da Daniele Poto | Mar 24, 2020
Libro di successo perentoriamente utile nei tempi del coronavirus dove le fughe culinarie degli italiani possono incidere sul sempre maggiore tasso di obesità dei connazionali, con particolare riferimento alla fascia adolescenziale. Ticca, apprezzato ex giocatore di basket, scienziato dell’alimentazione, spezza i tanti luoghi comuni che circondano le materie prima della gastronomia. Testo definitivo che coniuga il sapere viver, la buona digestione e la prevenzione soprattutto dalle malattie cardio/vascolari. Saggio scientifico ma alla portata di tutti, manuale empirico di buona sopravvivenza perché i pasti divengano una coerente idea di sostenibilità fisica e ambientale. Sarà bene addentrarci negli esempi per rendere edotti i potenziali lettori sull’utilità del libro. Pensavate forse che il latte a lunga conservazione contenesse minori principi attivi rispetto a quello tradizionale? Giudicavate lo yogurt un toccasana sopraffino per le nostre calorie? Opinavate che tra un pasto e l’altro occorre non toccare cibo? Tutte teorie di senso comune ma sbagliate. Ticca documenta con prove inoppugnabili come il pesce non contenga più fosforo della carne e allarma i salutisti sull’uso indiscriminato e borderline di vitamine e integratori alimentari. Che, come medicine, vanno assunti nella giusta dose. Il sovradosaggio è dietro l’angolo. Così si può scoprire che il caffè americano contiene più caffeina di un normale caffè espresso italiano e che il caffè ristretto infinitamente di meno perché ovviamente è una questione di quantità. Più ne bevi, più assumi caffeina. Smentita anche la teoria sull’utilità di non bere acqua durante i pasti e ridimensionata la funzionalità all’interno della dieta del classico bicchiere di vino rosso per pasto. Un capitolo a parte sull’alcool che spesso è pura assunzione di zuccheri. L’idea che un amaro possa contribuire a farci digerire è quanto di più lontano avvenga nella pratica. Tiene invece la teoria sui vantaggi di un digiuno prolungato di dodici ore: tra le cena serale e la colazione mattutina. Del resto non è un caso che musulmani ed ebrei abbiano mutuato buone credenze di astinenza dal cibo in combinato disposto con i dettami delle proprie rispettive religioni.
data di pubblicazione:24/03/2020
da Daniele Poto | Mar 20, 2020
Emozionante rileggere il primo tentativo letterario di Philip Roth a meno di due anni dalla sua scomparsa e dal torto macroscopico della mancata attribuzione del Premio Nobel per la letteratura, complici altre scelte e l’empasse del prestigioso riconoscimento. Racconto lungo o romanzo breve? Si può rimanere nel guado del dubbio per un volumetto con un’indimenticabile copertina di Fulvio Bianconi, un miracoloso prezzo d’esordio di 350 lire per un testo storico ancora reperibile su E Bay o fruibile nella versione cinematografica con il titolo neutro di La ragazza di Tony svettante Ali Mc Graw che poi si sarebbe affermata con la versione filmica di Love Story. Alla trave portante sono corredati cinque racconti di ambientazione ebraica che potresti benissimo confondere con altrettanti creazioni di Malamud o di Bellow, tanto forte è il calcolo di una tradizione narrativa fortemente caratterizzata per ambiente, consuetudini, gergo yiddish. Quando si produce in questo primo libro Roth ha appena 26 anni ma già si spende in una corrosiva descrizione del vuoto benessere americano, fatto di esteriorità, consumo ma con un assoluto vuoto di valori. Dunque il fidanzamento “pronti e via” di una copia è la cartina di tornasole per ispezionare la famiglia di lei con i suoi stanchi riti, affrontando la piacevole inconcludenza di vite sotto il segno del nulla. Dal nulla al nulla verrebbe voglia di dire per una coppia che non quaglia, che non sopravvive alle formalità e al perbenismo per un’America che sta affrontando la temperie di “Scandali al sole”. Nel sesso anche la scoperta di un diaframma anti-concezionale può sbattere su un muro di pregiudizi e di veti. Rimane la simpatia per il protagonista maschile che è sbalzato in un mondo assolutamente non a sua misura, con cui si sforza di confrontarsi senza grande successo. Roth fa largo uso di dialoghi per graffiare un’American life che già 60 anni rivelava la propria inconsistenza. Ma è solo l’alba di annunciati successivi capolavori con l’apoteosi per Il Lamento di Portnoy, non il migliore ma certamente il più famoso.
data di pubblicazione:20/03/2020
da Daniele Poto | Mar 15, 2020
Pensatore a cavallo delle due guerre. Storico, cattedratico, guerriero, ucciso dai tedeschi poco prima della fine del secondo conflitto mondiale, Bloch ha riscritto il concetto di storia, cancellando il nozionismo di date, etichette, luoghi comuni per assemblare il gusto della scoperta in un contesto multiforme fatto di scienza, di vita dell’uomo, secondo una concezione di sinistra anche se il borghese che era in lui riassumeva e viveva le contraddizioni dell’uomo d’ordine. Il breve saggio di cui si parla risale al 1937, a una conferenza epocale letta 25 giorni dopo essere stato nominato professore nella prestigiosa Sorbona. C’è tutto Bloch, il suo empirismo, la sua ecletticità che si riassume in una formula che è un programma di studio ed un metodo: “toutes choses égales d’ailleurs”. Una storia orizzontale non scritta dai vinti e dai ricchi. Si chiede ad esempio se non sia importante risalire all’origine dell’inserimento della marmellata nel menù dei francesi. Ebreo ma fieramente transalpino. Allievo di Pirenne, studioso di fatti apparentemente minori ma assolutamente utili per capire un mondo. La mentalità come chiave di volta per capire un mondo: il Rinascimento, il Medioevo. L’inutilità di una guerra in cui non credeva ma in cui si trova coinvolto mostrando abilità di comando pratiche che alla fine gli costeranno la vita perché i nazisti lo definiranno “un ebreo capo dei terroristi” deformando l’immagine di uno studioso ormai anziano, calvo, grassoccio, ma fieramente orgoglioso della propria identità se non della propria religione che per sua esplicita definizione mai praticò. Lo studio della storia come esperienza non pregiudiziale e non ideologica. Lo storico mette sul piatto dei fatti che poi toccherà ad altri specialisti giudicare a valutare. In un’ottica precisa: soltanto lo studio del passato offre il necessario senso del cambiamento. Bloch ha aperto un mondo nuovo alla generazione di storici che gli sono succeduti anche grazie all’esperienza della prestigiosa rivista da lui fondata Les annales d’historie économique et sociale.
data di pubblicazione:15/03/2020
da Daniele Poto | Mar 15, 2020
Il sociologo settantenne noto interventista, opinionista senza vecchi steccati destra/sinistra, descrive lucidamente l’abnorme fotografia della società italiana di oggi, legata alla rendita di posizione di una classe sociale che si può permettere di non far lavorare i propri figli sfruttando le fortune accumulate generazionalmente. Un’Italia dove il titolo di studio svalutato non permette l’ingresso al mercato del lavoro e dove più che di stipendio si vive di affitti, di investimenti, di ingenti depositi sul conto corrente bancario. Esaminando uno per uno i Paesi Europei Ricolfi constata che nessuno è in queste condizioni. La condizione di mancata crescita e di grandi patrimonializzazioni familiari oltre all’enorme debito pubblico è il combinato disposto di questa situazione che presenta evidenti punti di vantaggio alla voce “benessere” ma anche grandi criticità visto il blocco dell’ascensore sociale, la stagnazione dei valori primari sostituiti dall’industria del loisir, dalla filosofia dell’apericena e dell’uso indiscriminato dello smartphone. In definitiva una società che gode di un grande surplus e quasi non sa come spenderlo. Una società rivolta al futuro con i soldi accumulati nel passato. Tutto ciò è reso possibile dal servaggio di una parte imponente della società che una volta era sottoproletariato ed ora è lavoro nero di lavoratori stranieri che sono la sovrastruttura che permette lo status. Un esercito di colf, badanti, lavoratori edili che legittimano la situazione di privilegio e senza i quali sarebbe impossibile mantenere uno stile di vita da classe privilegiata. In sintesi Ricolfi ritiene che la pratica del consumo opulento ha creato un’organizzazione sociale che si regge su tre pilastri fondamentali: la ricchezza accumulata dai padri, la distruzione progressiva di scuole e università con un livellamento qualitativo esponenziale e, in basso, un’indispensabile struttura di stampo para-schiavistico. Ecco restituita l’immagine di un’Italia fintamente prospera ma che non ha creato le basi per resistere alle crisi. Forse per la cronica assenza di statisti da queste bande.
data di pubblicazione:15/03/2020
da Daniele Poto | Mar 13, 2020
Un grande successo, ristampa a raffica. Svolgimento con il sorriso assicurato e a volte anche il riso. Ma cui prodest? Veronica Pivetti ha scritto una sorta di Cinquanta sfumature di grigio riletto in sala Friends o Sex in the city. Linguaggio scattante, farcitura tutta affidata ai dialoghi di cinque amiche e dei battibecchi con la madre. Testo che però fatica a crescere nella dimensione del romanzo a dispetto delle oltre duecento pagine. Trattasi di mayonese che non monta e rischia di impazzire nella tessitura di una trama esile e pruriginosa, direi neanche erotica perché si snocciolano situazione di sesso meccanico, apparentemente copiate da un film porno. Può essere esercizio di realismo quando la protagonista (che non è chiaramente autobiograficamente la Pivetti) si dedica al sesso orale nel bagno di un treno? Hanno senso le ripetute eiaculazioni del dimesso personaggio maschile liquidato in men che non si dica per un rigurgito di femminismo dopo averne utilizzato la valentia ormonale fino in fondo? Spaccati di barzelletta o di breve sketch. Immaginiamo che l’autrice si sia molto divertita a scriverlo cercando di offrire di sé un’immagine alternativa assolutamente contrastante con quella mediatica. E comprendiamo anche l’imbarazzo del neo direttore di Rai Uno Stefano Coletta nell’imbrodare di complimenti l’autrice alla presentazione del libro al Teatro Eliseo, prima della chiusura dello stesso. Semmai c’è da lodare l’attrice per la grande padronanza nei dialoghi scoppiettanti che costituiscono il pezzo forte del plot ma che ne costituiscono anche il grande limite narrativo. In effetti nei dialoghi per definizione non c’è azione ed è difficile montare da fermo una vicenda veramente avvincente. Per chi lo leggerà il riconoscimento migliore è nel personaggio di Benedetta, quello si veramente somigliante all’autrice, anche per le perplessità sull’attuale posizionamento sessuale, vero specchio dei tempi per le persone evolute e senza pregiudizi. Un libro per donne ma che gli uomini leggeranno con altri intenti, anche potenzialmente maliziosi.
data di pubblicazione:13/03/2020
Gli ultimi commenti…