da Rossano Giuppa | Set 26, 2015
(Teatro Argentina – Roma, 23/26 settembre 2015)
887 è il numero civico dell’indirizzo della via in cui Lepage ha vissuto con la famiglia in Québec negli anni Settanta ed è il racconto autobiografico del giovane Lepage, terzo di quattro fratelli, figlio di un tassista e di una casalinga, che coltiva in giovane età la sua vocazione per il teatro.
Il “solo show” di Lepage è una immersione nella memoria personale, interiore e collettiva. Lo spunto per lo spettacolo viene da un episodio – vero o forse presunto – riguardante la sua difficoltà a memorizzare un componimento poetico in occasione del Festival dei 40 anni della Poesia contemporanea in Québec. Il componimento Speak white (Parlez blanc) scritto da Michèle Lalonde nel 1968 parlava anch’esso di memoria, una memoria politica, la memoria delle vicende di un Québec separatista cruentemente soffocate sul nascere.
Il racconto testimonia la difficoltà di ritrovare il passato, guardando a ritroso le vicende personali e comuni che hanno condizionato vite e destini, attraverso un esercizio di uso della memoria ormai in disuso, che genera una fuoriuscita di ricordi e di pensieri, in un susseguirsi di immagini e parole nel tentativo di rielaborare il passato e riorganizzare il presente.
Ma il presente è tecnologia che abilmente entra nel narrato attraverso webcam, proiezioni fotografiche e video che diventano parte integrante del racconto, utili strumenti nelle mani dell’affabulatore per evocare luoghi, situazioni e fissare volti del passato, perché la memoria digitale è più fredda, più scientifica e più analitica.
Il numero 887 proiettato sullo schermo si trasforma nel corso della narrazione nelle foto e nei ricordi visivi della famiglia, nei minuscoli video che annunciano le attività e le vite che si svolgono all’interno del palazzo con un continuo rimando alla figura del padre attorno al quale ruota la storia: prima bagnino, poi militare in Marina, poi tassista.
L’edificio ricostruito in forma di plastico interattivo è una struttura mobile e sorprendente che si compone e scompone, ricreando atmosfere passate e presenti in maniera geniale. Da casa in scala con tutti i condomini presenti, a cucina con arredo, con tanto di tavolo e frigo, a sala con tv, ma anche a locale notturno, fast food ed infine all’intimità dolorosa del taxi paterno.
Un racconto stilisticamente perfetto e una costruzione scenica impeccabile non riescono però a sporcare un costrutto algido ed emotivamente non troppo coinvolgente.
Rimane l’ennesima prova di one man show cui ci ha abituato Lepage e la costruzione artistica ed il pathos emotivo delle scatole della nostra memoria cosi difficilmente esplorabili ma cosi fortemente presenti.
data di pubblicazione 26/09/2015
da Rossano Giuppa | Lug 30, 2015
Viaggiare ad est significa andare incontro al sole ed alla luce. Una luce diversa, più profonda e più intima. L’Oriente sorprende sempre per questo. Ogni volta ed a ogni viaggio sempre più piacevolmente.
Il Moviemov_Italian Film Festival, ideato e diretto da Goffredo Bettini, è un festival itinerante nato nel 2010 con l’obiettivo di strutturare una piattaforma d’incontro per la promozione culturale e commerciale del cinema italiano nei mercati asiatici. Il festival organizzato con maestria dalla Playtown di Roma ha già al suo attivo ben quattro edizioni, di cui tre nella futuristica e cinetica Bangkok, una nella complessa e difficile Manila, ed infine è approdato ad Hanoi dal 21 al 26 luglio 2015 con il difficile compito di far conoscere il cinema contemporaneo italiano alla giovanissima popolazione vietnamita. Ed è anche la prima volta che il Vietnam accoglie e sostiene un Festival internazionale.
Hanoi è una città in continua evoluzione, che ha voglia di conoscere e di crescere, un luogo in cui tutto è rapido e veloce, dove non è semplice suscitare interesse. La tradizione del cinema italiano non aiuta, le guerre e la miseria non hanno concesso molto ad una civiltà contadina, impegnata a sconfiggere la fame e le malattie. Ma le ultime generazioni sono diverse, hanno il web e la curiosità per recuperare i gap. Insomma una sfida importante. Una sfida che si è giocata puntando su due eccellenze del made in Italy: il cinema e la moda.
La programmazione è stata interessante, in grado di accomunare la nouvelle vague italiana a registi affermati. Sono stati infatti proposti al pubblico undici tra i film più rappresentativi e premiati delle ultime stagioni cinematografiche come Anime nere di Francesco Munzi, Fino a qui tutto bene di Roan Johnson, I nostri ragazzi di Ivano De Matteo, Il giovane favoloso di Mario Martone, La sedia della felicità di Carlo Mazzacurati, Le meraviglie di Alice Rohrwacher, Maraviglioso Boccaccio di Paolo e Vittorio Taviani, Noi e la Giulia di Edoardo Leo, Smetto quando voglio di Sydney Sibilia, Tempo instabile…con probabili schiarite di Marco Pontecorvo, che si vedono e rivedono con estremo piacere.
Il film di apertura è stato Allacciate le cinture di Ferzan Ozpetek, film che ha vinto anche la rassegna grazie al voto della giuria popolare formata dal pubblico vietnamita presente in sala durante le proiezioni: il regista aveva già vinto l’edizioni 2010 e 2011 di Bangkok con Mine Vaganti e Magnifica Presenza.
Significativo vedere la presenza di tanto pubblico vietnamita interessato alla selezione dei film italiani e agli attori ed registi intervenuti a presentarli: Ferzan Ozpetek, Paola Minaccioni, la madrina Valeria Solarino, Stefano Fresi, Pippo Delbono.
E tantissimo interesse ha suscitato anche l’altro simbolo del “Made in Italy” nel mondo, ossia la moda, presente in questo Festival con la mostra pillole di “L’eleganza del cibo. “Tales about food and fashion” curata da Stefano Dominella in collaborazione con il Consiglio della Moda italo-vietnamita, e promossa dalla Regione Lazio e dall’Ambasciata d’Italia in Vietnam che ha visto lunghe code di vietnamiti all’esterno di Casa Italia dove era stata allestita. La mostra che è parte della più ampia esposizione in questo periodo in corso a Roma presso i Mercati Traianei, illustra la contaminazione tra moda e cibo, il connubio tra nutrizione e sostenibilità, temi di grande attualità al centro di Expo Milano 2015. In mostra la “Natural Couture” dell’eco-designer Tiziano Guardini, gli abiti “Nuvola” di Italo Marseglia, la “Couture a la carte” di Guillermo Mariotto che ha dedicato un’intera collezione di alta moda della Maison Gattinoni al cibo e un prezioso omaggio a Expo 2015 dell’orafo Gianni de Benedittis, designer del brand FuturoRemoto, con i suoi “gioielli da mangiare”.
Un’esperienza interessante, una atmosfera piacevolissima al di là della forte umidità, un confronto interculturale ed interiore che arricchisce ed aiuta a crescere, come accade sempre qui, in Oriente.
Due momenti su tutti: il rivedere e rivivere a distanza di un anno la storia di Egle, la ragazza malata terminale di Allacciate le Cinture, per riscoprirla ancora più straordinaria e vera, ironica e sincera, estrema e delicatamente commovente. Grazie Paola Minaccioni!
E la densa e piacevole chiacchierata notturna con Pippo Delbono, un maestro colto e disponibile, piacevole e gentile, con la possibilità di spaziare in ogni dove con ironia e profondità e di parlare serenamente della forza e della bellezza dei suoi spettacoli, capaci di far riflettere ed emozionare nel profondo.
da Rossano Giuppa | Giu 25, 2015
Il bello della danza contemporanea è la continua sorpresa che può riservarti. Nulla è scontato e niente è regola definita.
Può succedere allora che magicamente quattro grandi coreografi decidano di raccontarsi in prima persona e regalarsi ai presenti in una serata speciale.
Quattro composizioni da artisti con un glorioso passato da danzatori che hanno voglia di riprendersi il palcoscenico. Sono divi ‘diversamente giovani’ i protagonisti, festosamente “over 60”, di Quartet Gala in scena al Teatro Argentina di Roma il 24 e 25 giugno 2015: Mats Ek, Ana Laguna, Susanne Linke e Dominique Mercy.
Quattro leggende della danza contemporanea che ci parlano di memoria, raccontata al presente e proiettata al futuro.
Il grande coreografo svedese Mats Ek (70 anni) interpreta Potato e Memory, due suoi lavori, accanto alla ballerina spagnola Ana Laguna (60 anni), sua musa e moglie.
Nessuno meglio di un interprete del teatro danza di Pina Bausch, nella fattispecie il 65enne Dominique Mercy (40 anni trascorsi con il Tanztheater Wuppertal), è in grado di dimostrare – cosa che fa nell’assolo That Paper Boy di Pascal Merighi – che anche in un’arte così fisica come la danza, la capacità e l’intensità espressiva siano in grado di creare magia e armonia.
A 71 anni splendidamente portati Susanne Linke, una delle maggiori caposcuola della danza libera tedesca, interpreta A Lost Solo…. With Greeting to Dore(2014), tratto dalla sua esplosiva versione de La Sagra della Primavera, lavoro stravinskiano che continua ad affascinare.
Uno sguardo diverso e inteso quello nel complesso proposto, un insieme di quadri che progressivamente acquistano nuovi colori e sapori, dinamicità ed armonia, sorpresa e innovazione.
Guardare sempre al domani guidati dall’essenza del racconto della propria vita, è la lezione ed il messaggio del Galà, perché come Mick Boyle afferma (il grande Harvey Keitel di Youth) “le emozioni sono tutto quello che abbiamo”.
data di pubblicazione 25/06/2015
da Rossano Giuppa | Mag 21, 2015
(Teatro Argentina – Roma, 5/31 maggio 2015)
La maratona è una gara lunga e sofferta anche per lo spettatore. La cronaca di una maratona apparentemente meno esplosiva rispetto al commento di competizioni più brevi ed intense, ha però la capacità di catturarti, coinvolgerti, estraniarti, dilatarti, sublimarti.
Le maratone teatrali di Peter Stein rappresentano da sempre un appassionante viaggio nella letteratura e nella storia, una rilettura dei destini tragica e moderna.
Der Park nasce dal rapporto di collaborazione artistica e di amicizia tra il drammaturgo Botho Strauss ed il regista Peter Stein consolidatosi agli inizi degli anni settanta allo Schaubühne am Halleschen Ufer di Berlino Ovest, dove i due lavorano insieme ad alcuni spettacoli quali Peer Gynt, Il Principe di Homburg, I Villeggianti. Stein propone all’autore alla fine degli anni settanta di tradurre ed adattare ad una nuova dimensione Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare. Lo spettacolo non si realizza, ma Strauss continua a studiare la commedia inglese, compiendo un percorso di assimilazione, scomposizione e composizione del testo shakespeariano che lo porta a far rivivere la storia in un parco di città nel quale Oberon e Titania si muovono per provare a risvegliare la passione erotica negli uomini. Un parco di città, sporco, popolato da netturbini, passanti frettolosi e distratti, individui alla ricerca del torbido, un parco nel quale le vicende della commedia si snodano e si intrecciano tra rifiuti e rumori metropolitani grazie all’azione del mago Cyprian in grado di sovvertire e mescolare sentimenti e passioni di due giovani coppie di sposi. Anche Titania, incapace di frenare i propri impulsi, è punita, si innamora di un toro, viene catturata da un gruppo di skin e dà alla luce un minotauro. Il tentativo di ridare al mondo istintività e bellezza primordiale naufraga e la coppia di immortali si adatta ad una sonnolenta, arida e vuota vecchiaia.
Il testo, dopo una lunga e sofferta genesi, viene rappresentato da Stein nel 1984 nel nuovo spazio dello Schaubühne e, grazie ad una co-produzione con il Teatro di Roma, sino al 31 maggio 2015 sarà al Teatro Argentina.
Uno spettacolo moderno, corale, denso ed inquieto, che si snoda tra personaggi ed intrecci per 250 minuti in un maestoso impianto visivo, con trenta quadri che si montano a vista; uno spettacolo che pian piano ingloba lo spettatore negli incroci e nelle stratificazioni dei personaggi, in uno spazio dilatato e lento, crudele e vero, in cui ci si perde e ci si ritrova.
Grandi, anzi grandissimi gli attori, ricercati i costumi, sofisticato ed imponente l’allestimento scenografico.
Uno spettacolo non semplice, complesso e visionario, da vedere.
data di pubblicazione 21/05/2015
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