UN UOMO SOLO di Christopher Isherwood – Adelphi editore, 2018

UN UOMO SOLO di Christopher Isherwood – Adelphi editore, 2018

Coltiva l’ambizione del racconto lungo perfetto questa pubblicazione che l’autore definisce un romanzo, ed alla quale era sinceramente attratto riconoscendola come in suo piccolo capolavoro. Trattasi di componimento solidamente omogeneo alla linea editoriale di Adelphi. In bilico tra commozione e distacco, rievocando un’epopea dove si affacciano molti personaggi e altrettante comparse che, progressivamente fanno largo alla solitudine un po’ snob del protagonista. I vezzi dell’epoca vengono debitamente stigmatizzati con una scrittura in cui più che narrazione c’è (e risalta) l’elemento descrittivo. Non c’è una reale evoluzione della storia ma la fissazione di un momento, assecondando un’ambizione letteraria molto alta. Poteva essere un velleitario tonfo ma la qualità indubitabile della scrittura riabilita qualche momento di noia. L’evoluzione concentrica ci ha ricordato il teatro di Alan Bennett, quasi creando un palcoscenico, un fondale, una storia sospesa. Secondo il recensore Mario Fortunato in questa operina non c’è una virgola di troppo, né una di meno. Il libro è stato scritto e concepito nel 1964 e ha avuto una rilevante fortuna editoriale con continue ristampe dalla prima pubblicazione italiana del 2009. Da questo testo è stato tratto l’omologo film di successo per la regia calligrafica di Tom Ford con protagonisti Colin Firth e Julianne Moore. Per ricondurlo a parametri italiani si può pensare a La Capria o a Berto. La sospensione del tempo immersa in un’atmosfera ovattata dove contano percezioni e sfumature. Un libro per molti ma non per tutti per l’esclusività tenue dello sviluppo. Da leggere con adeguata concentrazione. Probabilmente in una stanza dove si è da soli, garantiti da una luce altrettanto tenue. La copertina, firmata da Ben McLaughlin, riproduce questo scenario, un anonimo tavolo dove probabilmente si siederà il protagonista. Racconto ispirato dalla maturità dell’autore, una sorta di memoir senza infingimenti. Ribadendo che la vita è anche una questione di proporzioni tra soggetti e cose.

data di pubblicazione:21/05/2019

CANI SCIOLTI di Mimmo Calopresti

CANI SCIOLTI di Mimmo Calopresti

Il rinnovato cinema Aquila (Pigneto, Roma) nella sua palingenesi ha organizzato quattro incontri- evento con proiezioni al centro della scena e degna conclusione, dopo il rituale (e mai passato di moda) dibattito con brindisi biologico a base di vino friulano. Il 17 maggio la tappa ha avuto come epicentro la proiezione di Cani sciolti, mediometraggio firmato proprio dal padrone di casa, il direttore artistico della sala, il calabrese Mimmo Calopresti, cineasta felicemente insediato operativamente a Roma. Il “cane sciolto” in questone è Eduard Limonov, irreggimentabile pensatore russo, un po’ bolscevico, un po’ nazionalista, irreversibilmente immortalato e consegnato alla storia (anche della letteratura) dal mirabile saggio di Emanuele Carrère intitolato L’avversario. Limonov è raccontato attraverso il suo viaggio in Italia (principalmente a Roma) che condensa il momento più emotivo sulla tomba di Pasolini con la recita di alcuni versi liberi, testimoniati dalla macchina da presa. Limonov riconosce in Pasolini un formidabile contradditore e quasi un alter ego. Ne aveva sfiorato la conoscenza in un precedente viaggio a Roma, nel 1974, quando cercava un appartamento in affitto dal prezzo congruo a Ostia, quasi negli stessi luoghi dove il poeta sarebbe andato incontro alla morte un anno dopo. Limonov ha attraversato nella propria irripetibile epopea tante stagioni, contestando Putin e poi diventandone sostenitore. Dissidente persino in America rispetto ai tanti secessionisti russi. Fautore di una “grande madre russa” di cui ne interpreta lo spirito arringante. Suo mentore in Italia l’editore Sandro Teti che gli ha chiesto tre contributi editoriali per documentarne estri e grandezza. Nel poco contestabile “minestrone ideologico” di Limonov ci sono Evola, Guevara, Marx in una poco definita distinzione tra destra e sinistra che forse ha anticipato il sovranismo di sinistra oggi invalso e reso nella politica italiana dalle posizioni di Fassina. Un personaggio singolare, un polemista che farebbe la fortuna dei talk show italiani da cui, anche per motivi logistici, per fortuna si guarda bene dall’andare. Calopresti lo porta a Corviale dove, secondo leggenda, si arresta il ponentino per fargli assaggiare un originale piano urbanistico per il popolo. Oggi, riveduto e corretto con le opportune varianti.

data di pubblicazione:20/05/2019

È COSA BUONA E GIUSTA  di Michele Benniceli e Michele La Ginestra, regia di Andrea Paolotto

È COSA BUONA E GIUSTA di Michele Benniceli e Michele La Ginestra, regia di Andrea Paolotto

(Teatro di Carbognano, 5 maggio 2019; Teatro Sistina – Roma 10/19 maggio 2019)

Il mood di La Ginestra funziona ancora. One man show condito dall’apprezzabile professionalità dei ragazzi dell’Accademia di Teatro del Sistina.

Efficace il pretesto di insegnare la vita e i primi rudimenti del teatro ai giovani per un’immersione autobiografica nel mondo di Michele la Ginestra. Dove tutto può apparire vero e contemporaneamente finto. Perché sempre di teatro parliamo. Però l’operazione funziona e confonde perché miscela meravigliosamente realtà e fantasia. Il vissuto dell’attore solista e dei suoi primordi con l’ingenuità e le domande dei ragazzi di diversa personalità che si abbeverano alla fonte della sua esperienza. Lo spettacolo ha toni leggeri ma attinge a un lirismo profondo nella rievocazione del distacco mortale dal padre. La Ginestra non scorda la lezione del Sistina perché lo spettacolo attinge a brani popolari (De Gregori anche) con le cadenze di un music hall in cui occorre saper cantare (in coro anche), ballare, gestire l’interazione con il protagonista principale. E l’interprete si offre con generosità attraverso una doppia replica che gli concede solo 45’ d’intervallo, dandosi senza respiro a un pubblico ricettivo di provincia, certo diverso da quello del Sistina che nelle repliche lo attendono dopo un’anteprima rodante. Il laureato in legge è enormemente a suo agio nell’arte dell’intrattenimento. Ironizza su sé stesso quando lo includono nella top fine degli interpreti del Rugantino che poi sono stati cinque in tutto. Allude al momento del definitivo lancio nella hit parade dei grandi interpreti leggeri. Una popolarità che è stata corroborata dalla pubblicità per una nota marca alimentare e dalle apparizioni felici in programmi di intrattenimento gastronomico. Feroce la critica al mondo virtuale dello smartphone che ha fatto perdete l’immediatezza e la spontaneità giovanile a un’intera generazione. Ma non è mai troppo tardi per ravvedersi anche attraverso la leggerezza di uno spettacolo che fa riflettere sorridendo. Come nelle corde del protagonista che ti fa immergere nelle pieghe di un convincente ragionamento espresso con grande empatia.

data di pubblicazione:06/05/2019


Il nostro voto:

 

DIARIO DI BORDO DI UNO SCRITTORE di Bjorn Larsson- Iperborea, ultima edizione 2019

DIARIO DI BORDO DI UNO SCRITTORE di Bjorn Larsson- Iperborea, ultima edizione 2019

Quando uno scrittore ha raggiunto una fama internazionale può obbedire anche a una richiesta contrattuale. In questo caso da parte della indiscutibile regina editoriale della letteratura nordica. Dunque la narrativa consacrata di La vera storia del pirata Long John Silver o ne I poeti morti non scrivono gialli viene accantonata in favore di un racconto autobiografico in cui c’è anche molta Italia oltre alle molte curve e svolte della vita dell’autore. Che non aveva sicuramente nel Dna quello di diventare un autore di best seller nel procelloso mare della vita. Il libro ha molte possibili vie di comprensione per il lettore. Si può leggere come un manuale di scrittura, un prezioso zibaldone di aneddoti, un tesoretto di ispirazioni. Uno scrittore non può mancare di curiosità. Sembra essere questo l’elemento fondamentale estraibile dalle variegate esperienze dell’autore. Che destruttura anche l’ammirevole welfare del Paese che gli ha dato i natali per descriverci una realtà più complessa e contradditoria anche nel confronto esistenziale con le nazioni che ama e che gli hanno offerto adozione. C’è un po’ del pirata anche nei capitoli che raccontano gli alterni rapporti con le case editrici, i primi insuccessi, la gavetta, l’esercizio paziente della perseveranza per approdare poi a una professione abbracciata con entusiasmo. Il vero scrittore è quello che non si ripete. E dunque Larsson ha bordeggiato da romanzi di assoluta fiction, a trame di impostazione scientifica, sperimentando anche il giallo e il noir che sembravano temi fuori dai propri confini. Se alcune vite sono come un romanzo questo libro ha una sua indispensabilità. Gli aspiranti scrittori vi ritroveranno un po’ di stessi con dubbi e incertezze su un’attività che regala più delusioni che soddisfazioni. Perché, soprattutto in Italia, quasi tutti scrivono ma pochissimi leggono. E dunque si agisce in un contesto quasi desertificato che promette di godere di un modesto sviluppo futuro.

data di pubblicazione:06/05/2019

CHE AMAREZZA di e con Antonello Fassari

CHE AMAREZZA di e con Antonello Fassari

(Teatro Petrolini – Ronciglione, 4 maggio 2019 fine tournée)

Un bilancio di carriera. Un po’ mesto e tristanzuolo, guardando a personaggi un po’ corrosi dal tempo ma con vette comiche indimenticabili, scolpite nella piccola storia televisiva…

Va di moda l’auto-fiction anche a teatro. Così Antonello Fassari culmina sette mesi in giro per l’Italia con un’ultima esibizione in Tuscia, nel Paese di Marco Mengoni, davanti a un pubblico ben disposto e attirato dal suo nome e dalle sue proposte comiche. Non c’è nulla che già non si sappia dei personaggi istruiti da Fassari in questi 70’ di spettacolo. Il tempo non lavora per l’attualità dei personaggi di Avanzi. Lo smemorato che non ritrova più il suo comunismo oggi suona come un ricordo d’antan, come il giornalista prono a ogni potere. Perché in questo campo la realtà ha nettamente superato la più spericolata fantasia teatrale. Apprezzabile la scenografia che mette a disposizione manichini, travestimenti e parrucche che, unitamente a una colonna sonora adeguata, contribuiscono ad alleggerire il fardello presenza scenica univoca del protagonista. Non è in discussione la capacità attoriale del comico quanto l’allestimento coerente del tutto. La voce fuori campo è quella del personaggio di maggior successo che lo incalza e in un certo modo lo perseguita. Per l’Italia tutta Fassari è Cesaroni, un personaggio da cui cercano invano di prendere le distanze. Il refrain distilla amarezza, il sostantivo simbolo, un tormentone che funziona. Nel viaggio personalissimo condito con molte tappe si passa dalla rievocazione del mito di Sisifo a Eduardo De Filippo con uno sguardo attoriale malinconico e pieno di nostalgia. E forse non tutti sanno che gli inizi di Fassari sono nel segno della canzone rap di cui offre un eloquente saggio. Emerge alla fine il ritratto di un uomo contemporaneo perennemente insoddisfatto che è un po’ lo specchio dei tempi in cui viviamo. Con poche vie di fuga e tra queste il teatro.

data di pubblicazione:06/05/2019


Il nostro voto: