da Daniele Poto | Mar 29, 2019
Si sa che Finlandia è il Paese con la più tragica scia statistica di suicidi al mondo. Non è un argomento su cui scherzare se non si ha la levità di uno scrittore di quella nazione che inventa un plot funzionale e ricco di sviluppi immaginando una sorta di sindacato degli aspiranti suicidi che si coalizzano per un imponente significativo atto di massa. In realtà in questo viaggio-avventura, pieno di scorribande e di divagazioni turistiche, rivela che il desiderio non era così fortemente radicato nella maggioranza. Molti si ritraggono sul metaforico burrone e semmai qualche scomparsa in corso d’opera convince i più ad adire a più miti propositi. Come giustamente sottolinea Marani nella postfazione nella loro serissima e compassata filosofia i finlandesi sarebbero anche capaci di organizzare un convegno sul tema. Proprio la tradizionale mancanza di umorismo nel mettere in atto l’insano proposito è fonte di ironia dell’autore che commenta le tragicomiche avventura della compagnia di sbandati con levità e con distacco, come se si abbandonasse alla piega casuale della vicenda. Il Gran Tour del suicidio parte dalla Finlandia e passando per la falesia del Capo Nord, attraversando anche la Svizzera, spinge al capolinea dell’Algarve. La compagnia si sgretola e si sfarina. Il proposito del suicidio collettivo diventa sempre più flebile rispetto a impulsi sentimental/sessuali, al risvegliarsi della vita attraverso il cibo e le peripezie che rimandano all’assurdità dell’atto progettato. Si tratta di un disincantato e naturale ritorno alle primarie esigenze della vita, filtrato da un romanzo che è anche la fotografia antropologica di una nazione. Il libro è uscito è in edizione originale nel 1990 e ha goduto di gran successo in Italia, giungendo alla fortunata dodicesima edizione. Ci sembra degna base per un film di successo, con fedele sceneggiatura, che ancora non è stato concepito.
data di pubblicazione:29/03/2019
da Daniele Poto | Mar 25, 2019
Antropologia di uno sport vissuto profondamente dall’autore, giornalista di lungo corso, oggi, dopo il virtuale ritiro di Rino Tommasi (87 anni!) il decano della categoria. La declinazione di uno sport violento è fatta anche di storie umane, divertenti, tragiche e bizzarre, una metafora dell’esistenza. Torromeo ha dedicato 16 libri al pugilato e si orienta come un pioniere in uno sport che appartiene più allo scorso secolo vista la rarefazione dell’attività, legata alla conseguente e progressiva indifferenza del pubblico. Ma chi non ricorda Benvenuti e Mazzinghi, Duilio Loi se non Primo Carnera? L’autore pesca nel mazzo di migliaia di possibile storie, scegliendo invariabilmente quelle che più lo hanno intrigato, all’Italia ed all’estero. Molte nascono dalla tradizione orale, dalla leggenda, da vite vissute, da terribili sfide sul ring. Alternativamente vicende di pugili che hanno toccato la fama e il successo ed altri a cui la vita (e il ring) ha volto le spalle. Ne esce un affresco umanissimo, anche alla portata dei profani perché i medaglioni incastonati nel volume spesso sono carne viva, brandelli sanguinolenti, metaforicamente e non. Pugili finiti anche su un set porno. Sfilano Arcari, Duran, Rosi, Benitez, Camacho e Tyson in una commedia umana che appartiene anche a Sinatra (grande appassionato di boxe) o Bob Dylan che dedicò una canzone a Rubin Hurricane Carter, pugile galeotto. Si dipinge un’umanità variopinta e pittoresca, irriducibile e borderline. Si respira vita e morte perché il pugilato arruola campioni miracolati dalla conquista del titolo mondiale e altri che invece su un pugno letale hanno visto spenta la propria vita. Il libro è un pugno nello stomaco che non vi manda knock out ma non ci lascia indifferenti. C’è chi è salito sul ring poche ore dopo un profondo lutto personale, innamorato di uno sport che è anche considerato “noble art”. La boxe oggi è in crisi e rischia di essere addirittura esclusa dai Giochi Olimpici. Quindi questo testo è anche un tentativo di farla rimanere in vita, perlomeno nella memoria collettiva.
data di pubblicazione:25/03/2019
da Daniele Poto | Mar 18, 2019
(Teatro Piccolo Eliseo – Roma, 7/17 marzo, poi in tournèe in Italia)
Una commedia inizialmente amabile poi infinitamente nera. Con ruoli che si ribaltano in un enigmatico gioco crudele gioco di famiglia.
Ha 35 anni di vita questa energica commedia drammatica, un ossimoro che riassume le sue varie tinte e corde. Grande ammirazione per la perfetta empatia degli interpreti. Nella prima parte prevale la madre ipocondriaca sul figlio stizzito ma in fondo remissivo. Ma poi i ruoli si ribaltano e cambiano rapporti di forza, di equilibrio e persino le voci. Quella stridula della madre riacquista vitalità e si svecchia del simulacro iniziale. Al divertente succede lo sgomento e la decifrazione di un perfetto gioco di ruolo intessuto grazie all’arma della parola. Scenografia spoglia con una serie infinita di bicchieri al piano di sotto, un bisogno di acqua, una simbolica soddisfazione della sete e congrua spazialità a disposizione. I due familiari duellano e più che il fioretto usano la spada mostrando la crudeltà degli intrecci. Erta piaciuta a Ionesco questa rappresentazione per i caratteri un po’ misteriosi e ambigui dell’assunto. In effetti la trama è irraccontabile e la sua interpretazione è totalmente affidata alla fantasia e allo spirito speculativo e indagatore dello spettatore. Violenza e schizofrenia, di un piccolo gruppo di famiglia in un interno. Si scoprirà quanto sia solo un pretesto la comparsa del figlio che va a coabitare con la madre per aiutarla a convivere con una malattia incurabile. C’è molto di più e di non detto dietro questo meritevole ausilio. Nel finale, quando si sciolgono in un abbraccio, i personaggi ma anche gli attori hanno praticamente la stessa età. Miracoli della mimesi, della tecnica e della parola che è la grande manovratrice di uno spettacolo che ha riscosso calorosi consensi. Imma Villa, già protagonista di Scannasurice, è indimenticabile in un ruolo in cui mostra grande talento.
data di pubblicazione:18/03/2019
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Mar 12, 2019
Il giallo di Mirella Gregori è agganciato gioco forza a quello della ben più popolare Emanuela Orlandi. Scherzo dei cold case o fortuna? A tutt’oggi non c’è una sicura risposta per argomentare se ci sia un filo di connessione tra le due tragiche scomparse. L’Italia è il Paese dei Misteri (Ustica, Strage di Bologna,etc) e dunque non c’è troppo da meravigliarsi per la sparizione di quasi 36 anni fa di una semplice ragazza del Nomentano che risponde a una voce anonima dal citofono, lascia la propria casa per una piccola divagazione a Villa Torlonia e da quel giorno non fa più ritorno nella propria abitazione lasciando un vuoto immenso nei genitori. Sciacalli, false piste, l’irruzione sulla scena del crimine di Alì Agca, i sospetti sul Vaticano: una ridda inestricabile di congetture piove sulla vicenda abilmente riassunta da un giornalista che si interessa alla viva cronaca e che si è appoggiato alla collaborazione dell’Associazione Penelope e della sorella di Mirella per ricostruirci, a distanza di tanti anni, un complesso vivo di circostanze, di sospetti, lanciando più di un’ombra sugli approfondimenti dell’inchiesta e sulla noncuranza iniziale con cui il caso viene trattato. La prefazione di Pietro Orlandi che in queste settimane conduce un programma sugli “scomparsi” aggiunge forza ed emotività alla narrazione per queste storie il cui capolinea sembra lontano. Ogni tanto riaffiora una voce, una supposizione, una possibile sepoltura senza che ci sia mai una conferma, un avvaloramento della pista investigativa. A fronte dei possibili assassini fa la comparsa una società degradata fatta di depistatori, di approfittatori che non hanno fornito indicazioni utili nonostante il miraggio di un appetibile ricompensa messa in campo dalle famiglie Orlandi e Gregori, nonostante la differenza di possibilità economiche. I parenti superstiti non hanno neanche una tomba su cui pregare e coltivano una speranza che si fa più flebile con il passare degli anni anche se le vicende in questione sono vive nell’immaginario collettivo di tutti gli italiani.
data di pubblicazione:12/03/2019
da Daniele Poto | Mar 5, 2019
Autore maledetto = libro maledetto? Il maestro letterario del politicamente scorretto, atteso puntualmente al varco dalla critica, permea una storia discontinua con l’assunzione del captorix, un medicinale che sembra far cambiare direzione alla vita, riuscendo a tenere sotto controllo la depressione. La vicenda di un funzionario del Ministero dell’Agricoltura sembra il parto della biografia del contestatissimo autore francese. Non si risparmiano rapporti sessualmente scabrosi, incroci pedofili, robusti dosi di cinismo sparse sul sale e il pepe della vita. Il libro si apprezza abbandonandosi al flusso della prosa, senza troppo disquisire sulla credibilità del contesto della provincia francese. Le donne del romanzo forse sono troppe come gli eccessi. L’autore sembra indulgere nel mini-racconto che però non sfocia in una narrazione coerente. Il libro sembra nascere dal rispetto di un’esigenza contrattuale vista la meritata fama di altre opere. Eppure nella nota di copertina viene definito il capolavoro: serrato lirico, a tratti umoristico, crudele, chirurgico, profetico. Davvero troppo ricco soprattutto di pagine e di devianze, di piccoli trucchi del mestiere letterario. Su tutto si stampa un’aria di malinconia e di distacco dalla vita, di uno snobistico vivere di rendita. Che sembra farlo apposta ad auto-appiccicarsi l’etichetta di antipatico. A volte funziona, a volte no perché il ricadere nella parte precostituita appare a volte stucchevole. La vita mediata da un medicinale sembra un pretesto un po’ datato anche se una generazione di americani ha fatto i conti con un prozac che ha modificato profondamente la percezione e lo stile di vita. Sullo sfondo una società liquida, eppure vitale, che l’autore sembra a tratti amare, a tratti detestare. Il mondo che gira attorno a una compressa è la metafora dell’effimero e del transeunte. Per rendere sopportabile un’esistenza che non lo è. Fino all’ultimo capolinea, inevitabilmente la morte.
data di pubblicazione:05/03/2019
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