da Rossano Giuppa | Mag 23, 2016
(Teatro India – Roma e in tournée)
Siamo alla fine degli anni ’30 nella provincia americana, ma potremmo essere alla fine degli anni sessanta in Italia. I disagi e le difficoltà sono gli stessi, un piccolo mondo pervaso di speranze soppresse e segnato dalla costante fatica di vivere. Siamo di fronte a Lo zoo di vetro, il capolavoro del drammaturgo americano Tennessee Williams in scena al Teatro India di Roma dal 18 al 22 maggio nella versione di Arturo Cirillo, a cavallo di una lunga tournée nei principali teatri italiani.
Amanda, ancorata al ricordo di una giovinezza da tempo sfiorita, ha cresciuto i suoi due figli da sola, dopo che suo marito li ha abbandonati. Tenera e ossessiva al tempo stesso, la donna si preoccupa del futuro della figlia Laura, resa zoppa da una malattia, introversa e chiusa nel suo mondo fatto di illusioni e di animaletti di vetro. L’altro figlio Tom lavora in una fabbrica di scarpe per mantenere madre e sorella, ma la vita noiosa e banale che è costretto a condurre lo rende irascibile e lo porta a fuggire dalla madre e dalla casa ogni sera per cercare nel cinema e nei film il senso della propria esistenza. La madre prega Tom di trovare un corteggiatore per la sorella che le possa garantire un futuro ed una sopravvivenza. Per liberarsi dalle pressioni di sua madre, Tom invita così Jim, un amico di vecchia data che ora lavora con lui alla fabbrica. Mentre Amanda si dedica completamente all’allestimento della cena, Laura scopre che Jim è il ragazzo che ai tempi del liceo le piaceva moltissimo ma sopraffatta dalla sua stessa timidezza e non riesce nemmeno a sedersi con gli altri a tavola. Durante la cena, improvvisamente la luce va via. I due ragazzi si trovano così a parlare a lume di candela. Per un attimo l’arrivo di Jim dal mondo esterno sembra gettare un raggio di luce sull’intima disperazione di tre vite ormai cristallizzate nei propri dolori, ma è una speranza vana. Mentre i due ragazzi si trovano a danzare insieme, con un brusco movimento Jim fa cadere un unicorno di vetro che fa parte della collezione di Laura, spezzandogli il corno. Subito dopo la bacia, ma le confessa di essere già promesso sposo a un’altra donna e fugge via. La madre si infuria con Tom e lo caccia di casa. Tom nel soliloquio finale spiega come dopo quella sera lui avesse abbandonato Amanda e Laura non tornando più da loro, anche se il loro ricordo lo aveva tormentato per tutta la vita.
Il ricordo pervade il teatro: lo spettacolo è attraversato da una malinconia nostalgica, evocata dalle canzoni di Tenco, dal rimpianto del passato, dall’album di vecchie fotografie, dal delicato e sospeso alternarsi di passato e presente.
Vivi e profondi tutti e quattro gli interpreti in grado di dare anima a differenti drammi di solitudine e sconfitta; c’è Tom (Arturo Cirillo anche regista delle piece) il figlio-narratore che si rifugia ogni notte in un mondo di cinema ed alcol; Laura (Monica Piseddu) sua sorella, donna fragilissima che trova senso nell’accudire una collezione di animaletti miniaturizzati in vetro e poi Amanda (Milvia Marigliano) motore di ogni patologie ma anche vittima di un abbandono e, soprattutto, di sé stessa. La flebile possibilità di ingentilire il futuro arrivata insieme a Tom (Edoardo Ribatto), giovinotto bello ma impegnato è destinata ben presto a tramutarsi nell’ennesima cocente delusione.
Il regista Cirillo, particolarmente sensibile al tema della memoria e del ricordo riesce a dare unicità e contemporaneità all’opera di Williams attraverso una veste asciutta e realistica, essenziale, efficace grazie anche alla trasposizione temporale di fine anni ’60 nella provincia italiana. Un piccolo capolavoro emotivo, straziante, assoluto fatto di pochi elementi che inchiodano il dramma, la disperata solitudine di un gruppo di anime deboli, lo scontro e la sconfitta nei confronti della propria quotidianità, banale e avvilente, logorante, deprimente.
data di pubblicazione:22/05/2016
Il nostro voto:
da Rossano Giuppa | Mag 21, 2016
(Evento nelle sale solo il 23 e il 24 maggio)
Era l’estate del 1985. Una calda estate siciliana, una famiglia che si appresta ad organizzare una festa di compleanno per la figlia adolescente. Ma una minaccia, intercettata dai Carabinieri dell’Ucciardone costringe quella famiglia, la famiglia Borsellino insieme a Giovanni Falcone ed alla sua compagna, ad una fuga improvvisa di notte e ad una reclusione forzata, sull’isola dell’Asinara, all’epoca sede del carcere di massima sicurezza. Una reclusione a cielo aperto, a poca distanza da detenuti effettivi, una condivisione forzata di spazi ed emozioni, angosce e speranze per due famiglie, un presagio velato a tre mesi dall’inizio del maxi-processo di Palermo.
Diretto da Fiorella Infascelli, autrice anche della sceneggiatura insieme a Antonio Leotti, Era d’estate ricostruisce con delicatezza quell’esperienza, facendo emergere lati inediti dei due protagonisti. Al centro della scena Massimo Popolizio nel ruolo di Giovanni Falcone, Beppe Fiorello in quello di Paolo Borsellino accanto a Valeria Solarino e Claudia Potenza, compagna e moglie rispettivamente di Falcone e Borsellino.
Un film semplice e lineare, malinconico e silenzioso, che prova a raccontare una frazione della vita dei due giudici, negli aspetti più intimi e personali, più pacato e ottimista Borsellino, più ironico e irruento Falcone, inquieti nell’attesa dei faldoni da analizzare, diversi ma alla fine uniti nella meticolosa preparazione del grande processo, di fronte ad un mare bellissimo ed un paesaggio essenziale. Un mare forte e protettivo in un tempo dilatato che permette ai due uomini di conoscersi meglio e di assemblare al meglio gli elementi del processo che li vedrà impegnati, preparandoli a un destino inesorabile che li aspetta.
data di pubblicazione:21/05/2016
da Rossano Giuppa | Mag 17, 2016
(Teatro Argentina – Roma e in tournée)
Il grandissimo regista britannico Peter Brook con Battlefield torna al Mahābhārata, il celebre poema epico indiano, uno dei testi fondamentali della religione induista, che già aveva allestito trentuno anni fa, riportandolo in scena, dall’11 al 15 maggio al Teatro Argentina, in una versione altamente poetica ed essenziale che si apre al nostro tempo ed ai conflitti d’oggi.
Battlefield prima di Roma, è stato presentato al Teatro dell’Aquila, per poi proseguire la sua tournée a Perugia, Firenze, Modena, in Francia, Spagna, Belgio, Lussemburgo, New York e Mosca.
Una grande guerra lacera la famiglia dei Bharata. Da una parte sono schierati i Pandava, dall’altra i loro cugini, i Kaurava, i cento figli del Re cieco Dhritarashtra, una guerra che portato morti e dolore per tutti. Vincono i Pandava ed il più anziano Yudishtira, deve salire al trono con il peso di una vittoria macchiata dal sapore amaro della distruzione. Il vecchio re Dhritarashtra, che ha appena perso tutti i suoi figli, e il nuovo re, suo nipote Yudishtira, condividono pertanto lo stesso dolore e lo stesso rimorso, ma devono affrontare la realtà e assumersene la responsabilità. Come potranno trovare la pace interiore e governare ora che hanno perso le loro famiglie, i loro figli e alleati?
Un attore entra in scena rivelando che quel pavimento spoglio non è altro che un campo di battaglia disseminato di dieci milioni di cadaveri, rimasti lì dalla fine della guerra. Accompagnati dal tamburo di un musicista giapponese (Toshi Tsuchitori) quattri straordinari attori (Carole Karemera, Jared McNeill, Ery Nzaramba, Sean O’Callaghan), inanellano ruoli sempre diversi all’interno dei numerosi livelli di racconto nel racconto. In un minimalismo assoluto e in uno spazio scenico essenziale, connotato dal simbolismo cromatico di elegantissime pashmine, re, serpenti, falconi, manguste, principi, dèi e lombrichi appaiono in una catena senza fine, e ogni attore si ritrova a narrare una storia dentro la storia. La pièce è un sovrapporsi di voci e immagini sul mistero della morte. “La vita è sempre preziosa, anche la più misera”, dice il verme al saggio che lo interroga sulla sua paura di morire. “La vita ha mille forme, mille teste, mille nomi”. Insondabile e inaccettata, la morte è inevitabile: “Nei meandri della vita, lì c’è la morte”. E uno dopo l’altro tutti i personaggi chiudono il loro ciclo di vita in modo naturale.
Spettacolo dedicato alla morte, un grande affresco sull’esistenza umana in un alternarsi continuo di fine e rinascita da un’essenza all’altra, in una misticità assoluta fatta di tempo e di memoria. E mercoledì 11 alla prima dello spettacolo in occasione del debutto di Battlefield, il Commissario Straordinario di Roma Capitale, Francesco Paolo Tronca, ha consegnato la Lupa Capitolina a Peter Brook, l’alta onorificenza cittadina in segno di gratitudine per l’opera svolta dal Maestro. Il regista novantenne si è rivolto alla platea dicendo: «Sono molto toccato nel cuore. E il cuore di tutti i romani è qui questa sera. Questo teatro antico è come un grande cuore della città che ci accoglie tutti. Grazie a tutti voi per questo segno d’amore».
data di pubblicazione: 17/05/2016
Il nostro voto:
da Rossano Giuppa | Mag 12, 2016
(Teatro Quirino – Roma, 10/22 maggio 2016)
Danza macabra di August Strindberg, ultima regia dal grande Luca Ronconi presentato al Festival dei Due Mondi di Spoleto a luglio 2014, approda a Roma al teatro Quirino dove sarà in scena del 10 al 22 maggio 2016.
Edgar e Alice, alla soglia delle nozze d’argento, vivono nel più assoluto isolamento in un faro su un’isola, tra abitudini e rancori: il loro raffinato equilibrio, fatto di ira e manie, non può sopportare alcuna intrusione. I due hanno vissuto una vita d’inferno e continuano a viverla rassegnati e convinti che solo la morte potrà separarli, che aspettano come liberatrice. Il ménage familiare si anima di colpo all’arrivo di un terzo personaggio, Kurt, ufficiale di quarantena, cugino della donna e artefice del loro matrimonio. Marito e moglie si contendono le attenzioni di Kurt, spalancandogli l’inferno domestico. Una atmosfera grottesca che fa saltare quegli equilibri instabili, che fa riaffiorare in Alice cattiveria e masochismo, rammaricata di aver abbandonato il teatro per seguire le aspettative di una vita agiata prospettata dal marito spingendola alla conquista del timido Kurt. Quando il cugino frastornato e spaventato decide di scappar via, tutto tornerà come prima, facendo rientrare la coppia nel quotidiano fatto di crudeltà ma anche di amore.
Un forte vento che sposta mobili e persone, messaggi da un telegrafo quale unico strumento di comunicazione con l’esterno, un cupo e austero interno di un faro bianco arroccato su una scogliera. In questo sepolcro gotico, straordinariamente essenziale e simbolico, creato dallo scenografo Marco Rossi, Luca Ronconi celebra una vera danza di morte popolata da spettri nemici e complici al tempo stesso: Alice accusa suo marito di non essere diventato maggiore e di non aver avuto successo, lui le risponde esercitando una sofisticata violenza psicologica, per render sempre più forte la dipendenza di sua moglie e la natura di ciò che determina la loro unione.
La regia che si caratterizza per il profondo rigore stilistico e per il rispetto classico del testo, si apre alla commedia noir con toni volutamente da fumetto e sopra le righe trasformando per esempio i due coniugi in diabolici vampiri che dispensano morsi sul collo dell’ospite inatteso Kurt. Una regia attenta e moderna, che esaspera i comportamenti della coppia in chiave contemporanea, con quel gusto sadico di confessarsi, di raccontare particolari intimi, cercando negli altri complicità e comprensione.
Straordinari i costumi di Maurizio Galante e straordinario il cast, con la grande interpretazione della coppia Giorgio Ferrara e Adriana Asti che ci donano un misantropico e burbero Edgar, ed una sofisticata ed intrigante Alice: due demoni e due anziani al tempo stesso, supportati da un suggestivo Kurt interpretato da Giovanni Crippa.
data di pubblicazione:12/05/2016
Il nostro voto:
da Rossano Giuppa | Apr 17, 2016
(Teatro Argentina – Roma, 13/17 aprile 2016)
Approda al teatro Argentina dal 13 al 17 aprile nel corso di una lunga tournèe italiana Vita agli arresti di Aung San Suu Kyi, il bellissimo lavoro del Teatro delle Albe, con la drammaturgia e la regia di Marco Martinelli e l’interpretazione di Ermanna Montanari, dedicato a Aung San Suu Kyi simbolo della resistenza birmana, già premio Nobel per la pace.
Una figura forte e mistica, una donna rivoluzionaria e moderna, così legata alla propria gente da decidere di trascorrere vent’anni agli arresti domiciliari nel suo paese, vittima del regime militare. Una vita dedicata a costruire la pace, rinunciando ai propri figli, all’ultimo saluto all’amato marito, sacrificando la propria esistenza a favore di una rivoluzione spirituale, un impegno quotidiano fatto di meditazione, di lettura, di studio, approcciato con disciplina mentale per non cadere nella depressione, una rivoluzione eroica fatta di gesti e di parole, non cruenta, ma efficace, lenta e solida, vincente.
Una foto con il suo volto accattivante e mistico, una strana somiglianza con Ermanna Montanari, una distanza e nello stesso tempo una vicinanza emotiva con la Birmania, portano Marco Martinelli e la stessa Ermanna all’ennesima sfida: portare sul palcoscenico l’essenza di questa donna, declinandola secondo le modalità e le sfumature proprie del Teatro delle Albe.
Una sfida difficile, dedicata ad un’eroina di cui si è detto e scritto tutto. Un ritratto intimo, fatto di quotidianità, associato ad una ricostruzione puntuale documentaristica della storia, fatta a sua volta di immagini di repertorio, di interviste, discorsi. Una scenografia fatta di essenzialità e simboli associata ad un telegrafico percorso di didascalie luminose che scorrono sullo sfondo e che scandiscono le tappe del percorso di questa donna, regalando concretezza e spiritualità nello stesso tempo.
Un doppio binario di rappresentazione sostenuto dalla straordinaria capacità narrativa della protagonista, veramente unica nel modulare e trasmettere emozioni ed immagini, associata alla forte gestualità ritmica del coro, alle immagini fotografiche dei personaggi reali, ai suoni mistici e densi, che catturano e trasportano in un contesto molto più vicino ed universale.
data di pubblicazione:17/04/2016
Il nostro voto:
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