STORIA DI UN BOXEUR LATINO di Gianni Minà – Minimum Fax, 2020

STORIA DI UN BOXEUR LATINO di Gianni Minà – Minimum Fax, 2020

C’è un modo di dire corrivo ma esauriente: ne ha viste più di Carlo in Francia! Trovatemi per analogia un giornalista nostrano che in capo a 65 anni di attività abbia un agenda telefonica (ora su smartphone) ricca come quella di Gianni Minà. Che detiene un altro primato aziendale in Rai: 17 lunghi anni di gavetta senza essere assunto. Amico di Pietro Mennea, di Diego Armando Maradona e del Papa in un filo crosso di connessioni ideologiche note solo a lui che riuscì a intrattenere per tutta una notte Fideò Castro pur di montare un’intervista scoop. Coraggio, empatia e sprezzante disistima del pericolo le qualità innate del cronista da battaglia che, partito da Torino, ha girato il mondo riempiendolo con le proprie passioni sudamericane e con il vivo senso della professione. Liquidato dalla Rai in un amen quando il ventennio berlusconiano gli ha scavato la fossa sotto i piedi. Come possono raccontare anche Luttazzi, Travaglio e Santoro. Ma il meglio era giù venuto, sotto la bandiera di Arbore, di illuminati esperimenti dell’azienda di Stato. Minà era capace di riunire in una notte romana nel più noto ristorante di Trastevere Robert De Niro, Muhammad Alì, Gabriel Garcia Marquez e Sergio Leone. In quella compendiosa foto c’era tutto Minà e il suo potete di fascinazione. Cronista d’assalto, incapace di fare il direttore, come dimostra la sua infelice esperienza a Tuttosport (testata mai nominata nel corso del libro). Le foto parlano più del testo. Un libro nato con una genesi lunga e difficile. Minà oggi over 80 si è avvalso della decisiva complicità di Fabio Stassi che ha registrato queste fluviali confidenze di una vita. A ruota libera, con un copione in divenire spezzettato in tanti capitoli, altrettanti flash di una ininterrotta esperienza professionale. Minà era l’anti-Marzullo, nemico della sedentarietà, delle frasi fatte, inevitabile nemico del potere costituito, in primis quello dell’imperialismo americano.

data di pubblicazione:04/05/2021

I RUSSI SONO MATTI di Paolo Nori – Utet, 2020

I RUSSI SONO MATTI di Paolo Nori – Utet, 2020

Non inganni il titolo di un libro che può avere difetti di ripetitività ma certo non annoia. Paolo Nori è illustre e spiritoso traduttore dal russo e il riferimento ai matti sottintende ammirazione per un popolo e una letteratura fuori dalle consuete rotte continentali e che in Italia si sofferma sui classici ma trascura quanto di vitale è stato trasmesso dalle generazioni del dopo Solgenitsin. Il testo si presenta con un sottotitolo da antologia (Corso sintetico di letteratura russa 1820-1991) ma in realtà è un bizzarro susseguirsi di liberi interventi su autori celeberrimi con Gogol, Tolstoi, Goncarov. Dunque quasi un’opera didattica ma condita dal marchio dell’eccentricità oltre che della competenza. Nori è consapevole di svolgere opera provocatoria ma al fianco dei famosi introduce figure decisamente meno note come Erofeev, la cui psichedelica romanzesca si sviluppava sotto gli effetti della vodka, la droga dei poveri o Slovskyij, uno dei padri dello strutturalismo con la rappresentazione della sua interessante teoria per cui la letteratura è un misto di straniamento della realtà e di complicazione della forma, considerati in combinazione binaria la ricetta perfetta del romanzo. Si può fare divulgazione intelligente e stimolante e questo libro né è un preclaro esempio. Due arricchimenti aggiungono fascino alla proposta. Nella parte centrale con la suggestione del bianco e nero campeggiano fotografie storiche dei grandi della letteratura storica: ampie barbe, maestosità, amicizie intrecciate. E il volume si conclude con una sorta di ricognizione sugli accenti giusti con cui declinare i cognome dei componenti del Gotha, suggerimento a uso e costume dei meno provveduti in fatto di lingue dell’est. Le riflessioni sull’arte e sulla professione di scrittore evadono pretestuosa mente dal confine russo anche se il timbro di personaggi come Oblomov o Raskolnikov strega un lettore disposti a farsi rapire dal mood russo/sovietico. Qui scopriremo cosa sia il samizdat e anche perché molti dei grandi hanno trovato fortuna e riconoscimento all’estero.

data di pubblicazione:03/05/2021

MEGLIO DAL VIVO CHE DAL MORTO di Paolo Rossi – Solferino, 2021

MEGLIO DAL VIVO CHE DAL MORTO di Paolo Rossi – Solferino, 2021

Il palese riferimento è al mondo dello spettacolo: fermo anzi immobile. Però meglio dal vivo che dal morto, cioè in streaming, con una finzione di immedesimazione in assenza di pubblico. Paolo Rossi, comico ammaccato di mille vizi, ex alcolista non anonimo, si rivolge a un colloquio immaginario con William Shakespeare per riflettere sulla strana situazione umana del fermo biologico in periodi di pandemia. Esperienze di una vita e di una creatività non soffocata ora che alcuni dei migliori amici (Enzo Jannacci, Giorgio Gaber, Felice Andreasi) non ci sono più. Sono irresistibili le pagine di descrizione del nascente cabaret milanese del derby, posto di gestazione ma anche locale equivoco che per mantenersi in vita obbediva a un’etica tutta sua, borderline rispetto alla legge, al consumo di droga e di ulteriori infrazioni legali. Da perfetta stand up comedy l’invocazione a Berlinguer che dall’oltretomba gli si affaccia in sogno per chiedergli che fine ha fatto il Pci. Un sogno all’incontrario nelle risposte che Paolo Rossi gli fornisce descrivendo un quadro idilliaco che è l’esatto stravolgimento della realtà attuale. Graffiante, malinconico, lisergico, Rossi ha sprazzi sulfurei che sono il giusto antidoto alla banalità del reale. Dal gin tonic in quantità siderale alle riflessioni argute sulla sparizione delle Feste dell’Unità, la descrizione di un mondo di sinistra evaporato nelle brume del capitalismo, del teatro come merce, del posto fisso degli Stabili. Comicità da alto e basso, biografica e non di un guitto che molto ha dato anche alla televisione vivendo in contraltare satirico gli anni d’oro di Berlusconi, bersaglio ormai non più attivo e valido. C’è molta vita, dalla nascita alla vecchia nel segno di una parabola che non vuole finire e si riproduce anche con il tramite della mimesi letteraria. Si può scrivere infine che Paolo Rossi è vivo e satireggia insieme a noi.

data di pubblicazione:24/04/2021

IL CENTODELITTI di Giorgio Scerbanenco – La Nave di Teseo, 2021

IL CENTODELITTI di Giorgio Scerbanenco – La Nave di Teseo, 2021

Silloge di gialli brevi e lunghi che hanno il sapore della loro scrittura, fascinosamente datata anni ’50 e ’60. Scerbanenco fu una riscoperta di Oreste Del Buono che ammiccò alla formula della centuria, già adottata da Manganelli. Scerbanenco (originariamente Scerbanenko) si può considerare come uno dei padri spuri del giallo italiano. Autore anti-conformista, assolutamente non preoccupato dell’etichetta di commercialità (scriveva anche sulle riviste femminili per sbarcare il lunario) va enormemente rivalutato. Il classico autore che piace ai lettori e non alla critica. Da cui è stato ampiamente snobbato. I racconti dell’antologia vasta (oltre 650 pagine) si rifanno a due format. La prima racchiude in una cartellina una virtuale sceneggiatura filmica, un bruciante e sintetico plot. Nel secondo caso invece si dilata un racconto lungo con una struttura e personaggi più delineati. Storie di vita e malavita definite “affilate come rasoi” perché l’autore è scevro da qualunque moralismo. Piuttosto sono le tematiche borderline ad attrarlo alimentando descrizioni criminali, lontane da ogni pietismo. Un anti-retorica alla Fred Buscaglione o alla Dashiell Hammett per rimanere nel campo della letteratura. Uno stile che non è posa né maniera ma ammicca alla descrizione di un mondo pragmatico decisamente noir, fatto di delitti, di tradimenti sentimentali, fitto di cinismo. Scerbanenco ha una prosa espressionista che è fatta di periodi spesso interminabili ma facilmente fruibili nella fotografica descrizione di un ambiente, di una mente, di una situazione. Padre di un giallo che ha prodotto molti figli vista l’abbondante produzione italiana, gratificata dal successo di vendute e da un profluvio di autori che l’hanno resa popolare anche su scala regionale. Ma molto è partito da questo input di un riconosciuto pioniere. Senza personaggi precostituiti ogni storia può finire in farsa o tragedia in queste ministorie con l’happy end che è eventualità molto remota.

data di pubblicazione:21/04/2021

BAD LUCK BANGING OR LOONY PORN di Radu Jude, con  Katia Pascariu – su Miocinema, 2021

BAD LUCK BANGING OR LOONY PORN di Radu Jude, con Katia Pascariu – su Miocinema, 2021

Una scheggia impazzita del nuovo cinema rumeno consacrata con l’Orso d’Oro nell’edizione 71 del Festival di Berlino. Tra dissacrante fustigazione di una società arretrata e della pruderie sessuale trattando un tema ormai mainstream anche nella società italiana.

La pellicola inizia con dieci minuti che potrebbero essere tranquillamente il momento culminante di un film porno. L’insegnante Emi, stimata professionista di una scuola bene, di Bucarest, filma un video intimo con il marito in cui nulla si nega. Il regista inquadra gli organi, documenta il linguaggio lascivo, le posizioni. Dunque un inizio da pugno nello stomaco che fa credere di essere entrati in un’opera di genere e sui generis. Ma poi nella passeggiata nervosa della protagonista per le strade della capitale rumena, il plot si sviluppa perché il filmato da privato diventa pubblico. E l’esplorazione della città è un piccolo capolavoro. Tra egoismi, razzismi, devastazione del decoro urbano, maleducazioni assortite e la recondita preoccupazione della protagonista. Il terzo quadro del film, dal ritmo evidentemente spezzettato e discontinuo, è una serie di tableaux vivant dove il regista sbizzarrisce tutta la propria fantasia sul vivere contemporaneo. Prologo per arrivare al processo a porte aperte quando l’insegnante, in piena pandemia, viene giudicata dal consesso dei genitori dei suoi alunni. Potrà continuare a insegnare nella sua scuola? Il regista ci fa capire il sottile divario tra fiction e realtà. E’ stato tutto uno scherzo? Comunque tre finali di cui eviteremo lo spoiler. Cinema fertile, fecondo, politicamente scorretto. Irridente sui luoghi comuni. L’ultima parte didattica è un po’ più prevedibile delle altre perché mette in moto la riflessione sulla liceità dei comportamenti sessuali e su come gli adolescenti ne vadano ipocritamente tenuti lontani. Per accorgersi che il pensiero comune dei rumeni non è troppo lontano da quello degli italiani. I video di questo genere fanno ancora scandalo se nel dibattito l’insegnante viene paragonata a un’attrice porno con scarso rispetto per il suo adamantino percorso didattico.

data di pubblicazione:10/04/2021


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