da Daniele Poto | Nov 23, 2020
Auto fiction particolare. Un racconto insieme vero e apocrifo. Interno laziale anni ’70. Incubazione di molte cose dalla parti di Roma Nord, del campo di Tor di Quinto, dell’eroico scudetto biancoceleste. Canaglie simpatiche i giocatori di quella squadra ma anche grandi irregolari, sparatori per diporto, divisi in due fieri partiti, liberi di picchiarsi nelle amichevoli del fine settimana. Un brevissimo ciclo legato al nome di Tommaso Maestrelli, paziente mediatore di trame, ricuciture di manifeste tensioni. Tutto è destinato a comporsi e poi e rompersi nel giro di due stagioni sullo sfondo di un’Italia inquieta, afflitta da terrorismo e dalla vicende personali (la sparizione della figlia) della voce narrante, un fotografo molto addentro alle cose laziali. Succederà che Chinaglia emigrerà in America, che Re Cecconi verrà ucciso da un gioielliere spaventato, che Maestrelli morirà di tumore dopo aver disperatamente cercato di evitare la rottura del giocattolo provocata anche dalla gestione del suo successore, il malcapitato Corsini. Romanzo di sport? Tutt’altro o meglio non solo e già la pubblicazione della Sellerio dice molto. La scrittura di Carotenuto è insieme agile e profonda e ci mostra la vera fotografia di uno spogliatoio calcistico in un’Italia ruspante. Ma c’è anche un magistrale affresco di giornalismo, quando la rivalità tra i giornali della sera capitolina era spasmodica e sono pochi a ricordarsi che ne esistevano ben tre… la Lazio in questo contesto era una Santabarbara sempre pronta a esplodere. E difatti quando la tensione erutta il bel capitolo finisce. Sono passati quasi cinquanta anni. Il campo “Maestrelli” è solo un ricordo. Ora c’è il presidente Lotito, l’eremo di Formello, il calcio industriale dai mille debiti. E dunque un romanzo e un’epopea del genere sarebbe difficile scriverla e raccontarla visto che gli addetti ai lavori sono chiusi nel loro separatissimo harem. Il protagonista invece gioca a carte con Maestrelli e conosce tutti i segreti di famiglia. Una famiglia quelal laziale di simpatici “parenti serpenti”.
data di pubblicazione:23/11/2020
da Daniele Poto | Nov 19, 2020
(Teatro Vascello- Roma, 17/22 novembre 2020)
Dentro il cuore del mito attraverso la scrittura di Ovidio e le figure mitiche di Penelope, Arianna, Canace, Medea, Ispile come metafora di una condizione femminile sofferente e claudicante verso una difficile omologazione nella parità di genere).
Prova umane di resistenza teatrale in uno dei due teatri che svolge ancora attività professionale e per di più a titolo gratuito. Onore al merito di Manuela Kustermann e dei suoi collaboratori che accendono la speranza del teatro con meno di un’ora di intensa performance in streaming. Nell’esperienza che abbiamo vissuto 55 collegamenti accesi nelle case italiane, segno di una fede che non barcolla anche di fronte alla temperie della pandemia. Non si tratta di uno spettacolo facile che racchiude il pathos con punte di assoluta intensa emozione. Tecnicamente l’evento presenta un vantaggio: ci si può collegare da tutta Italia e presumibilmente davanti a un video c’è più di una persona, forse addirittura aggregati familiari. La Kustermann drammatizza Ovidio, ne umanizza i miti e offre la voce a un universo femminile che si fa intensa riflessione e trasformazione con l’accompagnamento musicale ad hoc. Un tappeto sonoro che ben si sposa ai testi nella direzione di una consapevolezza estetica profonda, nell’ansia di un cambiamento necessario. Il superamento degli schemi è metafisica pura dove il dato del passato non è secolarizzato ma riscattato in chiave presente con chiari accenni anche a possibilità future. Una scelta coraggiosa e tutt’altro che commerciale. Lirismo puro con margini onirici per il valore aggiunto di parole, poesia e note. Un viaggio esperienziale meritorio ed appagante. Una scelta ben ricompensata da un pubblico che si profonde non in applausi ma in inevitabili positivi commenti muti in chat.
data di pubblicazione:19/11/2020
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Nov 5, 2020
Il gusto della battuta non è quello della barzelletta. E il fluviale Luca Bottura, autore infinito per Bertolino, Cucciari, Littizzetto, in passato per Gnocchi, Crozza, Cornacchione, Celentano (tenete presente, non è tutta farina del loro sacco) ha tentato un passo lungo ma probabile. Un libro che è un condensato di umori fertili, il filo rosso di una narrazione molto personale, quasi un livre de chevet, sulla sua lunga parabola giornalistico-satirica. Percorso in cui le preferenze politiche sono dichiarate (l’idiosincrasia per i grillini ad esempio, vittima designata l’ex Ministro Toninelli al quale dedica spiegazioni particolareggiate). Dunque non una storia da romanzo ma tante storie, tanti frammenti a cui non si chiede di radicarsi in un impianto coerente. Dove la dispersività intrigante è un dono e non una diminutio. C’è il racconto di una lunga gavetta con la dolorosa esperienza a L’Unità, giornale tradizionale della sinistra la cui abdicazione è un po’ la metafora del tradimento di tutto un versante politico in cui riponeva tante speranze di futuro. L’autore ci racconta l’Italia che vede e che sopporta con l’occhio ironico ma non distaccato di un cronico disadattato e/o indignato. I buonisti? Sostiene che siano sempre meglio, con la loro constatata fragile identità, dei cattivisti in circolazione nel Paese, a partire dai pupulisti/sovranisti. Un libro a cui non si chiede particolari doti di coerenza quanto di brillantezza e di generosità autoriale. Dunque un manuale d’uso che è quasi una sorta di guida scapestrata ai tempi difficili che viviamo. Il testo abbonda di citazioni musicali e sportive (il Bologna calcio, la Fortitudo). I bersagli sono tanti (Marco Travaglio, ad esempio) ma il lettore non disquisirà sulle predilezioni quanto sarà piacevolmente risucchiato dal vortice carsico di affabulazioni satiriche. Le une sulle altre con effetto esponenziale. Un libro survoltato ma comunque non sopra le righe. Come si diceva una volta.
data di pubblicazione:05/11/2020
da Daniele Poto | Nov 3, 2020
(Teatro Belli- Roma, 30 ottobre/1 novembre 2020)
Nuova scena inglese con ammiccamenti a Pinter rimodellato nel nuovo millennio. Senza morbosità ma con una traduzione scoppiettante fedele a fornire un ritratto veridico della middle class britannica negli anni della crisi.
Lei è tutta casa e pranzetti, immedesimata nel proprio ruolo di casalinga che si scoprirà forzoso più che libera scelta (è stata convinta a dare le dimissioni da un brillante lavoro). Lui è zelante ma in crisi incapsulato in un matrimonio soffocante. Le cartine di tornasole che faranno detonare la stagnante situazione sono gli altri protagonisti della commedia in due tempi proposta con streaming a pagamento per la rassegna TREND, la nuova scena britannica, ovvero un’amica, la madre della padrona di casa, la capoufficio di lui. E, gradatamente l’atmosfera rosea delle prime scene diventa plumbea, anche di fronte a una possibilità di tradimento. Il chiarimento arriverà alla fine con un contraddittorio che sa molto di teatro, con dialoghi all’altezza, la viva complicità e partecipazione di attori assai in sinergia con il tema e debitamente affiatati. La scenografia di Francesco Ghisu mostra il fondale ideato da lei, una gabbia stretta. Il richiamo ideale agli anni ’50, compresi balli, televisore e frigorifero. Una cornice mortifera da cui solo l’evasione, come da un carcere è possibile. Rimbalzano nelle due ore e mezzo di spettacolo senza cali di tensione molte delle frenesie del tempo: l’emancipazione della donna, un femminismo non completamente digerito, il carrierismo, l’economia del dopo Thatcher, il sessismo. Qualcuno ha evocato Un Tram che si chiama desiderio di Tennessee Williams anche se qui siamo lontani da esasperazioni e perversione. Un piccolo grande dramma domestico in via di risoluzione grazie all’amore che è fonte ispiratrice di due protagonisti che non vogliono perdersi. Un inno all’amore ma anche al teatro con questa originale proposta rivolta al pubblico online. Se non si può andare a teatro è il teatro che entra nei nostri schermi.
data di pubblicazione:03/11/2020
Il nostro voto:
da Daniele Poto | Ott 30, 2020
(Teatro Vascello- Roma, 28/31 ottobre 2020)
La rarefazione estenuata dei rapporti di copia. La ripetizione come logoramento nella vita coniugale. Una complessa trama di abitudini, luoghi comuni, attese non corrisposte alleggerite da una colonna sonora orecchiabile e tratti da music hall.
Teatro a domicilio per 48 attenti spettatori davanti allo schermo di un computer. Spettacolo dal vivo che per non morire si offre gratuitamente. Gli applausi, risate e i rumori di fondo affidati alla regia. Ma il freddo delle circostanze viene riscaldato dal calore drammaturgico dell’opera. Un testo certo non facile su cui la mini-compagnia ha lavorato per due anni vedendo sfumare in extremis la soddisfazione del debutto bruciata da un impietoso decreto legge. Il lavoro degli attori-registi trae ispirazione dai Multiversi di Hugh Everett. Si avverte una forte suggestione di fondo che teorizza l’esistenza di consistenti universi fuori dalle nostre coordinare spazio tempo. La dimensione parallela si sviluppa nel dialogo stentato dei protagonisti. Nel fondale di una cucina simil Ikea, con un televisore quasi perennemente acceso, si assiste a lacerti di una vita di coppia sfilacciata, a tratti insensata, invano riscattata da affettuosi soprannomi, da rituali di abbraccio che non riescono a dissimulare la profonda mancanza di intesa. Vari piani non simmetrici di racconto in 75 minuti di sviluppo che appare piano in capo a ottanta minuti di felice esibizione. Le parole sembrano infingimenti per riempire il vuoto comunicazionale. Vite senza direzione né programma. Persino una zuppa di porri se preparata in un giorno diverso dal giovedì può provocare sconcerto. Eppure, sotto traccia, la vita cambia e fa da sé e certi passo si rivelano decisivi, quasi irreparabili. Il personaggio femminile, un po’ in disparte nella prima parte, nella seconda cresce di tono e prende il sopravvento con la propria feroce determinazione, decise a uscire dalla gabbia della sopraffazione.
data di pubblicazione:30/10/2020
Il nostro voto:
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