NEVER YOUNG un progetto di Biancofango

NEVER YOUNG un progetto di Biancofango

(Teatro India – Roma, 13/17 novembre 2024)

La compagnia Biancofango ha portato in scena dal 13 al 17 novembre al Teatro India, Never young, una docu-performance che dà voce ai giovani ed alle giovani Lolita, la nuova generazione che cerca di interfacciarsi con il mondo degli adulti, giocando a fare i grandi per anticipare il domani (foto Arianna Romagnolo).

Né bambini, né adulti: siamo nella preadolescenza, fase esistenziale complessa e multiforme. Never young è la seconda parte di un dittico che lavora sulla figura di Lolita nel tentativo di osservare e comprendere quella fascia generazionale che vive un presente articolato, composito e agitato, fatto di web, di tecnologia e solitudine, di disinibizione e fragilità. E Lolita è quell’insieme di mille contraddizioni e di troppa curiosità da e verso il mondo degli adulti.

Con Never young la compagnia Biancofango, da sempre impegnata in una scrittura scenica che esaspera il rapporto parola corpo, si dedica a vivisezionare la fragilità, la sfrontatezza, lo smarrimento, il desiderio di emancipazione dei nuovi adolescenti e preadolescenti.

Da queste riflessioni prende forma drammaturgica la pièce, firmata da Andrea Trapani e Francesca Macrì, anche regista dello spettacolo, che si dipana attraverso cinque quadri scenici, in cui confluiscono storie di adolescenti, in grado per restituire uno spaccato della società e del nostro Paese.

La prima sezione è dedicata alla storia della nostra Italia dagli anni 90 ad oggi, da Norberto Bobbio a Non è la Rai, da Umberto Eco a Berlusconi, dal Mulino Bianco a Le interviste barbariche; la seconda sezione presenta un dialogo sulla relazione corpo e sessualità; la terza è un’indagine sulla sessualità dell’adolescenza e della preadolescenza; nella quarta sezione uomini e donne anziani si confrontano su cosa rappresenta la sessualità oggi mentre la quinta sezione è dedicata all’infanzia perduta.

Un palcoscenico composito in cui si affrontano generazioni, immagini, sensazioni, passato e futuro dentro il quale tutti i protagonisti, senza ordine di età, sentono il bisogno di affermare il proprio essere e la propria identità.

data di pubblicazione:16/11/2024


Il nostro voto:

LA VEGETARIANA di Daria Deflorian

LA VEGETARIANA di Daria Deflorian

(Romaeuropa Festival 2024)

Dal 29 ottobre al 3 novembre il Romaeuropa Festival ha presentato al Teatro Vascello di Roma in prima mondiale La Vegetariana, con la regia di Daria Deflorian, tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice sudcoreana Han Kang premio Nobel per la letteratura 2024. Protagonista è Yeong-hye, una giovane casalinga priva di slanci che ha sposato un uomo mediocre. Un giorno la ragazza butta via tutta la carne dal congelatore e annuncia che d’ora in poi diventerà vegetariana, dopo aver fatto un sogno. E’ l’inizio di una crisi familiare e di un percorso di metamorfosi e distacco (foto Andrea Pizzalis).

Grandissimo successo per il nuovo lavoro di Daria Deflorian, tornata al Romaeuropa Festival in veste di regista e attrice per portare in scena insieme a Monica Piseddu, Paolo Musio e Gabriele Portoghese La Vegetariana, ovvero il dramma di Yeong-hye e della sua presa di posizione radicale ed irrazionale di non mangiare, cucinare e servire carne. È il primo stadio di una metamorfosi, un percorso di sublimazione distruttiva che arriva al desiderio di diventare essa stessa una pianta, tra l’irritazione sconcertata del marito, l’esaltazione artistica del cognato e la consapevolezza addolorata della sorella. Uno scorcio di appartamento spoglio fa da bozzolo ad una transizione dal regno animale a quello vegetale, una nuova forma di vita che è un allontanamento dalla società e dalle sue regole. Yeong-hye non vuole essere dannosa, non vuole smettere di vivere, vuole solo cambiare il modo di vivere.

Uno spettacolo essenziale e rarefatto fatto di narrazione e simbologia, di tagli netti di luce e di coni d’ombra, di suoni ripetitivi e ossessivi, un ambiente metafisico in cui prendono vita le inquietudini della protagonista. Gli attori sono personaggi, ma interpretano anche la gamma di opinioni: incredulità, desiderio, dolore.

L’evoluzione di Yeong-hye non può essere compresa da chi le sta attorno, ma ha il potere di scuotere le fondamenta della loro esistenza. È l’incapacità di accettare l’altro nella sua unicità, di riconoscere la scelta di Yeong-hye come legittima e necessaria.  Il percorso di Yeong-hye è una discesa verso una forma di libertà assoluta, una libertà che passa attraverso la negazione di tutto ciò che è umano e di tutto ciò che la lega a quel mondo. È una ricerca di un’essenza pura che è anche un tentativo di sottrarsi e alle imposizioni della società ed alle sue regole di appartenenza.

La Vegetariana è uno spettacolo che colpisce per la sua intensità emotiva e per la sua ineccepibile estetica, capaci di mettere a fuoco il tema del rispetto dell’identità e del significato di libertà ed al contempo di quanto sia caro il prezzo da pagare per essere realmente se stessi.

data di pubblicazione:04/11/2024


Il nostro voto:

ROBERTO ZUCCO – Giorgina Pi Bluemotion

ROBERTO ZUCCO – Giorgina Pi Bluemotion

(Roma Europa Festival 2024)

Dal 25 al 27 ottobre il Roma Europa Festival ha ospitato al Teatro Vascello di Roma in prima nazionale Roberto Zucco, un’opera tratta dall’omonimo testo di Bernard-Marie Koltès con regia, sceneggiatura e adattamento a cura di Giorgina Pi, ispirato alla vera storia di Roberto Succo, giovane originario di Mestre, che dopo aver barbaramente ucciso i genitori, evase dal carcere e, nonostante fosse inseguito dalla polizia di tre stati, riuscì a perpetrare una serie di altri crimini, prima di venire nuovamente catturato e suicidarsi in carcere (foto Greta de Lazzaris).

Dopo Kae Tempest, Caryl Churchill, Pasolini, Giorgina Pi si confronta con Bernard-Marie Koltès e con il suo Roberto Zucco, testo postumo che ha al suo centro il tema della ineluttabilità della spirale della violenza legata al disagio ed al male di vivere.

Giorgina Pi regista e attivista, fa parte del collettivo artistico Angelo Mai e con il gruppo Bluemotion realizza spettacoli che coniugano il lavoro sui testi teatrali alla riscrittura contemporanea, alla ricerca visuale ed alla musica dal vivo.

Il testo prende spunto da un fatto di cronaca: l’autore trasporta sulle scene le gesta violente dell’italiano Roberto Succo, mandato in prigione a diciotto anni per aver ucciso i suoi genitori, poi evaso, inseguito dalle polizie di tre stati, ma implacabile nella sua attività criminale. Bernard-Marie Koltès, unanimemente considerato un gigante della drammaturgia europea del Novecento, ne fa il racconto drammatico di una gioventù bruciata. Una storia di quasi quarant’anni fa profondamente attuale, un dramma attraverso gli occhi di un eroe negativo, un racconto che corre inesorabile verso la morte, in cui nessun personaggio ha possibilità di salvezza o redenzione.

La vicenda è ambientata nel Sud della Francia in una provincia che tanto ricorda una Parigi fosca e libertina, luogo di disperazione, violenza e carnalità. Luoghi reali e simbolici, dove gli uomini si sentono predatori e le donne vittime alla ricerca di una difesa o di una via di fuga. Un gioco al massacro dove non si ha più nulla da perdere.

Il linguaggio del dramma è essenziale e vivisezionato. I dialoghi e le scene si susseguono, quasi fotogrammi sfocati di un discorso a singhiozzo, raccontano di violenza in sequenza, in uno stile asciutto e senza enfasi che si espleta inesorabile nei confronti del prossimo, della famiglia, di se stessi.

Bravi gli attori, interessanti i costumi, straordinarie le luci e l’ambiente sonoro di un girone dantesco metropolitano, dove il male è sopravvivenza e condanna. Tutto si sgretola, forse è la morte la pace.

data di pubblicazione:30/10/2024


Il nostro voto:

LUCE di Silvia Luzi e Luca Bellino, 2024

LUCE di Silvia Luzi e Luca Bellino, 2024

(ALICE NELLA CITTÁ 16-27 ottobre 2024)

Alla XXIIa edizione di Alice nella città è stato presentato, il 19 ottobre all’Auditorium Conciliazione nella Selezione Ufficiale, Fuori Concorso, il film Luce, opera seconda di Silvia Luzi e Luca Bellino, interpretato da Marianna Fontana, in anteprima italiana dopo essere stato in Concorso al Festival di Locarno. Una ragazza ed una voce al telefono, in un paese dell’entroterra campano freddo e impervio. Una connessione nell’etere che lega due persone, un padre e una figlia, separati e imprigionati in due contesti diversi ma terribilmente simili.

Una ragazza, durante una cerimonia di famiglia, nota un drone che sta filmando la festa e pensa di poterlo utilizzare per inviare un telefonino al padre, in carcere da diverso tempo. L’operazione le permette così di ritrovare una relazione perduta. Quella voce diventa l’unica presenza viva all’interno di un contesto difficile in cui si muove la ragazza, bisognosa di crearsi un immaginario per riuscire a sostenere un’esistenza densa di difficoltà.

Il soggetto alla base di Luce è davvero di grandissima forza, così come alcuni dialoghi tra i due personaggi principali. Il confine tra vero e falso è particolarmente sottile all’interno del racconto dove l’universo della prigione viene associato a quello della fabbrica in cui lavora la protagonista, una doppia solitudine in cerca di un cambiamento impossibile, irreale come il miraggio di un’isola deserta su cui scappare.

Potentissima prova di Marianna Fontana, attrice che si conferma una delle più vere del cinema italiano contemporaneo: tra i film in cui si era già distinta in passato vanno certamente ricordati Indivisibili di Edoardo De Angelis e Capri-Revolution di Mario Martone.

I bravissimi registi continuano nel solco dei temi della famiglia e della dignità del lavoro questa volta letti in relazione al rapporto con il potere, attraverso un linguaggio cinematografico che è oramai un marchio di fabbrica, fatto di primi piani e sfocature, sequenze lunghe e delicate, rumori, occhi, respiri.

Una ragazza apparentemente senza ambizioni, che deve sopravvivere alla ricerca di un’assenza e di una voce, che diventano il suo immaginario desiderato. C’è ancora, come nel precedente Il cratere, un rapporto genitoriale complesso e un interesse profondo per la relazione tra l’individuo e la sue responsabilità. Nella conceria di pelle, tra grate, sostanze tossiche, datori di lavoro e donne consumate dal lavoro, la protagonista è sola e rifugge il maschile. Deve avviare un percorso di riconciliazione con se stessa per iniziare a vivere davvero.

data di pubblicazione:24/10/2024








LUCE di Silvia Luzi e Luca Bellino, 2024

COME QUANDO ERAVAMO PICCOLI di Camilla Filippi, 2024

(ALICE NELLA CITTÁ 16/27 ottobre 2024)

Alice nella Città lo scorso 18 ottobre all’Auditorium Conciliazione ha ospitato il documentario, presente nella sezione Panorama Italia- Proiezioni Speciali, Come quando eravamo piccoli della regista Camilla Filippi, una intensa riflessione sul senso di famiglia e degli affetti, su come viverli e custodirli per sempre.  

Come Quando Eravamo Piccoli, il documentario diretto da Camilla Filippi, è una delicata e sentita dedica allo zio Gigio da parte dei nipoti Michele e Camilla Filippi, i suoi unici parenti rimasti.

Gigio ha subìto una lesione cerebrale causata dall’utilizzo del forcipe, è ipovedente e con evidenti criticità. Ha lavorato per 42 anni agli Spedali Civili di Brescia, è solare, ironico, di compagnia, ama viaggiare e disegnare, un punto di riferimento, e ora è in pensione. Per festeggiare questo traguardo, i nipoti gli organizzano una festa e gli regalano un viaggio da fare tutti e tre insieme. Il viaggio in nave così come il restauro della casa permettono a ognuno di rievocare e rivivere i trascorsi di tre vite.

L’attrice e regista Camilla Filippi porta sullo schermo un documentario autobiografico che affronta i temi universali dei legami familiari, dell’anzianità e della solitudine. La famiglia va vissuta e sentita nel presente tenendo vivo il passato, accettando l’incedere del tempo e la conseguenza della perdita di alcuni affetti, processo che aiuta ad elaborare il dolore ed i sensi di colpa personali.

Il racconto è leggero e affettuoso, toccante e magico. La forza del film è proprio nella capacità che l’intimità ha di trasformarsi in universalità perché attiene alla natura ed ai sentimenti, che va oltre la famiglia e si estende al piacere di occuparsi degli altri, di aprirsi al prossimo, accantonando l’individuale.

data di pubblicazione:19/10/2024