VOICE NOISE – Jan Martens/GRIP

VOICE NOISE – Jan Martens/GRIP

(Roma Europa Festival 2024)

Il 12 e 13 ottobre il Roma Europa Festival ha ospitato al Teatro Argentina di Roma in prima nazionale Voice Noise, ultimo lavoro del coreografo belga Jan Martens con produzione GRIP. Grande forza fisica ed energia sul palco, unitamente a un’attenzione al particolare, all’interno di un percorso musicale fatto di canti, ma anche di sussurri e urla. Yan Martens avvalendosi di sei grandi danzatori ha costruito un omaggio alla voce femminile ed alle sue figure più innovative, attraverso un’indagine degli ultimi cento anni della storia della musica, alla ricerca di voci e interpreti sconosciute o persino dimenticate (foto di Klaartje Lambrecht).

Per il suo ritorno al REF, Jan Martens disegna una performance in cui sei danzatori si esibiscono sulla musica di tredici compositrici e cantanti degli ultimi cento anni di storia della musica. La ricerca dell’energia fisica e l’esplorazione del fotogramma, attraverso un’alternanza di movimenti di gruppo dinamici e rallentamenti plastici e drammatici, tra voci, esperimenti vocali, ossessioni e urla liberatorie. Dal Coro delle Mondine di Porporana a Cheri Knight, passando per Erin Gee, Kasarbai Kerkar, Ruby Elzy e tante ancora, Martens costruisce un percorso alternativo nella storia della voce femminile e trasforma la scrittura coreografica in una pedana openspace in cui ogni interprete scopre la propria vocazione.

Nato nel 1984 in Belgio, attivo sulla scena coreografica internazionale dal 2010, Martens basa la sua scrittura sulla convinzione che ogni corpo abbia qualcosa da dire e che questa comunicazione diretta si esprima attraverso forme semplici ed il recupero di idiomi esistenti provenienti dai contesti più disparati.

In Voice Noise Martens e i performer lo fanno con una sequenza di brani interamente basati su voci femminili, costruita durante il lavoro in sala attraverso la reiterazione dei pezzi durante le prove, fatta di voci molto sommerse, lontane dai canoni. Persino Bella ciao, il brano più a rischio di un riconoscimento passivo, appare in una versione differenziata sul femminicidio, eseguita dal Coro delle Mondine di Porporana.

Novanta minuti complessi, imponenti e carichi di frammenti, con un meraviglioso disegno luci di Jan Fedinger che enfatizza il grande lavoro del coreografo e dei suoi straordinari interpreti.

data di pubblicazione:13/10/2024


Il nostro voto:

SUPER/MAN – The Christopher Reeve Story, di Ian Bonhôte e Peter Ettedgui, 2024

SUPER/MAN – The Christopher Reeve Story, di Ian Bonhôte e Peter Ettedgui, 2024

Serata evento al cinema Adriano di Roma lo scorso 10 ottobre per la presentazione del documentario Super/Man: The Christopher Reeve Story, dal medesimo giorno nelle sale con Warner Bros a 20 anni esatti dalla morte dell’interprete di Clark Kent/Superman, alla presenza dei due registi  Ian Bonhôte e Peter Ettedgui e del figlio Matthew Reeve. La storia di Christopher Reeve non è solo straordinaria, è stato il primo a far credere le persone nei supereroi, ma è anche l’esempio di lotta personale e sociale contro un destino beffardo. “Abbiamo bisogno di veri eroi, di veri leader, di vere persone che diano l’esempio, i valori e il senso di responsabilità e che facciano sempre sentire la loro voce nel dibattito pubblico”, ha affermato Matthew che continua a portare avanti la Fondazione Cristopher and Dana Reeve, insieme ai suoi fratelli Alexandra e Will.

Nella memoria collettiva, Christopher Reeve rimarrà per sempre il supereroe, l’attore sconosciuto dell’Off Broadway interprete del primo Superman cinematografico, divenuto prima la grande star di Hollywood ed in via successiva l’attivista e avvocato per i diritti dei disabili, dopo che una caduta da cavallo lo ha paralizzato dalla testa in giù.

Uscito nel 1978, un anno dopo Guerre Stellari, Superman celebrò con successo il ritorno di Hollywood al cinema d’intrattenimento grazie a Christopher Reeve che impose un Superman poderoso e in linea con l’ideale americano che Ronald Reagan aveva riportato in auge. Bellissimo e credibilissimo, imponente e gentile, divenne un’icona, sullo schermo e nella vita. Sportivo, intelligente, innamorato della moglie e dei figli. La sua vita si è letteralmente fusa con quella di Superman; successi e insuccessi cinematografici, una nuova storia d’amore ed un altro figlio, una famiglia più allargata, poi la drammatica svolta: il 27 maggio 1995 la caduta da cavallo che lo paralizza totalmente. Presa coscienza della nuova devastante condizione scende dal piedistallo del supereroe per diventare un vero eroe. Decide di mostrarsi in pubblico e di raccontarsi, prova a portare avanti la carriera cinematografica, dietro e davanti la macchina da presa, diventa un attivista nella ricerca delle cure per le lesioni del midollo spinale, arriva fino alle Nazioni Unite. Barack Obama firmerà poi una legge sulla disabilità che porta il nome di Christopher Reeve e di sua moglie Dana, con la quale ha creato una fondazione per dare voce e ispirare le persone con disabilità di tutto il mondo per raccogliere donazioni a favore della ricerca sulle lesioni del midollo spinale e sulle cellule staminali per rigenerarlo.

Il documentario presentato da Alice nella Città e dall’Assessorato Grandi Eventi, Sport, Turismo e Moda di Roma Capitale, è un ritratto intimo che mette i riflettori sull’uomo tra l’amore, i legami familiari a volte complicati e il rapporto con gli amici, Robin Williams, Susan Sarandon, Glenn Close, Jeff Daniels e Whoopi Goldberg. Ma quella di Reeve è anche una storia di resilienza e di impegno nel sociale. Dopo l’incidente, come si racconta nel film, si chiedeva spesso se avesse senso continuare a vivere paralizzato. “Sei sempre tu e io ti amo”, gli ha detto la moglie Dana entrando nella stanza della terapia intensiva. In quel momento capisce che un eroe è un uomo che riesce a dare un senso alla propria vita anche in condizioni estreme.

Un diario leggero e corale, di ricordi dell’artista e dell’uomo, di gioie e rimpianti, probabilmente un po’ troppo dilatato e a tratti ripetitivo, che però colpisce il cuore di tutti, empatico e privo di commiserazione.

data di pubblicazione:13/10/2024


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LA FEROCIA, dal romanzo di Nicola Lagioia

LA FEROCIA, dal romanzo di Nicola Lagioia

ideazione VicoQuartoMazzini

(Roma Europa Festival 2024)

Dall’1 al 4 ottobre il Roma Europa Festival ha ospitato al Teatro Argentina La Ferocia, trasposizione teatrale dell’omonimo romanzo di Nicola Lagioia a cura della compagnia VicoQuartoMazzini. Vittorio Salvemini è un uomo che si è fatto da solo costruendo un impero. Dietro il successo ci sono però ricatti, estorsioni, soprusi, cocaina, rifiuti tossici. La morte della figlia Clara, trovata nuda e ricoperta di sangue sulla provinciale che collega Bari a Taranto e tutte (foto Valerio Polici).

La Ferocia, spettacolo tratto dall’omonimo romanzo di Nicola Lagioia, vincitore nel 2015 del Premio Strega e del Premio Mondello, con la regia di Michele Altamura e Gabriele Paolocà, mette in scena il desiderio del potere a tutti i costi, attraverso l’ascesa e la caduta della famiglia Salvemini, una saga familiare in cui le prevaricazioni dei padri rendono infelici e deboli i figli.

È intorno al cadavere di una giovane donna, Clara Salvemini ritenuta suicida, che si consuma lo sgretolamento dei valori e la tragedia familiare: è la figlia del palazzinaro Vittorio, che senza scrupolo alcuno è riuscito a costruire un vasto impero economico (l’attore Leonardo Capuano, perfetto nel suo ruolo), aiutato nell’impresa dal figlio ingegnere Ruggero (lo stesso Michele Altamura), che si presta volentieri ai suoi dictat spregiudicati.

C’è una sola attrice in scena, Francesca Mazza, nei panni di una madre tradita e piena di dubbi ma incapace di opporsi all’orrore che le ruota intorno e la sommerge. Nella vicenda presente anche il marito della vittima, Alberto (Andrea Volpetti) incapace di amare e colpevole di non averla protetta ed una galleria di personaggi deleteri e remissivi al tempo stesso: il medico legale cocainomane, un ex sottosegretario alla Giustizia e l’amico dell’università, studente modello, finito per campare a fare l’uomo rana in un centro commerciale. C’è poi uno speaker/giornalista, interpretato da Gaetano Colella, intento a registrare un podcast sulla vicenda, che fa da filo conduttore, ma anche da contraltare rispetto a quanto affermato e posto in essere dai protagonisti.

I personaggi prendono vita nelle loro sfumature grazie ad un efficace allestimento a cura di Daniele Spanò con le luci di Giulia Pastore, che da luogo realistico (l’interno della villa dei Salvemini) si trasforma in spazio metafisico del racconto, tra terreni edificati su rifiuti avvelenati, luoghi segreti di abboccamenti e riunioni, violenze e camere mortuarie.

Piano piano intorno al corpo di Clara, vittima sacrificale del gioco al massacro a cui lei stessa si era prestata, si ricompone il mosaico che porta all’amara verità. E sarà proprio il personaggio meno incisivo e più defilato, ovvero l’altro fratello di Clara, Michele (Gabriele Paolocà), fuggito a Roma per ricercarsi una nuova identità personale e lavorativa, a frantumare il castello di menzogne ed il gioco sporco della famiglia.

Una tragedia contemporanea con i canoni della tradizione greca, che scuote le coscienze, grazie alla stesura di un grande romanziere ed a una potente messa in scena, essenziale e moderna, resa ancora più incisiva dal gruppo di bravissimi attori.

data di pubblicazione:04/10/2024


Il nostro voto:

BEETHOVEN7 – SASHA WALTZ & GUESTS

BEETHOVEN7 – SASHA WALTZ & GUESTS

(Roma Europa Festival 2024)

Il 14 ed il 15 settembre il Roma Europa Festival ha ospitato all’Auditorium Conciliazione Beethoven 7, ultimo lavoro della compagnia Sasha Waltz & Guest che proprio lo scorso anno ha festeggiato il suo 30o anniversario. Sasha Waltz prosegue la ricerca sulla relazione tra danza ed arti visive, architettura, musica, design. Tredici danzatrici e danzatori della sua compagnia hanno interpretato la Sinfonia n.7 di Ludwig van Beethoven in versione integrale ed una nuova composizione appositamente commissionata al musicista Diego Noguera. Un ponte ed un dialogo tra passato e presente, attraverso l’incontro tra un monumento della musica classica ed una rilettura in chiave contemporanea (foto Sebastian Bolesh).

Negli ultimi trent’anni la coreografa tedesca Sasha Waltz ha segnato profondamente la storia della danza e ha sviluppato uno stretto rapporto di collaborazione con il Romaeuropa Festival nelle diverse edizioni in cui è stata presente, affrontando tematiche universali attraverso un teatro danza complesso e fragile al tempo stesso, fatto di confronto ed integrazione tra coreografia ed altre discipline artistiche.

Il punto di partenza dello spettacolo è una riflessione dello stesso Beethoven risalente al 1812, ovvero: “Le persone reali sono schiave dell’ambiente in cui vivono, o possono dirsi libere?”

Sasha Waltz, approccia questa tematica attraverso una precisa idea di movimento corporeo e musicale, di estetica, di libertà creativa, in due parti e due momenti distinti, apparentemente agli antipodi ma fortemente correlati.

La componente musicale della prima parte Freiheit/Extasis è stata realizzata da Diego Noguera, compositore berlinese di origine cilena, affermatosi come uno dei nomi più importanti della scena elettronica tedesca. Il confronto con la 7a Sinfonia ha portato ad una musica forte, composta attraverso strumenti elettronici e sintetizzatore. Freiheit/Extasis è un conglomerato sonoro composto da suoni estremi e ritmi ossessivi, intimamente connessi al caos creativo nascosto dietro le melodie dei lavori di Beethoven. Ne è derivata una interpretazione coreografica in un paesaggio alieno, un probabile futuro in cui la libertà di pensiero e azione fa i conti con lo sviluppo tecnologico. Sulla scena una fitta coltre di nebbia e luci strobo modellano i corpi dei danzatori e delle danzatrici, enfatizzati dai costumi realizzati da Federico Polucci.

Affrontando le medesime domande, la seconda parte della pièce si concentra sulla maestosa Sinfonia n. 7 in La maggiore, op. 92 di Ludwig van Beethoven, attraverso allestimento teatrale molto diverso, interamente focalizzato sul rapporto tra danza e musica.

Diradata la nebbia, resta l dolcezza della melodia, il respiro dei danzatori e delle danzatrici (questa volta nei costumi di Bernd Skodzig), il loro correre sul palco, una bandiera impalpabile. Un messaggio di aggregazione e di speranza.

data di pubblicazione:14/09/2024


Il nostro voto:

OUTSIDER – di Rachid Ouramdane con il Ballet du Grand Thèatre de Genève

OUTSIDER – di Rachid Ouramdane con il Ballet du Grand Thèatre de Genève

(Roma Europa Festival 2024)

Il 9 e 10 settembre alle 21 è tornato, nella Cavea dell’Auditorium Parco della Musica “Ennio Morricone”, il coreografo Rachid Ouramdane con la nuova creazione per il Ballet du Grand Théâtre de Genève. In OUTSIDER ventuno danzatrici e danzatori e quattro acrobati sono i protagonisti di una performance che associa la danza all’equilibrismo, legando terra e cielo nel segno della leggerezza. È un movimento ipnotico, ripetuto ed in continua evoluzione con direzioni definite come solo uno stormo di uccelli sa fare, che celebra le potenzialità del collettivo e mette in discussione la gravità aprendo nuovi orizzonti al movimento (foto Gregory Batardon).

Dialoga con l’altezza e la leggerezza Rachid Ouramdane, il coreografo di origini algerine di stanza a Parigi, dove dirige il Théâtre National de la Danse. La sua ultima creazione, in prima nazionale a Romaeuropa Festival, Outsider, nasce dall’invito del collega Sidi Larbi Cherkaoui, dal 2022 alla guida del Ballet du Grand Théâtre de Genève, a realizzare un progetto per tale compagnia. E così Ouramdane continua ad aggregare le arti performative, associando quattro highliner ai danzatori, alla ricerca di nuovi volumi e nuove connessioni per un teatro delle diversità e delle inclusioni.

Da anni studia il comportamento degli storni e la una scrittura coreografica è proprio sviluppata per sciami, con tutti gli interpreti del gruppo pronti a spiccare il volo. Nei costumi tra il beige e il nero di Gwladys Duthil, la danza si sviluppa su due piani, il primo sul palco, con dinamiche circolari e costruzioni di gruppo protese verso l’alto, ed il secondo aereo, con gli acrobati che entrano in scena nella loro eterea diversità, dotati di scarpe speciali e imbracature che li collegano alle funi sospese, come uccelli in sosta sui fili elettrici lungo le funi che si intersecano, con diverse angolazioni, segmentando geometricamente la scena in un quadro astratto, enfatizzato dallo splendido disegno luci di Stéphane Graillot.

Un frenetico gioco di luci e di linee sostenuto dalle ossessive note del compositore minimalista Julius Eastman, secondo uno schema di continue evoluzioni dei performer, che si raggruppano, si intrecciano, si disperdono senza però trovare vie di fuga. Responsabilità individuali e comportamenti di gruppo, in una visione rigorosamente egualitaria della collettività.

data di pubblicazione:11/09/2024


Il nostro voto: