da Daniele Poto | Lug 8, 2020
Un’autrice di successo ha voglia di inanellare piccole storie dopo il boom del Premio Strega 2018. L’amore che c’è è sussurrato, coccolato, tenue. Non è un’esplosione di passione ma un sentimento rattenuto, dissimulato, difeso ma pur vivo ed esistente. Un autobiografismo discreto ma palpitante si affaccia nei dieci racconti dell’agile silloge in cento pagine, distillati di situazioni, ambienti che corrono parallelamente alla vita del Pigneto. E la Terranova, siciliana adottata da Roma, non manca di sottolineare la differenza antropologica, la mutazione del suo essere in una città sempre più cosmopolita capace di integrarti ma con il manifestarsi di qualche asperità e durezza. La Terranova si fa dunque esploratrice e vigile interprete di pulsioni sottotraccia, leggendo ed interpretando il sottotesto dei suoi personaggi e dei suoi scenari, pervasi di umanità e di esperienze personali, da portare alla luce dalla zona d’ombra in cui si trovano. Un libro inconsueto e non banale in cui la demarcazione dei racconti invita a una lettura meditata e non frenetica, come il ritmo invece a volte caotico della metropoli. Si sosta a Porta Maggiore che è luogo di transito e non di visione con l’ispirazione lasciata da Mariateresa Di Lascia. Dunque anche una pensilina, una lavanderia, un incontro fortuito, accendono stimoli e vibrazioni. La vita negli occhi degli altri, come specchio e occasione di serenità. Come entrare in un mondo privato che la rivelazione della letteratura, proustianamente, rende improvvisamente pubblico. Si ripete il piccolo miracolo della suggestione comunicativa che si rende seducente con la forma più che con il contenuto. Perché non c’è tanto da raccontare se non stati d’animo, percezione, impulsi di un mondo virato da una sensibilità tipicamente femminile. Un testo interlocutorio che completa il curriculum sempre più interessante e stringente di una delle autrici più stimolanti della generazione di mezzo.
data di pubblicazione:08/07/2020
da Daniele Poto | Giu 11, 2020
Uno scrittore inglese che tifa per il Verona? Il mondo è bello perché strano. Tanta carriera ha fatto l’autore vivendo nella città di Romeo Giulietta e tanti libri sono metaforicamente scorsi sotto il suo Adige. Questo è una sorta di fortunato incipit di carriera. Un’immersione artificiale quanto si vuole ma convinta nel complicato mondo degli ultras, in particolare delle Brigate Gialloblu’ che sono quanto di più estremista e radicale circola nelle curve degli stadi italiani. Parks vive una stagione a braccetto con gli intemperanti xenofobi veneti, decisamente politicamente scorretti ma dialettizza il rapporto con il tifo anche attraverso la mediazione dei vertici della società: il presidente Pastorello, il manager Agnolin, l’allenatore Perotti. E il lettore non sa decidersi quale partito sia il peggiore. Perché il coach appare come un uomo imbelle indisposto a qualunque emozione. Per la verità la fortuna ci mette del suo perché in quella stagione a inizio millennio il Verona, ormai completamente dimentico dello scudetto degli anni ’80, perlomeno riesce a salvarsi in capo a una complicatissima annata, conclusa con lo spareggio vincente con la Regina. Parks coglie tanti punti stridenti punti di contraddizione del calcio italiano, certo non migliorato venti anni dopo. Un libro di 500 pagine su una fazione ultrà sembra un’impresa da Divina Commedia. Ma il testo scorre piacevole e dialettico, non certo ideologicamente unidimensionale. La simpatia distante di Parks non è acritica adesione. Vive le trasferte come un ultrà qualsiasi anche se adempie alla mission dello scrittore. Un anno vissuto così ne vale la pena se è servito per un libro che è un’osservazione dal vivo di un fenomeno che oggi fa risuonare (vedi. caso Piscitelli) derive criminali e mafiosi. Gli ultras italiani si sono riuniti al Circo Massimo il 6 giugno 2020 per varare una sorta di Internazionale d’intenti. Dove l’interlocutore privilegiato non è più il calcio ma addirittura il Governo. C’è un progetto sovranista per farlo cadere e gli ultras, non si sa se in buona o in cattiva fede, si prestano all’operazione.
data di pubblicazione:11/06/2020
da Daniele Poto | Mag 30, 2020
Non abbiamo un metro universale di paragone ma questo è il primo e unico libro delle nostre esperienze di lettura risolto tutto in un dialogo. Si apre e si chiude con una domanda insieme ingenua e profonda. “Ma tu sei felice?”. E questo è il cordon rouge attraverso cui si snodano oltre duecento pagine di batti e ribatti di due protagonisti maschili che possiamo immaginare milanesi, borghesi, over 60, ben pensanti, con qualche deriva demenziale per l’ironia che l’autore Baccomo profonde a piene mani nelle loro divagazioni, a tratti da bar sport. Non è un caso che Claudio Bisio e Gigio Alberti, amici inseparabile da un quarantennio rievocando una certa atmosfera del Derby meneghino ne abbiano tratto 25 godibilissime puntate diffuse su youtube. Dunque è più che un audiolibro, è teatro ed è da ammirare la faccia di gomma di Bisio che ribadisce una volta di più il proprio mestiere i cui primi passi sono stati ispirati dall’arte del mimo. Guardatelo soprattutto quando non parla ma commenta le affermazioni dell’amico: una goduria! I due non aspettano Godot ma intessono una dialettica ovvia sugli argomenti più disparati del loro vivere quotidiano anche se il sesso appare una calamita imbarazzante per il loro senso comune. Vincenzo e Saverio (questi sono i loro nomi) sono come tanti, forse un po’ più fatui. Due anti eroi del nostro tempo. E nei giorni del Covid-19 l’operazione passatempo funziona. Il dialogo è perturbante ed innesta climi da commedia dell’assurdo. Beckett e Ionesco sono leggermente rievocati da un senso dell’assenza che è angosciante. Fino a rimbalzare alla fatidica irrisolta domanda finale. La filosofia di Saverio nella risposta iniziale si condensa così: “Se per felice intendi uno che è soddisfatto di sé, di quello che fa, ed è felice, allora no, non sono felice. Ma se per felice intendi uno che è soddisfatto di sé, di quello che fa, anche se non è proprio felice, allora sì, posso dire che sono felice”. Chiaro, no?
data di pubblicazione:30/05/2020
da Daniele Poto | Mag 23, 2020
Coraggiosa scelta quella di uscire con un libro di poetica quotidiana nei giorni confusi del coronavirus. Supremo sprezzo del pericolo? Ilaria Grasso non ha paura di lanciare il cuore oltre l’ostacolo, come si direbbe con linguaggio vintage perché la voglia di osare è nelle sue precipue corde. Il libro lancia un senso di sfida ai luoghi comuni del mainstream ricollegandosi a quell’importante filone di poesia civile che ha due nomi di riferimento, pur diversi, come Franco Fortini e Nanni Balestrini. Senso delle cose da fare e sguardo più lontano e consapevole rivolto a un’utopia sullo sfondo. Un acuto senso di libertà pervade le pagine. L’ampio numero delle dediche è funzionale ad ancorare alla sua personalissima poetica e alle cornici di riferimento: donne in minoranza, lavoratori indifesi e, appunto, gli indomabili utopisti che si ribellano al tran tran del quieto vivere di una borghesia nazionale più che mai insidiata dalla crisi e dalla obsolescenza valoriale. Il libro è impreziosito dalla prefazione di Aldo Nove ma si potrebbe dire in un senso più generale dall’ampia filiera di riferimento culturale dell’autrice movimentista. Una poesia che non è ferma ma è atto politico, indice di movimentismo, occasione per scuotere radicalmente le coscienze. Un sasso nello stagno e scagliato con consapevole violenza. Scene di vita quotidiana irrituale, lampi di poesia nel buio di esistenze prosaiche. Il libro non ha sinossi di contro copertina perché ambisce a farsi giudicare solo per i suoi contenuti. Ma è anche un testo ironico, privo della serietà politicante, dei complottisti, dei molto diffusi profeti di ventura e di sventura. La Grasso maneggia il verso con padronanza lessicale. Accelera e frena con proprietà e lo stesso montaggio dei contributi poetici obbedisce a una questione di intima e delicata grazia interna. In copertina un rider, potrebbe anche essere quello che si è tolto la vita lanciandosi da un ponte a Firenze, dopo un licenziamento improvviso.
data di pubblicazione:23/05/2020
da Daniele Poto | Mag 17, 2020
Dalle note editoriali sembrerebbe un libro stampato per la prima volta in Italia e dunque inedito dall’originaria pubblicazione americana del 1942, in piena guerra mondiale. In realtà c’è stato un lancio con Fanucci, avveduto primo scopritore dell’autore di Getaway. Ora una riedizione globale a cura di un editore strapotente sul mercato. Ma non è un Thompson in gran forma. La narrazione appare a tratti sfilacciata ed incongruente anche se la potenza d’impatto del plot è sempre in agguato, vivida e pronta a risvegliarsi. Un Thompson che sembra afflitto dal bisogno economico nel pubblicare una storia che avrebbe meritato ben altra asciugatura e taglio. Comunque per metafora c’è il climax di una società americana avanzante ma pure pregna di dubbi con la deriva incombente di conflitti sociali, di una difficile quadratura familiare e varie tentazioni di fuga psicotica. Se è vero che un popolo di nevrotici è sempre sul punto di crollare e di sconfinare nella follia qui la deriva borderline è una continua minaccia alle pieghe della narrazione. Si può pensare a John Fante, alla difficoltà di sbarcare il lunario. Un noir a tratti violento che non sottintende un colpevole se non chi ha contribuito a disegnare questo tipo di relazioni, cioè alla fine lo Stato più potente del mondo. La suspense tende angosciosamente a tenere continuamente in ansia un lettore sospeso in un clima di incertezza del futuro, un po’ come tutti i protagonisti di questo variopinto bozzetto d’America. Thompson si conferma scrittore pieno di tensioni, dai risvolti inquietanti. L’insoddisfazione è la costante del protagonista e riverbera un senso di distruzione sul sogno americano. Vuoto e inconsistente perché poggiato su valori fragili e minimali (il denaro, il successo, l’affermazione sociale?). Tensioni che lo portano sempre sull’orlo della improvvisa esplosione con conseguente vendetta. L’uomo comune che esce dalla cronaca minimale ed entra nella cronaca nera. E c’è molto Jim Thompson e tanti dei patemi di scrittore. Affermazioni e riconoscimenti sofferti, in una carriera piena di alti e bassi. Ricompensata solo dall’acquisto dei diritti filmici su alcuni suoi romanzi più riusciti.
data di pubblicazione:17/05/2020
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