da Daniele Poto | Apr 10, 2020
L’Europa perennemente in cerca di padri dopo che quelli, recenti, sono stati dimenticati (Adenauer, De Gasperi tra gli altri) ha bisogno di riferimenti nella storia e andando a ritroso nel Basso Medioevo riconosce una radice fermentante in Carlo Magno che fu imperatore occidentale, cristiano e cattolico e dunque ha imprinting considerevole, pur essendo Franco, per essere inglobato nella nostra storia, della nostra cultura e nella nostra religione. Il prof. Barbero, abilissimo affabulatore, quanto mai gettonato ora youtube nei giorni del coronavirus ha dato alle stampe questo compendio che riassume un’opera di ben diverso impegno. Un agile pamphlet riassuntivo anche a portata di studenti che riassume con una lettura veloce la personalità di un sovrano che ha fatto giurisprudenza e storia e che ha regnato per quasi mezzo secolo anche se solo per quattordici anni con l’etichetta di imperatore, salvando un Papa, riabilitando un rilancio culturale a cui si è dato con generosità pur essendo parzialmente analfabeta. Carlo Magno ha creato più di dodici secoli fa uno spazio politico che prima non esisteva e che da quel momento, attraverso varie crisi e mutazioni, ha continuato ad esistere fino a adesso. Un discusso concetto di Europa si agita ora per il vecchio continente. Con il complesso di non essere riusciti fino in fondo il suo insegnamento. L’Europa dei popoli infatti non ha un minimo comune denominatore giurisprudenziale e soprattutto etico con una bussola incerta che ha un percorso ispirato solo dall’economia. Glaciale sovrana di ogni scelta anche nei tempi dell’emergenza. Paragone impossibile ma Carlo Magno fiutava l’esistenza di uno spazio europeo ed ha saputo occuparlo e considerarlo nonostante che guerre e tensioni fossero all’ordine del giorno durante il suo impero. Sono gli anni dell’arte, della Chanson de Roland, che ispirò Aristo e il Boiardo sulla scia della mitica battaglia di Ronsisvalle. Eginardo, lo storico del tempo, ci racconta Carlo Magno in presa diretta in alcune pagine di questo funzionale volumetto.
data di pubblicazione:10/04/2020
da Daniele Poto | Apr 6, 2020
Come si riflette nell’immaginario collettivo l’industria della mafia? La rappresentazione avviene attraverso il mondo dello spettacolo e con un’attenta analisi sociologica e statistica l’autore, specialista del ramo, va a destrutturare i meccanismi descrittivi sul fenomeno. Cinema, letteratura e personaggi più che il teatro sono i privilegiati punti d’osservazione per un saccheggio di spunti che spesso prende spunto dalla realtà delle vittime e dei miti sacrificali (su tutti la potente icona di Falcone e Borsellino), a volte con vicende di completa fantasia che pure incidono profondamente nella percezione collettiva. Il classico esempio è quello de La Piovra o del grande successo di Gomorra. Opere che hanno creato un mainstream, un fiume lungo di imitazioni più o meno riuscite. La mafia di Cosa Nostra è nettamente in pole position in questa graduatoria di uso e gradimento mentre gravemente sottovalutato è la ‘ndrangheta che nei fatti ha schiacciato come volumi di affari la mafia siciliana. La camorra ha un forte radicamento nella tradizione campana (basti seguire il discusso fenomeno dei neo melodici) mentre sporadici tentativi di appropriazione spettacolare hanno riguardato la Sacra Corona Unita pure se Sergio Rubini, non a caso pugliese, si è speso in merito. Evidentemente ci sono personaggi che colpiscono di più registi e pubblico. Come le storie caratterizzate di Romanzo Criminale e Suburra in ambito capitolino o il sapiente uso del personaggio-Buscetta ne Il traditore di Bellocchio. Meno utilizzabili Riina e Provenzano, prosaici, rozzi e incolti. La società estetica di massa comunque si è appropriata di questa occasione finendo con il venire criticata da chi sosteneva (Berlusconi) che così si offriva una pessima immagine dell’Italia all’estero. Ma non c’è esercizio di auto-denigrazione né di compiacimento. Ammirevole il cinema che prende spunto dalla realtà senza esaltare una situazione di predominio mafioso che è sotto gli occhi di tutti. Attitudine non solo italiana. Basti pensare a Il Padrino di Puzo, portato al cinema da Francis Ford Coppola o le storie seriali di mafiosi filmate da Martin Scorsese.
data di pubblicazione:06/04/2020
da Daniele Poto | Apr 1, 2020
Marchiato dal successo come libro dell’anno (la prima uscita è del 2018) a distanza di due anni si può metabolizzare con più distacco la validità di un romanzo storico inusuale che si snoda per oltre ottocento pagine ma che si legge come un giallo grazie alla scorrevolezza cronologica della narrazione e a un uso sapiente e accattivante dell’italiano, non privo di finezze stilistiche. Ernesto Galli Della Loggia come si sa ha fatto le pulci a una decina di marchiani errori storici. Che però, in fondo appariranno veniali al lettori di romanzi e non intaccheranno la credibilità complessiva dell’opera. Personalmente abbiamo fatta la tara alle inesattezze correggendole in automatico nel corso della lettura, esercizio in qualche modo stimolante e coinvolgente. Si documenta l’ascesa di Mussolini dopo la “vittoria mutilata” nella prima guerra mondiale. Un’Italia piena di rancori e insoddisfazioni quella che si presenta nello scenario politico del dopoguerra e Mussolini è bravo a sfruttarne ansie e attese inserendosi in un contesto che vedeva, su altro versante il partito socialista, come aspirante al potere. Ma un secolo fa la rivoluzione di sinistra rimase incompiuta, a differenza di quanto avveniva in Russia, e così violenza dopo violenza, sopruso dopo sopruso Mussolini riuscì a farsi conferire il fatidico incarico di governo dopo l’ampollosa priva di forza della marcia su Roma. Si descrivono anche le ascese dei gerarchi di vario taglio ed estrazione (Farinacci, Balbo, Grandi, Arpinati), i tempestosi amori del duce (l’unico intellettuale quello con Margherita Sarfatti), l’acquiescenza colpevole del re e di quella società che restò inerte di fronte a questa perentoria ma pure resistibile scalata. Si scopre che Mussolini nei primi anni ’20 era ammirato anche all’estero e non dispiaceva a Giolitti e a Pietro Nenni. Ma i segnali del disastro già erano presenti se poteva maturare l’eliminazione di un personaggio irriducibile come Matteotti. La legalità subì un primo fiero colpo con la legge Acerbo con il potere consegnato a un partito che avesse superato la soglia del 25% dei suffragi. Come dire via libera per una dittatura.
data di pubblicazione:01/04/2020
da Daniele Poto | Mar 29, 2020
Vincenzo Mollica, fresco pensionato Rai, afflitto da una malattia degenerativa, ma più che mai sulla cresta dell’onda, ha sfornato questo libro in tandem con un garbato cinefilo di lunga gavetta come Steve Della Casa. Un volume da collezione come il ruolo pregiato che il cinema italiano ha esercitato nella storia dell’Oscar. E la narrazione si esprime da un punto di vista molto personale. Con la frequentazione assidua della cerimonia hollywoodiana in un vasto arco di tempo e con una partecipazione personale, di conoscenza diretta delle star nostrane, mostrate attraverso una familiarità compiacente e certo non troppo severa. Non c’è acribia nella dimostrazione di contiguità e nella partecipazione comune allo star system. Ma gli autori fanno intravedere da un virtuale buco della serratura le sgrammaticature della cerimonia e le esagerazioni dei divi americani. Situazioni che possiamo immaginare ma che diventano reali e tangibili se raccontate, come avvenuto nella presentazione ufficiale al Grand Hotel di Roma, insolitamente cominciata persino con qualche minuto di anticipo, forse per tamponare la condizione di salute di uno degli autori. Così Al Pacino circondato da donne di non preclari costumi oppure un Jack Nicholson la cui autovettura si palesava come un autentico arsenale alcoolico. Vizi privati che diventano pubblici, parafrasando Jancso. Il resto è ordine e memoria, rileggendo il lungo elenco di italiani fregiati di un Oscar: Sophia Loren, Vittorio De Sica, Anna Magnani, Federico Fellini, Giuseppe Tornatore, Ennio Morricone, Roberto Benigni, Paolo Sorrentino, Gabriele Salvatores, Gianni Quaranta, Milena Canonero, Dante Ferretti, Francesca Lo Schiavo, Nicola Piovani. Un zig e zag tra le eccellenze attoriali e professionali che fanno ricca un’arte ora ferma ai box nell’emergenza coronavirus. Mollina paragona la cerimonia degli Oscar a un atto liturgico, un altare maggiore di quella immensa cattedrale che è la scatola di sogni chiamata cinema. Un valore di riconoscimento universale vista la fioritura di un interessante cinema asiatico e africano.
data di pubblicazione:29/03/2020
da Daniele Poto | Mar 24, 2020
Libro di successo perentoriamente utile nei tempi del coronavirus dove le fughe culinarie degli italiani possono incidere sul sempre maggiore tasso di obesità dei connazionali, con particolare riferimento alla fascia adolescenziale. Ticca, apprezzato ex giocatore di basket, scienziato dell’alimentazione, spezza i tanti luoghi comuni che circondano le materie prima della gastronomia. Testo definitivo che coniuga il sapere viver, la buona digestione e la prevenzione soprattutto dalle malattie cardio/vascolari. Saggio scientifico ma alla portata di tutti, manuale empirico di buona sopravvivenza perché i pasti divengano una coerente idea di sostenibilità fisica e ambientale. Sarà bene addentrarci negli esempi per rendere edotti i potenziali lettori sull’utilità del libro. Pensavate forse che il latte a lunga conservazione contenesse minori principi attivi rispetto a quello tradizionale? Giudicavate lo yogurt un toccasana sopraffino per le nostre calorie? Opinavate che tra un pasto e l’altro occorre non toccare cibo? Tutte teorie di senso comune ma sbagliate. Ticca documenta con prove inoppugnabili come il pesce non contenga più fosforo della carne e allarma i salutisti sull’uso indiscriminato e borderline di vitamine e integratori alimentari. Che, come medicine, vanno assunti nella giusta dose. Il sovradosaggio è dietro l’angolo. Così si può scoprire che il caffè americano contiene più caffeina di un normale caffè espresso italiano e che il caffè ristretto infinitamente di meno perché ovviamente è una questione di quantità. Più ne bevi, più assumi caffeina. Smentita anche la teoria sull’utilità di non bere acqua durante i pasti e ridimensionata la funzionalità all’interno della dieta del classico bicchiere di vino rosso per pasto. Un capitolo a parte sull’alcool che spesso è pura assunzione di zuccheri. L’idea che un amaro possa contribuire a farci digerire è quanto di più lontano avvenga nella pratica. Tiene invece la teoria sui vantaggi di un digiuno prolungato di dodici ore: tra le cena serale e la colazione mattutina. Del resto non è un caso che musulmani ed ebrei abbiano mutuato buone credenze di astinenza dal cibo in combinato disposto con i dettami delle proprie rispettive religioni.
data di pubblicazione:24/03/2020
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