da Daniele Poto | Apr 26, 2024
con Fioretta Mari, Patrizia Pellegrino, Blas Roca Rey, regia di Luca Pizzurro
(Teatro Manzoni – Roma, 25 aprile /12 maggio 2024)
Commedia brillante con un pizzico finale di dramma dolceamaro. Il prolifico Gianni Clementi, il più produttivo autore di teatro del secondo millennio sforna un’altra godibile messinscena partendo dal mestiere più antico del mondo.
Separate da una generazione Mari e Pellegrino cuciono una perfetta sinergia interpretativa condendo i dialoghi rispettivamente con il dialetto siciliano e quello napoletano. Protagoniste due prostitute che sono entrate in regime di pensione e che cercano di evitare riferimenti all’antica professione anche se fidati clienti ancora chiamano e vengono dirottati da altre donne più disponibili. Un ipotetico viaggio a Sharm El Sheik dovrebbe essere il punto di sutura tra vecchia e nuova vita. Ma dato che il futuro si può programmare fino a un certo punto nella loro vita irrompe un autorevole protagonista della vita italiana che si manifesta come frequentatore di un trans brasiliano e compare con reggicalze in posa e mise inequivocabile. La disponibilità a coprirlo va lautamente ricompensata e dopo una veloce trattativa viene messa a disposizione una cifra importante e un viaggio premio e non più nel vicino Egitto ma nelle più esotiche Barbados. Se non che non tutto va come dovrebbe andare. Testo pieno di battute, doppi sensi e qualche funzionale parolaccia per un pubblico di buona disponibilità. Paga in termini teatrali l’eloquio pieno di citazioni del Vip rispetto alla grana grossa delle due donne e i battibecchi continui della coppia incerta su come cambiare la propria esistenza. Un fondale efficace per divagazioni umoristiche. Pellegrino profonde impegno, Mari un collaudato mestiere. E quando leggi le loro date di nascita ti stupisci per la loro intatta vitalità e capacità di trasformazione dopo aver attraversato vari mondi di recitazione, dalle scuole alla televisione.
data di pubblicazione:26/04/2024
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Apr 22, 2024
selezione dei testi di Graziano Graziani, a cura di Flavio Francucci, con Francesca Astrei, Flavio Francucci, Alberto Melone, visual di Giacomo Calderoni
(Teatro di Villa Torlonia – Roma, 17/21 aprile 2024)
Un originale itinerario per Roma passando per le vie contrassegnate dai poeti del folclore romano. Tra topografia, letteratura, storia e vita vissuta. Con il benefit della visita nel teatro voluto dai Torlonia, da tempo affidato alla guida ondivaga del Teatro di Roma..
Ti aspetti un reading visto che la nuda scenografia appare affidata a un solo leggio al centro dell’enorme palcoscenico. Invece è decisamente qualcosa di più per il piglio vivace conferito dai tre giovani interpreti. Sul grane schermo ti fanno compiere un viaggio nel ventre disinibito e a tratti crapulone, della Roma del centro. E rivivi, a partire da un epigono del ‘600, le glorie poetiche della Roma che fu, a volte di eccelso valore nazionale e non regionale come nel caso dei sonetti del Belli. Oscenità artistiche dietro l’angolo, cinismo, schiettezza e persino un po’ di commozione come in occasione della rievocazione della breve vita di Raffaella La Crociera, unica donna nel coro maschile (notate!), perita per una grave malattia a 14 anni dopo il generoso atto di donare il mezzo milione di lire, una cifra per l’epoca (siamo nel 1954), per i superstiti di una catastrofe naturale. Si chiede la partecipazione del pubblico soprattutto quando si riabilita l’antico e crudele gioco della passatella, passatempo alcoolico che a volte si concludeva con tragiche risse tra gli astanti. La dimostrazione è che si può fare spettacolo affidandosi al patrimonio regionale e alla memoria con il dovuto omaggio ai protagonisti del tempo che fu. La generosità degli interpreti è tale che si tracima ben oltre i 70 minuti previsti dal programma ufficiale.
data di pubblicazione:22/04/2024
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Apr 17, 2024
traduzione di Graziella Perin, regia di Valerio Binasco, con Pamela Villoresi, Valerio Binasco, Michele Di Mauro, Giordana Faggiano, Giulia Chiaromonte, Fabrizio Contri e con Isabella Ferrari. Scene e costumi di Nicolas Bovey, video di Simone Rosset. Produzione: Teatro Stabile di Torino- Teatro Nazionale- Teatro Biondo di Palermo
(Teatro Vascello – Roma, 16/21 aprile 2024)
Una delle più importanti produzioni della stagione in corso (basti leggere i nomi dei componenti del cast). Binasco si ritaglia una parte modesta privilegiando il ruolo del regista. Le atmosfere plumbee e raggelanti del Premio Nobel sulla scena del più innovativo teatro romano. Con fatica e coraggio.
Echi di Ibsen (Norvegia), sfumature di Beckett. Una famiglia lacerata, specchio di una società chiusa, europea. Non è un autore facile Fosse ma l’attribuzione inaspettata e insperata che gli è stata tributata con il Nobel per la letteratura merita una popolarizzazione nostrana. Con uno spettacolo ispido, a tratti sgradevole. Perché i personaggi mai collimano, si danno sulla voce, rifiutano un’identificazione collettiva preferendo ciascuno una propria strada che appare incerta, contorta, contraddittoria. I protagonisti portano il segno di una ferita profonda che potrebbe anche essere il fallimento delle proprie ambizioni e il mancato riconoscimento in una passione. Che nel caso del personaggio principale è l’irrisolta in una pittura che sfugge e delude. Binasco sembra fedele traduttore della tensione di Fosse, rispettando il suo dettato minimalista. Il testo è pieno di metafore. Come quelle di un marinaio che a parole è atteso ma quando torna deflagra nel tradimento della moglie che mai più vorrà rivedere. Incontri e scontri a più piani con una Villoresi strepitosa e con un Di Mauro, che una volta di più, interpretando un ruolo diverso dai precedenti dimostra la propria ecletticità. Il ritmo di Fosse è sincopato. Non deve preludere a un finale, al racconto di una storia. Difatti non c’è evoluzione ma uno sguardo freddo su un’umanità scostante e disturbata.
data di pubblicazione:17/04/2024
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Apr 15, 2024
(Teatro Off/Off – Roma, 12/14 aprile)
Una micro storia della canzone italiana in cento minuti. Poggi è stordente perché efficace e completo e veloce come un juke box. Nei più mondano dei teatri romani si affaccia puntualmente ogni anno in virtù del collaudato rapporto con il patron Silvano Spada. Il cabaret è il cuore dell’esibizione ma prima e dopo c’è molto altro.
L’avvio è perentorio. Una dozzina di canzoni in altrettanti minuti. Con la sua chitarra Poggi sembra in grado di riprodurre ogni suono: dalla canzone popolare a quella d’’autore, rivelando all’interno del repertorio le canzone censurate e quelle censurabili (tra cui una sua composizione, un peccato di gioventù). Da De Gregori agli Squallor scovando un insospettato capostipite del genere in un napoletano di fine ottocento a quasi tutti sconosciuto. Ma c’è molta Napoli in E.A. Mario, nome d’arte, autore di alcuni struggenti e indimenticati pezzi. Attore, imitatore, comico, regista l’underdog dello spettacolo italiano offre il meglio nei dialoghi multi voce. Ma il pezzo più spassoso è la fedele riproduzione di un clima che non esiste più, quello delle Feste dell’Unità che lo vedevano protagonista, un po’ per caso, subìto più che ricercato secondo un catalogo frusto di partito. Poggi ha memoria dell’ultimo cinquantennio della canzone italiana, di Gaber, dei francesi e stabilisce una perfetta sinergia con il pubblico, chiamato con lui suggerire, temi e note, a cantare persino. Viene un po’ di malinconia a pensare quanti dei protagonisti tirati in ballo non ci siano più, tra i primi il caustico Enrico Vaime con cui faceva “triello” in radio (il terzo angolo era impersonato da Simona Marchini). Ma i tempi sono cambiati e oggi Francesco De Gregori canta in coppia con Checco Zalone. Mah…
data di pubblicazione:15/04/2024
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Apr 14, 2024
regia di Carlo Emilio Lerici, con Rodolfo Laganà e Sandra Collodel
(Teatro Ciak – Roma, 12/21 aprile 2024)
Il tragico bombardamento di San Lorenzo risuona ancora nelle menti e nella drammaturgia innescata dal ben noto prolifico e fecondo Gianni Clementi. Ma un sorriso gioviale accompagna l’atto di guerra attraverso il dialogo intimo, quasi una confessione, tra un sacerdote e una sua parrocchiana fin troppo fedele.
A sipario chiuso intermezzi di un atto sessuale. Ma la sorpresa è quando l’azione rivela che uno dei due protagonisti è un prete. Che quando cadono le bombe cade in preda a un’amnesia vera o finta che sia e si ritrova in mutande bloccato da una pesante trave. Il fermo immagine della scena è funzionale all’attuale condizione di immobilità di Laganà, alle prese con una feroce sclerosi multipla che non gli ha tolto la gioia di vivere e di recitare. Così il peso dei movimenti e della vivacizzazione della scena è tutta affidata all’indubbia bravura della Collodel. I testi sono all’altezza della situazione drammaturgica tra la paura di essere scoperti e la malizia dovuta all’insolito incontro ravvicinato. Puro succo di teatro fecondo con finale imprevedibile. C’è di mezzo anche la voce del Papa e l’indubbia eco che suscitò in Roma l’accaduto. Clementi è tradizionalmente vicino a questi tempi e ha pescato gli interpreti giusti per restituire un’emozione profonda che si rianima in vicinanza dell’iconico 25 aprile. La scena è quanto di più veritiero si possa immaginare in un catafascio di rovine e di confusione. Si ondeggia tra il sacro e profano. Con ostie che servono a sfamare i due protagonisti, se non consacrate, ma che diventano cibo religioso con la comunione. E il prete non può dimenticare fino in fondo di essere anche un uomo. Religione e carnalità fanno ping pong agitando quella contraddizione che è perfetta sintesi teatrale.
data di pubblicazione:14/04/2024
Il nostro voto:
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