da Paolo Talone | Set 9, 2020
Il Teatro Quirino festeggia i suoi centocinquant’anni dalla fondazione. Coraggio, esistenza, battaglia sono le parole chiave della stagione che si appresta a ripartire.
Il 14 luglio scorso, alla presenza di un folto ben distanziato pubblico di affezionati e molti fra attori e compagnie che appaiono in cartellone nella prossima stagione, il direttivo del teatro, nelle persone di Geppy Glejieses, Guglielmo Ferro e Rosario Coppolino, ha presentato la stagione teatrale 2020/2021.
Sono trascorsi mesi di buio e solitudine, come racconta Rosario Coppolino, amministratore delegato del teatro. Vedere la sala vuota e silenziosa è un colpo al cuore. Ma ora è necessario riprendere, nel pieno rispetto delle regole anti-contagio, e il centocinquantesimo anniversario del Quirino – che verrà celebrato con una mostra e il volume Un viaggio d’amore per la scena e lo spettacolo, curato da Elisabetta Centore – è l’occasione giusta per festeggiare e per dire alle autorità politiche e culturali che il teatro è presente, esiste!, nonostante tutti i protocolli che vietano a questa realtà di esprimersi. L’assenza delle istituzioni desta sgomento a tal proposito: neanche il conforto di una parola ma solo silenzio, come sottolinea il regista Guglielmo Ferro.
Tra tutte le attività che hanno subito danni con la pandemia, il settore dello spettacolo dal vivo è certamente quello che più di tutti ha sofferto. Tra i primi a chiudere, i teatri saranno anche gli ultimi a riaprire. Le imprese private poi – come il Quirino – devono farcela da sole. Necessario è il sostegno del pubblico, poiché i fondi stanziati dal FUS, di cui una minima parte spetta ai teatri e alle compagnie private, non bastano a pagare gli stipendi del personale del teatro per un solo mese. È comprensibile allora la polemica alla direzione dell’Eliseo, a cui si contesta la pervicacia a “raccattare” denaro pubblico ingiustamente. Ed è lodevole invece la battaglia che stanno combattendo i grandi teatri italiani privati, tra cui il Quirino – costituiti di recente in un’associazione, l’ATIP –, perché impegnati ad affrontare con spirito solidale di squadra questo difficile momento di crisi.
Ora però è tempo di ripartire, come dicevamo, e il Quirino lo fa in una maniera creativa, insolita e coraggiosa. Prima di riaprire la bellissima sala il 22 dicembre prossimo con il Malato immaginario di Molière, una serie di dieci appuntamenti verrà ospitato nella stupenda cornice liberty di Galleria Sciarra. Solitamente utilizzato come passaggio pedonale, lo spazio della galleria (fatta costruire per volere del principe Meffeo Barberini Colonna di Sciarra, lo stesso che commissionò la costruzione del teatro) sarà adibito a sala per concerti, letture teatrali, spettacoli di prosa e di danza. Ogni evento verrà offerto in abbinamento a scelta con un cocktail o una cena, nel rigoroso rispetto delle normative sanitarie. Un modo originale per riprendere confidenza, in sicurezza, con la ricchezza dello spettacolo dal vivo.
Di seguito l’elenco completo degli spettacoli in Galleria e della prossima stagione teatrale:
5 settembre MUSICALMENTE LIBERTY concerto lirico ispirato allo stile decorativo della Galleria Sciarra con Cristina Piperno (soprano) Francesca Salvatorelli (soprano) Matteo Mezzaro (tenore) e con il Maestro Mirco Roverelli (pianoforte)
12 settembre UN TÈ PER DUE REGINE. L’incontro tra Peggy Guggenheim e Palma Bucarelli con Caterina Casini e Marilù Prati regia di Francesco Suriano
19 settembre CHIAMATEMI MIMÌ monologo musicale di Paolo Logli con Claudia Campagnola e Marco Morandi
26 settembre FINO ALLE STELLE omaggio ad Alberto Sordi nel centenario della nascita liberamente ispirato a “Polvere di stelle” di e con Tiziano Caputo e Agnese Fallongo regia di Raffaele Latagliata
3 ottobre IL BIANCO E IL NERO dal Ragtime di Joplin alle prime incisioni di “Jass” concerto jazz con l’Alexander’s Ragtime Band di Alessandro Panatteri
10 ottobre QUARTETTO D’ARCHI SINCRONIE con musiche di Beethoven, Mozart e Maderna
17 ottobre VIAGGIO IN EUROPA – Percorso musicale per voce e chitarra attraverso i secoli
con Sabrina Cortese (soprano) e Flavio Nati (chitarra) musiche di Handel, Giuliani, Carulli, Schubert
24 ottobre FRANCESCO CENTARRÌ QUARTET “Jazz tra America e Italia” con Francesco Centarrì (voce) Luccio Nicolosi (pianoforte) Salvo Beffumo (contrabbasso) Angelo Celso (batteria)
25 ottobre GABER DIVISO 2 omaggio al teatro-canzone di Gaber Luporini co Piji (canzoni) e Simone Colombari (monologhi)
31 ottobre SONORITÀ ARGENTINE TRA TANGO E FOLKLORE esibizione di Tango e musica dal vivo
La stagione 2020/2021
22 dicembre – 10 gennaio
Emilio Solfrizzi in
IL MALATO IMMAGINARIO di Molière
Costumi di Santuzza Calì
Adattamento e regia di Guglielmo Ferro
12 – 17 gennaio
Mariangela D’Abbraccio e Daniele Pecci in
UN TRAM CHE SI CHIAMA DESIDERIO di Tennesse Williams
Regia e scene di Pier Luigi Pizzi
(recupero di stagione 2019-2020)
19 – 31 gennaio
Pippo Pattavina e Marianella Bargilli in
UNO, NESSUNO E CENTOMILA di Luigi Pirandello
Regia di Antonello Capodici
2 – 7 febbraio
Giuseppe Cederna, Vanessa Gravina e Roberto Valerio in
TARTUFO di Molière
Adattamento e regia di Roberto Valerio
9 – 14 febbraio
Enrico Guarneri in
L’ARIA DEL CONTINENTE di Nino Martoglio
Regia di Enrico Guarneri
16 – 21 febbraio
Manuela Mandracchia e Giovanni Crippa in
LA PAZZA DI CHAILLOT di Jean Giraudoux
Regia di Franco Però
23 – 28 febbraio
Elisabetta Pozzi in
TROIANE di Euripide
Regia di Andrea Chiodi
2 – 14 marzo
Geppy Gleijeses, Maurizio Micheli e Lucia Poli in
SERVO DI SCENA di Ronald Harwood
Regia di Guglielmo Ferro
16 – 28 marzo
Antonio Catania e Gianluca Ramazzotti e con Paola Quattrini
SE DEVI DIRE UNA BUGIA DILLA GROSSA di Ray Cooney
Versione italiana di Iaia Fiastri, regia originale di Pietro Garinei, nuova messa in scena di Luigi Russo
30 marzo – 4 aprile
Paolo Bonacelli e Marilù Prati
PROCESSO A GESÙ di Diego Fabbri
Regia di Geppy Gleijeses
(recupero di stagione 2019-2020)
6 – 11 aprile
Marco Paolini
NEL TEMPO DEGLI DEI – il calzolaio di Ulisse, di Marco Paolini e Francesco Niccolini
Regia di Gabriele Vacis
13 – 18 aprile
Claudio Casadio, Andrea Paolotti e Brenno Placido in
LA CLASSE di Vincenzo Manna
Regia di Giuseppe Marini
(recupero di stagione 2019-2020)
20 aprile – 2 maggio
Alessandro Haber e Alvia Reale in
MORTE DI UN COMMESSO VIAGGIATORE di Arthur Miller
Regia di Leo Muscato
4 – 9 maggio
Leo Gullotta in
BARTLEBY LO SCRIVANO di Francesco Niccolini
(liberamente ispirato al racconto di Herman Melville)
Regia di Emanuele Gamba
(recupero di stagione 2019-2020)
11 – 23 maggio
Gabriele Lavia e Federica Di Martino in
LE LEGGI DELLA GRAVITÀ dal romanzo di Jean Teulé “Les lois de la gravité”
Adattamento e regia di Gabriele Lavia
25 – 30 maggio
MUSICANTI – Pino Daniele in musical
Una commedia con le canzoni di Pino Daniele scritta da Urbano Lione e Alessandra Della Guardia, con la partecipazione straordinaria e la regia di Maurizio Casagrande.
data di pubblicazione:09/09/2020
da Daniele Poto | Set 6, 2020
Un progetto di emancipazione in Arabia Saudita. Con le ovvie complicazioni del caso. Primi ciak con la protagonista protetta dal velo musulmano, finale progressista-liberatorio. Uno sviluppo un po’ troppo veloce in meno di due ore in una società che cambia lentamente e in cui la resistenza alle pari opportunità è secolare. Si svelano esteticamente ed emotivamente bei profili di donne di fronte a cui i personaggi maschili vistosamente sfigurano.
Con anno di ritardo approda nella sale italiane (non troppe in verità e per chissà quanti giorni!) un film presentato alla 76esima Mostra Internazionale d’arte cinematografica a Venezia nel 2019. Ma un anno cambia poco per l’immutabile scenario della sottovalutazione della donna in un continente che ancora non ha conosciuto il femminismo. Il progetto di candidatura nella comunità locale, maturato casualmente per la mancata partecipazione a un importante congresso, scatena nel medico stimato, un’ansia di rivalsa che è la molla del film. Una sorta di corto circuito che movimenta i rapporti con i pazienti, i familiari, l’ambiente circostante. Ci sono infermi maschi che non vogliono sapere di farsi visitare da una donna e che progressivamente si sciolgono e ne riconoscono l’abilità. E la candidatura è il grimaldello per cambiare e invertire rapporti basati sul pregiudizio e su una malintesa soggezione. La decisione della protagonista riesce a trasformare una sconfitta elettorale di misura in un grandioso successo, stante anche il chiaro riavvicinamento al padre, scettico ma alla fine solidale. Assistiamo all’evoluzione di una famiglia benestante che ha le chiavi per il cambiamento. Filmicamente la pellicola risulta un po’ ferma e priva di guizzi, soprattutto nel finale condividendo una narrazione lineare ma carente come mordente. Lo spettatore assiste a una sorta di didattica dell’emancipazione ma senza un reale salto di qualità estetico. In definitiva una prova di buona volontà, non assistita però da adeguato talento. I 104 minuti della co-produzione arabo-tedesca alla fine risultano persino troppo lunghi per la prevedibile dimostrazione a tesi che il regista si è proposto sin dalle prime inquadrature.
data di pubblicazione:06/09/2020
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da Daniele Poto | Set 4, 2020
Una pellicola distopica e maniacale. Puro cinema adrenalico mantenuto su livelli inestricabili di una trama quasi non riassumibile. Efficacemente un critico nostrano ha osservato che per decifrarla occorrerebbe una specializzazione aggiuntiva al corso di laurea in fisica nucleare. Fotogrammi dell’eccesso per una produzione senza limiti di spesa con le chicche aggiuntive di due presenze di spicco, un Michal Caine più british che mai e un Kenneth Branagh trasformato in intelligente russo cattivo. Omaggio alla co-produzione britannica.
Dieci anni di riflessioni e di rimaneggiamenti, cinque anni per scrivere la sceneggiatura. Ovvio che per Christopher Nolan, il regista di Interstellar, questo sia il film della vita e della carriera. Ma glien’è incolto con il coronavirus anche se l’imponente distribuzione in Italia ha propiziato lusinghieri incassi iniziali. Per entrare nel linguaggio specifico di Tenet bisogna essere un po’ esoterici senza trascurare James Bond perché l’esplosività della violenza è un diversivo per tenere alta la tensione in un film esageratamente lungo (147 minuti) con scene che si ripetono per il tema dell’inversione e del continuo rimpallo simbolico tra presente e passato. Un gioco a tratti raffinato, a tratti troppo scoperto per essere convenientemente fruito dallo spettatore. Il genere con cui viene catalogato il film è ibrido: c’è’ azione (un po’ di James Bond, anche), c’è fantascienza, c’è spionaggio, c’è thriller. C’è un po’ troppo nell’ansia di abbracciare e miscelare il cocktail con un sottofondo fondamentale: salvare l’umanità. Che non sembra perlomeno il principale scopo istituzionale della CIA, del KGB e del Mossad. Il protagonista principale, John David Washington, figlio di Denzell, non sembra dotato di una gamma espressiva troppo vasta e sembra un eroe solitario più che un dipendente di una grande agenzia di intelligence. Tante scene sono di difficile collegabilità e la presenza di nazioni outsider nel grande scacchiere internazionale (l’Ucraina a esempio) sembrano puramente accessorie. Per dire della grandeur che ispira l’operazione basti osservare il piccolo giro del mondo delle riprese: Danimarca, Estonia, India, Italia, Norvegia, Regno Unito e Stati Uniti. Ma nella geografia variopinta e globalizzata inevitabile che ogni tanto la trama ristagni e soffochi, distillata in un succo di cartolina patinata. Il costo finale del film (205 milioni di dollari) vale più o meno quanto il possibile risparmio con il dimagrimento dei due rami del Parlamento Italiano. Riuscirà a ripagarli tutti? Scommessa davvero molto difficile.
data di pubblicazione:04/09/2020
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da Antonio Jacolina | Ago 30, 2020
… Una casa di riposo (per il Presente), la II Guerra Mondiale (per il Passato), sono elementi perfetti per un possibile polpettone melodrammatico pieno di cliché, tutti elementi per dissuadere a priori dalla lettura di questo romanzo…
Gli ingredienti per una storia banale e scontata ci sono proprio tutti, poteva uscirne un libro stile Harmony e, invece, come sanno fare solo i veri cuochi ed i veri talenti letterari, Valérie Perrin pur usando una serie di ingredienti normalissimi, riesce a calibrarne le dosi ed a fermarsi al punto giusto e a giocare con i sentimenti senza compiacimenti, regalandoci con una scrittura sensibile un racconto bello, delicato, commuovente, profondo e poetico e, a tratti, divertente.
Solo due libri al suo attivo, entrambi due piccole pepite d’oro.
Non c’è dubbio alcuno, la Perrin è brava e talentuosa! Non c’è da meravigliarsi del suo legame con Claude Lelouch e che sia la sua Musa ed anche la cosceneggiatrice dei suoi ultimi film. Nella messa in scena di questo libro, agli appassionati di Cinema sembrerà infatti di veder scorrere proprio le immagini di un film del grande regista francese: un romanzo corale, flashbacks, storie solide, la forza delle emozioni e dei sentimenti, l’amore fra un uomo ed una donna…
Gli elementi che abbiamo già trovato in Cambiare l’acqua ai fiori, opera seconda della scrittrice, il libro che ha prima affascinato i lettori e poi conquistato anche la critica, li ritroviamo anche in questo suo romanzo di esordio (2016): una ragazza speciale ma un po’ ai margini della Società, un amore ferito, il dolore, una pseudo inchiesta, delle piccole storie ben orchestrate che si ricollegano tutte fra di loro… Justine, 21 anni, lavora in una casa di riposo per anziani, Hélène ci vive anche se passa le sue giornate attendendo colui che esiste solo nei suoi ricordi. Justine parla con gli anziani, i “dimenticati della domenica” (questo il giusto e delicato titolo originale del libro), ascolta le loro confidenze e le riunisce poi in un quaderno blu, tante piccole storie deliziose, come piccoli romanzi nel romanzo.
Il libro della Perrin è un libro sull’importanza della memoria e della trasmissione dei ricordi, sulle relazioni familiari e transgenerazionali, sulle radici, sulla vecchiaia e sulla gioventù, il dolore, gli affetti mancati ed i “non detti”, senza essere mai assolutamente lagrimevole. Due vite che si rispecchiano per drammaticità ed intensità, personaggi principali e collaterali sempre descritti con sensibilità ed autenticità in una narrazione che dopo un avvio un po’ lento prende il suo ritmo alternando riflessioni divertenti a passaggi più seri a volte poetici e romantici. Si farebbe torto definire superficialmente il libro solo come un feel good book. Certo l’autrice ci invita a riflettere su emozioni e sentimenti e può sembrare solo un “balsamo per i cuori”, ebbene che c’è di male? Soprattutto se questo “balsamo” è scritto bene, in modo fluido, moderno e ricco di poesia, a volte buffo, a volte triste ma che sa commuovere ed appassionare. Dunque: una lettura piacevole da gustare, positiva ed ottimista, un racconto di rara bellezza, appassionante e pieno di umanità che ci resterà dentro un bel po’, piacevolmente.
data di pubblicazione:30/08/2020
da Antonio Jacolina | Ago 24, 2020
“… pochi Imperi nella Storia hanno conseguito sia la dimensione geografica sia la capacità di integrazione del “commonwealth” romano. Nessuno come i Romani ha saputo combinare fra loro le dimensioni territoriali, l’unità dello Stato e la sua longevità ultramillenaria…”.
Siamo forse davanti all’ennesima analisi sul declino e sulla caduta dell’Impero Romano?
Niente affatto! Finora hanno sempre dominato come cause: fattori politici, militari, economici, demografici… il libro di Harper è invece uno studio acuto, ben articolato e documentato che offre una chiave di lettura del tutto nuova e stimolante su temi che, a torto, si suppone spesso di conoscere già a sufficienza. Un libro che ci permette di vedere un periodo complesso sotto un punto di vista spesso tralasciato o, del tutto sottovalutato da parte degli storici. Il lavoro dello studioso americano ha infatti l’originalità e l’intuizione di esaminare gli eventi dei secoli cruciali per Roma sotto l’ottica ecosistemica, climatologica ed epidemiologica. Oggi le competenze e le risorse scientifiche dell’Archeobotanica e dell’Archeomedicina consentono cose che fino a 15 o 20 anni fa non si potevano nemmeno immaginare: si può sequenziare il DNA di resti umani e non, ritrovati negli scavi e poi risalire con quasi certezza alle situazioni climatiche, alimentari, sociali e sanitarie e scoprire anche i percorsi e le evoluzioni genetiche di quel nemico occulto del genere Umano che sono stati e sono i Virus Letali. La Storia non è più quindi solo la sequenza di fatti ed azioni compiute dagli uomini in un contesto in cui l’ambiente faceva solo da sfondo stabile ed inerte allo sviluppo storico, ma è invece anche l’insieme di eventi naturali mutevoli, di cicli solari, di eruzioni vulcaniche, di instabilità climatiche, di pandemie devastanti che hanno influenzato e spesso deciso la Storia. La Storia va quindi riscritta e riletta in modo nuovo.
In effetti la risposta a come sia stato possibile il crollo dell’Impero Romano dipende dal maggior o minor grado di focalizzazione dello storico. Su piccole scale: le scelte umane potrebbero sembrare aver avuto un valore dominante, soprattutto se giudicate a posteriori. Su un quadro di maggiori dimensioni: si potrebbero individuare nell’Impero alcuni difetti strutturali (guerre civili, peso fiscale, pressioni sulle frontiere da parte di popoli invidiosi od affamati). Passando ad una visione più ampia ancora: si potrebbe anche definire la caduta di Roma come l’inevitabile destino di ogni impero. Ogni umana creazione è destinata a perire! Tutte cose contemporaneamente vere ma non determinanti in assoluto. In realtà, per l’autore, l’elemento che su tutte è veramente determinante è il trionfo della Natura sulle realtà umane. L’Impero Romano era un impero grandioso ed urbanizzato con ampie reti commerciali che aveva realizzato una sorta di miniglobalizzazione ante litteram. Proprio questa sua ampiezza ha poi aperto le sue porte anche al flusso di elementi patogeni divenuti pandemici e devastanti, provenienti, allora come anche oggi, dall’Asia. La Natura con le sue forze evolutive od involutive era ed è in grado di cambiare il mondo.
Harper è bravo nel documentare con rigore scientifico ricco di riferimenti la sua tesi intrecciando i fatti storici con le ultime scoperte in campo climatico e genetico: basti pensare alle siccità impreviste e soprattutto alle ondate pandemiche virali che scossero l’Impero arrestandone prima la crescita ed il benessere, poi le reazioni e la ripresa sociale ed infine, con la Peste Bubbonica, tagliando definitivamente ogni sua capacità demografica, economica e militare.
Il Destino di Roma è un libro interessante, scritto con prosa scorrevole che genererà polemiche fra gli storici e affascinerà gli appassionati, regalando uno scorcio di visuale del tutto nuovo sul nostro passato che dovrebbe però farci anche molto riflettere sulle analogie con il nostro fragile Presente ed il nostro incerto Futuro.
data di pubblicazione: 24/08/2020
da Antonio Jacolina | Ago 11, 2020
Una piacevole scoperta! Valérie Perrin sa veramente costruire e raccontare le sue Storie in un progressivo crescendo di interesse e coinvolgimento del lettore, è innegabile! Non scrive delle semplici parole o frasi, ma scrive delle emozioni. La sua è una scrittura sensibile e realista, sensuale ed intimista, moderna, essenziale e delicata, viva e toccante, a tratti sentimentale senza però essere sdolcinata, a tratti triste senza mai essere desolata o lagrimosa, spesso con tocchi di humour e momenti di poesia. Una scrittura che coglie gli istanti e va dritta al cuore dei lettori tutti, siano essi donne, siano essi uomini. Cambiare l’acqua ai fiori è giustamente il libro più letto degli ultimi mesi, un meritato successo, un successo reale, autentico, fatto con il “passaparola” dei lettori colpiti da questo bel libro uscito nel luglio 2019 e che proprio grazie al “passaparola” ha progressivamente scalato le classifiche italiane ed occupa ormai da settimane i primi posti fra i più venduti e, soprattutto, fra i più apprezzati. E’ un’opera seconda che conferma il talento di Valérie Perrin, (da anni attiva nel mondo del cinema francese come fotografa di scena, partner dal 2006 del grande regista Claude Lelouch ed anche cosceneggiatrice dei suoi ultimi film) che ha esordito con successo in Francia nel 2016 con “Il quaderno dell’amore perduto” di cui è ovviamente già in corso, in Italia, la ripubblicazione.
Questa volta la scrittrice ci regala un romanzo al cui centro è Violette (guardiana di un cimitero in una piccola città della Borgogna): un personaggio straordinario, una donna semplice, enigmatica e coraggiosa, rivolta verso la Vita nonostante tutto e tutti; una donna che ha conosciuto le durezze della Vita, il rifiuto, il lutto, il silenzio, un’infanzia segnata dall’abbandono, un matrimonio segnato dalla disillusione, un amore materno distrutto. Una donna che veste i colori dell’Inverno ma sotto porta però i colori ed il sapore dell’Estate. Attorno a lei, come dei satelliti o piccoli pianeti, gravitano tanti piccoli splendidi personaggi, uno spaccato di umanità, ognuno con le sue piccole storie, piccole cose della Vita, quelle tante sfaccettature della Vita che scorre intorno a noi. La tristezza, la gioia, la vita , la morte, le Estati, gli Inverni, le amicizie, l’Amore, gli amori mancati, gli amori persi, l’odio, il rancore e l’ostinazione perché nulla è mai veramente perduto…la resilienza…il possibile. Una moltitudine di emozioni: storie di vivi, di ricordi, di rimpianti, di speranze, di andate e ritorni nel passato e dal passato, in un intreccio di piani temporali e di Vite diverse tutte ben legate fra loro. Un equilibrio perfetto ed in armonia con i vari personaggi, tutti assolutamente autentici. Un intreccio in cui non ci si perde, che non ci lascia indifferenti, ma semmai, ci fa riflettere, piangere, ridere. Una storia ben articolata ed a tratti poetica che si fa quasi subito accettare ed amare e che tiene il lettore avvinghiato fino all’ultima pagina perché è una scoperta progressiva di elementi, di dettagli e di indizi.
Cambiare l’acqua ai fiori è una lettura da raccomandare, semplice ma autentica, un romanzo di fattura classica che si gusta con piacere: toccante e resiliente, una scrittura sensibile, poetica ed intimista. Un libro da non classificare assolutamente solo come un feel good book perché sarebbe banale, non corretto e riduttivo, al contrario, è un bel libro, vero ed autentico, di una scrittrice che usa magnificamente il Semplice ed il Bello. Un vero piacere!
data di pubblicazione:11/08/2020
da Daniele Poto | Ago 8, 2020
Non tragga in inganno il sottotitolo “Racconti all’ombra del Covid”. Fortunatamente non si parla di pandemia e ci astrae da quella ridda di racconti e/o romanzi a tema d’occasione, peraltro assai poco ispirati, che affollano edicole e librerie. Semmai il lungo periodo di confinamento è stato opportunamente usato dall’autore per stimolare e corroborare la propria fantasia e creatività secondo un piano di letteratura razionale che si è avvalsa degli strumenti del dialetto, dell’antropologia, dell’etnografia e della localizzazione. Non sembri troppo tutto insieme anche se lo sfoggio e la pratica di queste scienze a tratti minaccia di soffocare il primigenio getto ispirativo, la trama piana del racconto. Minuziosamente Castaldo diffonde latitudini, mappe, espressioni gergali do quei tanti dialetti italiani che si palesano come autentiche lingue, a partire dal napoletano. E ogni racconto è preceduto da un illustre riferimento, nomi grossi come Keroauc o Flaiano. Non tutti i confinamenti vengono per nuocere se producono prodotti bizzarri come questo, silloge di racconti “realmente accaduti nella fantasia dell’autore”. Perché Castaldo dialoga, quasi scherza con il lettore e scherza anche con è stesso, cercando di non prendersi troppo sul serio. Ma la letteratura rimane una cosa seria e i continui refrain allusivi che intercalano i vari plot sembrano un vezzo funzionale per la sua poetica che si appoggia a illustri consiglieri regione per regione. Così è un libro che parla molte lingue e abbraccia diversi registri. Una sorta di Giro d’Italia picaresco, a tratti inquietante con un sottofondo di evidente partecipazione giornalistica e cronachistica alle vicende dei vari personaggi. Il racconto che preferiamo è forse il più lungo e argomentativo, quello del professore campano che torna in regole al momento del pensionamento e fa rivivere un amore veneto mai definitivamente appassito. Qui il bozzetto acquista spessore, colore e un’intensità probante. Castaldo ha emendato i numerosi errori di bozze con una ancora più gustosa ripresa in seconda edizione.
data di pubblicazione:8/08/2020
da Daniele Poto | Lug 21, 2020
L’era del coronavirus ha spalancato al nostro tempo scenari impensabili. Il mondo di prima era dominato dalle feroci leggi dell’economia ma la crisi del 2020 rischia di far diventare questa scienza fallibile ancora più spietata e dominatrice della vita delle persone. Ecco che la letteratura riscatta la propria utilità sociale con un pamphlet che riassume la centralità della finanza nella determinazione dei destini. Monica Catalano, consulente finanziaria di lungo corso, offre in un agile volumetto l’abbinamento dell’economia con la storia del cinema. Lo specchio della fiction aiuta e mette a fuoco i fenomeni forse meglio della realtà ed è anche strumento piacevole per la comprensione della trasformazione del pianeta e delle sue leggi. Il sottotitolo è illuminante: dalla bolla dei tulipani al coronavirus. Circoscrive esattamente un andamento, determina la forbice cronologica del materiale trattato. Il denaro sterco del diavolo? Al di là della definizione apodittica si potrebbe scrivere che il denaro non regala felicità ma aiuta a vivere meglio. E la sua gestione è un gradiente fondamentale nel rapporto degli uomini. Le grandi rivoluzioni francesi o russe non sono forse scaturite da un bisogno impellente di cambiamento? E la crisi Lehmann Brothers del 2007-2008 non ha cambiato forse negli europei il modo di valutare la deperibile cultura americana, facendo vistosamente emergere i difetti strutturali delle bolle economiche? Lo strumento di lettura di cui si avvale la Catalano è suadente e stringente. Perché il cinema con l’uso dell’economia ci ha regalato grandi film drammatici come Wall Street o The Wolf, non a caso maturati nella grande industria statunitense. Un connubio forse nascosto e non così evidente è il rapporto tra produzioni cinematografiche e banche. Grandi film nascono da grandi capitali: successi e flop. Alternanze che fanno riflettere in un momento in cui poche sale cinematografiche hanno riaperto, Con l’economia che ancora una volta domina: nell’analisi costi/benefici se non c’è possibilità di guadagno gli esercenti preferiscono perpetuare il black out. Il cinema si adatta e cambia. Con i drive in, con la risorsa delle arene, con il recupero delle seconde visioni e persino con le sole parrocchiali di una volta. In un momento di sosta quasi antropologica questa agile pubblicazione ci aiuta a riscoprire il passato e una grande storia cinematografica fatta di capolavori e di passaggi nodali. Dal mondo incantato di Frank Capra, alla comicità di Totò fino alla crudezza di un titolo che è diventato un apologo: Too big to fail? Non è forse l’attualità rappresentata oggi da Atlantia o dall’Ilva di Taranto? Rebus anche il Governo, tra opposte interpretazioni.
data di pubblicazione:21/07/2020
da Antonio Iraci | Lug 17, 2020
In un agglomerato residenziale alla periferia di Roma, diverse famiglie interagiscono di comune accordo mentre i loro figli giocano a fare i grandi. Una voce fuori campo legge, dal diario di una bambina trovato casualmente, ciò che accadde in una certa estate quando, davanti alle palpabili frustrazioni di uno sparuto gruppo di genitori poco più che trentenni, i loro figli metteranno in scena una drastica protesta. Non è un atto di ribellione in sé, ma il loro netto rifiuto di entrare a far parte di una società che i loro stessi padri hanno reso così vuota e sterile.
I fratelli-gemelli D’Innocenzo, ancora reduci dal successo ottenuto nel 2018 a Berlino con il loro primo film La terra dell’abbastanza, realizzano un loro vecchio sogno tornando alla Berlinale nel 2020 con il lungometraggio Favolacce, vincendo l’orso d’argento per la migliore sceneggiatura e tanto altro ancora, in cui raccontano le proprie esperienze vissute nella periferia romana attraverso le vite e lo sguardo di alcuni bambini: “oramai ci troviamo in un’età intermedia dove non siamo più troppi giovani ma neanche troppo grandi e quindi non potevamo più aspettare a raccontare di quelle sensazioni che noi stessi abbiamo percepito da piccoli”.
Il film è uno spaccato sulla nevrosi tipica delle attuali piccole classi borghesi italiane, in un susseguirsi di insuccessi per la mancata realizzazione di sogni e stupide ambizioni che, inevitabilmente, vanno a riversarsi sui figli, vittime innocenti di questi abusi mentali. Sono loro che, proprio perché ancora lontani dai condizionamenti di un ambiente palesemente indecoroso, riescono a percepire istintivamente il malessere della società così come ci appare, attraverso i loro sguardi severi ed intelligenti, in tutto il suo squallore. Bisogna dare atto ai due giovani registi, appena trentenni, di aver saputo ben inquadrare l’intimo di ogni singolo piccolo protagonista, lasciando ad ognuno libertà di espressione, lontano da qualsiasi forzatura da copione. Ancora una volta il bravo Elio Germano, giusto in tempo per togliersi i panni di Antonio Ligabue nel film di Diritti Volevo nascondermi presentato anch’esso alla Berlinale e vincitore di una serie infinita di premi, in Favolacce è Bruno Placido che, insieme alla moglie Dalila (Barbara Chichiarelli), rappresentano un classico esempio di genitori contemporanei molto concentrati su loro stessi e poco attenti alla sensibilità dei figli, per mancanza di cultura oltre e di quella necessaria propensione verso chi sta sbocciando alla vita.
I registi rivelano ancora una volta un loro lato squisitamente umano tipico di un certo “popolino romano”, di cui non sappiamo se realmente ne facciano parte, ma che in questo film viene descritto in modo esemplare, dimostrando di aver raggiunto una genuina maturità necessaria a raccontare una favola piena di amarezza, che ha profonde radici nel reale tessuto sociale contemporaneo, con una potenza espressiva che agisce su dimensioni profonde, perché i contenuti sono espressi in un linguaggio cinematografico potente e sovversivo, sapientissimo ed al tempo stesso fuori dagli schemi. Il cinema italiano è vivo e può capitare che produca ancora opere d’arte: quando forma e contenuto coincidono, quando la verità della vita spinta agli estremi diventa visionaria e indecifrabile, quando radicalità e reticenza vanno di pari passo, il cinema raggiunge la sua grande potenzialità espressiva e si hanno opere come quella dei geniali fratelli D’Innocenzo (Alessandro De Michele).
Da non perdere… al cinema!
data di pubblicazione:17/07/2020
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da Daniele Poto | Lug 8, 2020
Un’autrice di successo ha voglia di inanellare piccole storie dopo il boom del Premio Strega 2018. L’amore che c’è è sussurrato, coccolato, tenue. Non è un’esplosione di passione ma un sentimento rattenuto, dissimulato, difeso ma pur vivo ed esistente. Un autobiografismo discreto ma palpitante si affaccia nei dieci racconti dell’agile silloge in cento pagine, distillati di situazioni, ambienti che corrono parallelamente alla vita del Pigneto. E la Terranova, siciliana adottata da Roma, non manca di sottolineare la differenza antropologica, la mutazione del suo essere in una città sempre più cosmopolita capace di integrarti ma con il manifestarsi di qualche asperità e durezza. La Terranova si fa dunque esploratrice e vigile interprete di pulsioni sottotraccia, leggendo ed interpretando il sottotesto dei suoi personaggi e dei suoi scenari, pervasi di umanità e di esperienze personali, da portare alla luce dalla zona d’ombra in cui si trovano. Un libro inconsueto e non banale in cui la demarcazione dei racconti invita a una lettura meditata e non frenetica, come il ritmo invece a volte caotico della metropoli. Si sosta a Porta Maggiore che è luogo di transito e non di visione con l’ispirazione lasciata da Mariateresa Di Lascia. Dunque anche una pensilina, una lavanderia, un incontro fortuito, accendono stimoli e vibrazioni. La vita negli occhi degli altri, come specchio e occasione di serenità. Come entrare in un mondo privato che la rivelazione della letteratura, proustianamente, rende improvvisamente pubblico. Si ripete il piccolo miracolo della suggestione comunicativa che si rende seducente con la forma più che con il contenuto. Perché non c’è tanto da raccontare se non stati d’animo, percezione, impulsi di un mondo virato da una sensibilità tipicamente femminile. Un testo interlocutorio che completa il curriculum sempre più interessante e stringente di una delle autrici più stimolanti della generazione di mezzo.
data di pubblicazione:08/07/2020
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