da Daniele Poto | Gen 28, 2019
(Teatro di Carbognano – Viterbo, 27 gennaio 2019 e poi in tournée)
Una soap opera per soli uomini. Tra colpi di scena, malintendimenti sessuali, le consuete e note storie di corna. Si ride, a volte a crepapelle.
Una prima nazionale riuscita per un format che vive da almeno dieci anni ad attori cambiati con una scena funzionale, una succulenta torta di matrimonio girevole che mostra interno e esterno del claustrofobico luogo che racchiude le vicende di quattro single ai ferri corti con la vita. In coabitazione per difficoltà economiche, con problematici rapporti con l’altro sesso. 3 + 1 perché la variabile impazzita è l’arrivo in questo universo fatto di regole, di ordine e di apparente pulizia un vicino di casa in rotta con la moglie. Nicola Pistoia, il diversivo, è una presenza scenica importante ed è un po’ il centro dell’affabulazione con i suoi numeri istrioneschi che derapano dal copione e lo vivacizzano con tic, brusche svolte neuronali, cambiamenti di umore. Invano il trio preesistente cerca di assorbirlo e/o respingerlo. L’invasore s’insedia nei confini di casa e tracima di problemi irrisolti. Quando uno dei tre cercherà di convincere la moglie a riprenderselo si scatenerà la gag più farsesca delle due ore di commedia, spesso con grossa grana di comicità. Altro che persuasione, la moglie adirà a un secondo tradimento facendo saltare in aria tutte le finzioni e i buoni propositi. Lo spettacolo è godibile, in due tempi. Con un quartetto che promette di mettere a regime una buona coesione, recuperando qualche piccola incespicatura con il mestiere e una discreta dose di improvvisazione. Sta nel mestiere dell’attore sfruttare persino la balbuzie per far ridere il pubblico. Ora il cast girerà fino a tutto marzo battendo i luoghi della provincia italiana, sfruttando una formula convincente di teatro leggero. I movimenti di scena sono significativi. Una finestra è utile per un’idea di fiducia. Fuori c’è il mondo, spesso incomprensibile, se è mondo di donne per questi single allo sbando.
data di pubblicazione:28/01/2019
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Gen 24, 2019
Una guida didattica, una cartolina dall’Italia o un caleidoscopio dei meravigliosi borghi non conosciuti di quello che una volta era definito il Bel Paese? Il sottotitolo è illuminante:“più di venti ragioni per visitare venti regioni”. Gioco di parole a parte questo è un libro da sfogliare e da centellinare in occasioni di viaggio perché per ogni regione italiana offre luoghi inconsueti e poco frequentati, ricette abbastanza misteriose, curiosità e folclore. Di tutto un po’ all’insegna della divulgazione della ricerca di conoscenza senza particolare ambizioni intellettualistiche. Il gran formato è adiuvante per l’estetica delle foto. L’impaginazione è spartanamente schematica ma il valore aggiunto sono le testimonianze di cittadini del luogo (scrittori, entusiasti archeologi) che spendono un eloquente biglietto da visita per la propria terra. L’Italia è l’unico Paese europeo con 100 città (circa) da 100.000 abitanti e oltre. E ciascuna con una propria specificità e un rigoglioso patrimonio culturale. Non a caso nell’anagrafe dei luoghi tutelati dall’Unesco l’Italia è saldamente al primo posto con un 6% di presenze. Purtroppo a questa materia prima estetica non corrisponde un analogo primato del turismo. In questo settore addirittura l’Italia è scivolata giù dal podio occupando al momento il quarto posto, superata persino dalla lontana Cina. Il manuale regionale tocca luoghi impensati e impensabili compresa quella regione su cui si fa spesso ironia:“Ma il Molise esiste?” La chiarezza espositiva ne fa un gradevole compendio scolastico, strumento per non specialisti appartenendo in modi molto estensivi al repertorio della letteratura da viaggio.
Un originale capitolo a parte è dedicato alle feste tradizionali e qui si immerge in un mondo ancora per molti versi inesplorato la cui ricerca a suo tempo fu innescata dagli studi sulle tradizioni popolari di De Martino e Carpitella. Italia unica, diseguale, contraddittoria, ricca di fascino e purtroppo anche di una natura spesso devastata colpevolmente dall’uomo.
data di pubblicazione:24/01/2018
da Daniele Poto | Gen 16, 2019
Un meraviglioso excursus su una vita di poesia, di cultura, di intense frequentazioni letterarie. Elio Pecora, generoso ultra-ottantenne, uno dei capostipiti della poesia italiana (come autore ma anche come divulgatore e pubblicista) squaderna subito in copertina le sue relazioni più intense. E nella fotografia di gruppo c’è il Gotha del pensiero intellettuale italiano nella stagione più fervida per la lettura e l’affermazione della poesia (con tanti premi Nobel nostrani). C’è Alberto Moravia, c’è l’irrequieto Bellezza, c’è Elsa Morante. Pecora si racconta in prima persona. Il pubblico e il privato, il personale e il politico si armonizzano in un quadro di case, di interni, di discussioni, di ristoranti, a volte di feroci litigi e antipatie. Immaginare tutto questo oggi è impossibile. Perché non c’è più l’abitudine di ritrovarsi da Cesaretto o nella villa dei Moravia a Sabaudia. Non è solo una generazione di estinti, è il libro stesso che sembra destinato a sicura morte. Dunque quella di Pecora è una testimonianza ma in fondo anche un testamento di un’epoca felice. Pecora sembra aver vissuto tante vite mentre racconta la sua, unica e inimitabile. Il libro è anche la storia di un’irrequietudine di un ragazzo che trova il suo primo lavoro nella Libreria Bocca di Roma e da quel momento innesta una marcia superiore per stringere relazioni, amori, interessi. Pecora non guida la macchina ed è assai a disagio nel caos metropolitano della Roma attuale. Un disagio che registra la fine di quelle comunità e quelle intese che hanno segnato un periodo virale, immediatamente dopo la cosiddetta Dolce Vita. Italiani più poveri e più felici? Fuori dal quadretto oleografico si respirava altra aria e altra generosità anche se rivalità ed egoismi personali non mancavano alla società letterari dell’epoca. Era il mondo di fuori decisamente più permeabile e abbordabile. Pecora è una presenza, un trait d’union, un amico fidato o un appassionato confidente. Giocando questi ruoli diventa protagonista e s’insedia in un Gotha di belle teste e belle anime.
data di pubblicazione:16/01/2019
da Daniele Poto | Gen 15, 2019
Un prezioso volumetto in edizione limitata che sin dal titolo pattuisce una sorta di profilo basso. Ci vuole coraggio per scegliere un’etichetta così vaga e generica. Ma l’obiezione formale (la cornice) è presto superata per il valore prezioso dei contenuti che distillano sessanta anni di esperienza del giornalista, del curatore di pubbliche relazioni, capace di documentare con lingua impeccabile la fitta trama di incontri importanti vissuti in prima persona, a volte in trincea, nel passato millennio. Frasca confessa che ha vissuto intensamente e regala ai suoi lettori perle di un’animata autobiografia personale e/o professionale. La maggior parte degli ambiti è sportiva ma non solo. Si svaria da Vittorio Pozzo a Gianni Agnelli, in un’ampia sintesi cronologica, passando per le due fondamentali esperienze formative dei mondiali di atletica del 1987 e dei mondiali di calcio del 1990. Sono medaglioni icastici con grande controllo di scrittura tra cui trapela il rispetto per i miti, l’ammirazione per personaggi che hanno fatto grande l’Italia e qualche idiosincrasia. Il senso critico porta Frasca a uscire dal coro degli indiscriminati ammiratori di Mennea. Un campione olimpico discusso come Schwazer è messo all’indice col riscontro di fatti obiettivi. Saggistica polifonica aperta al cinema, al teatro e alle arti alla luce dei mille interessi dell’autore. Un libro abbagliante che non lascia indifferenti e che apre con abile sintesi spiragli di approfondimento possibili per i tanti personaggi sbozzati alla luce di un incontro, di un’esperienza personale. Un testo difficilmente catalogabile ma di grande fascino. Gli amici potranno capirlo anche nel senso di una nostalgia comune per un’Italia che non c’è più. Una generazione potrà riconoscersi nei “migliori anni della nostra vita”. Oggi l’incanto sembra sparito: nella fretta, nel consumismo, nell’ansia di divorare gli attimi. Frasca prova a restituire senso e memoria al nostro passato indicando una possibile direzione per il futuro, in chiara controtendenza rispetto al mainstream. I libri come si sa, servono anche a questo. A disegnare nuovi percorsi e altre vite.
data di pubblicazione:15/01/2019
da Daniele Poto | Gen 14, 2019
(Teatro di Carbognano, 13 gennaio 2019; Teatro Sette – Roma, 15 gennaio/10 febbraio 2019)
La saga della Stremate colpisce ancora. Una nemesi che si ripercuote sui loro destini trent’anni dopo. Un piccolo giallo di famiglia.
Prima nazionale in Tuscia, verso dell’approdo nel piccolo feudo teatrale capitolino di Michele La Ginestra nell’occasione co-regista dell’operazione. Questa volta la saga delle Stremate arriva alla tapa conclusiva. Perché il trio è confinato in una casa di riposo da cui sembra destinato a non uscirne più. I nodi delle puntate precedenti si sciolgono in un giallo di famiglia forse un po’ macchinoso per chi non è al corrente degli sviluppi delle precedenti puntate. Ma più del risultato finale contano le tappe intermedie di una scoppiettante machina di comicità. Un teatro leggero che assolve però piacevolmente e senza volgarità il proprio compito: l’intrattenimento. La maggiore età porta a vuoti di memoria, a fenomeni di sordità. I difetti abbondano nelle simpatiche vecchiette con ampie storie alle spalle. Pastiche per sole donne che godono di una formidabile sinergia interpretativa in una macchina oleata a dovere. L’interazione dei dialoghi è praticamente perfetta e qualche movimento di scena, relativa alla scarsa mobilità del trio anziano, vivacizza l’andamento. In provincia lo spettacolo funziona a dovere con la collaborazione di un pubblico che quasi anticipa le battute e i tic delle invecchiate ragazze in scena. Il dispiacere è per il capolinea della vicenda ma non si può escludere un ultimo guizzo di classe considerando le capacità di recupero affabulativo del collettivo muliebre. Sinceri applausi a scena aperta con Federica Cifola che piazza le battute più mordaci. Come anticipato meno ci interessa lo scioglimento che appare piano e un po’ frettoloso in capo a ottanta minuti di felice esibizione. Non era sicuramente il giallo e la ricerca del colpevole il focus dell’operazione teatrale.
data di pubblicazione:14/01/2019
Il nostro voto:
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