da Antonio Jacolina | Ott 25, 2024
(19a FESTA del CINEMA di ROMA 2024)
New York. Anora (Mikey Madison) lavora in uno strip club. Qui incontra Ivan giovane figlio di un oligarca russo. Il ragazzo la fa entrare nel suo universo di lusso e denaro facile. Dopo una settimana vissuta in esclusiva con lei a suon di dollari, se ne invaghisce. Anora accetta entusiasta un precipitoso matrimonio a Las Vegas. I ricchi genitori alla notizia volano con il loro jet dalla Russia a New York e nel frattempo mandano i loro scagnozzi a porre fine all’improbabile storia…
Contro tutti i pronostici e confermando il tradizionale disaccordo fra Giuria e Critica, lo sceneggiatore e regista americano Sean Baker ha vinto la Palma D’Oro a Cannes ’24 con il suo settimo lungometraggio Anora. Come già con Red Rocket, presentato a Cannes e a Roma nel 2021, il cineasta prosegue la sua personale ricerca. Lo sguardo cinematografico di Baker continua infatti a posarsi sugli esclusi dall’american dream. Il suo script si concentra irridente su un Paese ormai corrotto dal desiderio del denaro facile. La sua è una colorita esplorazione dell’America marginale ed una riflessione arguta sull’inconciliabile incontro fra chi vive sulla soglia del benessere e chi invece è straricco. La Società che descrive è un contesto in cui ormai le differenze di classe sono insormontabili ed i due universi sono lontani anni luce fra loro. La forza del denaro non trova più confini. In una notte si può arrivare dalla Russia in America per esercitarvi con indifferenza le proprie prepotenze con l’arroganza di chi avendo i soldi ne ha anche il Potere.
Per Baker non è più tempo di favole o di sogni. Non siamo ad Hollywood né negli anni ’90. La Pretty Woman e la Cenerentola del Nuovo Millennio sono molto lontane dal loro precedente romantico ed ottimista. Non c’è più un Richard Gere innamorato ma un ragazzo inetto, viziato menefreghista che passa il suo tempo a divertirsi.
Al centro del film, vero punto di svolta narrativo di accelerazione del ritmo e cambiamento dei toni, c’è uno splendido piano sequenza. L’incontro scontro comico e surreale fra Anora e gli inetti sgherri mandati dai genitori russi. Gli fa seguito una corsa notturna per le vie di New York alla ricerca di Ivan, splendido rimando a Tutto in una notte di J. Landis. Complice attento del regista è un cast perfetto sia nei primi che nei secondi ruoli. Su tutti brilla per simpatia, bravura e tempi comici la giovane Mikey Madison.
Anora è una commedia vivace con un ritmo serrato e frizzante in crescendo che fa ridere e anche riflettere. Ben scritto, ben diretto e ben interpretato è un film gradevole che mantiene ciò che promette ed intrattiene piacevolmente.
data di pubblicazione:25/10/2024
da Giovanni M. Ripoli | Ott 24, 2024
Nel Nevada, prima dello scoppio della guerra di secessione americana, una coppia di immigrati, in fuga da drammi personali, tenta di ricostruirsi una nuova vita. Il luogo non è un posto facile, corruzione e violenza dilagano e mettono a dura prova le nobili intenzioni dei protagonisti.
Il genere Western, unico e immarcescibile si confonde e vive da sempre col Cinema e probabilmente, fra alti e bassi, classici e rivisitazioni, contaminazioni e influenze, mantiene una sua continuità. Certamente non è più sorretto dal costante successo di pubblico, come dimostra il quasi-flop del bellissimo, Horizon I di Kevin Costner, ma pur nell’evoluzione (?) del gusto degli spettatori, conserva la sua vigoria e una sua ragion d’essere. Ce lo conferma, il notevole, The Dead don’t Hurt di Viggo Mortensen, attore e regista di pregevole tatto e sensibilità. Va subito chiarito come, Mortensen abbia realizzato non un western classico, come Costner, ma, pur nutrito da western di notevole levatura, abbia preferito una rappresentazione diversa, quasi minimalista, certo non tradizionale. Qualcuno ha parlato di un western femminista, ma, certo, al di là di frustre etichettature, il focus della pellicola non è centrato tanto sul protagonista maschile, Holger, coraggioso immigrato danese, quanto su Vivienne, la fioraia franco-canadese fiera e indipendente. La sua storia, il suo vissuto di donna che rifiuta un matrimonio borghese, preferendo vendere fiori, la sua dolcezza, la sua forza morale, la sua adesione a una vita apparentemente priva di certezze con un fuggiasco, in un piccolo sperduto ranch, ne fanno il personaggio principe dell’intera vicenda, Mortensen regista affida ad una superba attrice, la lussemburghese Vicky Kreps, già etichettata come nuova Meryl Streep, il ruolo di Vivienne ed è lei, solo con i suoi sguardi, ha dar vita al personaggio centrale con una formidabile interpretazione. Tornando al film si è detto di un western atipico, poche sparatorie, paesaggi suggestivi ma non “ classici”, una colonna sonora originale, anch’essa opera di Mortensen, uno sguardo romantico a un mondo destinato a “finire”. C’è comunque una storia, declinata attraverso un montaggio che contestualizza in momenti differenti l’evolversi degli avvenimenti, C’ è la guerra di secessione, la violenza e la corruzione, la vigliaccheria, tutti caratteri distintivi del genere, ma nella mano di Mortensen vengono sfumati, alleggeriti, diventando simboli quasi contemporanei. Diversamente da Costner ma anche dal subime, Gli Spietati di Eastwood lo schema di Mortensen non è quello di Ford, Hawks, Mann, meno incline alla violenza tout court o alla vendetta come fine ultimo dell’eroe, è incentrato invece sulla psicologia dei personaggi, più intimo, privilegia le tensioni emotive, si colloca all’interno del genere “crepuscolare” e con un occhio al passato allude al presente ( le guerre, le banche, il ruolo della donna). Perchè vederlo si è detto, perché potrebbe invece deludere? Naturalmente per le ragioni opposte: poca azione, pochi cavalli, inseguimenti, sparatorie. Resta alla fine del viaggio la consapevolezza di uno spettacolo che sovverte gli archetipi del genere e ne propone una nuova scrittura con al centro una donna nella sua nobile e drammatica intensità.
data di pubblicazione:24/10/2024
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da Daniele Poto | Ott 24, 2024
con Violante Placido, Ninni Bruschetta, Woody Neri, Silvio Laviano, Brunella Platania, Salvatore Rancatore, Tommaso Paolucci, Gianluigi Rodrigues, Chiara Sacco, scena di Alessandro Chiti, musica Oragravity, regia di Giancarlo Nicoletti
(Teatro Quirino – Roma, 22 ottobre/3 novembre 2024)
Coraggiosa quanto ardua traduzione teatrale di un libro cult di profetica distopia. Il 1984 lo abbiamo superato da 40 anni ma l’orizzonte disegnato dallo scrittore con il Grande Fratello ha avuto uno sviluppo adeguato quanto incontrollabile. Nessuno si risparmia in scena con un cast ricco, scene importanti e un investimento come non se ne vedono da tempo.
Si racconta di un mondo diviso in tre: Oceania, Eurasia e Estasia. Sono forse Stati Uniti, Russia e Cina? L’Oceania del Grande Fratello tutto sa e tutto vuole sapere. La vita degli esseri umani è controllata nei pur minimi particolari. Il personaggio chiave è Winston Smith che lavora al Ministero della Verità, piccolo ingranaggio di sistema, che racconta la sua verità in un diario intimo. Il legame con Julia lo predispone a un viaggio nei segreti dell’inconfessabile. Il Ministero della proibizione è vigile. Tra sogno e realtà, tra torture, tradimenti e scoperte. I cambiamenti di scena, tra elettronica e musica adrenalinica fanno montare la tensione il cui momento culminante è la tortura del protagonista: dite mozzate, denti recisi, una sorta di elettrochoc verità. Del resto al momento del giuramento aveva promesso di tutto, anche di uccidere crudamente un bambino in un affidavit di completa delega. I tre attori principali tengono i fili. Placido non negandosi a esplicite scene d’amore; Neri con una prova che è anche muscolare; Bruschetta, che entra in scena, tardi con l’imperscrutabilità dell’ispettore e del decisore. Il libro entra come un messale all’inizio e alla fine. In mezzo la creatività dell’adattamento e la fantasia del regista prendono il sopravvento.
data di pubblicazione:24/10/2024
Il nostro voto:
da Antonio Jacolina | Ott 24, 2024
(19a FESTA del CINEMA di ROMA 2024)
Iran. Iman dopo anni di attesa viene nominato giudice istruttore al Tribunale Rivoluzionario di Teheran. La sua promozione porterà benefici a tutta la famiglia. Dovrà però subire le forti pressioni politiche e sottoscrivere condanne a morte. Scoppiano le proteste giovanili in tutto il Paese e scatta la repressione. La dura realtà entra anche nel suo nucleo familiare. Aumentano i contrasti, le paure, i sospetti. Tutto implode quando …
L’ultimo lungometraggio di Rasoulof merita ampiamente il Premio Speciale assegnatogli a Cannes 2024. Si tratta di un ottimo lavoro! Tra i migliori dell’anno. È un film di fattura classica ed altamente lirico in cui storia privata e vicende pubbliche si incrociano drammaticamente. Ottimo per la sua forza intrinseca, la sua intensità e la sua energia narrativa che non si diluisce né si riduce nonostante la durata di quasi tre ore. Un’opera rigorosa sul processo di disumanizzazione che i sospetti, le ambiguità e la violenza incombente possono produrre sugli affetti familiari, sui singoli e sulle masse. The seed of the sacred fig è scritto e diretto con mano ferma ed interpretato da un trio di attrici eccezionali. Stilisticamente attraversa scientemente tutti i generi cinematografici per evidenziare le tante contraddizioni dell’Iran di oggi. È una cronaca familiare, un dipinto sociale, un film politico, un road movie, un poliziesco, un thriller una denuncia ed un grande poema di dolore.
Al centro di questo lungo e lento fluire narrativo c’è la piccola famiglia del giudice, facile metafora di una parte per il tutto. Cuore pulsante e determinante sono invece tre donne, la madre che mantiene l’equilibrio domestico e le sue due giovani figlie una universitaria e l’altra adolescente. Al compiacimento iniziale per la promozione del capo famiglia subentra presto la presa di coscienza dei tanti condizionamenti che la cosa comporterà per essere ligi e conformi alle regole e ai valori ritenuti consoni dal Potere. Questa presa d’atto, la contemporanea esplosione delle grandi proteste giovanili, la violenta repressione e la cruda realtà che entra in casa tramite i social media usati dalle ragazze innescano un crescendo di tensione. La pressione aumenta fino all’implosione quando scompare la pistola di servizio assegnata al padre. Tutto precipita.
Paura, sospetti, interrogatori e paranoia. Il film, con una messa in scena degna dei migliori film d’azione americani, cambia all’improvviso dimensione, ritmo e stile. Si trasforma da studio psicologico che era in un thriller schizoide con un padre divenuto orco che sequestra le sue donne, le incarcera, le insegue… Un crescendo in cui il regista lancia il suo messaggio politico di speranza sull’intelligenza e le infinite risorse delle giovani iraniane.
The seed of the sacred fig è un’opera che con il suo stile, i suoi tempi, i suoi ritmi affascina lo spettatore, lo cattura per lasciarlo con il fiato mozzato nel superbo finale. Un lavoro d’autore i cui echi ci risuoneranno dentro a lungo.
data di pubblicazione:24/10/2024
da Rossano Giuppa | Ott 24, 2024
(ALICE NELLA CITTÁ 16-27 ottobre 2024)
Alla XXIIa edizione di Alice nella città è stato presentato, il 19 ottobre all’Auditorium Conciliazione nella Selezione Ufficiale, Fuori Concorso, il film Luce, opera seconda di Silvia Luzi e Luca Bellino, interpretato da Marianna Fontana, in anteprima italiana dopo essere stato in Concorso al Festival di Locarno. Una ragazza ed una voce al telefono, in un paese dell’entroterra campano freddo e impervio. Una connessione nell’etere che lega due persone, un padre e una figlia, separati e imprigionati in due contesti diversi ma terribilmente simili.
Una ragazza, durante una cerimonia di famiglia, nota un drone che sta filmando la festa e pensa di poterlo utilizzare per inviare un telefonino al padre, in carcere da diverso tempo. L’operazione le permette così di ritrovare una relazione perduta. Quella voce diventa l’unica presenza viva all’interno di un contesto difficile in cui si muove la ragazza, bisognosa di crearsi un immaginario per riuscire a sostenere un’esistenza densa di difficoltà.
Il soggetto alla base di Luce è davvero di grandissima forza, così come alcuni dialoghi tra i due personaggi principali. Il confine tra vero e falso è particolarmente sottile all’interno del racconto dove l’universo della prigione viene associato a quello della fabbrica in cui lavora la protagonista, una doppia solitudine in cerca di un cambiamento impossibile, irreale come il miraggio di un’isola deserta su cui scappare.
Potentissima prova di Marianna Fontana, attrice che si conferma una delle più vere del cinema italiano contemporaneo: tra i film in cui si era già distinta in passato vanno certamente ricordati Indivisibili di Edoardo De Angelis e Capri-Revolution di Mario Martone.
I bravissimi registi continuano nel solco dei temi della famiglia e della dignità del lavoro questa volta letti in relazione al rapporto con il potere, attraverso un linguaggio cinematografico che è oramai un marchio di fabbrica, fatto di primi piani e sfocature, sequenze lunghe e delicate, rumori, occhi, respiri.
Una ragazza apparentemente senza ambizioni, che deve sopravvivere alla ricerca di un’assenza e di una voce, che diventano il suo immaginario desiderato. C’è ancora, come nel precedente Il cratere, un rapporto genitoriale complesso e un interesse profondo per la relazione tra l’individuo e la sue responsabilità. Nella conceria di pelle, tra grate, sostanze tossiche, datori di lavoro e donne consumate dal lavoro, la protagonista è sola e rifugge il maschile. Deve avviare un percorso di riconciliazione con se stessa per iniziare a vivere davvero.
data di pubblicazione:24/10/2024
da Maria Letizia Panerai | Ott 23, 2024
(19a FESTA del CINEMA di ROMA 2024)
Aurora è una ragazza portoghese che lavora nel magazzino di una ditta della grande distribuzione (Amazon?) a Glasgow. Il suo lavoro consiste nel “pickeraggio” ovvero nell’usare il lettore a forma di pistola per rilevare il codice a barre che identifica ogni singolo oggetto richiesto negli acquisti online.
Una volta trovati gli oggetti tra gli scaffali di questo grande capannone industriale, Aurora li ripone in una apposita scatola gialla di raccolta il cui contenuto verrà riversato su di un nastro trasportatore. La velocità con cui deve essere effettuata questa operazione è sottoposta a costante controllo da parte di un addetto. Le giornate sono sempre uguali e la paga è bassissima. Per Aurora anche contribuire a pagare la benzina alla collega che le dà il passaggio in macchina tutti i giorni rappresenta un enorme sacrificio. Non potendosi permettere un appartamento convive con estranei, con i quali divide tutto compreso l’uso di bagno e cucina. Ma finalmente arriva il giorno di un colloquio che le potrebbe far cambiare lavoro e vita. Al primo incontro tuttavia le domande semplicemente conoscitive dell’intervistatrice la fanno entrare in crisi.
Premiato al Festival di San Sebastián con la conchiglia d’argento per la miglior opera prima a pari merito con lo spagnolo The Wailing, On falling descrive perfettamente la “caduta” di questa giovane donna, minata giorno dopo giorno nella mente da una vita lavorativa talmente alienante che le permette di soddisfare soli i bisogni primari e null’altro.
La cineasta portoghese per questa sua opera prima ha avuto il sostegno della Sixteen Films fondata da Ken Loach. Il film, nel descrivere la moderna forma di schiavitù di alcuni giovani del nuovo millennio che come Aurora fanno lavori usuranti e mal pagati, non può che farci tornare alla mente Sorry We Missed You dello stesso Loach.
La protagonista Joana Santos nel ruolo di Aurora ci regala un’interpretazione sobria e struggente al tempo stesso, tratteggiando il profilo di una persona sensibile ed indifesa, malata di solitudine che non ha scampo perché la sua condizione economica le preclude tutto, anche la semplice socializzazione. E questa cosa deve farci riflettere, e molto.
data di pubblicazione:23/10/2024
da Antonio Iraci | Ott 22, 2024
(19a FESTA del CINEMA di ROMA 2024)
Arsa è una ragazza molto scontrosa che vive in una casupola in mezzo a una riserva naturale di Stromboli. Ha scelto di vivere in maniera solitaria a contatto con la campagna e il mare. Spesso si aggira sulla spiaggia a raccattare ciò che la gente ha dimenticato o che il mare ha restituito. La sua mente vaga tra i ricordi della prima infanzia quando il padre le raccontava, per farla addormentare, storie di terribili mostri…
Masbedo è un duo artistico composto da Nicolò Massazza e Iacopo Bedogni. In Arsa, che è il nome della protagonista, i registi raccontano la storia di una ragazza che decide di isolarsi da tutto e da tutti per elaborare la perdita del padre, una scultore poco talentuoso ma di grande immaginazione. Anche lei ha una vena artistica che dimostra trasformando semplici materiali raccattati sulla spiaggia. Costruisce la sua vita ai margini della vita, in una natura contaminata solo dagli uomini e che lei stessa cerca di ripulire liberandola da ogni sporcizia. Un racconto onirico costruito su spazi molto ristretti dove Arsa (Gala Zohar Martinucci) si muove come un animale selvatico in cerca di una tana dove rifugiarsi. Lei in effetti ora ne ha una, che difenderà da ogni intruso. Il film è tutto sul rapporto tra l’uomo e la natura, tra cielo e mare, tra arte e inquinamento sociale. Un’ambientazione perfetta dove però la storia traballa in virtuosismi talvolta eccessivi. Un esercizio di stile vero e proprio, forse esageratamente ambizioso. Anche l’incontro scontro tra la ragazza e il giovane Andrea (Jacopo Olmo Antinori), sull’isola insieme ad altri due amici alle prime armi nel mondo del cinema, sembra troppo costruito. I Masbedo hanno forse troppo indugiato sulla sceneggiatura e ne hanno ridimensionato il lato creativo e immaginifico. La scoperta di una statua classica sul fondale del mare, un segreto non svelato e vissuto come esclusivo, rendono il plot ancora di più poco coinvolgente, tra tempi morti e spazi talvolta claustrofobici, in contrapposizione alla natura selvaggia dell’isola.
data di pubblicazione:22/10/2024
da Antonio Iraci | Ott 22, 2024
(19a FESTA del CINEMA di ROMA 2024)
È da poco iniziata la seconda guerra mondiale e Londra è già presa d’assalto dai bombardamenti dei nazisti. I bambini vengono messi su un treno e trasferiti lontano dalla città per meglio proteggerli dalle sempre più frequenti incursioni. Anche George è tra questi, ma lui non accetta di staccarsi dalla madre e fugge dal convoglio in corsa per ritornare a casa. Da questo momento inizierà per lui una lunga odissea piena di incontri pericolosi…
Il regista britannico Steve McQueen, premio Oscar per 12 anni schiavo, è molto conosciuto dal grande pubblico anche per i suoi film Hunger e Shame che hanno reso famoso in tutto il mondo l’attore tedesco Michael Fassbender. Varie sono le tematiche da lui affrontate e in questo suo ultimo lavoro tutta la sua concentrazione ritorna al tema del razzismo, sia pur ambientato in un contesto completamente nuovo. Si è voluto infatti affrontare un punto di vista diverso dai normali drammi di guerra. Si è lontani dal fronte, non si vedono soldati feriti né ospedali da campo. Piuttosto uno sguardo verso coloro che erano impegnati a lavorare nelle fabbriche ora convertite, per logica necessità, in industria bellica. Rita (Saoirse Ronan) ama pazzamente suo figlio George (Elliott Heffernan) e per entrambi sarà una vera e propria tragedia separarsi. Il bambino non riesce a comprendere come la madre abbia potuto consentire il suo distacco da casa. Il regista ha saputo ben imbastire una sceneggiatura tutto sommato accettabile, anche se talvolta risulta scontata. Ma non è questo che rende il film gradevole, girato bene e nei tempi giusti senza stiracchiamenti fuori luogo. C’è dentro un po’ di tutto. Si passa dai pregiudizi razziali al ricorrente bullismo, sia pur tra bambini. George ha la pelle scura come il padre che lui non ha mai conosciuto ma che è comunque sempre presente nei suoi sogni. Il film trasmette una certa tensione non solo per la distruzione di guerra, alla quale si assiste, ma anche per le varie vicende che si intrecciano tra di loro. Un finale da libro Cuore che non sorprende, ma neanche annoia.
data di pubblicazione:22/10/2024
da Salvatore Cusimano | Ott 22, 2024
(19a FESTA del CINEMA di ROMA 2024)
Un ritratto dei ventenni di oggi, alla ricerca di chimere e desideri, della loro voglia di vivere e amare e della loro grande confusione e malinconia.
Il centro dell’opera è un albero che si vede da una finestra, in un appartamento di Roma, zona Casilina vecchia, più precisamente il Mandrione, quartiere che evoca storia e infiniti aneddoti. All’interno è appeso al muro un ritratto di un giovane Giacomo Leopardi, quello degli amori infelici, della giovinezza che fugge di corsa. La ventenne Bianca, universitaria, vive in quella casa dalla quale si vede l’albero, insieme ad Angelica, sua amica e coetanea.
Questo il pretesto di questa opera prima di Sara Petraglia, figlia dello sceneggiatore Petraglia, opera che fa il pieno di malinconia e tristezza, con alcuni buchi di sceneggiatura che cercano di ‘tapparsi’ pian piano, ma che distraggono lo spettatore, rendendolo partecipe involontario di questa infinto calvario.
La cocaina – e la dipendenza da essa – fa poi da contraltare in quasi tutto il film, salvo poi dei tentativi (riusciti?) di liberarsi da questa. L’esordio non è dei migliori, l’infinita tristezza che si respira rende il tutto piuttosto difficile da digerire, nonostante le buone performances delle due attrici principali, Carlotta Gamba e Tecla Insolia.
data di pubblicazione:22/10/2024
da Antonio Jacolina | Ott 22, 2024
(19a FESTA del CINEMA di ROMA 2024)
Messico. Manitas (Karla Sofia Gascòn) capo di un cartello della droga ingaggia un’avvocatessa (Zoe Saldana) brillante ma intrappolata in un lavoro senza avvenire. Le offre l’opportunità della sua vita. Simulare la sua morte, provvedere a sistemare la moglie (S. Gomez) ed i due figli in Svizzera e poi… Poi aiutarla a realizzare il suo più grande desiderio, divenire ciò che ha sempre desiderato di essere veramente. Divenire donna! Poter così vivere apertamente ed autenticamente la vita con la sua intima identità. Manitas sarà Emilia Pérez! ma…
Al giro di boa della seconda settimana della Festa arrivano i pezzi da novanta. I film e gli Autori che hanno già avuto riconoscimenti importanti.
Audiard è uno sceneggiatore e regista ampiamente affermato ed apprezzato. Dal ’94 ad oggi ha diretto solo dieci film, eppure ha già fatto ampia collezione dei premi maggiori a Cannes ed a Venezia e gli manca ormai solo l’Oscar. Emilia Pérez è il film dell’anno! A mio parere ha anche ottime chances di entrare fra le nomination finali e di vincere!
Il cineasta francese è un autore che ha già dimostrato di sfuggire agli schemi e di saper abilmente cambiare registro ad ogni suo lavoro. Ha vinto la Palma d’Oro con un film sull’immigrazione, un Grand Prix con uno carcerario, un Leone d’Argento rivisitando il western, ha narrato storie d’amore… Con questa sua nuova realizzazione, per cui a Cannes ’24 si è dovuto accontentare del Premio della Giuria e di quello per la Migliore Interpretazione Femminile dato ex aequo alle sue quattro protagoniste, ci sorprende ancora di più e ci regala il mai visto finora!
Un film immenso, visualmente mozzafiato ed estremamente profondo. O meglio, tre film in uno del tutto nuovo ed innovativo. Un thriller, una commedia mélo ed un musical. Il neonoir alla Michael Mann fuso con le esagerazioni liriche alla Almodovar che confluiscono insieme in un musical. Si badi bene, non in uno alla Broadway fatto di virtuosismi canori ma, al contrario, in uno con musiche, ritmi, sonorità e testi particolari e coinvolgenti che rimandano alle voci, ai brusii e ai rumori della realtà. Una musica che fa risuonare le parole, le lega fra loro e le collega alla messa in scena con coreografie perfette. Un’esperienza fisica pirotecnica. Sulla carta una scommessa tanto improbabile quanto coraggiosa e folle. Audiard avanza infatti su un filo sottile e ad ogni istante potrebbe cadere nel grottesco e nell’eccessivo. Sa invece molto bene quel che vuole e lo sa fare. Riesce a mantenersi su una rotta in cui tutto si concilia e si amalgama in un “nuovo”. Un nuovo fatto di incroci fra opposti e di audacie formali. Dopo l’immediato sconcerto occorre solo lasciarsi catturare e trasportare dal film, abbandonare la ragione e gli schemi, farsi prendere dalle emozioni e accettare il Cinema per quel che veramente è. Una magia, una macchina per inventare, per fingere e per illudere. L’autore infatti fondendo, con giochi visivi audaci, il maschile con il femminile, la violenza con la grazia, il polar con il mélo, la rabbia con i canti liberatori ha ottenuto un nuovo genere cinematografico. Quale? Non si può ancora sapere! E questa è tutta la forza e la novità del film. Vero Cinema totale!
Tanto più assurda sembra la vicenda, tanto più brillante è il risultato. Il Cineasta non si pone alcun limite al rischio di flirtare con l’inverosimiglianza, ciò che conta per lui è superare i limiti possibili del Cinema. Al centro del film i temi della trans identità, le ambiguità morali, le identità culturali. Storie di emancipazione, di realizzazione, di redenzione e di libertà. Libertà di essere ciò che si sente di essere dentro. Voglia di Potere e desiderio di essere amati per quel che si è. I destini di quattro donne capaci di reinventarsi, di battersi e di imporsi fra sogni, desideri, furori, rancori e rabbia vendicativa. Il regista gioca con le immagini in modo virtuoso. Immerge i suoi personaggi ora in luci ovattate, ora fluorescenti, ora cupe. Taglia lo schermo in due e poi in tre. Fa cantare le proprie eroine in mezzo a decine di figuranti. Il ritmo è incalzante. I testi sono vibranti. La messa in scena è magistrale e del tutto innovativa. Le coreografie perfette. Il cast è eccezionale e giustamente premiato. Le protagoniste sono veramente al vertice delle loro capacità artistiche. La coppia Gascòn e Saldana brilla su tutte e tutti ed è il cuore pulsante del film. In particolare la Gascòn, una vera epifania!
Emilia Pérez è quindi un film ridondante, smisurato e barocco, tanto folle quanto creativo che cattura e ammalia lo spettatore fino allo sconvolgente finale. Uno spettacolo totale. Un film che non può essere visto che in sala, su un grande schermo e con l’audio al massimo. Un’opera di una modernità e di una libertà geniali.
data di pubblicazione:22/10/2024
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