da Salvatore Cusimano | Giu 7, 2023
Il film racconta la storia di Walter (Lorenzo Menichelli) e dell’estate più incredibile della sua vita. La scuola è finita e Walter ha appena perso suo padre Antonio (Claudio Santamaria). Vive con la madre Rita (Virginia Raffaele) in un quartiere popolare di Roma e, improvvisamente, la sua esistenza si ritrova sospesa in una sorta di limbo, in bilico tra un mondo ancora infantile e quello dell’adulto che vorrebbe essere.
I produttori sono gli stessi di Lo Chiamavano Jeeg Robot e Freaks Out (entrambe le pellicole per la regia di Gabriele Mainetti), precursori di questo nuovo filone di cinema italiano dalle tinte noir e dall’ambizione internazionale, lontano dal solito clichet dei film italiani basati sulla famiglia.
Tutto gira intorno a un “luogo non luogo”, in cui il piccolo Walter incappa, affascinante e misterioso e che cattura la sua attenzione: una villa abbandonata con una gigantesca e torbida piscina, con un altro adolescente, Carlo (Stefano Rosci), che se ne è autoproclamato custode.
Inizierà così un viaggio di vera e propria formazione, segnato dalla presenza di uno squalo, simbolo di potere all’interno della piscina, ma anche da un’amicizia formativa nel segno della libertà, da ricordi e presenze che prendono vita e da una dimensione fanciullesca da recuperare.
Il risultato è una fiaba drammatica, cruda, ma anche avventurosa, spericolata, a tratti divertente, perfetta metafora di un’infanzia interrotta da un trauma familiare, con tutti i relativi problemi che portano ad un’adolescenza che si affaccia prepotente.
C’è sì un ragazzino che vuole crescere in fretta ma che capisce anche di dover fare pace con il proprio passato, riavvicinandosi alla madre e risolvendo il conflitto con la figura paterna, in tutto quello che può definirsi come un “trovare il proprio posto nel mondo”, proiettandosi in una dimensione di scoperte e di nuove consapevolezze.
Menzione speciale meritano gli effetti visivi che rendono lo squalo realistico e d’impatto.
data di pubblicazione:07/06/2023
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da Salvatore Cusimano | Apr 18, 2023
(Teatro Olimpico – Roma, 19 aprile/14 maggio 2023)
Al Teatro Olimpico di Roma, è in scena il divertente spettacolo noir di Lillo & Greg, Il mistero dell’assassino misterioso. E già il titolo è tutto un programma.
Siamo in un castello nobiliare della campagna londinese, dove da poche ore è stato commesso un delitto: l’omicidio dell’anziana Contessa Worthington. I principali sospettati sono: il giovane marito della contessa, Ashton, la figlia Margareth, la governante Greta e il nipote Henry, tutti personaggi estrosi, scombinati, che dovranno essere interrogati dal detective, dal nome molto british, Mallory. Potrebbe essere un vero giallo alla Agatha Christie, ma fin dall’inizio si capisce che le cose andranno molto diversamente, con il classico ‘colpo di scena’ che arriva subito: un attore si sente male, il sipario viene chiuso e Greg spiega al pubblico quanto sta accadendo, ovvero che lo spettacolo è in forse perché un attore non sta bene, ed è così che fa irruzione dalla platea un “bibitaro” – interpretato da Lillo – che convince il regista a prenderlo come sostituto.
La pièce, nata da un’idea di Greg, e poi scritta a quattro mani con Lillo, è in scena dal 2000 ed il fatto che venga ancora messa in scena rende l’idea di quanto questo tipo di narrazione “metateatrale” faccia presa sul pubblico, in maniera anche geniale, miscelando pezzi di giallo con vari “dietro le quinte”, che mettono in evidenza le vere caratteristiche degli attori e i rapporti umani che governano alcune compagnie di teatro.
Il divertimento è sempre assicurato, grazie all’incessante avvicendarsi di realtà teatrale e di realtà del ‘dietro le quinte’. I ritmi sono sempre serrati, senza per questo trascurare il “giallo” e ciò rende la pièce alquanto divertente ed briosa.
I protagonisti sono tutti a loro agio, a partire da Greg che, oltre ad interpretare il detective Mallory, diverte anche come maggiordomo indossando una parrucca bionda. Lillo, poi, è esilarante e buona parte dello spettacolo si regge molto sui suoi numeri, mostrando il suo amore (sempre dichiarato) per la comicità di situazione, più che per quella fatta di battute; infatti il pubblico si ritrova a ridere spesso proprio per le numerose situazioni sopra le righe, che generano però quasi sempre una risata che non è fine a se stessa ma che contiene uno spunto di riflessione. Il resto viene svolto ottimamente dal cast scelto dal duo, che tiene il ritmo per tutta la durata dell’atto unico ed è capace di diversi generi di interpretazione. Non mancano anche spunti, inseriti con nonchalance, dove si fa notare l’importanza di una virgola per il senso di una frase, argomento sempre più di attualità.
data di pubblicazione:18/04/2023
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da Salvatore Cusimano | Mar 13, 2023
Charlie (Brendan Fraser) è un professore universitario di letteratura che svolge le sue lezioni a distanza, utilizzando il proprio computer. L’uomo ha dei problemi di peso assai gravi, che lo portano a vivere una vita molto solitaria, fatta eccezione per Liz (Hong Chau), amica e infermiera che si prende cura di lui. Dopo un gravissimo malore, che ne peggiora le condizioni di salute, Charlie decide di riallacciare i rapporti con la figlia adolescente Ellie (Sadie Sink), interrottisi diversi anni prima. Questo incontro è visto da Charlie come l’ultima possibilità di riscatto.
Protagonista assoluto è l’attore Brendan Fraser, un interprete la cui carriera è però sempre stata molto altalenante, come lui stesso ha dichiarato poche ore fa ricevendo l’Oscar come miglior attore protagonista grazie a questa sua incredibile performance e a quelle movenze alle quali si riesce con difficoltà a restare impassibili. Le ferite che bruciano il suo personaggio non sono solo quelle date da una situazione di salute precaria e terminale, ma soprattutto quelle figlie di un amore perso o di un rapporto interrotto.
Il trucco messo in atto per trasformare il corpo dell’attore è visivamente invadente (anche questo premiato con un Oscar), ma ciò non toglie nulla alla qualità della performance che ci regala l’attore di Indianapolis e all’efficacia dello script, tratto da una pièce teatrale che lo stesso regista, Darren Aronofsky, ha visto personalmente e che ha ispirato la sua opera, parzialmente autobiografica.
Il titolo fa riferimento al capolavoro della letteratura americana Moby Dick, scritto da Herman Melville nel 1851, con cui sono molte le analogie, prima fra tutte la balena bianca che rappresentava non solo l’imprevedibilità e supremazia della natura sull’uomo, ma era anche mezzo di un messaggio volto a sensibilizzare i lettori su tematiche come l’emarginazione e la solitudine. Ci sono poi degli aspetti teologici e religiosi comuni alle due opere, come l’onnipotenza di Dio, la rassegnazione e la morte, elementi che ritornano anche in The Whale, che inizia con la lettura di un tema che ha come oggetto proprio Moby Dick, quasi a rivelare con fierezza allo spettatore le origini nascoste del film che si andrà a vedere.
Aronofsky ha sempre avuto un intuito particolare per gli attori, riuscendo a immaginarli in ruoli diversissimi da quelli cui ci avevano abituati in carriera, come successo anche con Mickey Rourke in The Wrestler, con cui ci sono evidenti assonanze. Tra l’altro, il regista – ancor più che in The Wrestler – sfrutta la natura teatrale ambientando l’intero film dentro il triste appartamento- prigione in cui si è rinchiuso Charlie, dove l’unico contatto con l’esterno è la finestrella nera con cui Charlie tiene le sue lezioni universitarie online a degli studenti. I capitoli del film sono quelli dei giorni della settimana, in cui Charlie affronterà tutte le sue colpe e i segreti del suo passato che ritorna nel presente.
L’opera, infine, sa far male, a tratti è estrema, sferra cazzotti nello stomaco, ma riesce a toccare l’anima e a creare qualcosa di magico, con un protagonista del quale faremo veramente fatica a dimenticarci.
data di pubblicazione:13/03/2023
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da Salvatore Cusimano | Feb 6, 2023
Evelyn Wang gestisce una piccola lavanderia a gettoni, ha una figlia adolescente che non capisce più, un padre frastornato e un matrimonio alla frutta. Un controllo fiscale di routine diventa inaspettatamente la porta attraverso cui Evelyn viene trascinata in una avvincente e coloratissima avventura nel multiverso più innovativo e divertente mai visto al cinema.
Le 11 nomination all’Oscar hanno riportato dal 2 febbraio in 150 sale selezionare in tutta Italia Everything Everywhere All at Once. Diretto dai “The Daniels” (Daniel Kwan e Daniel Scheinert) e prodotto dai Fratelli Russo torna in sala per I Wonder Pictures. Tra le tante statuette alle quali è nominato ci sono miglior film, migliore regìa e migliore attrice protagonista: la malese e tostissima Michelle Yeoh.
Il film è come i suoi personaggi: dal normale all’inconsueto, dal poco al tutto, inaspettatamente. La dissociazione, il plurimo e il turbolento universo pluridimensionale in cui viaggiano i personaggi crea inevitabilmente il caos, sia per chi lo vive sia per chi lo guarda, in una sorta di ‘trip’ cinematografico, folle, bizzarro, surreale, un vero e proprio percorso psichedelico strambo e delirante, ma di un delirio meravigliosamente continuo. È un salto dietro l’altro tra dimensioni di un multiverso composto di mondi uno più strampalato dell’altro dove diversi sono gli omaggi al cinema, primo di tutti a quello di Hong Kong, per arrivare a quello di animazione di Ratatouille, e all’immancabile Matrix.
È un’opera che tiene insieme azione e comicità, e dove i superpoteri sono il semplice frutto di coreografie articolatissime di cui l’esito è un meraviglioso ‘pasticcio’. Si può inquadrare come film d’azione, di fantascienza, di arti marziali, comedy e dramma familiare, un “mucchio di cose tutte assieme” proprio come suggerisce il titolo.
Ma è anche per la grande prova della protagonista che tutto sta insieme, la quale scopre di essere solo una versione di sé all’interno in una vasta rete di universi paralleli, in cui è lei stessa l’unica che può salvarli dalla distruzione. Tuttavia, è il crescente divario tra quest’ultima e sua figlia Joy a essere cruciale in tutto il dipanarsi della matassa: il cuore sta tutto in questa sorta di incomprensione generazionale, una distanza linguistica e culturale che sembra irrecuperabile e che invece questo film prova a riempire senza mai ingannare la particolarità delle sue protagoniste.
Il risultato è quello di un film ricco, spavaldo e pieno di esuberanze, eppure non dimentica mai di voler essere, prima di tutto, svago purissimo, e ci riesce in maniera brillante.
data di pubblicazione:06/02/2023
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da Salvatore Cusimano | Feb 3, 2023
Call My Agent – Italia, ovvero la versione italiana della serie francese Dix pour cent, racconta di un’agenzia di attori e registi (ma rappresentano anche musicisti, personaggi televisivi e così via), in cui i protagonisti sono le persone che lavorano lì dentro, principalmente 4 agenti e una nuova arrivata, in una sorta di dietro le quinte del mondo del cinema e della televisione.
La prima stagione, composta da 6 episodi di 50 minuti circa, è caratterizzata dal fatto di ospitare in ogni puntata un famoso attore nei panni di sé stesso; in essa si mischiano una serie di momenti di “vita d’ufficio” tra l’ironico e il comico, ad altri momenti con un clima di terrore da Diavolo veste Prada, richiamando spesso le atmosfere paradossali di Boris, che è il suo più diretto punto di riferimento.
Call My Agent – Italia sfrutta la fama delle sue star esagerandone i contorni in modo parodico. Si prestano a questo gioco interpreti e registi notoriamente autoironici come Paolo Sorrentino, che gioca sul suo essere sornione e autoriale (ormai postate e ripostate nei social frasi cult del suo monologo sugli ‘incontri a scuola genitori-figli, la cosa più prossima alla morte’), Paola Cortellesi, che intepreta l’attrice secchiona, Pierfrancesco Favino, a cui viene data la possibilità di misurarsi con due imitazioni, Stefano Accorsi concentrato e ironico sulla sua iperatttività, Matilda De Angelis auto avvoltasi nel mondo dei social e, ‘dulcis in fundo’, Corrado Guzzanti, semplicemente unico nella sua ironia e comicità, accompagnato da Emanuela Fanelli, unica a non interpretare sé stessa, ma spassosa in egual misura.
Al di là della trama del singolo episodio, a funzionare è l’approccio di queste guest star, che stanno al gioco e palesemente si divertono. Esemplare, come accennato, l’episodio con Accorsi; la quantità, poi, di film finti, serie inventate, progetti ipotizzati e trame create ad arte dalla serie sono esilaranti e fanno la parodia perfetta di molte produzioni italiane.
La scrittura, quindi, risulta veloce, con battute fulminanti e con un cast perfetto. Un piccolo post scriptum, con gli occhi umidi: negli uffici della CMA sono appese decine di locandine di capolavori del cinema italiano, tra cui viene inserito anche il poster di Figli…Mattia Torre si sarebbe fatto tante risate. E avrebbe avuto voglia di farsi prendere in giro pure lui.
data di pubblicazione:03/02/2023
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