GUARDA IN ALTO di Fulvio Risuleo, 2017 – Alice nella città

GUARDA IN ALTO di Fulvio Risuleo, 2017 – Alice nella città

(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)

Presentato nel programma Kino Panorama Italia della XV edizione di Alice nella città Guarda in Alto del regista Fulvio Risuleo è una interessantissima opera prima, un viaggio-percorso sui tetti di Roma, alla scoperta di un contesto urbano abitato da  stravaganti personaggi e strani contesti, una realtà parallela fatta di proprie regole e di proprie logiche.

Il protagonista è Teco, un giovane operaio che lavora in una panetteria ed è impegnato nella produzione di cornetti; durante una pausa di lavoro sui tetti, mentre è intento a fumare e conversare, è testimone dell’intrigante caduta su un terrazzo adiacente di uno strano gabbiano. Decide allora di avvicinarsi per meglio capire, dando così l’inizio a un viaggio urbano che lo porterà in un labirinto di terrazze, cunicoli, canali di areazione, ed all’incontro con personaggi e situazioni sempre più surreali e divertenti. Un viaggio strampalato che è anche però un momento di formazione e di confronto. Un mondo sopraterreno in cui convivono in apparente equilibrio un gruppo di ragazzini con fantasiose maschere-sacchetto, un apicoltore eremita (interpretato da Lou Castel), una affascinante ragazza francese (Aurelia Poirier) che si paracaduta da una mongolfiera inseguita dal fidanzato (Ivan Franek), due gemelli che praticano lo urban nudism, un convento di suore che pilotano gabbiani meccanici telecomandati, un lounge bar dove si scommette clandestinamente su corse di lumache, un razzo pronto a partire per la luna.

Un mondo colorato e fantastico a cielo aperto, una sorta di Alice nel paese delle meraviglie a spasso sui  tetti di Roma, realizzato con audacia e maestria dal giovanissimo Fulvio Risuleo.

Una fuga volontaria alla ricerca di identità ed emozione, ma anche una visione sopraterrena di quanto ci circonda con la purezza e l’intelligenza di un occhio non stereotipato ed adulto.

Un esperimento coraggioso e riuscitissimo, onirico e a tratti spassoso, un viaggio verso l’ignoto che tutti, a qualunque età, dovremmo fare. Viaggiare leggeri e sospesi aiuta a guardare il mondo dalle giuste angolature.

data di pubblicazione:31/10/2017








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MAZINGA Z INFINITY di Junji Schimizu – Alice nella città

(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)

Evento speciale per Alice nella città, in collaborazione con la Festa del Cinema, è la proiezione in prima mondiale di Mazinga Z Infinity, film diretto da Junji Shimizu. Terzo episodio tratto dalla serie manga e anime Mazinger Z di Go Nagai, prodotto dalla Toei Animation in occasione del 45º anniversario della serie e distribuito dalla Lucky Red è il primo ad essere realizzato in forma di lungometraggio.

Mazinga Z è certamente il robot icona per eccellenza della storia del manga e dell’anime contemporaneo. Era il 1972 quando veniva pubblicato il primo capitolo di Mazinga Z, manga scritto e disegnato da Go Nagai. L’opera, che nello stesso anno verrà trasposta in un anime di 92 episodi, è rivoluzionaria poiché introduce nei manga di genere mecha i super robot, ovvero robot colossali pilotati da ragazzi e caratterizzati dalla grande potenza distruttiva con il compito di difendere la Terra dall’invasione di mostri o alieni giganteschi che puntualmente vengono sconfitti.

Dieci anni di lavorazione per un film fumetto che mantiene inalterato il suo fascino, il suo stile ed un gusto retrò. La storia è quella di un sequel complesso e intricato. Dieci anni dopo la sconfitta dell’Impero Sotterraneo, Koji Kabuto è divenuto ormai un importante scienziato che opera alle pendici del Monte Fuji, presso il Centro di Ricerca per l’Energia Fotonica, la più potente e pulita che il mondo abbia mai conosciuto. Insieme a eroi robot che hanno difeso l’umanità come Boss o Diana A, anche l’originale Mazinga Z è adesso una semplice statua all’interno del museo. Ormai preso dai suoi studi, dopo essersi lasciato alle spalle i giorni in cui guidava Mazinga Z, Koji Kabuto rinviene una ragazza androide, ribattezzata Lisa, nelle misteriose rovine scoperte all’interno del Monte Fuji. Sembra essere la chiave per avviare il gigantesco mech Infinity. Mentre la minaccia del Dottor Inferno torna a farsi preponderante, e Sayaka sogna un futuro e una famiglia con lui, Koji cederà alla tentazione di guidare ancora una volta Mazinga Z. Lo farà anche per correre in aiuto del Grande Mazinga e di Tetsuya, che aspetta un figlio da Jun, divorata dall’apprensione.

Sul piano nostalgico e romantico, Mazinga Z Infinity non può non piacere: la sceneggiatura intreccia le vicende dei personaggi più rappresentativi con un’evoluzione più romantica, legata alla dinamica esistenziale e sentimentale dei suoi protagonisti.

Il film rimane forse un po’ ingenuo e datato nei contenuti a motivo anche di innumerevoli spiegazioni scientifiche complicate e tutto sommato poco interessanti. I dialoghi si aggrovigliano su loro stessi nel tentativo di spiegare teorie come il multiverso e gli spazi contigui.

Mazinga Z Infinity sembra provenire davvero da un’altra epoca, nel bene e nel male, ma con tanti entusiasti adepti di ogni età, a giudicare dal variopinto calore con il quale è stata accolta questa anteprima mondiale.

data di pubblicazione:30/10/2017








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BRIGSY BEAR di Dave McCary, 2017 – Alice nella città

(12^ FESTA DEL CINEMA DI ROMA – 26 ottobre/5 novembre 2017)

Alice nella città ospita l’opera prima Brigsy Bear, una commedia agrodolce diretta da Dave McCary scritta ed interpreta da Kyle Mooney, affiancato da Claire Danes , Mark Hamill, Greg Kinnear e Andy Samberg, presentata in anteprima al Sundance Film Festival 2017 e successivamente proiettata al Festival di Cannes, nella sezione Settimana Internazionale della Critica.

 

La storia verte su James Pope (Kyle Mooney), ragazzo rapito da bambino e che ha vissuto tutta la sua infanzia assieme a un tv show di nome Brigsby Bear.

Costretto a vivere in un bunker nel deserto con i suoi genitori in un mondo apparentemente post-apocalittico, James è completamente isolato e vive soltanto in funzione della sua serie tv preferita, Brigsby Bear. Lo show era stato ideato dai falsi genitori di James, per dare una parvenza di normalità alla vita del ragazzo.

Tutto cambia quando la polizia irrompe nel bunker e James scopre di essere stato rapito quando era un neonato e soprattutto che Brigsby Bear non è un vero show per bambini.

Sconvolto e incerto, James cerca di adattarsi alla sua nuova vita, ma l’ossessione di Brigsby Bear non riesce ad abbandonarlo, soprattutto, non può concepire che il mondo non conosca il suo eroe. Per questo motivo, James decide di dare nuovamente vita al suo personaggio preferito, mettendo su un vero e proprio film con l’aiuto di un nuovo gruppo di amici e del detective Vogel.

Il film è la difficile integrazione di un uomo apparentemente adulto in un mondo che ha sempre ignorato esistesse. Divertente, ironico e delicato, Brigsby Bear è un viaggio nell’eterno mondo dell’infanzia di James. Un mondo fatto di combattimenti, mostri leggendari e fantasmi del passato. Un mondo di fantasia attraverso il quale James può fare i conti con la sua realtà e far comprendere quanto per lui Brigsby sia stato un fedele compagno.

Il film si muove attraverso un linguaggio metaforico, semplice e accessibile ma che vuole spesso rimandare a un mondo di grandi con una chiave di entrata per tutti quanti.

Difficile non voler bene a James. La sua ingenuità è travolgente ed emozionante, ed il suo mondo un po’ paradossale ed eccessivo, finisce per coinvolgere e conquistare personaggi e spettatori.

data di pubblicazione:29/10/2017








FERDINANDO di Annibale Ruccello, regia di Nadia Baldi

FERDINANDO di Annibale Ruccello, regia di Nadia Baldi

(Teatro Piccolo Eliseo – Roma, 18 ottobre/5 novembre 2017)

Dopo il fortunato debutto napoletano, approda a Roma, al teatro Piccolo Eliseo, Ferdinando di Annibale Ruccello, per la regia di Nadia Baldi.

Scritto agli inizi degli anni Ottanta e ambientato nel 1870, Ferdinando resta il capolavoro di Annibale Ruccello, considerato il migliore esponente della drammaturgia napoletana post-eduardiana, scomparso prematuramente nel 1986 per un banale incidente stradale. Quello di Ruccello è un grande teatro di prosa, di narrazione.

Connotato del suo teatro è l’angoscia dell’uomo moderno nello scontro con la realtà esterna: fobie, delitti, sensualità dolorosa, ambientazioni cupe e serrate.

L’azione si svolge in una villa nei dintorni di Napoli dove vivono, in esilio volontario, due donne. La baronessa Donna Clotilde (Gea Martire), chiusa nella sua ipocondria e in una simulata infermità a letto, rifiuta culturalmente e storicamente la modernità, non solo ripudiando la nuova situazione politica e il re sabaudo, ma anche l’italiano. L’altra Gesualda (Chiara Baffi), sua cugina povera e zitella, che la accudisce e la sorveglia, che intreccia una relazione clandestina con Don Catellino (Fulvio Cauteruccio), prete dissoluto e coinvolto in intrallazzi politici.  Nulla sembra poter cambiare il corso degli eventi, finché non arriva Ferdinando (Francesco Roccasecca) un giovane nipote di Donna Clotilde, dalla bellezza morbosa e strisciante. Sarà lui a gettare lo scompiglio nella casa, a mettere a nudo contraddizioni, a disseppellire scomode verità e a spingere un contesto apparentemente immutabile verso un inarrestabile degrado.

Tutti i personaggi in una prima fase si presenteranno nel loro quotidiano per poi svelare l’interiore quando i freni inibitori e culturali non hanno più il loro potere censurante.

Ferdinando è il diavolo che irrompe sulla scena, scatenando l’inespressa sessualità che coinvolge prima Clotilde, poi Gesualda, e infine Don Catellino. Una voragine di desideri repressi che finisce per generare gelosie, ricatti, vendette, ed alla fine anche complicità fra le due donne portandole all’avvelenamento del prete rivale in amore. Ma poi tutto precipita, Ferdinando scopre l’assassinio, ricatta le due donne e svela la propria identità (non è il nipote di Clotilde, ma un ladro e si chiama Filiberto, come i Savoia). Un finale noir dell’opera come noir è la solitudine in cui si sono chiuderanno Clotilde e Gesualda.

L’attenta mano di Nadia Baldi esalta la potenza drammaturgica del testo, riuscendo ad enucleare ed esaltare le caratterizzazioni dei singoli personaggi e gli oggetti feticcio che li circondano. Rapporti che spesso si evidenziano con efficacissimi piccoli gesti, giochi di sguardi, sequenze di parole seguite da inquietanti silenzi, mettendo in luce le connessioni esistenziali fra dramma e malinconia, comicità e solitudine.

Molto bravi gli attori ma soprattutto straordinarie le due protagoniste, capaci di rendere le due cugine così differenti e cosi unite, ma anche così uniche, nonostante le tante grandissime interpreti che in passato si sono cimentate nei due ruoli.

Un teatro moderno e colto, che va visto e protetto.

data di pubblicazione: 21/10/2017


Il nostro voto:

ROMA EUROPA FESTIVAL MONUMENTAL – compagnia The Holy Body Tatto e live music di Godspeed you! Black Emperor

ROMA EUROPA FESTIVAL MONUMENTAL – compagnia The Holy Body Tatto e live music di Godspeed you! Black Emperor

(Auditorium Conciliazione – Roma,13 e 14 ottobre 2017)

Il Romaeuropa Festival ha presentato in prima nazionale il 13 e 14 ottobre 2017 all’Auditorium Conciliazione di Roma, Monumental, spettacolo che fonde musica rock e danza.

Sul palco la compagnia canadese The Holy Body Tattoo, fondata nel 1993 da Dana Gingras e Noam Gagnon insieme ai Godspeed you!Black Emperor storico collettivo musicale, anch’esso canadese, tra i gruppi più rappresentativi della scena post-rock internazionale. Protagonisti tutti i membri della band insieme ai danzatori della compagnia.

Messo in scena per la prima volta nel 2005 solo con le musiche dei GY!BE a fare da colonna sonora dello spettacolo, Monumental dopo 10 anni viene riallestito da The Holy Body Tattoo avvalendosi questa volta delle musiche in parte inedite, eseguite dal vivo dalla band di culto.

Monumental è il racconto dell’ansia della cultura metropolitana. In un clima ipercinetico di avidità e ambizione, le relazioni personali sono sottomesse all’identità del gruppo rendendo l’interrrelazione personale difficile e dolorosa.

Nove danzatori in abiti da ufficio, isolati su altrettanti piedistalli, dialogano con il suono duro ed enfatico di cinque chitarre, due drum kit e un violino, per raccontare il caos del mondo moderno. A dare ulteriore forza a questo affondo nell’alienazione contemporanea, sono i testi dell’artista statunitense Jenny Holzer che, nella serie Living (1981), analizza la quotidianità dell’essere umano.

Una fluida, per quanto frenetica ed emblematica rappresentazione della condizione dell’uomo, ormai piegato al sistema seriale della ripetizione compulsiva di movimenti, pensieri e passioni.

La cosa migliore è stare nel gruppo per mantenere l’anonimato, ripetendo simultaneamente gli stessi gesti, cercando l’omogeneità. Ma i tic si moltiplicano e si stressano fino all’implosione emotiva, che diventa psicosi che si dilaga nei gesti dei danzatori, nei crescendo noise dei GY!BE e nelle parole della Holzer che arrivano come dei verdetti ineluttabili.

Un lavoro organico, con coreografie pensate in relazione alla musica dei GY!BE, che esplora le paranoie, i cortocircuiti e le ansie della cultura urbana, delle metropoli, della quotidianità alienante e del capitalismo che ci cattura e ci avvolge.

Interpreti magistrali e ritmi serrati, che fondono le varie componenti in un unicum che cattura. Uno spettacolo forte e ansiogeno, con forti venature di dolore e di sofferenza.

data di pubblicazione:20/10/2017


Il nostro voto: