioni internazionali, sa coniugare rigore con chiarezza espositiva ed illustra con prosa scorrevole e con competenza di analisi, avvalendosi di un ampio supporto di mappe di facile lettura, i futuri scenari, la complessità dei rapporti mondiali e come si siano formati e trasformati i confini fra alcune delle realtà politiche più significative della Terra: Russia, Cina, USA, Europa, Medio Oriente, Artico, e quali sono, pur nella fase di transizione sociale ed economica che ci attende, le logiche ed i condizionamenti dettati dalla Geopolitica.
Si può e si deve contestare però all’autore una visione forse troppo deterministica ed imputargli qualche soggettività. Il Mondo non è solo e soltanto fiumi, pianure e montagne e, le realtà politiche, economiche e commerciali sono soggette ad un insieme articolato anche di altri fattori di volta in volta determinanti: cultura, economia, sociologia e religioni …
Pur tenendo conto di queste osservazioni il saggio di Marshall resta comunque una lettura attualissima, piacevole ed istruttiva ed una brillante opportunità per ragionare su quanto anche la realtà oggettiva della geografia condizioni e condizionerà gli elementi attorno ai quali gira la nostra Società. Un libro quindi raccomandabile per gli appassionati di Storia, di Economia e di Politica Internazionale, ma interessante anche per coloro che solo vogliano provare a capire come va il Mondo.
data di pubblicazione:03/04/2020
da Rossano Giuppa | Apr 2, 2020
#Cinema da casa, il flash mob cinematografico promosso da Alice nella città, apre la sua terza settimana di programmazione con una serata speciale che unirà le finestre di tutta Italia, da Roma a Torino, da Bologna a Catania. Insieme all’Accademia del Cinema Italiano sarà celebrato il lato femminile del David di Donatello proiettando, sulle facciate delle case, celebri sequenze di film che vedono protagoniste grandi interpreti che, nel passato e negli anni recenti, hanno conquistato con il loro talento, brillante e drammatico, la prestigiosa statuetta. Le sequenze saranno raccontate in diretta social da Piera Detassis ed Elena Sofia Ricci.
Uno straordinario sguardo dalle finestre su quanto le donne hanno regalato al nostro cinema, un modo speciale di celebrare l’eccellenza italiana nelle settimane in cui i set e le sale di cinema sono costretti all’attesa, vicini a quanti anche in questo settore vedono colpito al cuore il loro lavoro. Tanti nomi e tanti volti in una scelta volutamente di genere, rispettosa degli equilibri visto che sono ancora in corso le votazioni per l’edizione 2020.
La serata “Speciale David” di #Cinemadacasa prosegue ed enfatizza la costante presenza social, in queste settimane, del David con la pubblicazione quotidiana delle pillole dedicate ai grandi momenti delle premiazioni del passato, le immagini più belle e le masterclass dei candidati: una piccola ed emozionante storia del cinema italiano, vista attraverso la lente del premio arrivato alla sua 65a edizione, che culmina in questo omaggio, emozionante e unico, alle nostre grandi protagoniste.
Fra queste: Sophia Loren (Matrimonio all’italiana), Monica Vitti (Polvere di stelle), Stefania Sandrelli (Mignon è partita), Athina Cenci (Compagni di scuola), Nicoletta Braschi (Ovosodo), Claudia Gerini (Ammore e malavita), Giovanna Mezzogiorno (La finestra di fronte e clip premiazione David), Margherita Buy (Manuale d’amore e clip premiazione David), Alba Rohrwacher (Giorni e nuvole e clip premiazione David), Paola Cortellesi (Nessuno mi può giudicare), Ilenia Pastorelli e Antonia Truppo (Lo chiamavano Jeeg Robot), Micaela Ramazzotti (La prima cosa bella), Sabrina Ferilli (Io e lei), Elena Sofia Ricci (Loro e clip premiazione David).
Oltre alle finestre che programmeranno domani la diretta, proseguiranno le proiezioni settimanali anche di Pisa e Cagliari. All’estero #Cinema da casa è attivo nelle Filippine, in Vietnam, Polonia, Bulgaria, Belgio, Parigi e Svizzera ed è seguito anche in Brasile, arrivando fino in America grazie ai social. Tantissime le sequenze dei film proiettati dalla finestra di #Cinema da casa, oltre 220, alternando film d’autore classici a grandi cult.
Noi di accreditati lo stiamo seguendo ma per partecipare a #Cinema da casa basta proiettare alle ore 22 dalla finestra le sequenze dei film più amate oppure seguire le pagine Facebook e IG di Alice nella città alle stessa ora, in diretta tutte le sere. Tra i prossimi ospiti di #Cinema da casa ci sarà, sabato 3 aprile, l’attore Lorenzo Richelmy mentre domenica 4 sarà la volta del regista, sceneggiatore e attore Massimiliano Bruno e della giornalista Michela Greco.
data di pubblicazione:02/04/2020
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