MACBETH di William Shakespeare, regia Franco Branciaroli

MACBETH di William Shakespeare, regia Franco Branciaroli

(Teatro Argentina – Roma, 10/22 gennaio 2017)

Ancora a Roma il Macbeth di Shakespeare, questa volta al Teatro Argentina, in scena dal 10 al 22 gennaio con Franco Branciaroli nella doppia veste di regista ed attore.  Macbeth è un’opera complessa, aspra, gotica, sovrapposta, nella quale il linguaggio, già di per sé metaforico, acquista più che mai valore di simbolo, visionario e trascendente.

Scritto tra il 1605 e il 1608, Macbeth racconta la vicenda del vassallo del re Duncan di Scozia che, divorato dall’ambizione e dalla brama di potere, rivelatagli dalla profezia di tre streghe, insieme alla moglie progetta ed esegue l’omicidio del re per salire al trono. Le conseguenze saranno funeste perché la loro coscienza sarà incapace di sopportare l’atroce gesto compiuto. E’ il trionfo dei demoni dell’io, che sovvertono l’ordine morale interno ed esterno dei personaggi fino alle estreme conseguenze, attraendoli e condannandoli al tempo stesso, per il misterioso richiamo che l’uomo da sempre avverte nei confronti del male.

Prodotto dal Centro Teatrale Bresciano e dal Teatro degli Incamminati, il Macbeth rappresentato si snoda attraverso sentieri di sangue e tenebre che affondano le radici in un malessere psichico interiore. Infatti la regia di Franco Branciaroli colloca la vicenda in uno spazio scenico essenziale che è la proiezione dei sentieri più tetri e nascosti della mente umana.

Macbeth è un debole manipolato dalle donne, un crudele per caso. A sovrastare la sua volontà c’è la Magia Nera, impersonata dal fascino cupo delle Streghe e di Lady Macbeth (una efficace Valentina Violo), che condurranno l’uomo verso ciò che di terribile è già dentro di sé, ma fatica ad esternarsi per inadeguatezza. Un personaggio ambiguo, razionale e irrazionale, complesso. Un debole che si racconta nelle sue molteplici sfumature attraverso un continuo e doloroso alternarsi di parole non supportate da altro in scena, una forza verbale utilizzata come strumento musicale accompagnato dalla capacità interpretativa degli altri otto (bravi) attori.

I sottotitoli e le didascalie proiettati sul fondale identificano come un deus-ex-machina i luoghi in cui si svolgerà la vicenda, mentre le creature demoniache confondono la scena con strane ed efficaci incursioni nel testo originale in lingua inglese.

Le luci oniriche e spettrali di Gigi Saccomandi rappresentano forse l’elemento tecnico di maggiore impatto, in grado di dare un contributo determinante nella creazione dell’atmosfera scenica. Interessanti i costumi di Gianluca Sbicca, barocchi ed evocativi, così come la scenografia di Margherita Palli, una scatola nera e quasi trascendente con un gioco di dislivelli e di varchi che si aprono e si chiudono.

Penalizza certamente la forza dello spettacolo la scelta di eliminare qualsiasi accompagnamento musicale ed anche l’indirizzo di una recitazione un po’ troppo intima e chiusa, asciutta, che finisce per rallentare il ritmo e depotenziare la drammaticità e la coralità della vicenda. Implode la forza del male e del dolore in un dramma della solitudine e della sconfitta assoluta.

data di pubblicazione:14/01/2017


Il nostro voto:

L’ANATRA ALL’ARANCIA di William Douglas Home, regia Luca Barbareschi

L’ANATRA ALL’ARANCIA di William Douglas Home, regia Luca Barbareschi

(Teatro Eliseo – Roma, 13 Dicembre 2016/ 8 Gennaio 2017)

Uno spettacolo che ha fatto la storia recente del teatro leggero, una commedia, scritta nei primi anni Settanta, opera dello scozzese Williams Douglas-Home, poi adattata dal celebre autore teatrale francese Marc Gilbert Sauvajon, interpretata con grandissimo successo dalla coppia Alberto Lionello e Valeria Valeri e poi portata sugli schermi da Ugo Tognazzi e Monica Vitti, con la regia di Luciano Salce.

L’anatra all’arancia è una pièce con un passato importante, proposta al Teatro Eliseo da Luca Barbareschi – che ne firma anche la regia e Chiara Noschese, la coppia protagonista in crisi matrimoniale, unitamente a Ernesto Mahieux, Gianluca Gobbi e Margherita Laterza, gli altri personaggi tutti veramente bravi nel sostenere la struttura dello spettacolo ed animarla di ritmo e caratterizzazioni, angolando la vicenda secondo i propri punti di vista. Una coppia in crisi e due intrusi nel rapporto, unitamente ad un cameriere, testimone di un ipotetico adulterio ed apertamente schierato con la signora. Nell’arco temporale di un weekend, con al centro una cena in cui è servita la famigerata anatra all’arancia, si consumano gli psicodrammi dei due coniugi. Gilbert e Lisa sono sposati da 25 anni, ma con un ménage matrimoniale oramai in profonda crisi a causa della personalità del marito, inaffidabile, bugiardo, superficiale, orientato al tradimento seriale. Lisa, esasperata, finisce per innamorarsi di un altro, il nobile Volodia, personalità romantica, opposta a quella del marito.

Gilbert architetta allora, nella speranza di riconquistare la moglie, un piano di contrattacco psicologico, invitando il suo amante a casa loro con la scusa di organizzare il divorzio. In quest’operazione, che conduce avvolto nei fumi dell’alcol, Gilbert chiede aiuto alla segretaria giovanissima e sexy, sotto gli occhi interdetti del cameriere il quale, percorrendo il salotto con un’anatra starnazzante, si ritrova a essere il deus ex machina della vicenda.

Una storia che ruota più attorno all’incomprensione ed all’egoismo che alla gelosia. Un lieto fine che alla fine giunge con la buona pace di tutti e che permette alla coppia, una volta riconosciuti i propri errori e quelli del partner, di ritrovarsi e di ritrovare quell’affetto che, nonostante tutto, li ha uniti per tanti anni.  Gilbert e Lisa affermano infatti ‘noi due non sarà mai perfetto lo sai, ma sarà noi due’.

Uno spettacolo piacevole e raffinato dai giusti tempi comici, mai eccessivo. 

Data di pubblicazione: 19/12/2016


Il nostro voto:

PADRI E FIGLI – LEHMAN TRILOGY (II PARTE) di Stefano Massini, regia Luca Ronconi

PADRI E FIGLI – LEHMAN TRILOGY (II PARTE) di Stefano Massini, regia Luca Ronconi

(Teatro Argentina – Roma, 25 Novembre/18 Dicembre 2016)

Ancora in scena fino al 18 dicembre al Teatro Argentina di Roma Lehman Trilogy, ultimo capolavoro registico di Luca Ronconi, lo spaccato di oltre cento sessanta anni di storia raccontati attraverso le vicende dei Lehman, una delle famiglie più influenti d’America: dalla Guerra di Secessione alla crisi del ’29, tra continue ascese e improvvise cadute, fino al definitivo fallimento del 15 settembre 2008.

Un testo di Stefano Massini suddiviso in due parti, Tre fratelli e Padri e figli. La seconda parte si apre nella New York degli anni Dieci del Novecento. Ai tre fratelli sono succeduti i figli: Philip (figlio di Emanuel) vuole speculare in Borsa, mentre Herbert (figlio di Mayer) si dedica alla politica e diventa governatore di New York, mentre suo cugino Robert riesce a traghettare la società superando la crisi del ’29 fino agli anni ’60, riempiendo l’America “di televisori, di telefoni, di consumo”.  I Lehman cambiano pelle, con loro si evolve tutto il sistema finanziario mondiale, si passa dall’economia reale alla finanza.  Sono loro gli ultimi eredi della dinastia, alla morte di Robert, la Lehman Brothers finisce in mano a trader aggressivi e senza scrupoli e il declino si fa inarrestabile, fino al crollo definitivo del 2008.

È un’autentica epopea, una saga familiare di tre generazioni: tre fratelli, poi i figli e i nipoti, sempre più voraci in quell’illusione di fare soldi per i soldi, vittime della loro stessa spregiudicatezza. Il collasso della banca è anche, in chiave di metafora, il collasso di una famiglia ormai inesistente, moralmente svanita e preda di nuovi “mostri” ben più agguerriti nell’impadronirsi del potere.

Ed è l’ennesima ed ultima affascinante sfida di Ronconi nel voler tradurre in scena testi impossibili e indefinibili. Un percorso potente, drammatico ed ironico al tempo stesso fatto di ascesa  e declino, di capitalismo, di giochi di potere, di banche e denaro, di mutamenti sociali ed economici, specchio delle contraddizioni del mondo in cui viviamo.

La storia della famiglia Lehman è la parabola del sogno americano e della voracità dell’economia. I Lehman riescono a superare tutte le crisi, tutte le guerre e crescono e si accrescono fino allo scontro finale, che li vedrà sconfitti.

Tempi rallentati associati a ritmi vorticosi, la “Trilogia Lehman” di Ronconi si basa totalmente sulla parola, con gli attori che si raccontano, descrivono le azioni, parlano in prima e in terza persona, muovendosi su una scena che è una grande scatola bianca illuminata a giorno, con un orologio appeso, sedie che salgono e scompaiono da botole, tavoli che scorrono, e insegne che disegnano linee.  Ogni personaggio che racconta se stesso ed il suo pensiero.

A portare in scena l’ascesa economica e il drammatico tracollo della famiglia americana Lehman un cast di grandi interpreti, con Massimo De Francovich, Fabrizio Gifuni, Massimo Popolizio, Martin Ilunga Chishimba, Paolo Pierobon, Fabrizio Falco, Raffaele Esposito, Denis Fasolo, Roberto Zibetti, Fausto Cabra, Francesca Ciocchetti e Laila Maria Fernandez.

data di pubblicazione:17/12/2016


Il nostro voto:

MACBETH di William Shakespeare, regia di Luca De Fusco

MACBETH di William Shakespeare, regia di Luca De Fusco

(Teatro Quirino – Roma, 22 Novembre/4 Dicembre 2016)

Dopo aver inaugurato la nuova stagione del Mercadante di Napoli, ha debuttato il 22 novembre sul palco del Teatro Quirino di Roma dove rimarrà in scena fino al 4 dicembre, il Macbeth di Shakespeare con la regia di Luca De Fusco.

Scritto tra il 1605 e il 1608, Macbeth racconta la vicenda del vassallo di re Duncan di Scozia che, divorato dall’ambizione e dalla brama di potere, rivelatagli dalla profezia di tre streghe, insieme alla moglie progetta ed esegue l’omicidio del re per salire al trono. Le conseguenze saranno funeste perché la loro coscienza sarà incapace di sopportare l’atroce gesto compiuto.

Macbeth è un’opera complessa, aspra, gotica, stratificata, nella quale il linguaggio, già di per sé metaforico, acquista più che mai valore di simbolo, e si presta ad ogni lettura, inclusa quella visionaria e trascendente.

Questa tragedia fosca, cruenta, in cui domina il male e in cui i personaggi sono complessi e ambigui viene raccontata attraverso una messa in scena certamente originale ed innovativa, caratterizzata dalla forte commistione di teatro, musica e danza, miscelate attraverso contaminazioni visive create con l’uso di trasparenze scenografiche, immagini video e giochi di luce, in ideale prosecuzione rispetto ai precedenti lavori del regista, Antonio e Cleopatra e Orestea. Fra citazioni cinematografiche e pittoriche l’idea drammaturgica si sviluppa attraverso un forte impatto visionario costruito attorno al testo originale, in un’ambientazione atemporale sospesa tra il medioevo e le atmosfere del cinema noir degli anni ’40.

Molto intensa l’interpretazione della coppia del male formata da Luca Lazzareschi nel ruolo di Macbeth e Gaia Aprea che veste i panni di Lady Macbeth, in perfetta prosecuzione con il lavoro cominciato con l’Antonio e Cleopatra.

Il tutto sotto la presenza incombente notturna di una civetta in volo, di una foresta primordiale, minacciosa e intricata, di austeri ambienti interni dove si svolge il banchetto di corte, mentre avvolto nel suo proprio sangue appare il fantasma di Banquo, il generale compagno di guerra e di avventure anch’egli al servizio del re di Scozia Duncan, e come lui ucciso per sete di potere. Immagini forti e metafisiche che accentuano l’orrore e la cupezza del male, video installazioni che proiettano nel presente il racconto, enfatizzando l’universalità e l’attualità del messaggio shakespeariano che può essere coniugato in vari tempi mantenendo un carattere di verità assoluta, come assoluti e primari sono i sentimenti narrati.

data di pubblicazione: 29/11/2016


Il nostro voto:

AN EVENING WITH ROY ASSAF, coreografie di Roy Assaf

AN EVENING WITH ROY ASSAF, coreografie di Roy Assaf

(Teatro Vascello – Roma, 12/13 Novembre 2016)

Per la prima volta a Roma, al teatro Vascello, arriva la danza di Roy Assaf, considerato uno dei nomi di punta della nuova generazione di coreografi israeliani con due lavori, Six years later e The hill, a firma dello stesso Assaf che vi partecipa anche come danzatore.

Un dittico, proposto il 12 e 13 novembre, che esalta la capacità creativa del giovane coreografo israeliano, che ha già lavorato per la Batsheva Dance Company, espressione alta di una nuova generazione di danzatori-creatori di immagini con il corpo e il movimento.

La prima è un duetto intimo e appassionato che ci parla del passato e del presente, strettamente legati tra loro come un’inevitabile storia d’amore. Un’affascinante e sensuale  Roy Assaf danza in coppia con una esile ed al tempo stesso forte nella sua centralità, Madison Hoke. Da un approccio semplice, delicato, decifrabile, accompagnati per mano si scende lentamente nelle pieghe di sentimenti e rughe psicologiche, in un misto di ricordi e di presente, di sentimenti passionali e di pacato quotidiano. Emozionante.

The Hill, che trae spunto da una canzone ebraica, vede in scena tre danzatori (Igal Furman, Shlomi Biton e Roy Assaf) che rappresentano l’assurdità e l’essenza dell’occupazione. Un movimento circolare continuo descrive un misto di paura e virilità, di terrore e lacrime ma anche di risate spensierate, a testimonianza dell’assurdità della lotta e della guerra. Il corpo a corpo tra i tre è dapprima una danza etnica scandita da una canzone popolare simbolica, che si trasforma in uno scontro giocoso ma mortale, l’immagine attonita di una violenza incomprensibile ad una natura umana sana e passionale, la rappresentazione dell’inutilità di una schermaglia di guerra in cerca di pace.

Uno spettacolo nel suo complesso elegante, poetico ma anche ironico, in cui la leggerezza del movimento si sposa alla profondità dei temi: l’intensità, la convenzionalità, la complessità, la ricchezza dei rapporti umani, uno spettacolo che colpisce diritto, regalando una breve ma profonda intensità.

data di pubblicazione:17/11/2016


Il nostro voto: