FALSTAFF ED IL SUO SERVO di Nicola Fano ed Antonio Calenda, da William Shakespeare – regia di Antonio Calenda

FALSTAFF ED IL SUO SERVO di Nicola Fano ed Antonio Calenda, da William Shakespeare – regia di Antonio Calenda

(Teatro Argentina – Roma, 7/12 gennaio 2020)

Un puzzle teatrale per raccontare a tutto tondo il Falstaff shakespeariano, ovvero vizi e virtù del grasso, spiritoso e vecchio cavaliere sir Falstaff, presente nell’Enrico IV e della Bisbetica domata. Lo spettacolo Falstaff e il suo servo andato in scena al Teatro Argentina di Roma dal 7 al 12 gennaio 2020, su drammaturgia composta da Antonio Calenda e Nicola Fano e regia dello stesso Calenda ha come protagonisti Franco Branciaroli nei panni di Falstaff e Massimo De Francovich che gioca invece il ruolo scomodo di servitore-controllore e voce della coscienza.

 

Franco Branciaroli in un costume che lo arrotonda in maniera esasperata fa del suo sir Falstaff un uomo alle prese con l’età, ma di grande vitalità e simpatia, che non si dà per vinto, pur sapendo alla fine di dover capitolare. Massimo De Francovich è il suo grillo parlante, longilineo ed elegante. E’ un conflitto filosofico e tragicomico in cui il Servo cerca di assumere il ruolo di regista demiurgo mentre Falstaff rifugge da quello di vittima sacrificale al crudele gioco della vita e degli eventi.

Benché Shakespeare gli abbia dedicato da protagonista soltanto “Le allegre comari di Windsor”, Falstaff rimane uno dei suoi personaggi più amati che non passa in secondo piano rispetto ai grandi protagonisti del suo teatro.

E’un Falstaff gaudente, che ama la vita ed i piaceri, eccessivo, smodato, gran bevitore, ma segnato da una sottile vena di malinconia perchè ormai prossimo alla fine della sua parabola esistenziale. A lui si contrappone il servitore austero, non un suo subordinato ma piuttosto una sorta di alter-ego, con il quale confrontarsi e con cui trarre un bilancio della propria esistenza.

Nel rapido susseguirsi di flash back degli episodi chiave della propria esistenza, Falstaff si trova accanto i personaggi storici che Shakespeare gli aveva messo accanto: le comari di Windsor, l’Ostessa, ma anche i compagni di bevute ed i soldati che lo isseranno sul un grande cavallo dal quale egli cadrà definitivamente nella polvere, senza gloria, per una guerra inutile da combattere.

Sono evocate tutte le avventure di quest’uomo che confonde i piaceri con la natura, la furbizia con il caso, rielaborate in chiave contemporanea per raccontare l’eterno conflitto tra Caso e Ragione.

Una rilettura classica per un teatro moderno e di sostanza, decisamente piacevole grazie alla intelligente regia di Calenda ed alla straordinaria prova dei due protagonisti, accompagnati da quattro giovani attori che si calano efficacemente nei vari ruoli, ovvero Valentina Violo (Madame Page e Prostituta), Valentina D’Andrea (Madame Ford e Ostessa), Alessio Esposito (Page e Bardolfo), e Matteo Baronchelli (Ford e Francis) compagni d’avventura in questo rapido piano sequenza che si conclude con la morte, anche essa un po’ sui generis, grazie all’ultimo sberleffo del suo protagonista, sempre più antieroe ma anche mito, per la sua voglia di gustarsi fino all’ultimo la bellezza della vita terrena.

data di pubblicazione:14/01/2020


Il nostro voto:

FRONTE DEL PORTO di Budd Schulberg, traduzione e adattamento Enrico Ianniello, regia Alessandro Gassmann

FRONTE DEL PORTO di Budd Schulberg, traduzione e adattamento Enrico Ianniello, regia Alessandro Gassmann

(Teatro Argentina – Roma, 3/15 dicembre 2019)

In Fronte del porto, in scena al Teatro Argentina di Roma dal 3 al 15 dicembre, Alessandro Gassmann dirige Daniele Russo e altri 10 attori in una riscrittura tratta dall’omonima opera di Schulberg e dalla sceneggiatura del celebre film di Elias Kazan (interpretato da Marlon Brando), curata da Enrico Ianniello, traduttore e autore dell’adattamento.

Rispetto alla versione originale ambientata nell’inferno della malavita portuale degli Stati Uniti degli anni ‘50, la vicenda è trasposta nella Napoli degli anni ’80 o meglio nel porto di Napoli, centro di interessi diversi, legali e illegali tra caporalato, soprusi e gestione violenta del mercato del lavoro, dove il sistema malavitoso sfrutta gli operai, gestendo il lavoro e condannandoli ad uno schiacciante silenzio.

Nessuno osa ribellarsi, nessuno osa denunciare per non pagare di persona: meglio vivi che eroi. Sono questi i pensieri di un padre (Bruno Tràmice) di fronte al cadavere del figlio, fatto precipitare dal tetto perché avrebbe denunciato i camorristi. E’ parte in causa di questo omicidio, suo malgrado, Francesco Gargiulo (un veramente bravo Daniele Russo), combattuto tra la fedeltà al fratello, braccio destro del boss (Edoardo Sorgente) e l’amore per la sorella della vittima (Francesca De Nicolais).

Sin da subito si delinea la divisione tra i personaggi sulla scena: da un lato le vittime del sistema ovvero la famiglia e gli amici di Giuseppe, sottomessi al sistema ma non tutti rassegnati, come Don Bartolomeo (Orlando Cinque) parroco del quartiere e dall’altro lato i cattivi ovvero Giggino Compare e i suoi scagnozzi. Gargiulo è in mezzo tra le continue richieste di favori richiesti dal fratello, fatti di pestaggi e appostamenti e il crescente amore per Francesca a cui vorrebbe raccontare la verità sulla morte del fratello, in cui è stato lui stesso coinvolto. Dovrà alla scegliere il percorso più difficile e doloroso. La dignità alla fine finirà per prevalere unitamente al desiderio di giustizia, legalità e libertà. Fronte del Porto diventa così la voce del riscatto di una comunità che ricerca l’onestà e la verità ma anche di una Napoli degradata che sa risollevarsi proprio con gli umili, guidati anche dalla voce di un Vangelo che predica il coraggio e rivendica la coscienza della propria dignità per sé e per gli altri.

Lo spettacolo è decisamente interessante, recitato in uno slang napoletano misurato ed efficace che cattura l’attenzione del pubblico sin da subito grazie al profondo lavoro realizzato da Enrico Ianniello. Alessandro Gassman ha composto la regia usando in maniera intelligente luci, ombre,  musiche ed un impianto scenografico veramente di grande effetto, ma soprattutto lavorando sulla caratterizzazione dei personaggi e del quadro di insieme (molto bravi tutti gli attori) regalandoci un affresco della vita del porto malinconico e doloroso, ma al contempo pulsante di vita e di speranza. Applausi meritati.

data di pubblicazione:10/12/2019


Il nostro voto:

SEI  Compagnia Scimone Sframeli

SEI Compagnia Scimone Sframeli

(Teatro Vascello – Roma, 3/8dicembre 2019)

In scena al teatro Vascello di Roma del 3 al all’8 dicembre 2019 Sei, adattamento che la Compagnia siciliana Scimone Sframeli ha realizzato dei Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello. Scimone e Sframeli sono artisti molto amati e pluripremiati in Italia così come all’estero.

 

 

Per la prima volta si misurano con Pirandello e con i Sei personaggi in una versione che dopo una lunga tournée, arriva finalmente a Roma. Una versione più essenziale, in cui il testo è sfrondato e semplificato,  in cui si è ridotto il numero dei personaggi, con l’eliminazione o l’aggiunta di scene e dialoghi, sostituzione di  qualche termine linguistico, ma senza stravolgere la struttura drammaturgica dell’opera originale. La commedia pirandelliana si apre maggiormente verso i rapporti concreti tra le persone. E i due attori registi prendono in mano i poli opposti della vicenda con Spiro Scimone da un lato ad interpretare il capocomico della compagnia in prova mentre Francesco Sframeli, che firma la regia, è un misuratissimo ‘padre’, ovvero il motore colpevole del dramma. Con loro in scena un folto gruppo di bravi e giovani interpreti.

Siamo in un teatro e gli attori di una Compagnia stanno per iniziare la prova di uno spettacolo che, forse, non debutterà mai. Improvvisamente un corto circuito lascia tutti al buio; il tecnico che dovrebbe riaccendere la luce non si trova e la luce arriverà solo con l’apparizione, in carne ed ossa, dei Sei Personaggi rifiutati e abbandonati dall’autore che li ha creati.

I personaggi sono li dietro tra i palchi del teatro dove la compagnia di attori sta provando e dagli stessi scendono in palcoscenico per presentarsi. Il loro desiderio è quello di essere rappresentati, per quello che sono con la loro storia terribile ovvero quella del Padre che nel retrobottega di Madama Pace incontra una bella ragazza che gli si vende, riconoscendosi entrambi con terrore lui e lei – il Padre e la Figliastra non potendo loro stessi neppure riuscire a rappresentare come protagonisti di un dramma che definiscono orrore. I componenti della compagnia, sconvolti da questa improvvisa apparizione, pensano che i “Sei” siano solo degli intrusi o dei pazzi e fanno di tutto per cacciarli via dal teatro. Ma, quando il Padre, inizia il racconto del “dramma doloroso” che continua a provocare sofferenze, tensioni e conflitti familiari, l’attenzione e l’interesse da parte degli attori e del Capocomico, verso i personaggi, cresce sempre di più e l’idea di farli vivere sulla scena diventa sempre più concreta e necessaria.

È una strana partita quella che oppone i due gruppi che si confrontano: gli attori sono fin troppo presi dal loro ruolo e dal proprio ego mentre i personaggi riversano in scena il proprio dramma, vissuto interiormente ma mai esternato fino in fondo, in quanto scomposto nella struttura drammatica e frammentato nella linea temporale. Una partita tra espressione artistica e vita reale tra essere umano e attore, ambedue al centro di una crisi di identità che li attanaglia, messi in crisi da una società e da un’industria culturale sempre più legata al denaro ed ai bisogni materiali.

Una versione intelligente e piacevole che riscopre questo grande autore in una chiave “umoristica”: perché la realtà è a volta assurdamente umoristica. E la piena attualità della versione proposta sta proprio nella modalità leggera e concreta con cui il dramma dell’incomunicabilità e del conflitto tra l’aspirazione a comunicare dei personaggi e l’impossibilità degli attori di dare corpo alla storia sul palcoscenico, viene comunicato e trasmesso.

data di pubblicazione:09/12/2019


Il nostro voto:

ROMA EUROPA FESTIVAL Ritorno a Reims – di Thomas Ostermeier

ROMA EUROPA FESTIVAL Ritorno a Reims – di Thomas Ostermeier

(Auditorium Parco della Musica sala Petrassi – Roma, 20/23 novembre 2019)

Un progetto europeo di ampio respiro quello di Thomas Ostermeier, uno dei più importanti registi tedeschi della scena europea, già presentato con successo in Francia, in Inghilterra e in Germania: il medesimo testo, Ritorno a Reims, tratto dall’omonimo saggio che il sociologo francese Didier Eribon ha pubblicato nel 2009, con una differente riscrittura della drammaturgia in ogni paese europeo in cui viene rappresentato per tener conto della realtà politica e sociale nazionale, in stretta collaborazione con il teatro e gli attori chiamati in causa. Un progetto che in Italia ha visto coinvolto il Piccolo Teatro di Milano e la coproduzione del Roma Europa Festival che ha ospitato lo spettacolo all’interno del Festival dal 20 al 23 novembre, presso l’Auditorium Parco della Musica di Roma.

 

Siamo in uno studio di registrazione e l’attrice Sonia Bergamasco sta lavorando al commento sonoro di un documentario dedicato allo stesso Eribon. Accanto a lei, il regista, interpretato da Rosario Lisma, e l’ingegnere del suono, Tommy Kuti.

Scorrono le immagini e la voce narrante della Bergamasco accompagna il viaggio del filosofo verso la sua città natale, Reims, da cui manca da decenni, da quando ha intrapreso la carriera universitaria, viaggio compiuto per rivedere la madre, rimasta sola a seguito anche della morte del padre con il quale Eribon aveva da tempo troncato ogni relazione.

Da questo ritorno e dall’incontro con la madre prende inizio un percorso a ritroso negli anni dell’infanzia, dell’adolescenza e della gioventù. Eribon ricostruisce la propria storia di figlio di operai, gay, schiacciato dalla doppia discriminazione, sociale e sessuale, ripercorrendo le proprie scelte ed i conseguenti gradi di separazione adottati verso i familiari e verso la politica.

Nel confronto con il passato, Eribon si scontra con i lati oscuri della società contemporanea, il declino delle ideologie e le delusioni delle classi borghesi e proletarie che hanno portato all’avanzata della destra populista del Front National, traendo spunto dalla vita privata per raccontare la Francia contemporanea.

Ritorno a Reims è la storia di un distacco durato per 20 anni e di una riconciliazione con il passato e con la madre che di li a poco morirà, mentre il treno corre e rivivono gli scorci di fabbriche e case popolari oramai in abbandono. Ma non c’è solo una storia da raccontare in quello studio di registrazione; ad essa si sovrappone il presente e le storie dei tre personaggi che portano in scena se stessi: Sonia, Rosario, Tommy. Parallelamente alla vicenda di Eribon dunque c’è il loro vissuto personale ed inevitabilmente nascono domande alla vista di spezzoni di realtà passata e recente. Che fare per cambiare le cose? Cosa fa e cosa può fare ognuno di noi?

Ed ecco allora che anche le immagini proiettate si sovrappongono ed i confini della storia si allargano. Passano fotogrammi di dimostrazioni, pro e contro, si scorge l’immagine di Mitterrand alla prima elezione come Presidente della Repubblica francese, ma poi si individua il volto di Berlinguer, la situazione italiana, con filmati storici e gli ideali del ‘68, fino a una deriva sempre più a destra, sostenuta dalle classi cosiddette operaie e meno agiate, l’ascesa della Lega e i cortei contro Salvini.

Che fare, dunque? Se lo chiede la bravissima Sonia Bergamasco, se lo chiede il regista Rosario Lisma, se lo chiede il Tecnico del suono Tommy Kuti, che si dichiara nigeriano-italiano, e porta il suo vissuto di emigrato nero e di rapper. E il pubblico viene coinvolto in prima persona.

Tutti personaggi in cerca di identità, perché nessuno può tirarsi fuori e la responsabilità è di tutti..

Ed all’interrogativo su cosa ognuno di noi può fare per evitare tutto questo, Rosario Lisma risponde mostrando su youtube il video registrato a Mazara del Vallo, quando in aprile aveva parlato ai suoi concittadini in risposta a un comizio di Salvini.

Lo spettacolo è finito ed il messaggio è arrivato forte e chiaro: potrà essere certamente considerato di parte, ma è la voce di una coscienza che non può più far finta che sia solo una rappresentazione.

data di pubblicazione:26/11/2019

PARASITE di Bong Joon-ho, 2019

PARASITE di Bong Joon-ho, 2019

Parasite di Bong Joon-ho vincitore della Palma d’oro al 72° Festival di Cannes è un film straordinariamente interessante e spiazzante. Una storia basata sullo scontro-incontro tra classi sociali ambientata a Seul, una commedia sociale nera con due famiglie protagoniste, una poverissima ma astuta e l’altra ricchissima e più ingenua, le cui vicende finiscono per intrecciarsi, secondo una serie inarrestabile di accadimenti ed imprevisti che toccano più tematiche e più generi, generando un affresco grottesco ed armonico al tempo stesso, perfettamente unico, dove ogni tassello ha un senso ed una identità. Straordinaria la colonna sonora del giovanissimo compositore Jung Jaeil in grado di enfatizzare le varie anime di questo capolavoro.

 

 

Ki-woo vive in un angusto appartamento sotto il livello della strada con i suoi genitori, Ki-taek e Chung-sook, e la sorella Ki-jung, sono molto uniti ma vivono di espedienti. Improvvisamente arriva l’opportunità: un amico gli offre la possibilità di sostituirlo come insegnante d’inglese a domicilio per la figlia di una ricca famiglia. E’ un lavoro ben pagato, in una villa meravigliosa e così improvvisamente il ragazzo entra in contatto con ricchezza e benessere. Ki-woo ne è talmente entusiasta che, scaltramente riesce a far entrare all’interno della villa tutti i suoi familiari con false identità, dapprima la sorella come insegnante di educazione artistica per il figlio più piccolo, poi il padre come autista e poi la madre come domestica insinuandosi ancor più in profondità nella vita della famiglia benestante. Le due famiglie non sanno, però, che questo incontro è solo l’inizio di una storia drammatica, che porterà i Kim a introdursi sempre più nella routine dei Park, come un parassita fa con un organismo estraneo. Le due famiglie e le due realtà entreranno in una strana commistione che produrrà effetti inaspettati e devastanti.

Nell’era delle esasperazioni dei contrasti sociali, Parasite è un’eccellente lettura del nostro tempo, che Bong Joon-racconta in forma allegorica, alternando commedia, tensione e melodramma, attraverso un appagante cocktail di generi che va dalla commedia nera al dramma sociale, passando per il thriller ed il sentimentalismo. Il tutto in continuo divenire, attraverso salti e citazioni, densità e leggerezza, estetismo e splatter, senza tregua. Una vicenda apparentemente grottesca, originalissima ed efficace, in grado di descrivere con eccellente verosimiglianza le tristi dinamiche dell’ultima fase del capitalismo contemporaneo.

Parasite è in fondo una commedia senza risate, una tragedia senza veri cattivi, dove tutto porta ad un precipizio di violenza; ma quelle scale che scendono verso il baratro diventano poi anche simbolo di risalita ed espiazione cosi come la mistica inondazione che arriva improvvisa, trascinando e devastando, ma alla fine anche purificando da ogni scoria.

A Cannes il film ha vinto la Palma d’oro, mettendo d’accordo tutti i nove giurati guidati da Alejandro González Iñárritu.

Parasite è uscito all’inizio di giugno nelle sale coreane ottenendo risultati straordinari che si stanno ripetendo un po’ dovunque nel mondo. Da vedere il prima possibile.

data di pubblicazione:07/11/2019


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