da Daniele Poto | Feb 25, 2021
Insegnante alla scuola Holden, giocatore di basket incompiuto, Poddi è solito affidare le proprie storie a un preciso riferimento storico. Fu così in una precedente opera per la leggendaria finale di basket olimpico tra Stati Uniti e Urss del 1972, si ripete ora per una centenaria che ha occupato tutto il secolo scorso, nel suo caso tutt’altro che breve perché vissuto passionalmente, intensamente e pericolosamente. Il personaggio al centro del plot è Leni Von Riefenstahl, regista, attrice, scrittrice e tante altre cose ma soprattutto autrice di testimonianze di spessore sulla cultura e sullo sport nazista, con adesione entusiastica, però a volte ambigua con il credo hitleriano. L’intento di Poddi è piuttosto presto svelato nel magico e incantato scenario acquatico delle Maldive. La dialettica è stabilita con la sua guida nei mari che non è lì per caso perché è la figlia di una donna che interloquito pesantemente il proprio destino con quello della film maker. Non ci addentreremo più oltre nello spoiler ma è evidente la conflittualità del rapporto. E l’ora di cui si parla nel titolo è un prolungato drammatico fermo immagine in queste esplorazioni subacquee. C’è un certo senso di espiazione nel comportamento di Leni che va a temperare la durezza introspettiva della sua interlocutrice. Un grosso lavoro di documentazione c’è alle spalle di un romanzo che è figlio di una tendenza ormai generalizzata (v. Culicchia,Bajani ed altri). Vicende storiche diventano metastoriche attraverso reinterpretazioni, legittime tanto qual è il libero arbitro letterario. Il romanzo è scritto benissimo anche se la direzione del plot e la sua prevedibilità nuocciono a lungo andare a una speranza di sorpresa. Un testo che apre tante porte, stimola la curiosità sulla personalità della regista tedesca e semina qualche dubbio politicamente scorretto, sul contrasto tra come lei stessa desidera apparire e le sue disinvolte capriole ideologiche. L’unita di luogo e di tempo è continuamente infranto a quello che la storia ha seminato e, purtroppo, non ha sempre insegnato.
data di pubblicazione:25/02/2021
da Daniele Poto | Feb 16, 2021
Un documentario sconvolgente. Che turba le coscienze. E dimostra, una volta di più, come gli affari di Stato siano molto più importanti delle vite umane. Jamal Khashoggi entra con la massima fiducia nel consolato dell’Arabia Saudita a Instanbul il 2 ottobre 2018 non ne esce più. Un disvelato mistero della camera chiusa alla Dickson Carr? Molto di meno ma molto di più come grande cinema.
Una docufiction che è un pugno nello stomaco. Due ore di tensione per un giallo che in realtà giallo non è. Pura cronaca nera di Stato ovvero come il principe Mohammed Bin Salam ha ordito la macchinazione per far fuori un feroce critico del suo potere assoluto. Viene da sorridere amaramente a pensare come un uomo politico italiano abbia potuto recentemente alludere a questo Paese come artefice di un nuovo Rinascimento riscuotendo un compenso di 80.000 dollari per una conferenza prezzolata in loco. In realtà questa non è la nazione della democrazia ma quella dove chi comanda esercita un feroce potere assoluto che falcia i nemici senza porsi problemi di correttezza multiculturale. Khashoggi aveva lasciato l’Arabia Saudita per smania di libertà ed era ingenuamente entrato in quel Consolato per fruire del documento che avrebbe potuto permettergli di sposare la fidanzata turca. Le telecamere mostrano il suo ingresso ma non la sua uscita. Perché in quella sede consolare verrà selvaggiamente fatto a pezzi secondo i dettami di un piano premeditato affidato a crudeli esecutori. Un aereo di Stato aveva trasportato in Turchia 15 uomini (vertici, portaborse e killer) per questa esecuzione. Il giornalista rappresentava un pericolo perché i suoi articoli e i suoi twitt spargevano dubbi sull’operato del Principe. E il columnist era sul punto di fare un salto di qualità trasformandosi da opinionista in attivista anche grazie alla prova (giudicata colpevole) di un finanziamento di 35.000 dollari a suoi colleghi che intraprendevano una battaglia sui social, riaffermando il principio del diritto a un pensiero alternativo e avversativo. Cinema civile, teso, profondo con una colonna sonora martellante che non abbandona mai le immagini e le riempie di significato.
data di pubblicazione:16/02/2021
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da Daniele Poto | Feb 15, 2021
Family drama padano di quelli che riescono bene a Avati. Modesta spesa produttiva per una grande resa simil teatrale. La vicenda degli Sgarbi senior, valorizzata da Vittorio ed Elisabetta, diventa il pretesto per un film sulla perdita e sulla memoria. Come un lutto può essere riscattato dal ricordo della scrittura. Interpreti al meglio per una storia in cui la cornice è il meglio del quadro.
Una vicenda universale. Una moglie che lascia terribilmente solo un marito abituato alla sua presenza. Superata una tristezza la reazione avviene con la sublimazione dei sentimenti con la letteratura. Ma tramite un mediatore, un ghost writer ((Gifuni) abituato per sopravvivere ad operazioni da saltimbanco, disponibile a qualunque ingaggio grazie a un consolidato mestiere. Così la diffidenza del vedovo (un Pozzetto a cui il regista comanda instancabilmente sobrietà) si attenua fino ad abbandonarsi completamente e con intatta fiducia all’inevitabile manipolazione del coautore. Delicatezza e garbo descrittivo, la felice fotografia che restituisce al meglio Ferrara e dintorni, l’abile scelta del cast con le uniche eccezioni dei tutt’altro che necessari Gioele Dix e Serena Grandi, chiaramente fuori parte, camei forse aggiunti per ingolosire gli spettatori, sono i punti di forza di questo prodotto molto italiano, cavallo di punta dell’ammiraglia Sky nel cuore dell’inverno. Avati si dimostra una sicurezza. Fatta eccezione per le due prime su due prove (che ormai si perdono nella notte dei tempi) è sempre stato una sicurezza al box office, assistito dalla professionalità del fratello che lo guida la meglio nei meandri produttivi-distributivi. Nel plot abbondano i flash back che riescono esaurientemente a riassumere più di mezzo secolo di vita in comune: dalle tribolate nozze a un affetto indelebile che non si spegne con la scomparsa di uno dei due coniugi. Nel film ma anche nella vita di tutti i giorni è l’uomo che fa più fatica ad accettare la perdita dell’altro dimostrando, una volta di più, le maggiori risorse psicologiche dei soggetti al femminile.
data di pubblicazione:15/02/2021
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da Daniele Poto | Feb 13, 2021
L’artista completo Francesco Guccini è al tempo del raccolto più che della semina. Svoltato il ciclo anagrafico degli over 80 può tirare le somme di un’esistenza gratificante e oltremodo celebrata. Questo libro deluderà chi si aspetta la cronaca viva degli anni densi di tournée e di impegni perché l’autore preferisce privilegiare la parte più intima. Infanzia e adolescenza bellica e post bellica tra Bologna, Modena e Pavana, triangolo emiliano da cui non si scappa, inevitabilmente. “Piccole città, bastardi posti”. Dunque è l’innesco personale della storia di cantautore più che della maturità piena, quella che si concretizza come giallista e scrittore. Esangue bilancio quasi testamentario di chi ha quasi perso la voce e anche il filo rosso dell’ispirazione musicale (onore al merito, non replica se stesso, come tanti altri colleghi pluri-settantenni), non rinunciando a qualche sortita collaborativa (vediVecchioni) . Lascia la funzione di completamento del libro ad Alberto Bertoni che si diffonde per quasi duecento pagine, pur non figurando nei crediti di copertina, su Vita e opere di Francesco (il cantante, non il santo). Una silloge didattico cronologico che accontenta i puristi ma che non ha guizzi perché non nasce dal vivo racconto del protagonista. In definitiva un libro che aggiunge poco a retroscena e a divagazioni off record, dall’alto di una compostezza un po’ indifferente e distaccata, inevitabilmente frutto dell’età. Un certo spirito di rassegnazione quaresimale permea tutto il libro e non offre un’atmosfera troppo allegra. Rappresentano comunque chicche gli esordi da giornalista precario, forse il primo contatto con la scrittura, una gavetta che viene raccontata articolo per articolo. Sfiorata ma non troppo approfondita l’esperienza collettivizzante della serata nelle Osterie, prima fra tutte quella delle Dame. Lì si forgiava la Bologna Musicale. Prima con Dalla, Guccini, Lolli, poi con l’infornata della seconda generazione dei Bersani, Carboni e Cremonini. Ma con questi le osterie erano già morte.
data di pubblicazione:13/02/2021
da Daniele Poto | Feb 10, 2021
Un giallo nero costruito attorno ad una dark lady dell’est. Conturbante e strega uomini ancorché prostituta. Si può essere gelosi di una prostituta? Si se l’assassino la ama e diventa geloso delle recensioni minuziose e anche volgari che altri frequentatori della ragazza lasciano sul suo sito di escort, una sorta di tripadvisor degli amori clandestini. Ha molti ingredienti il libro dell’esordiente Gatti, professionista d’azienda la cui scrittura più che un hobby è diventata una passione, coltivata nei ritagli di tempo, magari scrivendo il romanzo su un Iphone. C’è il mondo equivoco che ruota attorno alle professionista a pagamento, c’è l’aura del classico romanzo incentrato su un serial killer, c’è tanta amata Puglia oltre a uno spaccato delle gerarchie nelle forze di polizia con la tipizzazione di alcuni personaggi che non necessariamente sono comparse nel plot. Uno sviluppo pieno di contraddizioni, di erotismo, di atmosfere vivide raccontate con la freschezza di chi fa l’esordio con entusiasmo nel mondo della letteratura. Il libro trasuda tensione ma anche divertimento nell’inevitabile corsa verso il finale. Senza correre il rischio dello spoiler ma comunque una conclusione che non è per forza del tutto in linea con le aspettative. Chi sopravvive forte e fiera è la ragazza ungherese, protagonista, al centro dei suoi contendenti, che torna in patria apparentemente risolta dopo il dramma, con il sogno di intraprendere un’altra vita, non necessariamente traumatizzata dall’esperienza italiana ma sicuramente sorpresa da tutto quello che è ruotato attorno a lei. Gatti descrive un mondo moderno fatto di valori deperibili e fatiscenti. Dove basta un niente per scatenare la violenza feroce e morbosa. Il personaggio della psicanalista serve da sorta di specchio rivelatore delle pulsioni violente del killer, una sorta di viaggio nella sua complessa identità, dall’infanzia alla maturità. Un viaggio piuttosto doloroso e, come si leggerà, non privo di conseguenze. Un libro sviluppato per flash quasi cinematografici con il funzionale sincronismo di capitoli brevi, un valore aggiunto alla tensione.
data di pubblicazione:10/02/2021
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