da Salvatore Cusimano | Giu 27, 2024
A Mumbai la vita quotidiana di Prabha viene sconvolta quando riceve un regalo inaspettato da suo marito che è andato a vivere all’estero. La sua giovane compagna di stanza, Anu, cerca invano di trovare un posto in città dove fare sesso con il suo ragazzo. Un viaggio in un villaggio costiero offre alle due donne uno spazio dove i loro desideri possono finalmente manifestarsi.
Il film racconta le vite parallele di due infermiere coinquiline a Mumbai, la più giovane Anu (Divya Prabha) e Prabha (Kani Kusruti): la prima cerca un posto per stare col ragazzo, ma nel frattempo la famiglia le combina in matrimonio, la seconda riceve un regalo inaspettato dal marito che lavora in Germania e da tempo non si fa sentire. Prabha ha poi dimenticato il come e il perché si “ama”, tanto che non sa nemmeno gestire le attenzioni di un medico, Anu desidera il ragazzo che frequenta, che è musulmano ma la differenza di religione per loro non conta, ed è infatti con lui che si immagina un futuro. Emerge anche un’altra figura, Parvaty, la cuoca dell’ospedale dove lavorano le due infermiere, che desidera solo tornare nella sua cittadina vicino al mare, perché sfrattata dal suo appartamento di Mumbai, sradicandola da una realtà in cui vive da 20 anni.
Quello che risulta è un ritratto delicato e toccante che riflette la stasi e lo sconforto (sembra) perenne delle due infermiere, con una routine che sembra senza avvenire. Ma al tempo stesso emerge anche un’analisi sociopolitica, in cui si denunciano le evidenti disparità di genere, classe e religione radicate nel Paese.
È con tutte le tre figure femminili citate che All We Imagine As Light diventa un film di viaggio, nella seconda parte un viaggio che si sposta dal caos cittadino verso la costa, al traffico si sostituisce il suono delle acque, ed in mezzo alla natura rigogliosa il film trova la sua definizione.
data di pubblicazione:27/06/2024
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da Salvatore Cusimano | Giu 25, 2024
Un ciclista (rider) che consegna cibo a Parigi e richiedente asilo di nome Souleymane ha due giorni per preparare la sua storia per un colloquio decisivo per ottenere la residenza legale.
Premio della giuria e per la migliore interpretazione nella sezione ‘Un Certain Regard’, L’Histoire de Souleymane è un cine-documentario diretto da Boris Lojkine, che tratta la storia di un immigrato della Guinea che prova ad inserirsi nella capitale francese.
È un’opera accecante che Boris Lojkine trasforma in una romanzo umanistico che si muove a velocità continuamente esagerata nel cuore di Parigi, su una bicicletta di uno dei tanti ultimi della società, il cui futuro in Francia si deciderà due giorni dopo, durante un colloquio con l’Ufficio francese per la protezione dei rifugiati e degli apolidi.
Una Parigi non sicuramente “ville lumiere”, non usuale nelle altre classiche visioni dei vari registi, ma piena di caos, scorbutica e nevrotica per certi versi, con un uso istruito delle luci della città: i fanali delle biciclette, i fari degli autobus, i lampioni delle fermate.
La trama è un vero e proprio conto alla rovescia che dura poco meno di tre giorni, un breve periodo che ci consente di addentrarci ne dettagli della vita quotidiana di Souleymane, seguendone in tempo reale ogni singola mossa. È così che la sua storia personale emerge in tutta la sua frenesia e in tutta la sua realtà, senza nessun filtro, dando così come risultato un film sociale in cui si descrivono le reali condizioni di lavoro e la sua reale situazione.
L’interpretazione è schietta, la lingua libera e autonoma, senza dialoghi costruiti artatamente: siamo dall’inizio alla fine a fianco di Souleymane. La fotografia dà un taglio documentarista che si addice alla trama commovente. L’intervista finale è la vera chiusura dell’anello che permette di dare un senso al titolo del film “la storia di Souleymane”.
È uno di quei film che si possono anche definire necessari, con un taglio tipico alla Ken Loach, che parla anche di speranza, cosa di cui oggi abbiamo un immenso bisogno.
data di pubblicazione:25/06/2024
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da Salvatore Cusimano | Giu 5, 2024
Kinds of Kindness è un’opera in tre atti: un uomo alle prese con un capo/padrone da cui cerca di liberarsi sopportandone però le relative conseguenze; un poliziotto alle prese con la scomparsa in mare e relativo ritorno della moglie; e una donna inserita in una fantomatica setta spirituale alla ricerca di una persona con poteri speciali da far valere in quel contesto.
Trattasi di film pazzo su gente pazza che fa cose pazze. La prima storia parla di una strana relazione, quasi un rapporto padre/figlio. La seconda storia riguarda la certezza che viene meno all’interno di un matrimonio e nella propria casa. E la terza storia riguarda la sicurezza offerta dalla fede. Tre storie, collegate fra loro da un filo sottile e quasi invisibile, il nuovo film di Yorgos Lanthimos ha degli ottimi interpreti, prima fra tutte Emma Stone (premio Oscar in Povere Creature), accompagnata dal sempre più iconico Willem Dafoe.
Il primo collegamento di cui si parlava è il cast, sono tutti presenti nelle tre storie, secondariamente c’è la presenza di questo misterioso R.M.F., interpretato da un ‘non attore’, che è il filo conduttore che sembra unire i tre atti (anche nella loro titolazione iniziale), ma forse anche no, a cui nell’arco dei tre racconti capita di essere ferito, aggredito, ucciso e persino riportato in vita, ma che non proferisce una sola parola nel corso di tutto il film.
Il risultato di tale scrittura risulta abbastanza scombinato e irrazionale, forse anche volutamente, dando vita a un film che vorrebbe farci riflettere su alcuni concetti come il controllo e il potere sulle persone e sulla fede in qualcosa che appare ai più insensata. Questi argomenti vengono spesso mossi in direzioni irrazionali e servendosi anche di uno humour che può definirsi nero, prendendosi gioco delle regole sociali esistenti, accentuandone alcuni elementi, oppure inventandone nuove , insensate di cui anche noi possiamo ridere.
È un film eccentrico, drammatico, divertente e capace anche di mettere a disagio, un’opera che ha richiesto diversi anni di lavorazione. Ogni racconto si chiude con un finale del tutto inatteso, lasciando aperti diversi canali di ragionamento dal punto di vista psicologico, sociale e in generale umano.
data di pubblicazione:04/06/2024
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da Salvatore Cusimano | Mag 7, 2024
Aspirante comico scozzese, Donny, si è trasferito a Londra per cercare di avere successo come comico di stand-up. Per mantenersi lavora in un pub, dove conosce una donna, il cui nome di finzione nella serie è Martha. Donny inizialmente è gentile, poi lei comincia a tornare ogni giorno alla stessa ora nel locale, per parlare con lui.
Baby Reindeer racconta la storia vera di Richard Gadd, comico che ha pensato, scritto e anche interpretato la serie, nelle vesti di Donny, il protagonista. In sette episodi c’è tutta la storia di Gadd. È un vero e proprio fenomeno di pubblico e di critica questa miniserie ispirata per l’appunto ad una vicenda che gli è realmente accaduta. Persino Stephen King si è sbilanciato in una recensione sul Times, paragonandolo per certi versi al suo Misery.
Si resta subito colpiti dal personaggio di Donny, in apparenza talmente ‘aperto’ da frequentare ragazze transessuali, ma anche dal fatto che non risulta minimamente impensierito dall’aspetto fisico di Martha come dalla sua evidente mitomania. Il terrore crescente alla vista della serie è quello di trovarsi al cospetto non di una normale storia d’amore, ma di fronte ad un’identità perduta perché deformata, totalmente modificata, con cui dover imparare a coesistere.
Ciò che ne viene fuori ipnotizza, infastidisce per certi versi e intenerisce per altri, perché alla fine un domani tutti potremmo trovarci in un bar e scoppiare a piangere davanti a qualcuno, provocandone la benevolenza. Cosa realmente ha portato al successo (22 milioni di visualizzazioni mondiali su Netflix) questa serie resta comunque un mistero visto anche la non eccessiva pubblicizzazione, probabilmente l’identificazione nei confronti di un protagonista verso il quale proviamo fin dall’inizio sentimenti contrastanti: critica, condanna, affetto, collera, sofferenza. In tutto ciò, aggiungiamo la breve durata delle puntate, mezz’ora circa, per farne un formato totalmente godibile.
Il quarto episodio è lo spartiacque, quello dove viene rivelato con estrema durezza quello che ha dovuto patire Donny in un momento della sua vita fatto di grande fragilità. Da quel momento in avanti qualcosa si è rotto, mettendo sempre a rischio un delicatissimo bilanciamento tra ciò che si vuole veramente e ciò che porta alla devastazione, dando vita a un copione drammatico e grottesco allo stesso tempo, che assorbe il pubblico in un turbine dal quale è quasi impossibile separarsi.
data di pubblicazione:7/05/2024
da Salvatore Cusimano | Apr 22, 2024
All’agenzia CMA sono tornati tutti gli agenti: la seduttrice Lea, il glaciale avvocato Vittorio, l’innocente Gabriele, la saggia Elvira, la receptionist aspirante attrice Sofia e gli assistenti Camilla, Monica e Pierpaolo
Il remake del francese Dix pour cent!, disponibile su Sky e su Now TV dal 22 marzo, si conferma la più spassosa delle serie tv italiane, con la seconda stagione che sembra addirittura più divertente della prima. Sempre ad un passo dal paradosso, si inquadra dalle parti di Boris, restandone comunque lontana per originalità.
Gabriele Muccino che fa la parodia di sé stesso è uno dei momenti più spiritosi, con lui che urla irrazionalmente e che gode nel vedere le famiglie litigare. Tutti gli ospiti si prendono in giro ma qualcuno lo fa più di altri. Valeria Golino e Valeria Bruni Tedeschi, le due Valerie del cinema italiano, sono spassosissime. Claudio Santamaria, ‘family man’ per antonomasia, che per poter svolgere il ruolo di Giordano Bruno nel prossimo film di Christopher Nolan fa di tutto per stravolgere la sua immagine. E poi Elodie, vittima di un fan, che gira un film con Dario Argento, Serena Rossi (forse l’episodio meno spassoso) che sogna Sanremo. L’ultimo episodio, girato a Venezia in occasione del Festival del Cinema, è davvero un bijoux di scrittura, grazie a Sabrina Impacciatore nel ruolo di presidente di giuria. Ed infine Corrado Guzzanti, vero e propria ciliegina sulla torta, prigioniero di Emanuela Fanelli, impegnati nel documentario commissionato da Quentin Tarantino, si cimentano in duetti comici e surreali, sono una sorta di trait d’union tra tutti gli episodi.
Questa seconda serie è più matura rispetto alla prima, vengono più alla luce tutti i rapporti tra i protagonisti, rimasti sottotraccia nella prima serie.
Pur non avendo visto l’originale Dix pour cent! e quindi non potendo fare paragoni tra l’originale francese e l’adattamento italiano, si ritiene riuscitissima la stagione, lasciando aperto un sicuro spiraglio per un’altra stagione.
data di pubblicazione:22/04/2024
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