da Rossano Giuppa | Mar 18, 2022
(Auditorium Parco della Musica – Roma, 15/20 marzo 2022)
In scena alla Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica di Roma in prima nazionale L’attesa per la regia di Michela Cescon con in scena Anna Foglietta e Paola Minaccioni. Due donne, una nobildonna ed una domestica, Cornelia e Rosa, condividono una convivenza forzata ed indesiderata. La nobile deve nascondere agli occhi di tutti una gravidanza conseguenza di un rapporto occasionale, ha un matrimonio in vista, siamo nel ‘700, e non ha alternative. Anche la serva è nelle medesime condizioni ed ad entrambe tocca l’isolamento. La separazione dall’esterno è dura, il tempo è immobile, mentre i corpi si modificano.
Michela Cescon dopo essersi misurata nella sua prima regia teatrale con la trasposizione scenica dell’ultimo romanzo di Alberto Moravia La donna leopardo, sceglie di portare in scena L’Attesa di Remo Binosi, testo che ha fatto conoscere l’autore veneto al grande pubblico, permettendogli di conquistare il “Biglietto d’oro Agis” come migliore novità teatrale italiana nel 1994.
Il dramma è costruito attorno a due donne che vengono allontanate e rinchiuse per nove mesi per nascondere una gravidanza. Si racconta una clausura, un’impossibilità ad uscire e vivere, una condivisione non solo di spazi quasi claustrofobici, ma anche di dolori e sentimenti. In tale contesto il gioco isterico padrona serva non può reggere a lungo, gli equilibri pian piano si ribaltano, la debolezza e la forza si alternano e si annientano a vicenda mentre l’elaborazione del dolore condiviso diviene l’elemento che dà forza ad entrambe, soprattutto quando poi si scopre di essere molto più simili di quanto si potesse inizialmente immaginare. L’affetto che le lega allora diventa profondo.
Il testo di Binosi ha una grande forza drammatica e di coinvolgimento e nonostante l’azione sia ambientata in un’epoca lontana i temi e i contenuti sono estremamente attuali. La mano registica della Cescon segue con attenzione l’evoluzione del rapporto tra le due donne e la loro distanza sociale, lavora sulla diversa fisicità tra l’essere serva o padrona, ricostruisce la dignità delle due donne attraverso l’accettazione del dramma comune: il colpevole seduttore Casanova, la negazione e accettazione della maternità, la sofferenza del parto, il legame morboso che alla fine le unisce.
Le straordinarie Anna Foglietta e Paola Minaccioni sono semplicemente vere, emozionano. Il linguaggio è originale e sorprendente, desrammatico ma con naturali sprazzi di vis comica che coinvolgono.
Costumi, luci e allestimento enfatizzano ancora di più questo racconto tutto al femminile, un racconto sul corpo femminile e sulla punizione per il desiderio, un racconto sulla forza di scoprirsi madre, amica, complice, donna.
data di pubblicazione:18/03/2022
Il nostro voto:
da Rossano Giuppa | Feb 26, 2022
(Teatro India – Roma, 22/27 febbraio 2022)
In scena al Teatro India di Roma Destinazione non umana, nuovo spettacolo scritto e diretto da Valentina Esposito con la Compagnia Fort Apache Cinema Teatro, che vede coinvolti attori, performer ed ex detenuti formatisi all’interno delle carceri di provenienza ed oggi, professionisti di cinema e palcoscenico. Sette cavalli da corsa oramai vecchi e malandati condividono gli ultimi crudi momenti di un’esistenza fatta di fugaci attimi di esaltazione a fronte di dolore e sopraffazione, nel solco di una predestinazione che è per loro condanna e morte straziante.
Torna a distanza di tre anni al Teatro India di Roma la drammaturga e regista Valentina Esposito e la sua meravigliosa factory Fort Apache Cinema Teatro. A gennaio 2019 ci aveva sorpreso e commosso con lo spettacolo Famiglia, foto ricordo di una famiglia con le sue tre generazioni tra vivi e morti riunite il giorno del matrimonio dell’ultima e unica figlia femmina, testimonianza di un’umanità marginale, perdente che cannibalizza e divora affetti e sentimenti.
Con Destinazione non umana Valentina Esposito colpisce ancora di più al cuore con la drammatica storia dell’ospizio prigione per ex cavalli da corsa, cavalli pensanti, esseri sopraffatti e mai liberi, vittima ognuno di un destino imposto dall’essere pensante per eccellenza, l’uomo, la magnifica creatura che lo ha fatto nascere senza amore, lo ha privato di sentimenti, drogato e seviziato, facendolo sentire apparentemente invincibile, per poi costringerlo ad una fatiscente reclusione in attesa di essere smembrato e venduto a pezzi al migliore offerente.
In scena tanti attori straordinari (ex detenuti e non) che danno vita al dramma: uno spettacolo che prova a scandagliare l’anima dei personaggi facendo perno anche sulla sofferenza legata ai lunghi anni di reclusione affrontata da molti di loro. Ecco allora i ricordi sbiaditi di corse e inseguimenti, di anfetamine e veleni, di inseminazioni artificiali ed uteri in affitto, di amori non vissuti, in nome di un gioco e di una corsa stupida e senza senso. Ci si ritrova così vecchi e zoppi, malati e storditi in attesa del supplizio.
Un teatro mistico e ancestrale, fatto di dolore e polvere, di imbracature e pastelli, scandito dal rumore di frustini e catene ma anche dal suono di nenie e dialetti, forte di una coralità estrema, di fotogrammi intensissimi, un teatro voce degli ultimi e dei deboli, una poesia sulla dignità dell’esistenza che va riconosciuta a tutti.
data di pubblicazione:26/02/2022
Il nostro voto:
da Rossano Giuppa | Gen 23, 2022
(Teatro India – Roma, 9/23 gennaio 2022)
In scena al Teatro India di Roma Darwin Inconsolabile (un pezzo per anime in pena)scritto e diretto da Lucia Calamaro con Maria Grazia Sughi, Riccardo Goretti, Gioia Salvatori e Simona Senzacqua.Maria Grazia, ottantenne artista performativa, mette in scena la rappresentazione della sua inevitabile morte, o presunta tale, per cercare di attirare l’attenzione dei suoi tre figli. Una storia di una famiglia in cui riconoscere le nevrosi e gli stili di vita della nostra quotidianità, raccontata con pungente ironia e forte empatia, senza giudizi o prese di posizione ma con grande umanità (foto Laura Farneti)
Darwin inconsolabile è l’ultima interessantissima pièce di Lucia Calamaro, drammaturga, attrice e regista di fama internazionale, in scena al Teatro India fino al 23 gennaio.
Darwin è un nome-metafora, ossia l’evoluzione ed involuzione della specie umana, così come inconsolabile è l’aggettivo-metafora e dei personaggi in scena: l’inconsolabilità della madre viene dal sentimento di solitudine, che si contrappone all’indifferenza o al presunto sapere dei figli.
Si inizia in un supermercato con due carrelli colmi di acquisti, con gli animi già esasperati. La spesa in sé e le connessioni sottostanti aprono svariati vasi di Pandora. Uno dopo l’altro i tre fratelli, (Riccardo Goretti, Simona Senzacqua e Gioia Salvatori), discutono animatamente tra loro e con la madre, si allontanano e si avvicinano, fuggono. Rimane Maria Grazia Sughi, madre artista visivo-performativa che progetta una “tanatosi”, finta morte praticata da alcuni animali per difendersi dai predatori, allo scopo di riavvicinare i figli a sé. È una morte imminente di crepacuore, quella che annuncia, a cui quasi nessuno sembra credere veramente, tranne Gioia, vittima di un rapporto irrisolto con la madre.
I fratelli si scontrano, ciascuno scaricando sugli altri i propri tormenti esistenziali, tra cui l’astio per una madre bugiarda e lontana, infelici nella componente affettiva ed incapaci di individuare il proprio ruolo e la propria dimensione nel contesto che li circonda.
Nell’appartamento dove la madre si appresta a recitare la propria dipartita, si accatastano intanto le opere della gioventù di Maria Grazia da lei richieste al suo fianco per accompagnarla nel viaggio che l’attende. È proprio in questo luogo sulla soglia, di passaggio, che restano per un lungo tempo da soli Gioia, Riccardo e Simona, a vivisezionare il loro rapporto, ciò che non li lega più e a rinfacciarsi le rispettive mancanze avute nei confronti della madre. Riccardo è un frustrato maestro elementare e soffre da sempre la gravità della componente femminile, Simona è la madre matura e ostetrica, ambientalista irrisolta e confusa, Gioia invece, solo con la morte annunciata della genitrice si rende conto di essere una sorella, non si era infatti mai percepita tale. Con scrupolosa analisi, ricercatezza di metafore e indagine speculativa, passano in rassegna la loro esistenza giungendo a parlare di un inedito manoscritto di Darwin de L’Origine della specie, consegnato da un amico a Maria Grazia in persona, durante una delle sue avventure artistiche e sentimentali, divenuto per loro manuale di vita. Peccato che si tratti di un falso, come confessa la madre, da lei stessa redatto.
Nessuno dei tre figli accetta che la madre abbia loro comunicato che il suo cuore non regge più, è stanco, e potrebbe morire. Quando? Non si sa, ora come domani, ciò che conta è la consapevolezza della precarietà, della fine. Potrebbe esser un monito, un richiamo, un avvertimento, una metafora spiega la regista. “Una madre che simboleggia il pianeta? Forse. Dei figli che simboleggiano noi? Può essere. Ma nessuno, di certo la bontà. Né la colpa. O il destino. Nessuno è vittima. Tutti sono creatura e natura, e hanno le loro strategie di sopravvivenza predatorie”.
data di pubblicazione:23/01/2022
Il nostro voto:
da Rossano Giuppa | Gen 5, 2022
(Teatro Argentina – Roma, 27 dicembre 2021/6 gennaio 2022)
In scena al Teatro Argentina di Roma La vita davanti a se’, versione teatrale tratta dal romanzo omonimo di Romain Gary, già sullo schermo con protagonista Sophia Loren, con Silvio Orlando nelle vesti di protagonista, regista e sceneggiatore. Il bravissimo e coraggioso Orlando ci conduce dentro le pagine dello straordinario romanzo , diventando Momò, un bimbo arabo di 10 anni, abbandonato e segnato da un’infanzia triste e difficile (foto di Salvatore Pastore).
La vita davanti a sé è la storia di Mohammed, soprannominato Momò, ragazzino arabo allevato e cresciuto in un appartamento al sesto piano di una palazzina fatiscente nel quartiere di Belleville a Parigi da Madame Rosa, una vecchia signora ebrea scampata ai campi di concentramento, che per vivere si occupa di crescere i figli delle prostitute che per legge non possono tenerli con sé ricevendo mensilmente un mandato di pagamento per il loro mantenimento.
Momò è intelligente, intraprendente ed assetato di affetto in mezzo ad altri bambini abbandonati come il piccolo Moise, tra il gestore di prostitute Monsieur N’Da Amèdèe, il dottor Katz che cura Madame Rosa e minaccia di portarla in ospedale, Madame Lola ex boxeur senegalese divenuto prostituta richiestissima nelle banlieux parigine.
Un giorno bussa alla porta un omino che è appena uscito dal manicomio criminale dove è stato rinchiuso per molti anni con l’accusa di omicidio: si tratta del padre di Momò che vuole riaverlo con sé. Madame Rosa si oppone e l’uomo muore per una crisi cardiaca. Ma la salute della donna peggiora e di lì a poco morirà tra le braccia di Momò che la veglierà per giorni interi dopo averla cosparsa di profumo e truccata un’ultima volta.
Il romanzo è stato più volte adattato per il cinema e il teatro. Nel 1977 è stato infatti trasposto nell’omonimo film per la regia di Moshè Mizrahi con una immensa Simone Signoret nel ruolo di Madame Rosa, Oscar come miglior film straniero nel 1978. Su Netflix ne è stata proposta un’altra versione sceneggiata da Ugo Chiti e Edoardo Ponti che ne cura anche la regia proprio con Sophia Loren nei panni di Madame Rosa.
La vita davanti a sé ha la potenza dei grandi romanzi che hanno la capacità di prestarsi a diverse interpretazioni e Silvio Orlando riesce a coglierne tutte le sfumature e l’attualità. La convivenza tra diverse culture, il dolore e la precarietà di una vita che non trova equilibri facili e scontati, le controversie dei ceti sociali più poveri, l’emigrazione, la prostituzione, l’istinto di sopravvivenza.
Il racconto diviene un io narrante attraverso lo straordinario lavoro di adattamento e regia condotto, in grado di immergere lo spettatore nel racconto con leggerezza ed ironia, restituendo tutti i sentimenti di un bambino adulto a dispetto dell’età e del dramma che vive, consapevole si delle difficoltà della vita e bisognoso di affetto, ma già grande nei pensieri e nelle azioni.
Una scelta efficace proprio perché il romanzo diventa quasi magico attraverso la carrellata di tutti personaggi interpretati o evocati in scena ed attraverso un uso magistrale della parola e della musica, grazie alla scelta intelligente di avvalersi di grandi musicisti dell’Orchestra Terra Madre che con le loro armonie etniche hanno enfatizzato i momenti salienti della rappresentazione che si è conclusa con un fuoriprogramma che ha visto un ensemble con lo stesso Silvio Orlando al flauto.
data di pubblicazione:05/01/2022
Il nostro voto:
da Rossano Giuppa | Nov 23, 2021
(Teatro India – Roma, 19/21 novembre 2021)
In scena per soli tre giorni al Teatro India di Roma Tiresias, spettacolo di Giorgina Pi e Bluemotions con Gabriele Portoghese (Foto di Claudia Pajewski). Le parole del poeta, rapper e performer Kate Tempest racchiuse in Hold your own / Resta te stessa prendono vita nella performance del mito dell’indovino Tiresia: la storia si rifà ad una delle tre versioni di Apollodoro che raccontano il mito della cecità di Tiresia, reso cieco dall’ira di Era e fatto dono della veggenza da Zeus.
Il dramma che diventa forza, a metà tra l’umano ed il divino. Tiresia ha vissuto più vite in una: è stato prima uomo, poi donna, poi di nuovo uomo ed è l’unica persona capace di rispondere all’interrogativo di Giove ed Era, ovvero chi provi più piacere tra uomo e donna. Proprio la sua risposta a favore dell’uomo genera l’ira della dea e darà origine alla sua cecità che però diventa anche un potere grazie a quanto donatagli a parziale compenso da Giove. Pagando con la cecità il privilegio di conoscere e dire il vero, l’indovino vive da sempre fino in fondo forme e situazioni diverse, con la capacità di guardare dentro alle cose della vita senza sfuggire alla loro verità, anche se sa che il suo destino è quello di non essere ascoltato e creduto. Gli fanno eco e compagnia, suoni e voci di un tempo lontano e prossimo, provenienti da un dj set che mixa misteriosi e simbolici vinili le cui copertine recano impresse solo le grandi iniziali del nome di Tiresia.
Questo Tiresia postmoderno e apocalittico, la cui vicenda attraversa il femminile e maschile ricomprendendole entrambe, vuole rappresentare l’umanità che chiede di essere ascoltata e accolta. La voce della rivendicazione dell’identità, basata su specificità e differenze, siano esse di genere, di età, o di altre vite trascorse.
Un lungo ed intenso racconto che alterna momenti di parlato ad attimi musicali durante i quali il bravissimo Gabriele Portoghese incarna il Tiresia ragazzino, il Tiresia donna, il musicista, il cantante, l’affabulatore che ripercorre tutta la storia dell’indovino, fino alla sua terribile condanna/salvezza.
E Kate Tempest lo osserva e lo racconta nel suo eterno vagare: sia stato maschio e femmina, giovane e vecchio, che conosce la vergogna di un’adolescenza dolorosa, ma anche la passione della maturità.
Ancora una volta il collettivo Bluemotion ci conquista con uno spettacolo che va oltre: una regia, quella di Giorgina Pi, che premia molto gli elementi scenici, pochi, essenziali, simbolici ma funzionali alla storia, tre nomination agli imminenti premi Ubu, pubblico entusiasta; il racconto della metamorfosi che è anche il racconto delle nuove generazioni.
Nonostante la storia millenaria del mito, quello di Tiresia è ancora oggi attuale, stante la necessità di qualcuno che ci indichi la via, la strada da percorrere, ciò che si dovrebbe fare e ciò che dovrebbe essere vissuto.
data di pubblicazione:23/11/2021
Il nostro voto:
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