A PROPOSITO DI NIENTE Autobiografia di Woody Allen – ed. La Nave di Teseo 2020

A PROPOSITO DI NIENTE Autobiografia di Woody Allen – ed. La Nave di Teseo 2020

…”Tutto quello che avreste voluto sapere su Woody Allen, (ma non avete mai osato chiedere)”… o, meglio ancora, “Molto rumore per nulla”… difatti non c’è nulla di sulfureo, né di nuovo, né tantomeno di molto ironico nell’ultima tanto attesa e travagliata autobiografia del noto regista dopo le accuse di abusi sessuali rivoltegli recentemente dalla figlia adottiva Dylan Farrow, abusi che sarebbero avvenuti nel lontano 1992 quando lei aveva solo 7 anni. Va precisato che l’autore ha radicalmente smentito le accuse e che non è stato messo sotto inchiesta. Ciò non di meno, la sua reputazione negli USA è stata ancor più pesantemente intaccata a causa di questa nuova vicenda, al punto che, come tutti i cinefili sanno, il suo ultimo (e riuscitissimo) film Una giornata di pioggia a New York è stato rifiutato negli Stati Uniti ed è stato programmato solo in Europa.

Il libro di Allen dovrebbe essere la parola definitiva davanti alla Storia sulla propria vita (l’autore ha 85 anni), un ritratto a volte personale, molto più spesso professionale. In realtà l’opera ricorda molto di più gli appunti per un’arringa difensiva contro le tante critiche mosse negli anni alla sua produzione artistica, alla sua vita, alle sue scelte. Il libro aggiunge poco di nuovo a quel che già si sa dell’uomo e del cineasta, ed è, nei fatti, costellato di piccole annotazioni, citazioni ed aneddoti legati da un esile filo “dolce-amaro”, da qualche battuta ovvia e scontata e da uno stucchevole tono di continua meraviglia sulla propria incredibile fortuna. Lo stile narrativo è troppo distaccato, come se l’autore stesso fosse un disincantato spettatore della propria vita, quasi incredulo ma che invece vuole che il lettore condivida e creda alle sue versioni, alle sue verità sui fatti e sulle persone. Una volontà ben determinata e tagliente, mascherata da buonismo o, peggio, da tolleranza. Allen, con una buona dose di ambiguità e supponenza, gioca infatti sul limite fra ipocrisia e provocazione. Manca poi assolutamente il senso critico, una riflessione emotiva, una motivazione sugli avvenimenti sia artistici, sia affettivi, sia umani. C’è nel libro una continua citazione di nomi, noti o sconosciuti al lettore medio, (quasi un compulsivo name dropping) senza però alcuna aggiunta di elementi salienti ed originali sulle persone evocate o sui fatti narrati, o sui successi e gli insuccessi della sua vita e dei suoi film. Questa visione unica ed egocentrica, alla lunga diviene asfissiante, piatta e meccanica, Allen, si sa, non si sforza minimamente di essere simpatico né di nascondere il proprio egoismo… e ci riesce perfettamente. Fra estimatori e detrattori, fra innocentisti e colpevolisti nessuno cambierà la propria opinione.

L’opera procede cronologicamente ripartita in tre fasi: l’infanzia felice a Brooklyn, la formazione progressiva del commediante ed il debutto nel cinema e le sue relazioni; l’”Affare Mia Farrow”; ed infine la sua produzione cinematografica. Un ritratto al vetriolo quello della Farrow descritta come manipolatrice e proveniente da una famiglia con molte tare mentali. Un elenco dei suoi film senza però nessuna analisi retrospettiva, quale che sia, nessun accenno alle ispirazioni, alle scelte, alle realizzazioni o un suo semplice commento sui successi o gli insuccessi (tanto valeva allora leggersi la sua filmografia su Wikipedia!). Ma, citando un commento di un critico Olandese: “Allen è un narcisista che è immerso nelle sue nevrosi. I suoi film sono sedute psicoanalitiche, interessanti e talora divertenti, ma, alla lunga, possono stancare. Ciò che attira veramente è la vivacità e la vulnerabilità dell’uomo, un uomo tanto dipendente dalle sue partners fino a svuotarle di ogni loro energia”. Beh, nel libro mancano del tutto sia la vivacità sia e soprattutto l’uomo! Mai titolo più esatto… non c’è NIENTE.

data di pubblicazione:09/06/2020

#TDRONLINE 11: gli incontri con Alexander Zeldin, Franco Farinelli e Sandro Mezzadra

#TDRONLINE 11: gli incontri con Alexander Zeldin, Franco Farinelli e Sandro Mezzadra

La undicesima settimana digital del Teatro di Roma, dal 3 al 7 giugno, ha continuato a riservare interessanti proposte, in attesa di un ritorno dal vivo, su tutti i canali social (Facebook, Instagram, YouTube) del Teatro di Roma, tra cui si segnalano gli incontri di Giorgio Barberio Corsetti con il regista Alexander Zeldin ed i professori Franco Farinelli e Sandro Mezzadra.

Già dalla scorsa settimana, i Dialoghi del direttore artistico Giorgio Barberio Corsetti si erano aperti a nuove conversazioni con docenti, intellettuali, architetti, autori e autrici, per riflessioni sul nostro presente, sugli scenari che stiamo vivendo, sulle nostre città. Mercoledì 3 giugno alle ore 19 si è assistito ad una conversazione aperta tra Franco Farinelli, docente e studioso di geografia, cartografia e dei modelli di pensiero ad esse connesse, direttore del dipartimento di Filosofia e comunicazione dell’Università di Bologna e presidente dell’Associazione dei Geografi Italiani, e Sandro Mezzadra, professore associato di Filosofia politica presso l’Università di Bologna, la cui attività di ricerca si colloca sul confine tra la storia delle dottrine politiche, la filosofia politica e gli studi postcoloniali. Un confronto a due per esplorare i significati del concetto di confine, le possibilità della mappa, le implicazioni filosofiche e politiche dei modelli di rappresentazione della realtà geografica.

Nell’ambito degli incontri con gli artisti della scena nazionale e internazionale, sabato 6 giugno alle ore 21 Giorgio Barberio Corsetti ha dialogato con uno dei maggiori talenti internazionale, Alexander Zeldin, drammaturgo e regista anglo-russo, autore di un teatro carnale, emozionante, contemporaneo.

La situazione a Londra è molto complessa, ha esordito Zeldin, sia perché l’attuale Governo è opportunista e sia perché la pandemia purtroppo non è uguale per tutti. Negli ultimi 10 anni il Governo ha portato molte persone sull’orlo della miseria. L’atmosfera adesso è molto confusa e stressante, ci si vorrebbe fidare della politica, ma non ci si riesce. Si può uscire di casa ma le regole non sono chiare, i negozi e i bar sono chiusi e non si può prevedere cosa potrà accadere. Giorgio Barberio Corsetti chiede com’è la situazione in teatro e Zeldin che è direttore del National Theatre ribadisce che il 17% del budget annuale viene da contributi statali ed il resto da operazioni commerciali e franchising, da fondi privati oltre che dal botteghino. L’aspetto commerciale ha dunque un ruolo importante e si rischia il collasso; alcuni teatri sono già chiusi senza un piano di salvataggio da parte dello Stato, molti altri esauriranno i soldi prima della fine dell’anno e non si sa quando si potrà tornare in scena. In Italia i teatri sono chiusi, si parla di distanziamento sociale in caso di riapertura, non si sa come sarà ma, continua Barberio Corsetti, si vuole riaprire.

Il regista anglorusso ha lavorato con gli stessi attori negli ultimi anni; vi partecipano anche studenti o anche persone fuori dell’ambiente del teatro creando una sorta di comunità con attori e non attori che lavorano insieme e che vengono da diversi contesti e con approcci diversi. E’ piuttosto emozionante mettere insieme persone che hanno visioni diverse, che parlano lingue diverse, hanno culture diverse ed è entusiasmante perché non si va sul sicuro. Il Governo sta dando dei sussidi ai lavoratori autonomi ma non basta. Molti attori stanno andando a lavorare nei supermercati, fanno i corrieri o cose simili per tenersi occupati ma è difficile. In Inghilterra il teatro è importante ma è anche molto difficile guadagnarsi da vivere con il teatro per tante persone. Doveva venire a Roma in ottobre con uno spettacolo di grandissimo interesse Love nell’ambito del Romaeuropa Festival, uno spettacolo molto complesso che fa parte di una trilogia; la prima parte si intitola Beyond Caring ed è una storia che parla di addetti alle pulizie con contratto a termine, persone che fanno i turni di notte. Per realizzarlo ha fatto pulizie, ha lavorato con loro e con i sindacati, un processo di immersione complesso per portare il teatro fuori dal teatro e tornare nel teatro con l’energia della vita e della realtà. Love parla di famiglia e di famiglie con figli piccoli che vivono in alloggi di emergenza, rifugi per senza tetto, anche in questo caso con una ricerca fatta passando molto tempo con madri ed i loro bambini che vivono in questa situazione. L’ultima parte Faith, Hope and Charity parla di un centro sociale dove la gente si riunisce per mangiare insieme, una mensa dei poveri dove c’è un coro e c’è musica. Dietro ogni testo c’è un lavoro intenso dapprima personale e poi con gli attori in forma di improvvisazione, ma il processo cambia a seconda del progetto, in quanto deve essere un’operazione corale. Il teatro è uno strumento per vivere più profondamente la realtà perché attraverso il teatro si riesce a parlare con qualcuno come mai si fa nella vita di tutti i giorni. Gli attori improvvisano, inseriscono nuove parti del testo, tutto è possibile e non ci sono regole predefinite e bisogna far entrare gli attori nel testo perché ogni personaggio deve essere creato sulla base di qualcosa di molto intimo. C’è bisogno di scrivere su qualcuno o qualcosa ma è necessario avere la sensazione di perdere il controllo quando si entra di scena, per perdere la cognizione della scena. Negli ultimi 10 anni il Governo ha creato la cultura del sospetto, tagliando fondi alla sanità pubblica, gli aiuti per la casa; nessuno ha un lavoro a tempo pieno, non tutti hanno un tetto sulla testa e non ci sono aiuti e questo crea un clima di povertà anche mentale ed in questa atmosfera si è inserita la pandemia. Giorgio Barberio Corsetti chiede se si possa riprendere in modo diverso, pensare ed agire in modo differente anche nel teatro. Il regista lo spera anche se è preoccupato per il futuro, per tutte le cancellazioni, per il lavoro, ma crede ci sia stato qualcosa di prezioso in questo periodo per chi ha potuto usufruirne, ovvero prendersi questo tempo per fermarsi, per capire che è sempre più importante concentrarsi su ciò che è davvero essenziale. Tutto il mondo è palcoscenico diceva Shakespeare, il teatro deve confrontarsi con le condizioni e con il contesto attuali, c’è bisogno di stare insieme. Il teatro può farci sentire meno spaventati e meno soli e tutti possiamo sentire che abbiamo la vita dentro, grazie al teatro ci si sente più vivi. Anche il pubblico può essere coinvolto nel processo creativo anche se si sta a guardare lo spettacolo seduto dall’altra parte, cambiando la relazione con la scena. C’è molta preoccupazione tra gli attori; bisogna tornare presto alla normalità e se fino a dicembre continueranno ad esserci problemi di distanza di sicurezza e di altre cose, si spera che da gennaio sarà possibile ricominciare normalmente, afferma Giorgio Barberio Corsetti. È incoraggiante per programmare le cose pensare a questo, anche se bisogna avere sempre un piano B nel caso in cui le cose non dovessero andare per il verso giusto. E’ molto difficile rimanere autentici e coerenti ora conclude Alexander Zeldin, che in attesa della ripartenza si sta concentrando sulla scrittura di storie più personali e più semplici, sull’infanzia e sull’amore, alla ricerca dell’essenza basilare delle cose.

L’appuntamento settimanale con il Laboratorio Piero Gabrielli ha proposto giovedì 4 giugno alle ore 16 La lezione on-line del Signor Jourdain, una pillola video in cui si ipotizza che il protagonista della famosa commedia balletto di Molière, prenda lezioni dal Maestro di filosofia tramite la piattaforma ZOOM. Il video, con Giulia Tetta e Fabio Piperno diretti da Roberto Gandini con la musica di Roberto Gori, è tratto dalle prove on-line dello spettacolo Un cabaret poetico della Piccola Compagnia del Piero Gabrielli.

Venerdì 5 giugno alle ore 18.30 per il progetto Gruppo_2020 On line è stato presentato il racconto della giovane autrice Emma Cori Solitario, affidato all’interpretazione di Anna Mallamaci. Secondo episodio del quintetto di narrazioni fantascientifiche e orrorifiche ideate da un gruppo di giovani autori, tra i 13 ai 20 anni, in un progetto ideato e realizzato da Lacasadargilla e Industria Indipendente.

data di pubblicazione:08/06/2020

UNORTHODOX di Maria Schrader – Netflix 2020

UNORTHODOX di Maria Schrader – Netflix 2020

Esther vive presso la comunità ebraica di Brooklyn dove è costretta, suo malgrado, a seguire le rigide regole imposte dalla fede ultra-ortodossa chassidica. Come donna non può svolgere alcuna attività in società e il suo unico compito sarà quello di dedicarsi alla vita coniugale e concepire figli. Costretta a sposarsi con il giovane Yanky, ben presto si accorgerà di non poter più reggere la monotonia di quel modo di essere e con l’aiuto di un’amica fugge a Berlino, decisa a rifarsi una vita. Vani saranno i tentativi per riportarla a casa…

  

Unorthodox è una miniserie televisiva, disponibile su Netflix, creata da Anna Winger e Alexa Karolinski che si sono ispirate al libro di memorie scritto da Deborah Feldman in cui si racconta il rifiuto scandaloso delle proprie origini chassidiche. Concentrata in soli quattro episodi, la serie racconta la storia di Esther, allevata a New York in una famiglia ortodossa Satmar e sin da piccola separata dalla madre, che a suo tempo era stata cacciata dalla comunità; raggiunta la maggiore età, la ragazza è costretta a sposarsi con Yanky, un giovane legato al movimento satmarico e molto devoto ai precetti impartiti dalla Torah. Esty ama la vita e desidera studiare pianoforte mentre la vita domestica, in attesa di rimanere incinta, non fa per lei. Per realizzare il suo sogno e sottrarsi ai doveri coniugali un bel giorno decide di fuggire e di volare a Berlino dove l’attende una vita completamente diversa piena di musica e di colori. Girati per la prima volta in lingua yiddish, gli episodi, sia pur di breve durata, sono sufficienti a mostrarci due mondi contrapposti: da un lato quello di una comunità religiosa super conservatrice, dove sono ammessi sole le regole e gli insegnamenti impartiti dal rabbino, dall’altro quello di una società occidentale, la berlinese in particolare, dov’è rispettata la libertà di pensiero e d’azione e soprattutto dov’è accettata la diversità. L’israeliana Shira Haas, nei panni della protagonista, è un’attrice straordinaria, di grande talento, perfetta per rappresentare l’infelicità di questa giovane a cui sono imposti solo doveri e a cui non è concessa alcuna libertà di espressione. Una ricostruzione curata nei minimi dettagli che la regista Maria Schrader ha saputo creare per spiegare un universo a molti sconosciuto e intriso di grandi tradizioni, rigorosamente tramandate da generazione in generazione. Ogni personaggio, ciascuno a suo modo, deve lottare contro i propri demoni e soprattutto destreggiarsi tra il rispetto di inflessibili precetti e il desiderio di integrarsi in un mondo a sé più congeniale. Nonostante da pochi mesi nel catalogo Netflix, questa serie sta già riscuotendo un successo strepitoso tanto che già si parla di girare altri episodi, anche perché la storia adesso rimane in sospeso: rimarrà da scoprire come la ragazza affronterà il suo futuro a Berlino, città che l’ha subito accolta benevolmente forse proprio per le sue radici ebraiche.

data di pubblicazione:03/06/2020

#TDRONLINE 11: gli incontri con Alexander Zeldin, Franco Farinelli e Sandro Mezzadra

#TDRONLINE 10: Centuria a cura di Massimo Popolizio, e gli incontri con Bouchra Ouizguen e Francesco Careri

La decima settimana digital del Teatro di Roma, dal 26 al 31maggio, ha continuato a riservare interessanti proposte, in attesa di un ritorno dal vivo, su tutti i canali social (Facebook, Instagram, YouTube) del Teatro di Roma, tra cui si segnalano due appuntamenti per i cento racconti di Centuria a cura di Massimo Popolizio e gli incontri di Giorgio Barberio Corsetti con la coreografa marocchina Bouchra Ouizguen ed il professore Francesco Careri.

La settimana si è aperta con il doppio appuntamento con Piero Gabrielli, martedì 26 maggio alle ore 16 con Il Filo, un montaggio video di poesie tratte da Principerse e filastrane di Silvia Roncaglia, recitate e declamate dai ragazzi della Piccola Compagnia e mercoledì 27 maggio alle ore 16.30, con il Concorso Luigia Bertoletti che premierà i migliori testi poetici (oltre 140 elaborati) realizzati dai ragazzi per il progetto della canzone collettiva Chiuso dentro casa (oltre 16.000 visualizzazioni ad oggi).

Ha continuato a prendere vita, giovedì 28 e domenica 31 maggio sempre alle ore 16 sul palco virtuale di #TdROnline, la staffetta di letture di Centuria, portando in voce e in video trenta dei cento e più mondi allestiti dallo scrittore Giorgio Manganelli. Un bellissimo esperimento in digitale diretto da Massimo Popolizio che, insieme alle voci uniche e multiple dei dodici interpreti di Un nemico del popolo, ci hanno portato sulle tracce di un surreale bestiario di personaggi, molto vicini alle inquietudini contemporanee, per un ritratto caleidoscopico dell’essere umano prodotto dal Teatro di Roma.

L’ingresso nella Fase 2 dell’emergenza ha aperto la necessità di un dialogo con intellettuali, scrittori e filosofi, che possono orientarci nella comprensione di uno sguardo secondo un’altra prospettiva su questo tempo di ripartenza. Primo protagonista di questa settimana è stato Francesco Careri, professore e architetto che mercoledì 27 maggio alle ore 19 ha dialogato con Giorgio Barberio Corsetti sulla città di Roma, sui quartieri e sul modo in cui l’arte e la performance possono trasformarla.

Roma è uno spazio molto esteso fatto di piccoli e grandi quartieri, anche se è molto vuota all’interno con parchi ed aree non densamente abitate. Roma è più che una città un arcipelago, con identità di quartiere ed anche di linguaggio. La scoperta di tanti luoghi diversi nella città è soprattutto una passione per Careri, un gusto dell’esplorazione che espleta camminando e domandandosi su cosa si vede per essere ricettivo ed interrogativo, un percorso che lo porta con i suoi alunni ad entrare nelle realtà, anche violando la proprietà privata per privilegiare l’incontro con l’altro. Si incontra così quello che si suole chiamare degrado, ma che in realtà sono progetti di vita, modi utilizzare la città da cui si può imparare tanto. Le occupazioni abitative rappresentano un modello da cui acquisire esperienze, in quanto condomini e condivisioni eterogenee per cultura, religione, pensiero di vita. Luoghi che vivono di mutua ospitalità da cui si apprende tantissimo in tema di ospitalità e di scambio di esperienze. Gli spazi vuoti della città sono stati mappati e sono circa 200 tra cui l’ospedale San Giacomo in via di Ripetta abbondonato da 12 anni, 59 cinema chiusi, contenitori pronti a divenire oggetti pulsanti del quartiere, per portare nuova linfa. Nel post Covid la scuola e l’università stanno pagando più di altri la reclusione forzata ed ora si deve pensare alla didattica all’aperto, con la città che esce fuori e rinasce. Roma Est in particolare offre molte sorprese, con zone di verde, cave, orti urbani, accampamenti, baracche, con tutte le etnie presenti. Bisogna uscire dalla città per pensare alla città, farsi carico dei problemi e provare a risolverli vista la grossa indifferenza che ci circonda, lavorando su quello che si trova ed esiste già, risolvendo l’emergenza abitativa di prossimità, coinvolgendo la politica, una città forse più sporca e complessa di quella immaginata, ma sicuramente più vera.

Il progetto Circo in particolare di cui il professor Careri è l’ideatore, prevede il riutilizzo del patrimonio abbandonato per farlo abitare da tutti coloro che non trovano spazio, come pensionati, divorziati, reclusi nelle Rsa, bambini, studenti fuori sede, artisti, mediatori sociali naturali per un rinnovamento culturale e sociale della città, anche per chi è di passaggio, i cosiddetti nomadi urbani.

Venerdì 29 maggio alle ore 16 spazio alle nuove generazioni con un quintetto di racconti tra fantascienza e orrore: GRUPPO_2020 che dopo il cantiere di corpi sonori e di narrazioni andato on air su Radio India si è trasformata in versione on line, approdando su #TdROnline in formato video per 5 episodi per 5 racconti, che avranno una nuova ‘messa in forma’, conservando l’architettura interpretativa e musicale della Radio, cui si aggiunge un lavoro per immagini, ogni volta ispirato al singolo racconto.

Si è iniziato con Matahari scritto da Giulio Apicella, con l’interpretazione di Lorenzo Frediani cui seguiranno – con appuntamento settimanale ogni venerdì (5, 12, 19 e 26 giugno) – i successivi componimenti: Solitario di Emma Cori, con l’attrice Anna Mallamaci; Horror Story di Nivan Canteri, con l’attore Fortunato Leccese; La Selva di Carlo Giuliano, con Gabriele Portoghese; Sotterranei di Lucia Marinelli, con Federica Rosellini e Roberta Zanardo.

Storie e paesaggi reali e immaginari che i giovani autori percepiscono intorno al proprio presente a metà tra fantascienza e horror, tra precognizioni e presagi, ossessioni e visioni.

Giorgio Barberio Corsetti ha proseguito con i suoi incontri extraconfine dialogando sabato 30 maggio alle ore 21 con la coreografa marocchina Bouchra Ouizguen, che ha fatto della danza uno strumento ‘geopolitico’ di azione artistica e di emancipazione delle donne nel mondo arabo, tentando di scardinarne convenzioni, schemi, resistenze e divieti, attraverso un coraggioso agire coreutico e dal fulgore vitale. La coreografa è attualmente Marrakech, città nella quale studiava ed in cui è rimasta fino al 2010 creando la compagnia personale, basata su gruppo più eterogeneo di artisti provenienti non solo dalla danza ma anche dalla musica e da altre arti, cercando anche collaborazioni con artisti provenienti da altre città, artisti non contagiati dall’ambiente turistico. Si riesce a creare un’interazione con un pubblico eterogeneo, chiede Barberio Corsetti. Ci sono attori giovani e anziani, generazioni che si incontrano, un mix gli artisti e di scuole diversi, artisti che subiscono a Festival o feste o matrimoni. Come immagina la fine del virus e cosa cambierà chiede Barberio Corsetti. La fine è già in quanto tutto è stato posticipato o cancellato e questa sarà una stagione senza rappresentazioni; durante il lockdown non aveva interesse a colloquiare con il mondo esterno, ma è stata l’occasione per prendere una pausa, per riflettere, una occasione per stare di più in Marocco vicino all’equipe e sviluppare dei progetti. Si cerca di analizzare le cose ma si è in uno stato di confusione e si fa fatica a immaginare la fine. Quali sono i progetti su cui lavorare in questo periodo? Quando sarà possibile uscire la coreografa vorrebbe collaborare nel suo quartiere con un orfanotrofio e un centro giovanile interessanti perché ci sono delle persone piene di energia che fanno un lavoro eccezionale; le piacerebbe fare qualcosa con loro. Erano pianificati a Roma due suoi spettacoli; Corbeaux potrebbe essere messo in scena in una situazione covid perché è all’aperto e prevede distanze tra pubblico e singoli ballerini in piena sicurezza. E’ una performance nata per grandi spazi architettonici e giardini che non sono luoghi di danza contemporanea ma luoghi in cui il pubblico si muove, una performance sonora concepita per il suono e per la visione. Lo spettacolo è stato concepito non per il teatro ma per la stazione degli autobus di fronte al Teatro Reale di Marrakech, con un pubblico diverso che può assistere alla performance solo per un minuto o per l’intera durata dello stesso. In Italia la situazione è molto grave perché le persone non hanno potuto lavorare non essendoci il contratto intermittente; nella sua compagnia ci sono collaboratori marocchini e esterni non c’è contratto a intermittenza e si subisce la situazione. Si vive esclusivamente grazie alla diffusione degli spettacoli senza avere contributi dal governo. Nel momento in cui è stato imposto il confinamento lo Stato ha deciso che tutti i lavoratori che non hanno un salario regolare percepissero un sussidio ogni mese in base ai componenti del nucleo familiare e questo ha tranquillizzato le persone in quanto il confinamento è stato accolto positivamente ed è stato rispettato, visto che era compresa l’assistenza sanitaria che non può essere coperta dal singolo individuo.

Nella sua compagnia ci sono performer anziani e quindi più a rischio ma dipende da come evolverà la situazione, ora il presente va visto come opportunità per pensare e non per contare le perdite di posti di lavoro. Essere creativi senza farsi travolgere dagli eventi cercando di ottenere quante più cose positive da questa situazione, è questa la sua visione ora. L’atro spettacolo Elephant in un tempo sospeso dal titolo perfetto anche se deciso prima della pandemia e profetico, vede però le interpreti sono a stretto contatto ed ammassate fino al soffocamento le une con le altre e quindi complicato da mettere in scena oggi.

E’ il momento in cui si lascia decantare il lavoro per pensare a quello che si può fare altrove ma anche l’occasione per poter lavorare con altre persone su altri progetti e per avere anche del tempo libero per leggere e meditare e lasciare che la creatività lavori. In questi giorni ha ballato mentre leggeva o cucinava e questo le ha permesso di rivivere e riassaporare alcune sensazioni, secondo un atteggiamento mentale dell’anima, un processo creativo divertente e non ossessionante, una sorta di disconnessione in un momento in cui si è calmato: la disoccupazione forzata di quest’anno ci permetterà di lavorare meglio per assaporare il piacere del presente senza essere ossessionati dal futuro.

data di pubblicazione:02/06/2020

LA CASA DI CARTA regia di Jesùs Colmenar, Alex Rodrigo, Alejandro Bazzano, Miguel Angel Vivas, Javier Quintas – Netflix 2020

LA CASA DI CARTA regia di Jesùs Colmenar, Alex Rodrigo, Alejandro Bazzano, Miguel Angel Vivas, Javier Quintas – Netflix 2020

Sergio Marquina, conosciuto da tutti come “il Professore”, decide di organizzare un colpo a dir poco temerario: entrare nella Zecca di Stato a Madrid e stampare milioni di banconote. La squadra d’assalto è formata da otto individui attentamente selezionati e con pesanti precedenti penali che, non potendo rivelare la propria identità, verranno identificati ognuno con il nome di una città. Portata egregiamente a termine l’impresa, i complici, oramai milionari, faranno perdere le loro tracce, sino a quando uno di loro verrà catturato dalla polizia. Con l’intento di liberarlo, la banda si riformerà per organizzare uno strepitoso furto: impadronirsi della riserva aurea nazionale custodita presso la Banca di Spagna…

 

 

Questa serie televisiva spagnola è stata ideata da Alex Pina (lo stesso del serial Vis a Vis) e distribuita inizialmente solo a livello nazionale dall’emittente Antena 3 in 15 episodi. Dopo le prime puntate, la produzione riscontrò che l’audience andava via via diminuendo per cui fu deciso di non andare oltre e di vendere i diritti di distribuzione, di quanto già realizzato, a Netflix che tuttavia decise di rimodulare la durata degli episodi, che diventarono 22, dando inizio alle riprese della seconda stagione. Da quell’iniziale insuccesso si è arrivati ad un successo strepitoso! Oggi La Casa di Carta è la serie più seguita in vari paesi del mondo, incluso l’Italia, tanto che agli inizi del 2020 è stato ufficialmente annunciato l’avvio di nuove puntate. La spiegazione di tanto consenso di pubblico non sta solo nello script quanto piuttosto nella scelta accurata dei singoli personaggi, ciascuno con le proprie peculiarità, a volte malvagie a volte di estrema tenerezza, nelle quali lo spettatore non può che riconoscere una parte di sé. I protagonisti agiscono sotto la supervisione del “Professore” che dall’esterno guida e pianifica ogni loro mossa sino al minimo dettaglio e, contemporaneamente, ogni contromossa da parte della polizia. Una lotta continua tra buoni e cattivi, ma a ruoli invertiti perché in questo caso i buoni sono i rapinatori, uomini che hanno avuto disposizioni precise di rubare… senza licenza di uccidere, mentre le forze dell’ordine, e dell’establishment in generale, sono incapaci di nascondere la corruzione che erode il proprio apparato.

Tutti i personaggi sono interessantissimi, ma non si può tuttavia evitare di entrare in empatia con la figura del Professore (Alvaro Morte), classica figura di ladro gentiluomo, un timido non violento ma quasi psicopatico, dotato di un’intelligenza straordinaria e di un autocontrollo che lo porteranno ad essere sempre all’altezza dei tutte le situazioni, anche le più disperate. La sua, come del resto quella degli altri, è quindi una resistenza contro il sistema e Bella ciao viene scelta come inno che identifica la loro lotta “partigiana” di ribellione contro una società priva ormai di qualsiasi valore etico.

Una serie molto interessante, intrigante, che ci commuove e ci diverte, che ci fa sentire partecipi con i protagonisti e soprattutto ci trasmette quella giusta dose di adrenalina, sufficiente a tenerci vigili e critici verso un regime sociale sempre più narcotizzante.

data di pubblicazione:01/06/2020

MA TU SEI FELICE di Federico Baccomo – Solferino, 2020

MA TU SEI FELICE di Federico Baccomo – Solferino, 2020

Non abbiamo un metro universale di paragone ma questo è il primo e unico libro delle nostre esperienze di lettura risolto tutto in un dialogo. Si apre e si chiude con una domanda insieme ingenua e profonda. “Ma tu sei felice?”. E questo è il cordon rouge attraverso cui si snodano oltre duecento pagine di batti e ribatti di due protagonisti maschili che possiamo immaginare milanesi, borghesi, over 60, ben pensanti, con qualche deriva demenziale per l’ironia che l’autore Baccomo profonde a piene mani nelle loro divagazioni, a tratti da bar sport. Non è un caso che Claudio Bisio e Gigio Alberti, amici inseparabile da un quarantennio rievocando una certa atmosfera del Derby meneghino ne abbiano tratto 25 godibilissime puntate diffuse su youtube. Dunque è più che un audiolibro, è teatro ed è da ammirare la faccia di gomma di Bisio che ribadisce una volta di più il proprio mestiere i cui primi passi sono stati ispirati dall’arte del mimo. Guardatelo soprattutto quando non parla ma commenta le affermazioni dell’amico: una goduria! I due non aspettano Godot ma intessono una dialettica ovvia sugli argomenti più disparati del loro vivere quotidiano anche se il sesso appare una calamita imbarazzante per il loro senso comune. Vincenzo e Saverio (questi sono i loro nomi) sono come tanti, forse un po’ più fatui. Due anti eroi del nostro tempo. E nei giorni del Covid-19 l’operazione passatempo funziona. Il dialogo è perturbante ed innesta climi da commedia dell’assurdo. Beckett e Ionesco sono leggermente rievocati da un senso dell’assenza che è angosciante. Fino a rimbalzare alla fatidica irrisolta domanda finale. La filosofia di Saverio nella risposta iniziale si condensa così: “Se per felice intendi uno che è soddisfatto di sé, di quello che fa, ed è felice, allora no, non sono felice. Ma se per felice intendi uno che è soddisfatto di sé, di quello che fa, anche se non è proprio felice, allora sì, posso dire che sono felice”. Chiaro, no?

data di pubblicazione:30/05/2020

VIS A VIS – il prezzo del riscatto, regia di Giulia Nitto – Netflix 2020

VIS A VIS – il prezzo del riscatto, regia di Giulia Nitto – Netflix 2020

Macarena, istigata dal suo capo ed ex amante, commette diversi illeciti fiscali e appropriazione indebita di denaro ai danni dell’azienda in cui lavora. Condannata a sette anni, viene rinchiusa nella prigione di Cruz del Sur, presso Madrid: già al suo ingresso nel penitenziario dovrà affrontare tutta una serie di situazioni che metteranno a rischio la sua stessa incolumità e che la porteranno a cambiare il proprio modo di essere. Ben presto da ragazza ingenua e tranquilla, incapace di fare del male, diventerà spietata e crudele verso le altre detenute così determinate a renderle la vita impossibile.

 

Tra le serie più riuscite attualmente in programma sulla piattaforma Netflix, Vis a Vis è senza dubbio quella che più di tutte sta riscuotendo un successo strepitoso, forse al di là delle normali aspettative. Ideata da Alex Pina insieme a Ivàn Escobar, Esther Martìnez Lobato e Daniel Ecija, è stata presentata a partire dal 2015 da Antena 3, emittente spagnola, ed ora Netflix la sta proponendo in Italia e si è già classificata tra le più seguite dal proprio pubblico. Come in tutte le serie tv che si rispettino, bisogna armarsi sin dall’inizio della giusta dose di buona volontà per affrontare i quaranta episodi che compongono l’intera opera ma, seppur apparentemente ardua, l’impresa si dimostra al contrario molto piacevole per l’indiscussa bravura degli attori che riescono quasi tutti a tenere in tensione il pubblico televisivo. I personaggi sanno muoversi bene in un ambiente ostile, come quello di un carcere femminile, dove dietro un apparente atteggiamento di permissivismo, si nasconde invece una efferata crudeltà, da cui non sono esenti neanche le figure deputate al mantenimento dell’ordine. Protagoniste indiscusse sono Macarena e Zulema (rispettivamente Maggie Civantos e Najwa Nimri, pluripremiate per la loro interpretazione) che devono lottare per conquistarsi un posto di tutto rispetto nel microcosmo carcerario dove vivono e dove vigono rigide regole. Il loro perenne conflitto non prevede tentennamenti: uno scontro violento per assicurarsi una salvezza e soprattutto il rispetto delle altre recluse. In questa serie la sceneggiatura ha saputo ben imbastire gli intrecci narrativi che coinvolgono i vari personaggi facendoli interagire, tra l’interno e l’esterno delle mura penitenziarie, in un susseguirsi di situazioni degne di thriller.

La buona riuscita di questo lavoro risiede quindi nell’aver saputo raccontare varie storie, a volte contraddittorie a volte al limite della pura finzione, che però nel loro equilibrato ginepraio rendono il tutto facilmente credibile. Alla fine di ogni singolo episodio si rimane con il fiato sospeso e non ci si può sottrarre alla tentazione di passare automaticamente a quello successivo, creando in tal modo una tele-dipendenza dalla quale non risulta facile disintossicarsi. Inevitabile, dopo la conclusione della quarta stagione, l’annuncio di uno spin-off della serie dal titolo Vis a Vis: El Oasis, che vede ancora impegnate le due citate protagoniste, già presentato su FOX (Spagna) lo scorso mese di aprile, e prossimamente nel catalogo Netflix.

Una serie nella serie da cui sarà quasi impossibile esimersi.

data di pubblicazione:26/05/2020

#TDRONLINE 11: gli incontri con Alexander Zeldin, Franco Farinelli e Sandro Mezzadra

#TDRONLINE 9: Centuria a cura di Massimo Popolizio e l’incontro con Christiane Jatahy

La nona settimana digital del Teatro di Roma, dal 18 al 24 maggio, ha continuato ad arricchire l’offerta del palinsesto di proposte virtuali su tutti i suoi canali social (Facebook, Instagram e YouTube) per condividere nuove forme alternative d’arte e teatro attraverso il web. Da segnalare la prosecuzione dei racconti tratti da Centuria a cura di Massimo Popolizio e l’incontro di Giorgio Barberio Corsetti con la regista brasiliana Christiane Jatahy.

 

La programmazione settimanale si è arricchita del contributo del Gruppo Acea, che diventa mecenate del Teatro di Roma sostenendo il palinsesto di iniziative virtuali del Teatro di Roma a partire dall’opera digitale Centuria diretta da Massimo Popolizio.

In questa settimana due appuntamenti con gli attori della compagnia di Un nemico del popolo in programma giovedì e domenica alle ore 16. Veramente straordinarie le narrazioni tratte dai brevi racconti dello scrittore Giorgio Manganelli grazie alla costruzione drammaturgica ed all’intensità dei giovani attori. Giovedì è stata la volta di Luca Mascolo, Cosimo Frascella, Maria Laila Fernandez, Gabriele Zecchiarioli, Francesco Santagada, Martin Chishimba, Tommaso Cardarelli, Duilio Paciello, Massimo Popolizio, mentre domenica abbiamo ammirato ed ascoltato Maria Paiato, Francesco Santagada, Luca Mascolo, Maria Laila Fernandez, Martin Chishimba, Flavio Francucci, Gabriele Zecchiarioli, Cosimo Frascella, Michele Nani ed ovviamente Massimo Popolizio.

Tra gli appuntamenti settimanali, martedì alle ore 16 c’è    stata la presentazione del libro di Valentina Valentini, Teatro contemporaneo 1989-2019,edito da Carocci Attraverso il suo volume l’autrice cerca di portare in luce le mutazioni e le contraddizioni che attraversano la scena contemporanea teatrale degli ultimi trent’anni, sia a livello artistico che della critica.

Il dialogo diretto avviato da Giorgio Barberio Corsetti con la comunità di artisti nazionali e internazionali lo ha portato sabato alle ore 21 ad incontrare la regista brasiliana Christiane Jatahy, raffinata artista riconosciuta e premiata in tutto il mondo per la sua ricerca su originali forme teatrali e scenografiche, da sempre impegnata nell’esplorazione di nuove frontiere tra realtà e finzione, teatro e cinema.

Le prime informazioni richieste da Barberio Corsetti alla Jatahy riguardano la situazione in Brasile che è catastrofica per l’epidemia e per l’operato aggressivo e militare del governo di Bolsonaro. Ha deciso di rimanere in Brasile con i suoi amici e con la sua famiglia e capire cosa può fare. Basterebbe avere la possibilità di parlare visto che ci sono ragioni economiche per le quali tutto ciò sta accadendo, degli interessi economici molto grandi in Brasile e su l’Amazzonia in particolare. E per il teatro vale la stessa cosa visto che si è fermato tutto perché il governo ritiene gli artisti dei criminali che possono potenzialmente criticare il governo. Non ci sono notizie su una eventuale riapertura ed in questo momento si sopravvive grazie a piccoli aiuti forniti da associazioni o a donazioni. La sua compagnia è residente in Brasile, chiede Barberio Corsetti. Sì e sarà molto difficile trasferirsi e lavorare in Francia con la questione delle frontiere. Si può uscire ora in Brasile? E’ raccomandato di stare in casa, si lavora e non si esce se non per andare al supermercato; tra l’altro non ci sono informazioni concrete e spesso sono contraddittorie. Può succedere di tutto e la gente ha necessità di uscire per lavorare e per questo il numero di contagi cresce in maniera esponenziale, proprio perché non è possibile garantire il distanziamento sociale. Il rischio di contagio poi per la popolazione indigena è altissimo. Sono appesi tra la vita e la morte visto che probabilmente vorrebbero sterminarli per avere libero accesso all’Amazzonia e questo sarebbe una sorta di genocidio, una tragedia per il mondo intero. In un presente sospeso il lavoro è utopistico, pur avendo un’agenda piena; un progetto con il teatro di Ginevra ha una prima fissata per ottobre poi posticipata a gennaio 2021 e pertanto si sviluppa e modifica la sceneggiatura lavorando sulla questione del presente, come Penelope che fa e disfa la tela. Si pensa, si scrive pensando di fare qualcosa di utile; a tal proposito Barberio Corsetti chiede come possa essere integrato il presente nei suoi spettacoli. Il pubblico è parte integrante e tutto dipende da quanto e se il pubblico ci sarà e cosa potrà succedere sul palcoscenico.

Il suo prossimo progetto si ispira al film Dogville di Lars Von Trier con protagonista Giulia un’attrice brasiliana che lascia il Brasile con la speranza di trovare una situazione diversa, in una sorta di conflitto tra realtà e finzione. Ora il mondo intero sta partecipando ad una guerra invisibile e bisogna approfittare di questa situazione per liberare lo spettacolo, la società e il mondo intero dall’idea del consumismo esasperato, dal concetto che tutto sia in vendita, senza cadere nel nazionalismo e nel protezionismo. Come vede il dopo, chiede Barberio Corsetti, tra mascherine e distanza di sicurezza? Questa epidemia col tempo si stabilizzerà e in questo contesto il teatro sarà più necessario che mai, perché teatro vuol dire festa, stare con le persone, l’uno accanto all’altro per vivere insieme l’esperienza. Sarà una bella sfida con dei limiti nel processo creativo che diventano fonte di ispirazione. Il pubblico è parte integrante degli spettacoli, c’è una sorta di cerchio magico tra quanto rappresentato e la partecipazione attiva del pubblico. Tutti i lati del palcoscenico convergono verso lo spettatore. Vorrebbe portare un suo spettacolo a Roma ma ora tornerà sicuramente in Francia, il quando dipende dalle aperture delle frontiere. Sarà difficile, chiede Barberio Corsetti, stare lontano dal Brasile in questo momento così complicato? La regista crede sia molto complicato perché ogni giorno le cose cambiano e non sa cosa succederà, ma si prende la responsabilità di parlare, denunciare, lottare e resistere. Ci sono progetti anche in Brasile ma non si sa se potranno essere portati avanti vista la situazione, si sente un po’ come Il visconte dimezzato di Italo Calvino. In Italia c’è la possibilità di aprire con un pubblico ridotto dal 15 giugno e con un distanziamento all’interno del teatro e si sta studiando possibilità per fare degli spettacoli in estate, poi in autunno non si sa se si resterà così o se sarà meno restrittivo si lavora giorno per giorno ma la situazione. Bisogna ricominciare comunque per dare lavoro a più persone possibil,i attraverso un dialogo attivo tra teatri perché si è un po’ tutti soli in questo momento ed il teatro, seppure con tutte le restrizioni dovute, è luogo della collettività anche se questa collettività non e più così assoluta, è più piccola, ma è pur sempre una collettività.

Radio India è sempre live tutti i giorni, dalle ore 17 alle 20, in diretta streaming su www.spreaker.com, poi in podcast anche su spotify e social del Teatro di Roma. Le cinque compagnie residenti del Teatro India – DOM-, Fabio Condemi, Industria Indipendente, MK, Muta Imago, alle quali per quest’occasione si aggiunge Daria Deflorian – hanno trovato in questo mezzo una modalità per far fluire le proprie pratiche artistiche dai rispettivi paesaggi domestici. Oltre alla programmazione consueta, lunedì c’è stato appuntamento con la rubrica The Performer – dall’insorgenza alla scomparsa dei corpi, uno spazio di riflessione collettivo attorno a corpo e liveness; nell’Extra di martedì Attilio Scarpellini ha presentato Giornale, stralci dal diario mattutino scritti dall’inizio della quarantena fino ad oggi; mentre venerdì Daria Deflorian, in Persone, ha incontrato Martina Badiluzzi.

Il Laboratorio Integrato Piero Gabrielli ha proposto venerdì alle ore 16, un doppio affaccio video su due progetti e processi creativi, che hanno mantenuto coesa e in connessione la comunità dei ragazzi con e senza disabilità, arricchendo anche lo scambio tra insegnanti e teatranti, le occasioni di incontro con le famiglie e le opportunità di lavoro per attori con e senza disabilità. Emozioni e storie, piene di successi, desideri, aspirazioni e delusioni, attraverso le immagini del Monologo degli insiemi, video-documentario dello spettacolo Asimmetrie emotive, che raccoglie la ricchezza di esperienze e testimonianze su temi forti legati alla disabilità; mentre con La storia senza storia, parte dello spettacolo Un cabaret poetico, i versi di Gioacchino Belli, Nicola Cinquetti, Bernard Friot, Alda Merini, Moliere, Er Pinto, Silvia Roncaglia, Sergio Tofano e Trilussa in un interessantissimo cabaret musicale.

Domenica infine alle ore 12 è stata riproposta una delle quattro Conversazioni sulle Rovine, organizzate nel 2016 al Teatro Argentina, in occasione della mostra La forza delle Rovine al Palazzo Altemps, per ripercorrere il significato di “rovine”, sentinelle del passato, luoghi della memoria, macerie del presente e fonte di energia creativa del futuro.

data di pubblicazione:25/05/2020

EPICA QUOTIDIANA di Ilaria Grasso – Macabor editore, 2020

EPICA QUOTIDIANA di Ilaria Grasso – Macabor editore, 2020

Coraggiosa scelta quella di uscire con un libro di poetica quotidiana nei giorni confusi del coronavirus. Supremo sprezzo del pericolo? Ilaria Grasso non ha paura di lanciare il cuore oltre l’ostacolo, come si direbbe con linguaggio vintage perché la voglia di osare è nelle sue precipue corde. Il libro lancia un senso di sfida ai luoghi comuni del mainstream ricollegandosi a quell’importante filone di poesia civile che ha due nomi di riferimento, pur diversi, come Franco Fortini e Nanni Balestrini. Senso delle cose da fare e sguardo più lontano e consapevole rivolto a un’utopia sullo sfondo. Un acuto senso di libertà pervade le pagine. L’ampio numero delle dediche è funzionale ad ancorare alla sua personalissima poetica e alle cornici di riferimento: donne in minoranza, lavoratori indifesi e, appunto, gli indomabili utopisti che si ribellano al tran tran del quieto vivere di una borghesia nazionale più che mai insidiata dalla crisi e dalla obsolescenza valoriale. Il libro è impreziosito dalla prefazione di Aldo Nove ma si potrebbe dire in un senso più generale dall’ampia filiera di riferimento culturale dell’autrice movimentista. Una poesia che non è ferma ma è atto politico, indice di movimentismo, occasione per scuotere radicalmente le coscienze. Un sasso nello stagno e scagliato con consapevole violenza. Scene di vita quotidiana irrituale, lampi di poesia nel buio di esistenze prosaiche. Il libro non ha sinossi di contro copertina perché ambisce a farsi giudicare solo per i suoi contenuti. Ma è anche un testo ironico, privo della serietà politicante, dei complottisti, dei molto diffusi profeti di ventura e di sventura. La Grasso maneggia il verso con padronanza lessicale. Accelera e frena con proprietà e lo stesso montaggio dei contributi poetici obbedisce a una questione di intima e delicata grazia interna. In copertina un rider, potrebbe anche essere quello che si è tolto la vita lanciandosi da un ponte a Firenze, dopo un licenziamento improvviso.

data di pubblicazione:23/05/2020

HOMECOMING – AMAZON PRIME VIDEO, 2018 (PRIMA STAGIONE)

HOMECOMING – AMAZON PRIME VIDEO, 2018 (PRIMA STAGIONE)

Tampa, Florida, 2018. Un centro di accoglienza e riabilitazione di giovani soldati di ritorno dalla guerra. Una terapista entusiasta del suo lavoro e un capo ossessivo e ossessionato. Una calma e una perfezione pronti a rompersi e ad esplodere al primo segnale di cedimento.

L’Homecoming Transitional Support Centre è una struttura che a Tampa, in Florida, accoglie veterani di guerra, allo scopo di riabilitarli fisicamente e psicologicamente, preparandoli così a un rientro indolore nella normalità della vita civile.

Il percorso terapeutico è diretto e monitorato da Heidi Bergman (Julia Roberts), i cui slanci entusiastici nella “missione” della quale si sente investita sono spesso frenati da Colin Belfast (Bobby Cannavale), un capo oppressivo, che comunica solo telefonicamente e che pare orientato da scopi non propriamente altruistici.

L’edificio che ospita il centro è all’apparenza impeccabile: le geometrie simmetriche degli ambienti (e delle inquadrature) e gli arredi “moderni, ma virili” restituiscono l’impressione di una perfezione esteriore che, come tutti gli ordini troppo esibiti, nasconde meccanismi non del tutto trasparenti. Proprio come avviene nell’acquario di pesci rossi che compare nella prima inquadratura del primo episodio: niente è come sembra o, forse, tutto è come vogliono farci sembrare.

Un reduce in particolare, Walter Cruz (Stephan James), emerge dal resto del gruppo: sembra reagire bene al trattamento e, soprattutto, instaura un rapporto di complice fiducia con Heidi Bergman. Proprio il percorso intrapreso insieme da Walter e Heidi porterà alla rottura di uno degli ingranaggi su cui si regge il meccanismo di Homecoming, innescando una catena di progressivi disvelamenti che, anche grazie all’apporto decisivo di Thomas Carrasco (Shea Whigham), “antieroe” impiegato del Dipartimento della Difesa, accompagnano lo spettatore lungo il crescendo adrenalinico che scandisce le tappe della storia.

Le cadenze di Homecoming sono quelle del thriller psicologico fondato su una trama forse non proprio originale, ma sorretto da una messa in scena certamente di prim’ordine. La regia è di Sam Esmail (Mr. Robot), la sceneggiatura è firmata da Eli Horowitz e Micah Bloomberg (autori dell’omonimo podcast da cui è tratta la serie), mentre al centro del palcoscenico campeggia Julia Roberts, che assume anche il ruolo di produttrice esecutiva. Si trattava del debutto di Julia Roberts sul piccolo schermo e la scommessa può certamente considerarsi vinta: in molte scene torna a brillare quella luce che, ormai da qualche tempo, risulta leggermente appannata nei suoi lavori cinematografici.

La durata degli episodi è contenuta, attestandosi su una media di 30 minuti. Ogni episodio dei dieci che compongono la prima serie è armonicamente e solidamente legato agli altri, con un tempo della narrazione che, alternando il passato e il presente, contribuisce a consolidare il pathos del racconto.

A partire dal 22 maggio 2020 sarà distribuita su Amazon prime Video la seconda serie che, speriamo, sia all’altezza della prima.

data di pubblicazione: 20/05/2020